Come un nastro, io
Può capitare, ogni tanto, quando si vuole uscire da una vita monotona, che si consideri ogni piccolezza come una piccola avventura. Non importa che lo sembri per tutti, basterà che lo sia per te, e potresti farne nascere anche una bella vanteria. Consumeresti discorsi su discorsi, gesti su gesti, sbattimenti di ciglia e ti abbandoneresti a raccontare dell'avvincente spesa al supermercato.
"Con quale foga ho alzato quella padella scacciando la mia vicina con un colpo di gomito! Questo è stato crudele sì, ma era necessario per una buona causa, il dieci percento di sconto, e le uova saltate che torneranno nel mio piatto a colazione."
Sì, sì, ridi pure Avery, lo so che tempo fa io ero del medesimo stampo. Parlavo tanto per parlare, era il mio modo per farmi sentire parte di voi, e sono grato per tutte quelle volte che la vostra faccia è riuscita a ricomporsi prima di insultarmi.
Ecco, perdonami, parlo ancora al plurale. Nel mio cervello la tentazione di incitare una platea è irresistibile. Poi appena devo spiegare una mia osservazione a qualche estraneo, la lingua mi si secca e mi strozzo col mio stesso respiro.
Ora mi trovo nell'assurda circostanza di ritornare ad essere il me stesso di una volta, se due anni fa può già essere considerato storia. Forse, dopotutto, sento che tu sei davvero speciale.
Oh, dai, ti prego, non sentirti in imbarazzo. Pensa cosa sto provando io! In un secondo sono passato dal tono degli estranei a quelli del mio vero io! Compatiscimi!
Mi fa piacere che ridi di nuovo. Ridi della mia sfacciataggine, ridimi addosso. Se non mi farà nè caldo nè freddo, allora ho ragione. Hai qualcosa di magico che non avevo mai incontrato.
Giusto, giusto...perchè stavo parlando di questo? No, prima della mia confessione d'amore.
Ah, bene. Continuerò di lì: si prospetta una lunga notte, dici? Dato che me lo concedi, voglio tentare un racconto un po' più esteso. Insomma, mi interessa sapere di tuo padre e del salvataggio di quell'uomo, ma è davvero difficile che tu ti possa addormentare.
Sempre che io non mi metta a fare digressioni, e in quel caso meglio che mi autorizzi a darti dei pizzicotti per farti riprendere il filo. È giusto che, se anche tu hai intenzione di starmi vicino- più che da amico si intende- tu possa capire battute e riferimenti che nella mia vita futura torneranno senza esaurirsi a questa storia passata di qualche anno fa.
Trascorrendo di novità con alcuni amici, ho saputo che qualcuno era stato informato dello strano garbuglio in cui mi ero trovato appresso. E tutti lo raccontavano in modo sbagliato! Non sai che cattiverie su di me! Onde evitare che tu conosca versioni errate e possa vedere un lato oscuro della mia anima che è pressoché inesistente, mi sono messo di incredibile impegno ad ascoltare i miei compagni di avventura.
Dopo questo doloroso periodo, in cui la gente mi parlava dei suoi appena rivangati affanni, e peggio ancora dovevo stare in silenzio ad ascoltare senza poter proferire parola, sono quasi sicuro di essere l'unico sulla Terra, nel nostro universo e nel mondo dei vivi, ad aver impressa l'intera storia.
Restituisco un po' di voce a coloro ai quali ho coperto spesso e volentieri i discorsi.
Restituisco un po' di voce anche a coloro che non la possiedono da tempo, ma che, come imparato, tra i loro invisibili e inudibili discorsi, ci hanno conosciuto.
Già volati sei minuti per questa filastrocca. Sarà meglio che mi dia una mossa.
Poichè credo che il protagonista di una storia debba necessariamente avere qualcosa di anormale, di essere speciale, oppure essere dannatamente normale per far da anticonformista, ti parlo di una ragazza che non rispecchia nessuna delle tre categorie.
Esattamente come la gente che passa per strada, che non spicca particolarmente per nessun dettaglio, che può parer normale, eppure siamo comunque ignoranti di quello che è in realtà.
Paula Stuart poteva annuire sull'aver il privilegio di arrivare a casa ogni sera e trovarsi di fronte una famiglia più o meno unita, attorno alla tavola. Sua madre sempre sulla destra, ad incurvarsi per non tenere i gomiti sul tavolo, suo padre rigido con il suo tic nervoso che gli faceva chiudere e aprire l'occhio cristallino, e il fratello che grattava via il formaggio dalla pizza, perchè neanche a suon di mance quel tipo azzeccava un ordine.
Visto? Passa per strada e non la si ritiene così importante tanto quanto lei consideri tutto ciò.
Oddio, conoscendo la sua abitudine nello sfrecciare con le mani alzate dal manubrio, dubito che passerebbe inosservata. Ma si darebbe dato uno sguardo ai suoi capelli biondi incredibilmente mossi e scomposti, al suo rossore sulle guance eppure non ci avrebbero detto niente.
Neanche per lei dicevano nulla. Uniti alla sua faccia riflettevano nello specchio un’immagine che si sarebbe potuto trovare ovunque. In realtà quello che allora era Paula Stuart, era il blocco di marmo che molte persone furono a loro tempo: tutte a fremere lì in attesa che un barlume di novità e fortuna si posasse sui loro occhi chiusi. Ti puoi immaginare il povero orfanello che contempla il cielo stellato esprimendo un desiderio non appena una fa un guizzo.
La ragazza in questione era costantemente in preda a pensieri simili. Ma i guizzi erano quelli dei fanali che entravano dritti come lame nella vetrata del locale. A ciascuno di quegli uomini al volante era riservato un tavolo e un suo sorriso, e, se la padrona non era in giro, anche qualcosa gratis, visto che la ragazzina era così ingenua e stupida.
Altrimenti a grandi passi marciava dalla porta sul retro un donnone tutta impacchettata di rosa confetto sgualcito che sbraitava verso i clienti. La proprietaria. Tirava schiaffi sui tavoli e minacciava di raddoppiare il conto a tutti se non la piantavano di fare gli spilorci.
Paula avrebbe tanto voluto essere come lei. Ferma. Decisa. Fiera. Inflessibile.
Da anni cercava di assomigliare alla più cara delle amiche di sua madre, non che alla sua madrina. Una madrina non legale, ma comunque in grado di rimpiazzare degnamente la zia Claudia che se n’era andata da poco.
Minta dal canto suo proteggeva la figlioccia come avrebbe potuto fare tuo padre. Perché doveva essere la volta in cui si sarebbe sentita una madre. Sarebbe stato assurdo montar su una famiglia, lei con la carnagione scura quasi quanto una tavoletta di cioccolato amaro, e la piccola Paula, il più cadaverico dei corpi viventi.
Dunque era al Minta’s Diner che questa nostra eroina si rifugiava dal mattino alla sera, consumando raramente sia pranzo che cena al tavolo di casa sua. Del resto non aveva amiche a cui dedicare la giornata.
L’unica vera compagna di vita era stata una certa Nicole, che, per la solita fortuna, si era dovuta trasferire dopo una frequentazione di ben tre settimane.
I suoi genitori dici? Te ne parlerò andando avanti. Vedi sono importanti per la storia, ma adesso ho sete, e non posso interrompermi senza lasciarti un po' di curiosità.
Facendola breve, per quanto vedere tutti i giorni lo stesso locale, gli stessi tavoli, gli stessi bicchieri e (s)fortunatamente le stesse persone era capace di destare una noia nervosa in chiunque fosse sano di mente, uno dei motivi per cui era interessante rimanerci era un ragazzo. Frequentava spesso quel bancone, e non la smetteva mai di borbottare fra sé. Ma a differenza degli altri non la trattava come una cameriera. Le parlava sinceramente senza abbassare mai lo sguardo e senza mutare espressione annoiata. Ma le parlava. E capisco che fosse normale una certa attrazione: Paula stava assaggiando con la punta della lingua la sua vita futura. E Dirk ne faceva parte, eccome.
Ah, quello lì andò avanti tutta la notte con il suo sproloquio. Che ho trascritto in parte, sottolineo, solo perché non sapevo come iniziare. E adesso sono al punto di prima. Non so come non iniziare.
D’accordo. Vi dico due cosette. Io la storia la so meglio di quel presuntuoso, registro meglio di un computer, io. Posso riportarvi indietro a ciascuno dei momenti di questa avventura con uno schiocco di dita. Per cui riavvolgo il nastro di un poco e vi faccio cominciare da Paula che va in bicicletta.
Oh, seconda cosa. Cancellate le ultime righe che avete letto nel capitolo precedente. Se si è capaci di iniziare un racconto, bisogna essere sicuri di farlo bene, non di tirare in ballo questioni che confondono solo!
Eccolo qui. Il 23 marzo. Erano solo sei mesi che il Minta’s Diner aveva aperto, con grande scetticismo da parte della comunità. Sia mai che una “negra dei bassifondi ci cucini pezzi interiora animali in fricassea. In quella lavanderia più che rovinare i colori non faceva, perché non ci ritorna?”
Come il mio collega ha detto, Minta non pativa per nulla insulti o pettegolezzi. Mezza città avrebbe tramato di trovarsela piantata sulla soglia con un grosso mattarello in mano. E di questo timore lei se ne compiaceva.
La sua più accesa sostenitrice era proprio Paula, la sua figlioccia, la ragazza che sfrecciava quel giorno lungo le vie di Borderlake colpendo i pedali con due consumate scarpe da ginnastica bianche. Certo, erano state bianche, immacolate, qualche anno prima.
Come sempre evitava con la testa il viale di pioppi che sbatacchiavano i rami di qua e di là. Del resto si annoiavano tutto il giorno lì impalati a fissare gli uomini, con quella risorsa immensa, le gambe, scoperte, coperte, ma pur sempre in movimento. Per loro le ruote della bicicletta erano un altro sfizio.
Ma vuole mettersi il grembiule mentre pedala? Non è pericoloso?
Oh, meno male, ci è riuscita prima che il manubrio si pieghi.
-Ehi, Minta!
-Ehi, piccola, sei arrivata in tempo!
Paula scese dalla sella saltando, si tenne in piedi per miracolo, ma non si sa come spalancava un sorriso degno di una fotografia.
-Ho assolutamente bisogno di bere qualcosa, sono esausta.
-Che è successo, oggi?
-Il professore di ginnastica mi ha dato una punizione per aver saltato la giornata sportiva-rispose lei, col fiatone, appoggiando la bici al muro sul retro del locale.
-Vedesse quanto corri tutti i pomeriggi qui dentro avresti il massimo dei voti.
-Lo so...-si asciugò esausta la fronte imperlata di sudore.
La donna aprì la piccola porta che entrava nella cucina.
-Acqua? -le offrì, prendendo un bicchiere dal servizio della sera prima, che aveva appena lucidato.
-Mh...potrei avere una cola? Me la scali dalla paga di oggi.
-Vai a prenderti una cola, da brava, e non pensare ai soldi.
La ragazza ringraziò battendo due volte le mani, scivolando fra i ripiani fino alle porte. Uscì nel corridoio dietro il bancone con grande sorpresa dei due anziani che si erano appena seduti in cerchio ad un tavolo.
-Signor Jefferson? Il solito?
-Grazie, cara, mettimelo in conto.
-Grace non ti ha di nuovo lasciato prendere il portafoglio, vero?
-Voi donne avete proprio un sesto senso-sorrise l'uomo, seguendo i veloci movimenti della giovane cameriera.
Paula arrossì di imbarazzo, perchè "donna" non era proprio il suo appellativo migliore.
Poteva succedere che la chiamassero così, solo perché entrambi avevano delle nipoti di statura non poi così promettente, ma secondo lei il suo cervello era più infantile di una bimba di sei anni.
-Ecco qui.
-Non lo dirai a mia moglie, vero? Resterà fra noi?
-Certo, ma questo sarà il suo unico bicchiere del giorno, vero?
-Nah-grugnì l’uomo allungando il braccio verso la bottiglia.
- Sua moglie vuole solo stare attenta alla sua salute.
-Mi dici come potrei protestare se a dirmelo è una fanciulla così carina?
Rieccoci. Facevano proprio a gara per darle appellativi che non le andavano affatto bene, o almeno, lei li percepiva così. Sta di fatto che non si era mai sentita fare dei complimenti tanto gratuiti in tutta la sua vita. Il signor Jefferson, il signor Doyle e poi Charles e Wimby, che quel giorno mancarono all’appuntamento quotidiano, erano le persone forse più vicine ad un amico che Paula potesse mai desiderare. E al diavolo se lo facevano solo per spillarle qualche goccia in più d’alcool! Le sue amichette dell’asilo erano poi della stessa pasta quando la accompagnavano a prendere gelato gratis dal furgone dello zio! Eppure per qualche misero secondo erano tutti costretti a condividere del tempo con lei, a parlarci, a volerle a tutti i costi starle accanto. Questo pensiero non scompariva mai dalla sua mente, e Paula se lo sarebbe ricordato per molto tempo. Ma se prima era gelato, ora era alcool, dopo cosa sarebbe stato? Era l’unico punto che aveva paura di chiarire. Fino dove era disposta a guardare per avere un po’ di compagnia.
Intanto mentre la paziente ragazza metteva in cassa il conto di un uomo che arrivava da fuori città, distaccato e soprattutto indeciso sul menu, le doppie porte del bar si spalancarono di botto, facendo sobbalzare i due anziani, persi in una sonnolenta discussione sui cuscini.
-Ehi!-disse un ragazzo, puntandole il dito contro-le birre per me e i miei amici!
-Quattro birre, Tyler?
-Ma ci vedi? In quanti siamo noi?
-In quattro, Tyler.
Il ragazzo si voltò imbarazzato a guardare il gruppo di amici. Componevano un mucchio ben assortito di giubbini neri e pantaloni di un jeans volutamente logori. Era impressionante come si somigliassero fraternamente l’uno con l’altro, come tre versioni dello stesso clone.
-Ah-disse titubante-Dirk si deve essere perso.
-Quindi quattro?
-Ehm...credo di sì-commentò il ragazzo senza scomporsi.
-Sedetevi, ve le porto.
Non che per quel gruppetto servisse la cortesia in pompa magna, ma almeno erano lontani dal bancone e poteva averli accanto solo quando li serviva. Sapete, non erano esattamente il tipo di ragazzi con cui si vorrebbe aver a che fare, o almeno, questo era un pensiero della cameriera, non certo di quelle ragazze con la bava tra le labbra che inondavano i corridoi a scuola.
Dirk sbattè le porte qualche minuto dopo.
-Ciao, piccola-la guardò di sfuggita.
La ragazza annuì di risposta. Fu difficile non dare a vedere come il sangue le ribolliva appena quel tipo le rivolgeva la parola. Avevo quel viso da bravo ragazzo accompagnato dall'atteggiamento più rude del gruppo.
-Oh, Dirk, non perdere tempo con quella lì. È tutta casa e chiesa, lo sai.
-Cosa vuoi, tu, Dirk?-azzardò lei da lontano.
-Vedi? Tutta casa e chiesa. Dovresti saper cosa vorremmo tutti noi, tesoro!
-Maiali-tossì lei, versando della menta nella gazzosa, con cui era sicura di non sbagliare.
-E tu, cosa vuoi?-sbottò Tyler, prendendole i fianchi.
Lei si ritrasse spingendolo indietro.
-Io lo so cosa vuoi...
Paula continuò a servire tutti senza farci caso. Aveva voglia di tirargli un pugno per quegli ultimi giorni in cui la umiliava mentre faticava a fare il suo lavoro. Facciamo pure per quei tre anni in cui si era trasferito lì. Oppure solo perchè aveva avuto la brillante idea di venire al mondo.
-Tu vuoi dei soldi...
Una frecciata la colpì al cuore: "Questi ricconi nuotano nei soldi e non fanno altro che pensare a quello. Beh, oltre alle altre cose, ovvio".
-Vuoi la grana, vero, Stuart?
-Mi farebbe piacere-disse lei, disinteressata-a differenza vostra io non potrei mai usare i dollari come carta igienica.
-Non fingere che non li vuoi. A tuo padre hanno sfrattato bottega, e questo spiega il fatto che da due settimane qui ci vieni tutti i giorni.
Lei incrociò gli occhi sbuffando. Ma in effetti questo spiegava perché Minta le avesse aumentato le ore. Conosceva suo padre, testardo e orgoglioso, non ammetteva mai un errore da parte sua. E non avrebbe mai chiesto dei soldi a quell’amica stramba del locale. Se aveva bisogno per il suo portafoglio, magari trovava un po’ di compassione da parte della sua bambina.
-Possiamo fare uno scambio. Tu mi devi fare un favore, e io ti ricompenso in modo giusto.
Minta fece due passi dietro il bancone, aspettando di intervenire. Frugava già di nascosto con la mano per impugnare un oggetto contundente per ogni evenienza.
-Mi fai schifo, davvero.
-Ehi, ehi, niente di sporco, se è quello che pensi.
-E in cosa consiste il "favore"?
Tyler sorrise, come un pescatore appena la preda abbocca all'amo.
-Tra due giorni un mio amico viene qui in città e io puntualmente devo fargli una sorpresa. Avevamo scommesso che fino a che non ci fossimo visti di nuovo, avrei rimorchiato una ragazza.
-E fra tutte quelle meravigliose e dolci fanciulle che girano nella nostra scuola, a cosa devo tanto onore?-ringhiò lei, voltandosi.
-Beh, come ho detto, tu sei la ragazza meno socievole della scuola. Intendo, non hai amici a parte quattro gatti qui in questo postaccio, sei riservata, non parli quasi con nessuno...e questo lo sanno tutti. Sei una ragazza impossibile: questo è quello che lui ha chiesto quando abbiamo scommesso.
Qualcosa la convinceva ad accettare. Non che le interessassero i soldi, ma suo padre se fosse stato lì avrebbe accettato. In più Dirk annuiva compiaciuto fissandola direttamente negli occhi. Perché diamine la scommessa non era toccata a lui?
-Perciò devo fingere di essere la tua fidanzata?
-Hai capito bene. E la ricompensa sarà da cinque.
-Cinque? Cinque dollari? Guarda che non sono una morta di fame!
-Cinque dollari? Vorrai dire cinquecento dollari.
-Oh-deglutì di colpo.
La proprietaria del locale vide la sua figlioccia stringere la mano a quel ragazzaccio, tra le risate compiaciute degli altri. Posò il mestolo di metallo e mise a posto le maniche già rimboccate. Che odio, che odio quei tipi. E non era odio vero, perché secondo lei il suo vero odio dipendeva dalle azioni di ciascuno. Ma verso quei ragazzi c’era pura e semplice antipatia, perché esistevano, perché erano loro, e in quanto loro erano intollerabili. Scordatevi i bulletti della scuola sempre in giro a rimorchiar ragazze. Quelli erano tutti figli di papà, gente ricca, che passa il tempo a bighellonare, fingendo una ribellione interiore. Forse erano peggio dei veri bulli. Minta probabilmente si sentiva più una bulla, ecco tutto. Ecco, perché non tollerare quelle facce smorte di gente che si sente incredibilmente superiore perché sfoga finto malessere sociale.
-Domani era il tuo giorno libero, no?
Paula alzò le spalle e seguì con gli occhi i cinque ragazzi uscire.
-Si sta approfittando di te, stai attenta.
-Ovvio che se ne sta approfittando. Io faccio lo stesso. Mi ha già dato metà dei soldi, sono già soddisfatta così-disse, credendo che le fosse già apparso il simbolo dei dollari al posto delle pupille.
La donna le passò una mano umida di detersivo su una guancia.
-Cenerentola è una favola, Paula. Non esiste che una ragazza normale sposi il bel principe azzurro. Mah, chi sono io per commentare il destino. Magari quel Dirk un giorno ti farà la proposta.
La ragazza provò a sorridere, col cuore che batteva.
Era solo per ingannare un altro di quegli stupidi ragazzi ricchi. Tutti snob, maleducati e viziati. Si sarebbe divertita. Dirk magari l'avrebbe difesa. Magari uno dei ragazzi cattivi sarebbe diventato buono per lei.
La piccola domestica, il principe azzurro, la matrigna e la madrina: in effetti bastava soltanto ancora che una zucca piovesse dal cielo.
Angoletto Autrice
A quanto pare proprio non riesco a scollarmi da questa sezione, perché dopo aver rivisto alcuni vecchi episodi e lungometraggi, mi è spuntata fuori questa pazza idea del prequel. Insomma, esistono sparsi qua e là alcuni riferimenti ai genitori di Shaggy, e parlo sia di facce che di nomi.
Quindi ho riciclato un po’ di tutto per scrivere qualcosa di perlomeno plausibile che non segue una versione presentata in una precisa serie o film, ma letteralmente un miscuglio di idee diverse che avevano già a loro tempo avuto i creatori di questo cartone animato, che io amerò sempre. Vorrei omaggiarlo così nel mio piccolo.
Spero il capitolo vi sia piaciuto, e se è così, vi prego fatemelo sapere con un commentino. Come tutti i lettori di Scooby Doo, la ricompensa è uno Scooby Snack!
CCB