N/A: e dopo un enorme, immenso
ritardo, eccomi qua con l’aggiornamento. E’ stata durissima, lo ammetto, perché
l’ultimo scherzo di Sherlock è stato veramente un colpo da maestro. Spero che la
replica possa piacervi.
Buon proseguimento delle
vacanze.
Umbrella
BUT INITIALLY…
Mycroft mosse le braccia di fronte
allo specchio affisso al grande armadio della camera da letto, gli occhi puntati
sul riflesso dei polsi. Perfetto, la camicia era abbastanza lunga da coprire i
segni. Scosse la testa, sorridendo tra sé: il regalo di Natale che Sherlock
aveva dato a Gregory “da parte sua”, causando tanto imbarazzo, alla fine si era
rivelato più utile di quanto avessero immaginato, forse troppo, considerando la
loro età anagrafica. La frusta era stata messa sotto chiave, tra i regali da
poter riciclare (‘Se mai Sally si dovesse sposare, gliela regalerò’ aveva detto
Gregory), ma delle manette avevano deciso di fare buon uso. Superate le prime
esitazioni e ritrosie imbarazzate (e tolto quell’assurdo peluche da
rivestimento), avevano cominciato a prenderci gusto arrivando a… beh, a dover
nascondere i segni di quello che combinavano, come se fossero due
adolescenti.
Un paio di braccia si avvolse
intorno alla vita del politico, facendolo sorridere ancora di
più.
“Buongiorno Gregory, vedo che siamo
mattinieri oggi.” Disse, appoggiando le mani su quelle dell’Ispettore, che
intanto aveva posato il mento sulla sua spalla.
“Che tu ci creda o no, non avevo
sonno” rispose l’uomo, baciandogli appena il collo e prendendogli le mani.
“Volevo assicurarmi che stessi bene, ho visto con che attenzione ti sei messo la
camicia.”
Mycroft strinse a sua volta le mani
del compagno.
“Sto benissimo, te lo assicuro. Sono
rimasti solo un po’ di segni, credo che possa capitare quando un certo Ispettore
prende gli arresti troppo sul serio”. Gli rispose, facendo ridere l’uomo dietro
di lui.
“Beh, perdonami, ma quante persone
possono dire di aver avuto in custodia il Governo Britannico? Era normale che mi
facessi un po’ prendere la mano.” Gli disse, infatti, baciandogli di nuovo il
collo, prima di farlo voltare per guardarlo negli occhi. “Sei sicuro che non
abbia esagerato?”gli chiese, lasciando scivolare le mani lungo le braccia e
squadrandolo, sinceramente preoccupato. Mycroft gli prese le mani, ricambiando
lo sguardo e lasciandogli un bacio sulla fronte.
“Gregory, smettila di angustiarti.
Sto benissimo, davvero. Solo perché non siamo più ragazzini, non significa che
io mi debba rompere subito quando il gioco si fa un po’ più duro. Te lo avrei
detto subito se mi avessi fatto male, tranquillo.”
Lo rassicurò, accarezzandogli il
dorso di una delle mani con il pollice e guadagnandosi un sorriso da parte
dell’Ispettore, che lo abbracciò stretto.
Mycroft ricambiò immediatamente,
chiudendo gli occhi e assaporando quel momento. Lui e Gregory stavano insieme
ormai da diverso tempo, eppure non riusciva ancora a stancarsi di quegli attimi,
di quei gesti che lo facevano sentire tanto bene nella loro semplicità. Mentre
faceva il suo ormai consueto ragionamento su come avesse fatto a trovarsi in
quella situazione tanto fortunata, si scoprì a pensare che alcune delle ultime
occasioni erano state create, forse involontariamente, da suo
fratello.
Sherlock aveva indubbiamente cercato
di metterlo in imbarazzo, prima davanti a Gregory, poi davanti ai suoi genitori
eppure, ogni singola volta, si era trovato a sperimentare le cure amorevoli
dell’Ispettore, che aveva fatto di tutto per tirarlo su, per aiutarlo a guarire,
per sostenerlo nelle sue idee e, in quell’ultimo caso, per riportarlo a
quell’adolescenza che non aveva mai vissuto.
In un certo senso, era debitore nei
confronti di suo fratello e non gli piaceva avere dei debiti. Forse poteva
trovare il modo per ricambiare il favore. Si strinse ancora di più al compagno,
mentre un piano cominciava già a prendere forma nella sua testa. L’occasione era
perfetta, il luogo lo sarebbe stato ancora di più. Doveva solo convincere la
persona che avrebbe potuto dare vita a tutto e, conoscendola, non sarebbe stato
affatto difficile.
Dire che Sherlock era euforico
sarebbe stato l’eufemismo del secolo. Tale entusiasmo, tuttavia, non era dovuto
a un nuovo caso o a qualche bizzarro esperimento il cui esito aveva portato ad
una grande scoperta nell’ambito delle indagini criminali.
No, Sherlock era contento perché, da
ormai quasi tre mesi, Mycroft non si faceva sentire. Neanche un piccolo,
minuscolo segnale di vendetta imminente. Certo, i primi tempi era stato in
guardia e ogni telefonata, ogni visita del fratello o di Lestrade erano sembrate
una potenziale minaccia, ma, fino a quel momento, non era successo niente. Era
forse troppo presto per cantare vittoria definitivamente, ma il consulente
investigativo era abbastanza sicuro di averla spuntata.
Doveva ammetterlo, lo scherzo di
Natale era stato un vero colpo da maestro, ma era sorprendente che Mycroft non
avesse ancora replicato. Forse si era stancato, forse aveva deciso di fare la
parte del fratellone maturo (e noioso) e di darci un taglio. Certo, in parte gli
dispiaceva, ma d’altro canto, per una volta, l’aveva spuntata su “quello
intelligente” tra loro due e non poteva dire che la sensazione fosse brutta,
anzi.
Finalmente gli aveva dato scacco
matto, in un modo davvero spettacolare tra l’altro.
Senza riuscire a trattenersi,
scoppiò a ridere poi, sempre con un grosso sorriso sulle labbra, afferrò il suo
violino dalla poltrona e cominciò a suonare un allegro motivetto di sua
composizione. Dopo pochi minuti John entrò nel salotto,
sbadigliando.
“Sherlock, sono le sette e mezzo del
mattino. Vuoi farmi credere che qualcuno ti ha cercato a quest’ora per affidarti
un caso?” chiese, guardandolo con aria torva e assonnata prima di andare verso
la cucina per prepararsi il caffè.
“No, nessun caso. Solo la più bella
vittoria della mia vita.” Replicò il consulente con un ghigno non molto
dissimile da quello di un gatto del Cheshire.
“Ah, hai per caso scoperto la
combinazione vincente della lotteria? Non che ci manchino, ma qualche sterlina
in più potrebbe farci comodo.” Fu la risposta del dottore, che intanto stava
riempiendo una ciotola con dei biscotti.
“No, i soldi non c’entrano. Sai che
giorno è oggi?” chiese Sherlock, fissandolo. Il dottore aggrottò la fronte,
confuso, prima di rispondere con una certa esitazione.
“È…
giovedì, se non sbaglio. Ha importanza?”
Il consulente alzò gli occhi al
cielo.
“Come al solito, hai a disposizione
tutti gli elementi, ma scegli quelli sbagliati. La data, John, qual è la data di
oggi?”domandò con impazienza.
“È il 25.
Dovrebbe dirmi qualcosa?” replicò John, continuando a non capire dove l’amico
volesse andare a parare. Sherlock ghignò.
“Oggi sono passati tre mesi esatti
dal mio ultimo scherzo ai danni di Mycroft e lui non ha ancora sferrato il
contrattacco. Mi sembra ovvio che ormai abbia rinunciato.” Spiegò,
un’espressione di trionfo stampata sul viso spigoloso.
Il dottore, però, alzò gli occhi al
cielo, passandosi poi le mani sulla faccia.
“Santo cielo, ancora con questa
storia…” borbottò, esasperato.
“Ma come John? Ti ho appena
comunicato la tua vittoria e tu reagisci così? Ti ricordo che anche tu hai
subito le sue trovate, in più di un’occasione.”replicò il detective, sorpreso
della reazione dell’amico.
“Solo e soltanto perché ti ho voluto
seguire. So benissimo di essere stato una conseguenza collaterale e che Mycroft
non ce l’ha con me. Probabilmente, alla fine, ha deciso di essere maturo e ha
lasciato perdere.”
Sherlock guardò l’amico, basito,
prima di corrugare la fronte.
“No, non è così. L’ho battuto in
astuzia e lui l’ha riconosciuto, anche se è troppo orgoglioso per venire a dirlo
di persona.” Gli rispose, incrociando le braccia al petto.
“Se ti piace crederlo…” borbottò il
dottore, prendendo il giornale del mattino e spiegandolo per cominciare a
leggerlo.
Il consulente stava nuovamente per
rispondergli, ma fu interrotto dal passo un po’ claudicante della loro
governante che, infatti, sbucò poco dopo, bussando alla porta
socchiusa.
“Cucù? Buongiorno, siete svegli?”
chiese, entrando nella stanza. “Sherlock, caro. C’è qui un ragazzo molto agitato
che chiede di te. Posso farlo entrare?”
Tuttavia, prima che il detective
potesse replicare, la donna si spostò, lasciando entrare un giovane che poteva
avere forse venticinque, ventisei anni e che aveva un’aria spaurita e l’aspetto
trasandato di uno dei senzatetto che facevano parte della rete di
Sherlock.
“Signor Holmes. Mi spiace
disturbarla, signore, ma devo dirle una cosa che credo possa interessarle.” Gli
disse, torcendosi nervosamente le mani. “A Scotland Yard non mi darebbero
ascolto e Chrissy di London Bridge – la conosce, vero? – mi ha detto di venire
qui.”
Il consulente lo guardò,
all’apparenza per niente colpito da quel racconto. Tuttavia John, osservandolo,
si rese conto che stava mostrando un vivo interesse, almeno a giudicare dalla
luce che aveva negli occhi e dalla sua postura.
“Dimmi tutto”
“Credo sia meglio se viene a vedere
di persona. Glielo racconterò per strada, ma dobbiamo fare
presto.”
Il consulente inarcò un sopracciglio
e altrettanto fece il dottore, i sensi improvvisamente in allerta.
“Per quale ragione?” chiese,
infatti, John.
“Perché quel galeone potrebbe
sparire.”
Se Sherlock si era mostrato
interessato prima, ora appariva completamente catturato.
“Galeone, hai detto? Spiegati
meglio.”chiese al ragazzo, sfilandosi la vestaglia azzurra e andando verso
l’attaccapanni per recuperare il suo Belstaff.
“Un galeone pirata. L’hanno portato
in una rimessa in disuso del porto ieri notte e degli uomini sono scesi da lì e
hanno caricato delle grandi casse che sono portate davanti alla rimessa da un
furgone grigio senza targa o scritte.”
“Potrebbe trattarsi di contrabbando.
Certo che non fanno un buon lavoro per nasconderlo.” Commentò John, guardando
l’amico vestirsi.
“Ovvio, John. Prevedono una partenza
rapida e sono nascosti abbastanza bene da eludere Scotland Yard. Devo andare a
vedere subito di cosa si tratta.” Replicò il consulente. “Vieni con
me?”
“Ah no, non stavolta. Dopo l’ultimo
caso, credo che non potrò lasciare i miei pazienti per almeno un paio di mesi,
oppure dovrò cercarmi un altro ambulatorio.” Rispose il dottore, tornando a
leggere il giornale.
Sherlock fece spallucce e si rivolse
al ragazzo.
“Andiamo, fammi strada.” Gli disse,
seguendolo poi giù per le scale e in strada, lasciando John e la signora Hudson
da soli nel salotto.
“Certo che qui non ci si annoia mai.
Ora addirittura un galeone pirata!” commentò la donna, guardando il dottore.
“Devo confessare che sembra strano, però.”
“Già, molto strano.” commentò John,
continuando a sfogliare il giornale.
“Credi che possa esserci lo zampino
di Mycroft dietro?” chiese la governante con un’espressione preoccupata e
divertita al contempo.
“Non solo lo credo. Ne sono
assolutamente convinto e se Sherlock è abbastanza stupido da non accorgersene da
solo anche stavolta, io voglio restarne fuori. Mycroft non è come suo fratello,
non credo che lo metterebbe mai in pericolo. Beh, non per una cosa del genere e
non in modo eccessivo.” Rettificò John, dopo l’occhiata dubbiosa della signora
Hudson.
La donna scosse la
testa.
“È
incredibile: da Sherlock mi sarei aspettata scherzi del genere, ma da Mycroft
Holmes… “
“Evidentemente non lo conosciamo
abbastanza bene.” Replicò il dottore, lasciando vagare lo sguardo verso la
finestra, chiedendosi cosa avesse in serbo il Governo Inglese per il suo
amico.
Quella sera
stessa…
Sherlock stava appostato dietro
alcune casse di legno in attesa degli eventi. Quella mattina, quando lui e il
ragazzo erano arrivati alla rimessa, non avevano trovato traccia del galeone.
Ignorando le assicurazioni frenetiche del giovane, aveva indagato e aveva
trovato le prove della presenza di un’imbarcazione la notte precedente. Aveva
così deciso di tornare a Baker Street e di prepararsi per tornarci al calare del
buio.
John, ancora una volta, si era
rifiutato di seguirlo, ma lui non aveva insistito più di tanto ed era tornato
alla rimessa.
Così eccolo lì, in attesa degli
eventi.
Controllò l’orologio: mancava ormai
poco a mezzanotte e ancora non si era mosso niente. Aveva preso in
considerazione l’idea che la nave avesse già compiuto il suo dovere e non
tornasse, ma era altamente improbabile che delle persone si prendessero il
disturbo di portare un’imbarcazione simile in una rimessa solo per una
notte.
All’improvviso, un rumore giunse
alle sue orecchie: sembrava lo sciabordio delle onde contro uno scafo di
discrete dimensioni. Strinse gli occhi, cercando di scorgere qualcosa
nell’oscurità. Poco lontano, vide una luce oscillante che sembrava quella di una
lanterna. Dopo poco comparvero altre luci, tremule, fioche, come di tante
candele. Sherlock non riuscì a non ghignare: però, se effettivamente erano dei
contrabbandieri, stavano facendo molto bene il loro
lavoro.
Attese, sempre nascosto, che il
galeone pirata, finalmente ora ben visibile, attraccasse, poi si preparò a
trovare il momento buono e a salire a bordo per indagare
meglio.
Il momento arrivò circa una ventina
di minuti dopo: era arrivato, come da copione, il furgone grigio e, mentre i
marinai, vestiti di tutto punto come dei veri e propri pirati, compivano la loro
opera di carico, esattamente com’era stata descritta dal ragazzo che era venuto
a cercarlo quella mattina, riuscì a intrufolarsi a bordo, mischiandosi agli
uomini e portando su un sacco.
Una volta arrivato, posò il sacco e,
cercando di non dare nell’occhio, cominciò a ispezionare lo scafo. Se quegli
uomini erano effettivamente dei contrabbandieri, trattavano merce ben strana:
farina, verdure, rhum… sembrava quasi che stessero semplicemente facendo
provviste. Il motivo, però, ancora non riusciva a capirlo.
Forse la cabina del capitano gli
avrebbe fornito le risposte che cercava. Stando attento a non farsi vedere e
attingendo ai ricordi di bambino, si diresse a poppa, entrando nella porta sotto
la postazione del timoniere. Percorse uno stretto corridoio, fortunatamente
deserto, fino ad arrivare alla meta. Una volta entrato, lo colse subito un
sospetto: quando da piccolo sognava di diventare un pirata, aveva spesso
immaginato e disegnato la stanza che avrebbe avuto in qualità di capitano e
quella che aveva davanti era identica a quella impressa nella sua
mente.
Le deduzioni cominciarono a
scorrergli davanti, ma ormai era troppo tardi: ebbe appena il tempo di sentire
un fruscio alle sue spalle, poi qualcosa si abbatté contro la sua nuca,
facendogli perdere i sensi.
“Mycroft, per favore, me lo ripeta
di nuovo perché non credo di aver capito bene cosa ha
fatto”.
John, seduto su una delle
confortevoli poltrone del Diogene’s Club, fissava incredulo il maggiore degli
Holmes il quale, con un sorrisetto stampato sulle labbra, stava versando a
entrambi un bicchiere di Scotch. Quando non aveva visto Sherlock
nell’appartamento la mattina successiva, il dottore era andato a cercare Mycroft
per farsi spiegare cosa fosse successo e la risposta lo aveva lasciato
basito.
“L’ho spedito per i Sette Mari, come
avrebbero detto i corsari di un tempo.” Gli ripeté il funzionario minore del
Governo Britannico, porgendogli poi un bicchiere.
“In parole povere?” lo incalzò John,
prendendo un sorso di Scotch. L’uomo davanti a lui
sorrise.
“In parole povere, attualmente il
mio caro fratellino è su un galeone pirata, nel ruolo di capitano. Dalle ultime
notizie, so che dovrebbe essere nei mari del Sudamerica, diretto verso
l’Australia, che tutto procede bene e che per ora si è trattenuto dal mettere
una benda sull’occhio.”
Il dottore lo guardò, prendendo un
altro sorso di Scotch, più generoso del primo.
“Ma io non capisco. Cioè,
dove…”
“Dov’è l’entità dello scherzo?” lo
incalzò Mycroft, incrociando le braccia al petto. Ricevuto un cenno d’assenso da
John, si accinse a spiegare.
“Se lo conosco bene, o quantomeno
quel poco che basta, quando gli passerà il broncio per aver ricevuto una simile
imposizione, il suo spirito teatrale prenderà il sopravvento, si lascerà
coinvolgere e si butterà nell’interpretazione del ruolo.”
John continuò a guardarlo, poi
qualcosa scattò nella sua mente.
“E lei ovviamente avrà le prove di
questa sua… recitazione, mediante delle riprese.”
“Ovviamente, le parrebbe giusto
lasciare a mio fratello tutto il divertimento?”
FINE