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Autore: jamesguitar    23/08/2016    0 recensioni
Teresa era convinta del fatto che tutte le storie comincino da un luogo. Che sia un luogo a caso, oppure uno che dall’inizio ci trasmette determinate emozioni, non fa differenza; parte tutto da lì. Sapeva che tutti iniziano a vivere più o meno negli stessi posti, ma ci teneva a distinguere la vita dalla propria vita. Una delle poche certezze che aveva era che sono due cose diverse: tu vivi, vivi e vivi ancora, la tua patetica e insulsa esistenza va avanti; può farti soffrire e renderti felice, ma non importa, perché prima o poi arrivi in quel luogo, figurativo o reale, a caso o speciale che sia, in cui tutto diventa diverso. Può cambiare qualcosa dentro di te, può succedere qualcosa di brutto o bello, fatto sta che in quell’istante comincia la tua Storia. Essa è diversa dalla vita nella sua semplicità, diversa da qualsiasi cosa ti sia successa prima; il tuo cuore inizia a battere ad un ritmo diverso, le tue giornate hanno un sapore mai sentito, cambiano i colori del cielo che ti sovrasta.
Su quella piattaforma della metropolitana di Roma, qualcosa cambiò dentro Teresa. Cominciò la sua Storia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rose blu

III

Nonostante quella voglia infinita di fare pace con Francesca, quando tornò a casa –da sola- Teresa non ebbe il coraggio neanche di avvicinarsi a lei. Non se la sentiva ancora. per quanto lo volesse, erano successe troppe cose tra loro: avrebbe voluto parlarle, spiegarle i motivi scatenanti della sua rabbia che l’avevano portata a ferire lei e Luca; voleva davvero far valere le sue ragioni, per quanto minime, ma aveva paura che lei le smontasse e che la facesse sentire ancora più in colpa di quanto non si sentisse già.
E così Teresa passò il pomeriggio come uno dei tanti fino a cinque anni prima: con un libro in mano, distesa sul divano in salotto, mentre Francesca guardava la televisione a basso volume per non disturbarla. Vide di soppiatto che stava anche studiando da un libro di fisica, e rimase sorpresa: la sua versatilità la aveva sempre affascinata, ma non era mai stata portata per le materie scientifiche, o almeno non come per quelle umanistiche. Quante cose si era persa?
Era strano, a pensarci, che entrambe senza farci caso si fossero messe nelle stesse posizioni che usavano molto tempo prima: una sul divano e l’altra sulla poltrona, ma che non si stessero consultando per commentare una riga del libro o una parola detta in tv. In apparenza sembrava tutto uguale, eppure c’erano così tante differenze che laceravano il cuore di Teresa piano piano, tra una riga del libro e un’altra, tra un capoverso di Fisica e dieci minuti di un programma stupido. Era il momento di rompere il silenzio.
 
«Sai già chi verrà stasera?» chiese quindi Teresa, con il cuore in gola, per poi girare una pagina di Cime Tempestose.
«Più o meno –Francesca non la guardò- credo ci saranno Luca, Gabriele, Sofia, Luigi e Elena… Di Matteo non so niente»
Sentire quei nomi fece uno strano effetto a Teresa: improvvisamente ricordò molte cose. Le uscite al parco con i suoi amici, quando ancora avevano diciassette anni e tante cose che potevano fare. La cioccolata comprata al supermercato perché costava meno e condivisa su una panchina, le mattinate al mare schiacciati sotto un ombrellone troppo piccolo, gli assorbenti scambiati tra lei e Elena, i compiti fatti con Sofia. Prima di quel giorno sembrava aver perso questi ricordi nell’apatia che aveva iniziato a caratterizzarla, e ripensarci le fece male. Chissà cosa avrebbero pensato di lei… probabilmente la odiavano tutti, adesso; la avrebbero guardata malissimo, la avrebbero insultata alle sue spalle più di quanto non facessero già. Forse non era una buona idea uscire con loro.
Francesca, stranamente, sembrò leggerla nel pensiero. «Comunque sappi che nessuno dei miei amici, oltre a Elena e Gabriele, sa niente. Io e Luca abbiamo deciso di tenerci la cosa per noi» quel miei fece venire a Teresa l’istinto di correggerla, ma dopotutto che diritto aveva di farlo? A che scopo?
In ogni caso, sapere che non avevano idea di quello che aveva fatto la rassicurava. Forse almeno loro avrebbero potuto essere di compagnia, in quella serata pesante e piena di tensione. «Okay»
Per quanto odiasse ammetterlo, c’era anche una parte di lei che odiava sentire quel “Abbiamo deciso di tenerci la cosa per noi”, come se Francesca c’entrasse qualcosa nel tradimento, come se lei fosse stata tra i protagonisti di quella storia finita male, la vittima. Teresa sapeva di avere delle colpe anche contro di lei, ma di certo il tradimento non c’entrava, e il fatto che lei sottolineasse quanto fosse stata vicina a Luca in sua assenza la facevano non solo dubitare del “due anni” che sosteneva Luca, ma anche stare male, più male di quanto non stesse già.
 
Teresa si svegliò di soprassalto da un incubo orribile in cui cadeva dalla finestra di un quinto piano. Si mise a sedere, ansimante, e guardò distrattamente l’orologio sul comodino: erano le tre del mattino. Con la crocchia di capelli ricci mezza sfatta e solo la maglietta di Adventure Time di Luca addosso si voltò, cercando il corpo del ragazzo nel buio per poterlo abbracciare, ma al suo posto vide un cuscino in mezzo alle lenzuola stropicciate. Immaginò che si trovasse in cucina o in salotto, così si alzò, approfittando della situazione per prendere un bicchiere d’acqua.
Camminando nel corridoio, però, udì delle voci, e si fermò spaventata prima di capire da dove provenissero. La porta della camera di Francesca era socchiusa e filtrava una luce leggera all’esterno, quella viola della sua lampada preferita. Riconobbe il suono della voce di Luca e per un attimo si paralizzò. Che diavolo ci faceva lì?
Decise di avvicinarsi e provare ad origliare: non voleva trarre conclusioni affrettate, per quanto fosse strano sapere che il suo ragazzo e la sua migliore amica si trovassero da soli, di notte, in una camera da letto.
«Ho sempre amato la musica –sentì dire a Luca- è più o meno dal primo anno di liceo che desidero cantare, suonare la chitarra, per lavoro. Sarebbe bello se potessi farlo per davvero»
«Me lo ricordo bene –Teresa azzardò a sporgersi un po’, e vide Luca e Francesca seduti sul letto, appoggiati al muro, lui con il braccio intorno alla spalla di lei- Ad essere onesta, mi sono sempre chiesta come mai tu sia finito a studiare economia»
Luca rise amaramente, e Teresa guardò attentamente l’espressione di Francesca, che indossava solo una maglietta e degli slip. Raramente la aveva vista con quella faccia sognante, come se fosse su un altro pianeta. E la cosa non le piacque, così come non le piacque vedere quelle gambe scoperte appoggiate a quelle di Luca e non le piacque riconoscere la maglietta che indossava come una del suo ragazzo. Perché la aveva? Cosa diavolo stava succedendo?
«Spesso me lo chiedo anch’io –ammise Luca- sai, quando sei innamorato fai anche sacrifici. Teresa vuole seguire il suo sogno, pubblicare quel dannatissimo libro, e già parla di sposarci. Se nessuno dei due ha un lavoro stabile, come può essere possibile?» lo stomaco di Teresa si attorcigliò. «Amo Teresa davvero tanto, ma sembriamo non capisci più. Sai, non si è mai interessata di sapere che cosa volessi fare io; ha appoggiato i miei genitori che mi spingevano verso questa facoltà, e non perché pensava che fosse giusta per me, ma perché ha fatto il ragionamento che ti ho appena spiegato. Non ha mai pensato a quale fosse il mio, di sogno. Probabilmente non le è mai interessato»
Le parole di Luca aprirono una voragine nel cuore di Teresa, che desiderò con tutto il cuore entrare in quella stanza, urlare che non era vero, e separare quei due. Quando Francesca gli prese la mano sentì il bisogno di scoppiare, chiedere loro cosa diavolo stesse succedendo, ma si trattenne.
«Beh, Teresa è sempre stata molto egoista, e lo sappiamo entrambi –Francesca si girò verso Luca, e si resse sulle ginocchia stringendo forte la sua mano- ultimamente lo è ancora di più… per quanto io non voglia, sento le vostre litigate al telefono o quando sei qui durante la notte. Ricordati che puoi cambiare le cose, che  puoi decidere tu»
«Non posso davvero» Luca accarezzò la spalla di Francesca e Teresa si sentì come se la stessero accoltellando. Davvero, dopo tanti anni, era questo che pensavano di lei? Davvero la conoscevano così poco, loro due, gli unici che credeva essere dalla sua parte?
«Puoi, invece. Segui il tuo sogno. Affronta Teresa una volta per tutte» Francesca disse quelle parole in un sussurrò e si avvicinò alle labbra di Luca, al che Teresa trattenne il respiro e si portò una mano alla bocca, pregando che non fosse come pensava.
Luca si tirò indietro velocemente. «Grazie, Francesca. Sei davvero una buona amica» per quanto Teresa restasse ferita, quelle parole la rassicurarono leggermente. «Mi raccomando, non far vedere a Teresa quella maglietta, o si infurierà e chissà cosa potrebbe pensare»
Luca stava per uscire, quindi Teresa vide appena l’espressione poco convinta di Francesca e poi si sbrigò a rifugiarsi a letto, ringraziando il cielo per la moquette che coprì i suoi passi. Si infilò nel letto matrimoniale della sua stanza e si raggomitolò nelle lenzuola, cercando di non piangere e di rimettere insieme i pezzi che Francesca e Luca avevano sparso a terra. Ma non sarebbe stato così facile.
Quando Luca tornò a letto e tentò di stringerla a sé, Teresa lo scansò.
 
Per la serata Teresa si preparò in modo moto semplice; indossò un paio di jeans neri, un top di velluto verde e una giacca di pelle nera. Lavò i capelli eli lasciò liberi sulle spalle, poi mise i suoi stivali preferiti –neri al ginocchio con un piccolo tacco- e raggiunse Francesca in salotto, che la stava aspettando. Quando la vide, Teresa rimase sbalordita. Era bellissima nella gonna a balze scozzese che le arrivava giusto un po’ sotto le natiche e la camicia nera messa dentro che, aperti tre bottoncini, metteva in risalto il suo seno. Quando vide anche i suoi stivaletti con un tacco abbastanza alto, si sentì a disagio. «Stai benissimo» le disse, sincera.
«Grazie, anche tu stai bene –vide l’espressione confusa di Teresa e spiegò il suo abbigliamento- non fare caso a me, ho solo voluto esagerare un po’, per una sera» Teresa vide il suo sguardo imbarazzato e il tono scocciato e si sentì improvvisamente davvero di troppo. «Posso non venire, se la cosa in qualche modo influisce sulla tua serata» abbassò lo sguardo.
Francesca era evidentemente in imbarazzo. «Tranquilla, capisco che tu voglia distrarti un po’ dopo quello che è successo con Marco» Teresa non seppe cosa rispondere.
 
Negli istanti di silenzio che seguirono, Teresa guardò Francesca e pensò a quanto fosse bella. Era più alta di lei, con un fisico longilineo, e aveva dei morbidi capelli biondi e lisci che le arrivavano quasi fino ai seni. I suoi occhi di un verde intenso, con sfumature sul nocciola, avevano spesso fatto strage di cuore nella loro scuola quando andavano al liceo. Ma lei non si era mai interessata a nessuno di quelli che cadevano ai suoi piedi; era persa costantemente in Bach, nel pianoforte e nello studio approfondito di tutte le materie. Teresa la aveva sempre invidiata di nascosto, avrebbe voluto essere bella come lei, brava come lei, intelligente come lei. Non era mai riuscita ad esserlo, però.
 
Francesca guardò distrattamente il telefono per leggere un messaggio, poi cominciò a mettersi il cappotto. «Luca è qui sotto, andiamo» disse a Teresa, che rimase per un attimo confusa. Luca era venuto a prenderle?
«Vuoi che prenda la metro?» Davvero era l’unica a sentirsi in imbarazzo?
Francesca aprì la porta e chiuse le luci. «Ma no, tranquilla»
Scesero le scale insieme, in silenzio, e trovarono Luca davanti al portone con la stessa macchina di cinque anni prima. Teresa sentì come un morso allo stomaco alla vista di quella Panda grigia su cui era salita migliaia di volte, con cui avevano fatto le più svariate gite, in cui avevano consumato il loro amore più di una volta sui sedili posteriori. Arrossì a quel pensiero e si strinse nella sua giacca di pelle, sferzata dal vento di novembre, affiancata da Francesca. Quest’ultima salì davanti senza neanche pensarci, ed era giusto così, ma Teresa non poté fare a meno di pensare che avrebbe dovuto esserci lei, lì.
In ogni caso, salì dietro. «Ciao» le disse Luca, senza guardarla, e «Ciao» rispose lei. Sapeva che sarebbero state le uniche parole che si sarebbero scambiati, erano le condizioni per uscire insieme a loro.
 
 
Dopo quello che probabilmente fu il viaggio più imbarazzante della loro vita Luca, Teresa e Francesca arrivarono al locale in cui dovevano incontrarsi con gli altri. Teresa scese dalla macchina senza dire una parola, fingendo di non ascoltare i discorsi di Francesca sulla moquette da cambiare, la porta del bagno da aggiustare e i panni sporchi di Luca che doveva venire a prendere. La fece un po’ ridere pensare che lei si era sempre rifiutata di fargli i bucato, le sembrava una mancanza di rispetto; quante volte avevano fatto quel discorso? Decisamente troppe.
In ogni caso trattenne una risata in un sorriso tirato, e Luca, accorgendosene, stranamente lo ricambiò. A quel punto il cuore di Teresa si fermò per un istante. Quel sorriso, allegoria della luna che sovrastava Roma con la sua lucentezza, era sempre stato il più bello di tutti; l’unico che facesse brillare il suo cuore pieno di antipatia e ansia, permaloso e un po’ malvagio. L’unico che la facesse stare bene nelle notti in cui lo chiamava in preda alla disperazione per qualcosa che le era successo, l’unico che a sedici anni la aveva colpita così tanto da farla innamorare.
Distolse la mente da quei pensieri: non le facevano bene, ed erano inopportuni.
 
Per fortuna Francesca non si accorge di quei sorrisetti quasi complici, e insieme loro tre entrarono nel locale.
Teresa si guardò intorno. Era un posto carino, piccolo e affollato al punto giusto; era rivestito interamente in legno, e la musica proveniva da delle casse agli angoli della stanza. Mettendosi in punta di piedi riuscì a scorgere –poco dopo Francesca e Luca, più alti di lei- alcuni dei suoi vecchi amici: Gabriele, Elena, Sofia e Luigi.
Avvertì un colpo al cuore rivedendo i loro volti così familiari; sembrava averli dimenticati, eppure quando le furono davanti ricordò bene ogni particolare. Sofia, con i suoi capelli mossi e rossi lunghi fino al fondoschiena, illuminava la stanza con i suoi occhi azzurri e le poche lentiggini che le coprivano il volto. Gabriele invece sembrava dominare tutti gli altri con il suo sarcasmo e il suo spirito d’iniziativa: era affascinante, benché non fosse bellissimo, con i suoi capelli ricci e neri e i grandi occhi dello stesso colore che lo caratterizzavano. Luigi, un po’ basso e spesso troppo silenzioso, era sempre stato adorabile con i suoi occhi verdi, i capelli castani un po’ corti e degli occhiali quadrati troppo grandi per il suo volto. Elena, dal canto suo, era bella come quella mattina e come la aveva ricordata: con i capelli a caschetto biondi e gli occhi azzurri, aveva un sorriso contagioso che trasformava ogni serata triste in una piena di gioia e divertimento.
Teresa ebbe timore che lei e Gabriele raccontassero tutto agli altri, o che la prendessero in giro in prima persona. Decise che se così fosse stato se ne sarebbe andata, perché non era davvero in vena di sentire altre prediche.
 
Si avvicinarono al gruppo sorridenti; Francesca aveva finito il suo discorso sui piccoli lavoretti da fare in casa, così Teresa si azzardò a parlare. «Perché Sofia sta tenendo per mano Luigi?» quel gesto la sorprese davvero. Da quando c’era tutta quella confidenza? Sapeva che lui aveva sempre avuto un debole per lei, ma lei sapeva a malapena il suo nome quando Teresa se ne era andata.
«Oh, stanno per sposarsi» Francesca disse questa frase con semplicità, e Teresa la guardò sbalordita. «Cosa?»
«Si sono messi insieme poco dopo che sei andata via –disse Luca- e adesso vogliono sposarsi»
«Aspettate un attimo –Teresa prese le loro braccia, ed entrambi la guardarono- se loro non sanno la vera storia, che cosa sanno?»
Francesca e Luca si guardarono un attimo, poi Francesca disse: «Gli abbiamo detto che ti hanno offerto un lavoro in una casa editrice e per questo sei andata all’estero»
Teresa rimase per un attimo confusa: perché avevano mentito per lei, inventando una bugia così grossa? Era davvero un’opzione che avevano escluso dall’inizio? Si chiese quali strani ragionamenti avessero fatto insieme, senza di lei. Insieme. Come se Francesca c’entrasse qualcosa, ancora una volta.
 
Non ebbero il tempo di continuare la conversazione che Sofia venne loro incontro, e saltò addosso a Teresa, abbracciandola fortissimo. E lei sentì quel calore di qualcuno che avesse davvero sentito la sua mancanza, qualcuno che, a pensarci bene, la ricordava ancora come la Teresa di cinque anni prima. Ancora non aveva analizzato questo punto: con loro, non c’era bisogno di ricominciare. Non avevano cambiato la loro idea di lei, pensavano che fosse la stessa ragazza di un tempo. E anche se sbagliavano, questo a lei piacque.
«Quanto mi sei mancata!» Sofia esclamò quelle parole e Teresa la strinse forte, lasciandosi trasportare dal momento, mentre Luca e Francesca le sorpassavano e andavano a sedersi. Luigi si alzò e raggiunse lei e Sofia. Si aggiunse all’abbraccio, meno timidamente di un tempo, e disse: «Bentornata, Ter» era l’unico a chiamarla così, e lei lo aveva sempre trovato molto dolce.
«Anche voi mi siete mancati, ragazzi –Teresa si staccò e sorrise ad entrambi- andiamo dagli altri, dovete raccontarmi un sacco di cose!»
Con un braccio di Sofia sulla spalla di Teresa raggiunsero gli altri amici; Elena e Gabriele smisero di parlare tra loro quando la videro. Gabriele deglutì, e Teresa non seppe bene come comportarsi con il ragazzo: Elena la odiava espressamente, ma lui?
«Bentornata, ragazzaccia!» Gabriele però la accolse con queste parole, e la strinse a sé in un abbraccio. «Grazie, caro!» a Teresa piaceva chiamarlo in quel modo scherzosamente; ricordò quanto un tempo ne ridessero, ricordò per l’ennesima volta un sacco di cose. Deglutì anche lei.
«Vuoi qualcosa da bere?» l’affascinante ragazzo che dopo tanti anni era rimasto lo stesso scosse i suoi capelli ricci e le sorrise, e la cosa sembrò molto strana a Teresa -perché non la trattava male come gli altri?-che però apprezzò la cosa, sorridendogli a sua volta. «Mi piacerebbe una bella birra ghiacciata, a dire il vero»
Gabriele fece un cenno al cameriere, che aveva sentito, e poi tornò a guardarla. Elena aveva per lei solo sguardi spenti, che non travasavano nessuna emozione; si vedeva che stava facendo di tutto per nascondere il suo odio per lei, e questo la mise in soggezione, ma cercò di non concentrarsi su di lei. Si focalizzò sul tepore del locale, il sorriso di Gabriele e le occhiate gioiose di Sofia e Luigi, forse le uniche persone felici di averla lì con loro.
 
«Certo che sei sparita del tutto, cazzo! –Sofia, che si era appena seduta affianco a lei di fronte a Gabriele, le diede un leggero pugno sul braccio- posso capire che tu abbia voluto scaricarci per la gente figa dell’Inghilterra, ma avresti potuto chiamare, ogni tanto!» il tono con cui le disse quelle parole, guardandola negli occhi, era scherzoso, ma non del tutto. Voleva davvero delle spiegazioni, e Teresa lo capì, entrando subito nel panico. L’espressione di Elena, che la guardava, traduceva quello che pensava: vediamo come se la cava, adesso.
«Non è questo, davvero –rispose- avevo bisogno di staccare da tutto. è arrivato quel momento che arriva nella vita di tutti in cui si ha bisogno di provare a cambiare tutto quanto di sé e della propria vita, e questo includeva anche non avere più voi intorno per un po’»
Mentre tutti alzavano le spalle, Teresa vide con la coda dell’occhio Francesca guardare in basso e, soprattutto, Luca che la fissava intensamente. Quello sguardo diceva molte cose: probabilmente stava pensando a quanto la odiasse, a quanto quella giustificazione fosse odiosa, a quanto lei fosse falsa. Teresa finse che non esistesse, non voleva assolutamente che le rovinasse la serata, che fino a quel punto sembrava andare abbastanza bene.
«Vabbè, tanto sei tornata, perché noi siamo la élite di Roma e proprio non ci si può dimenticare!» disse Gabriele, e Sofia rise a crepapelle, Luigi si sistemò gli occhiali sul naso sorridendo, perfino Elena e coloro che la odiavano sembrarono divertiti da quella battuta; in quel momento il tempo si fermò. Teresa vide al rallentatore i suoi amici che bevevano un sorso di birra, sorridevano con gli occhi e con il cuore, si davano pacche amichevoli sulle spalle. Capì di essersi persa tanto, in quei cinque anni di indifferenza e apatia. Capì che forse non poteva davvero dimenticare loro, gli amici di una vita che tutti cercano e che lei era stata così stupida da lasciarsi alle spalle. Non avrebbe più fatto lo stesso errore.
 
«Quanto hai ragione!» il cameriere le portò la birra che aveva chiesto e ne bevve un sorso.
«In ogni caso, come è andata a Londra? –Luigi si sporse oltre i capelli ingombranti di Sofia e la guardò- sei riuscita a pubblicare un libro, o ti sei limitata a lavorare nell’editoria?»  sapere che almeno lui considerava ancora serio quel suo piccolo sogno le scaldò il cuore, lasciandole però anche un po’ di amarezza.
«Purtroppo no –alzò le spalle- ho anche finito il mio primo libro, tre anni fa, ma nonostante l’abbia mandato a praticamente tutte le case editrici di mia conoscenza nessuna ha considerato di pubblicarlo!» in parte quell’informazione era vera: il suo romanzo, Spirito libero, non era piaciuta a nessuna delle case editrici italiane a cui lo aveva spedito.
«Mi dispiace –replicò Luigi- ma credimi, hai davvero del talento, quindi stai sicura che prima o poi ce la farai! Se non sono indiscreto, posso chiederti di leggere il tuo libro?»
«Ma certo –Teresa arrossì- la prossima volta che usciamo te lo porto. Sappi che sei il secondo a leggerlo, devi esserne fiero!» non pensò alle parole che disse, e un attimo dopo averle pronunciate si sentì tremendamente in colpa. Doveva per forza parlare di Marco, lì, alla sua prima nuova uscita con Luca? Si sarebbe presa a schiaffi da sola.
Gabriele e Sofia pronunciarono un “Uuuuh” imbarazzante, e la ragazza le diede delle piccole gomitate. «E chi è stato il primo? un bell’inglesino?»
 
Teresa abbassò lo sguardo, imbarazzata, senza sapere bene cosa dire. «No, cioè, sì –guardò di nuovo Sofia, poco convinta, e sorrise leggermente- più o meno»
«Voglio sapere tutto!» Sofia appoggiò un gomito sul tavolo in segno di ascolto, ma Teresa cambiò subito argomento. «E dai, basta parlare di me! Voi che mi dite?»
Luigi prese la mano di Sofia, mostrando a Teresa l’anello che portava all’anulare, e la rossa sorrise raggiante. «Non so se te l’hanno detto, ma ci sposeremo a breve –fra due settimane, a dire il vero. E ovviamente sei invitata»
«Sono davvero felicissima per voi! –Teresa vide Luca che la guardava in modo strano- vengo molto volentieri»
Gabriele le chiese di avvicinarsi, e quando fu vicina al suo orecchio le sussurrò: «Non è il caso di urlarlo, quindi te lo dico così. Vuoi fare il regalo con me, che sto messo male e non ho uno straccio di fantasia?» Teresa si allontanò scoppiando a ridere e rispose: «Certo», con la confusione di tutti gli altri.
 
La serata procedette così, tra le risate e gli scherzi che un tempo caratterizzavano il loro gruppo di amici; le sembrava ieri il giorno in cui li aveva conosciuti, uno per uno, con l’apparecchio e i brufoli in faccia, i primi amore nel cuore e l’amicizia che, una volta coltivata, promisero sarebbe durata per sempre. Se solo avessero saputo quante cose sarebbero successe, quanti problemi li avrebbero cambiati nel profondo e di conseguenza avrebbero cambiato il rapporto che avevano!
Quando fu il momento di salutarsi erano le due passate, e Francesca aveva bevuto davvero troppo. Che fosse per sopportare la presenza di Teresa e gli sguardi che Luca le lanciava ogni tanto, non  lo sapeva, ma le cinque birre che aveva preso per sé, unite a quei tre shottini, erano stati fatali. Perciò tutti si salutarono in fretta, sorridendo, e poi Luca la scortò alla macchina insieme a Teresa, tenendola ognuno per un braccio.
La appoggiarono sdraiata sui sedili posteriori, e lei crollò subito in un sonno da cui non sarebbe svegliata fino alla mattina dopo.
In pieno imbarazzo, ormai soli, Teresa e Luca salirono sui posti anteriori. Lei si allacciò la cintura, come faceva sempre per abitudine, e in una frazione di secondo ricordò quanto lui la prendesse in giro per quella sua mania del tutto giusta, ma che lo faceva un po’ ridere: qualsiasi cosa succedesse, qualsiasi catastrofe o evento fantastico avvenisse, lei si allacciava la cintura. Sorrise, ma lui non ci fece caso. Ordinò a sé stesso di guardare la strada, non lanciarle un solo sguardo, perché si sarebbero persi negli occhi dell’altro come ogni volta e non era giusto, non quella sera che lei era appena tornata e le ferite del suo cuore si erano riaperte senza lasciargli scampo.
 
Passarono dieci minuti di silenzio assoluto in cui Teresa fece di tutto per non guardarlo, allo stesso modo; giocò con un lembo della giacca di pelle, si sistemò il top che era scivolato di un paio di centimetri, controllò che il rossetto non fosse sbavato nello specchietto. Arrivò perfino a prendere il cellulare, in pieno imbarazzo, finché le parole di Luca di quella mattina le tornarono alla mente: Hai rovinato tutto, Teresa, ma so che se ti metti in testa una cosa niente o nessuno è in grado di fermarti. Lo pensavo dieci anni fa e lo penso ancora, perciò non hai bisogno che io ti risponda.
Perciò rimise lo smartphone in tasca e si voltò un attimo a guardare Francesca, che giaceva a peso morto con la bocca aperta e la mano che sporgeva in mezzo ai sedili anteriori. Scoppiò a ridere. «Forse non avrebbe dovuto bere così tanto» disse, rivolta verso Luca, avendo finalmente il coraggio di guardare il suo profilo mentre lui, in apparenza tranquillo, guidava verso casa. Il ragazzo vide di sfuggita la mano e rise con lei, lasciandosi andare per un istante. «Sì, forse hai ragione» replicò infatti, e insieme si fecero quella bella risata.
«Luca, posso chiederti perché hai deciso di non dire niente agli altri?» si azzardò a fare quella domanda con il cuore in gola, e a fissarlo in attesa che si voltasse. Lui, in quel momento, mantenne fede alla sua promessa e non la guardò.
Luca rimase in silenzio per qualche secondo, con la bocca mezza aperta, e poi cambiò la marcia improvvisamente, avendo trovato un parcheggio vicino casa. «Non volevo essere compatito –rispose alla fine- e comunque, non era il mio pensiero principale» Teresa deglutì con fatica.
 
«Sì, ma perché inventare tutta quella balla sul lavoro all’estero?» voleva davvero saperlo, sapere il motivo di quella montatura, che le sembrava quasi una copertura. Dopotutto, non le doveva assolutamente niente. Perché fingere che avesse un buon motivo per andarsene, fingere che fosse successo qualcosa di bello, quando in realtà era successa una catastrofe?
«è stata un’idea di Francesca, questa. Ha detto che non voleva che tu lasciassi anche a lor un ricordo così brutto di te» il tono di Luca si fece più duro, e Teresa abbassò lo sguardo, per poi dare un’altra occhiata a Francesca, non ironica, stavolta, ma piena di rammarico e dispiacere. Forse la cattiva di quella storia era davvero completamente lei, doveva accettare di non avere alcuna giustificazione, doveva solo lasciare tutti in pace.
 
In ogni caso, non disse nulla. Parcheggiata la macchina Luca e Teresa si avviarono verso il portone, lei con le braccia conserte, lo sguardo basso e le chiavi in mano, lui con Francesca in braccio. Salirono nell’appartamento nel più completo silenzio, così fitto che si sarebbe potuto tagliare con un coltello; un silenzio che diceva molte cose, ma nessuno dei due le ascoltava. Avevano perso l’abitudine di ascoltarsi a vicenda molto tempo prima che se ne andasse.
Luca, senza ancora guardare negli occhi Teresa, portò Francesca in camera da letto. La adagiò sul letto e la spogliò, attento a non svegliarla, anche se era in un sogno troppo profondo per riuscirci, e le mise addosso una sua maglia. Poi aprì le coperte e gliele rimboccò, chiuse la luce ed uscì chiudendo piano la porta. Per quanto ne avesse una paura immensa, doveva dare la buonanotte a Teresa.
Arrivato in salotto trovò la portafinestra che dava sul terrazzo accostata, e immaginò che fosse lì; infatti la trovò, intenta a fissare l’orizzonte e quelle luci che facevano brillare Roma sotto i loro occhi come tante piccole stelle. Il freddo sferzava i volti dei due ragazzi, ma la luna illuminava la città con il suo pieno candore e il profumo della notte investiva entrambi in ondate piene di nostalgia.
Luca avrebbe voluto davvero salutarla e basta, andare via, ma non ne ebbe la forza. Sentì il bisogno di aspettare, restare accanto a lei, anche solo per un istante.
 
«Francesca è a letto?» Teresa, senza sapere esattamente il perché, aveva gli occhi pieni di lacrime. Forse era stato scoprire che nonostante tutto Francesca aveva cercato di aiutarla, o era stato vedere Luca portarla in braccio e morire di gelosia e sentirsi in colpa per questo. Forse era quella serata così bella e piena di emozioni che non avrebbe mai più vissuto a pieno, schiava di quel segreto che sembrava la sua salvezza, ma era la sua rovina.
«Sì» rispose Luca, con le braccia che fioravano quelle della ragazza accanto a sé.
Teresa si voltò verso di lui, e lo afferrò per un braccio quasi con prepotenza, costringendolo a guardarla. Luca vide delle lacrime in quegli occhi in cui fece di tutto per non perdersi, ma forse nel profondo lo incantarono come una volta.
«Luca, vuoi che me ne vada?» fece quella domanda con una spontaneità che sorprese il ragazzo, ma non lei: era stanca di giocare, stanca di fingere che andasse tutto bene, perché non era così; stava male, maledettamente male, e non era solo per la gelosia che provava nei confronti di Francesca, non era per le emozioni che la avevano travolta in soli due giorni. No, era stanca dell’ipocrisia che non aveva mai dominato i suoi rapporti, mai finché non se ne era andata e aveva stravolto tutta la sua vita. Come poteva fingere ancora? Come poteva scombussolare la propria esistenza e quella di persone che aveva ferito irreparabilmente tornando all’improvviso e facendo soffrire tutti quanti?
Luca, scosso da quelle lacrime, fece una risata amara; ma, quasi per abitudine, si trovò a circondarle le spalle con un braccio. A Teresa mancò il respiro. «Stranamente non lo so, sai?» disse lui.
A quel punto la ragazza si trovò a piangere a pieni singhiozzi, stanca di essere giudicata per quello che aveva fatto; non ne poteva più della verità, non ne poteva più di affrontare quella situazione che pesava sul suo petto come un macigno e riapriva tante ferite che aveva cercato di curare con Marco, ma era solo riuscita a nascondere per un po’.
Nessuno dei due disse una parola; Luca si limitò a stringerla a sé più forte di quanto avesse mai stretto nessun altro, con la sua testa contro il suo petto, i suoi capelli ricci tra le dita e le lacrime che gli bagnavano il maglione blu che indossava quella sera. Come in un patto non scritto, Teresa si lasciò andare. Dimenticò ogni convenevole, ogni parola che avrebbe voluto dirgli, ogni scusa che avrebbe potuto pronunciare o discussione ironica per riconquistare la sua amicizia. In quell’istante, aveva solo bisogno di qualcuno che la consolasse in silenzio.
E Luca lo fece. Stette ai patti, guardando quel corpicino più piccolo del suo che lo stringeva forte, cercando di trattenere le emozioni sbagliate che si impossessavano di lui. Dopotutto quella ragazza aveva spezzato il suo cuore con uno strappo violento, senza pietà, macerando le sue emozioni e distruggendo quello che avevano costruito insieme in cinque anni. Avrebbe dovuto detestarla come faceva Francesca, provare solo rabbia nei suoi confronti, ma si odiò quando scoprì che non era così. Che nonostante tutto, era quasi a posto con il fatto che fosse tornata. Era terrorizzato, non sapeva come affrontare il dolore che il suo ritorno comportava, ma andava bene. Voleva che se ne andasse? Non lo sapeva davvero. Sarebbe stato meglio, forse: ma non sarebbe riuscito, in nessun modo, a dimenticare quei due giorni e tornare nel mondo che si era costruito senza di lei. Quei due giorni c’erano stati, e non poteva fingere il contrario.
Luca la tenne fra le sue braccia per qualche minuto, finché lei stessa, consapevole di star commettendo uno sbaglio a lasciarsi andare a quella nostalgia che non avrebbe portato a nulla di buono, si staccò da lui e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Grazie della tua sincerità –disse, e ammiccò- hai intenzione di restare per la notte?»
«Sì, penso di sì» rispose quindi Luca, un po’ scosso da quell’improvviso cambio di atteggiamento.
«Allora buonanotte, a domani» Teresa si affrettò ad entrare in casa e a correre nella sua stanza. Chiuse la porta e, gettata sul letto, completò il suo pianto sommessamente, con il dolore che le pervadeva tutto quanto il corpo, la nostalgia che la uccideva e il senso di colpa per le emozioni verso Luca che sembravano fare ancora più male, a distanza di cinque anni.

 
  
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