La Complainte
de la Butte.
Douzieme Chapitre: Mon Grand péché radieux
Jakotsu si svegliò
semplicemente perché aveva troppo mal di testa per stare a letto. E per andare
in bagno. La luce che filtrava dalla finestra ferì i suoi occhi, acuendo il suo
malessere. Sembrava che la testa gli stesse per scoppiare, mentre lo stomaco
gli bruciava terribilmente. La gola riarsa sembrava punta da mille spilli. La
sera prima aveva decisamente esagerato, anche se al momento i suoi ricordi
sembravano vaghi e confusi. Si ricordava, certo, che Suikotsu
l’aveva portato, a sua insaputa, alla festa di addio al celibato di Bankotsu. Ma non di più. Forse avevano litigato? Chi
l’aveva portato a casa? Frugò nella sua memoria, ma al momento il sogno e i
ricordi si accavallavano l’uno con l’altro, formando una massa di immagini
incomprensibile.
Si alzò ciondolando dal letto, scoprendo
di essersi attorcigliato il lenzuolo addosso. Si districò con non poca fatica,
cercando di tenere gli occhi il più possibile chiusi, per non permettere alla luce
di dargli ulteriore fastidio.
Poi, scivolando e inciampando in ogni
cosa, riuscì ad andare in bagno.
Il suo secondo bisogno impellente era
quello di un’aspirina e di un bicchiere d’acqua fresca. Si era sciacquato un
po’ la faccia, e, trovando il proprio alito assolutamente rivoltante, era
addirittura riuscito a lavarsi i denti.
Ma ora era proprio il momento di una
bella aspirina. Il suo corpo non chiedeva altro. Sempre a tentoni raggiunse la
cucina nella penombra delle tende tirate. Frugò furiosamente nella dispensa
dove teneva i medicinali d’emergenza, scoprendo una barretta di cioccolato al
latte, probabilmente la riserva calorica di Kagura, e
l’ultima aspirina effervescente. Riempì il bicchiere sino all’orlo, e si
abbandonò sulla sedia, aspettando che la compressa finisse di sciogliersi.
“Qua ci vuole della morfina.” Gemette,
sconsolato.
“Sono contenta di vederti di nuovo nel
mondo dei vivi!” esclamò una voce, all’entrata della stanza. Kagura, due vistose occhiaie scure attorno gli occhi
rubini, aveva fatto il suo ingresso, nel suo misero pigiama a fiori, che non
riusciva a coprire la pancia. “Un’altra scena pietosa del genere e ti faccio
fare una brutta fine.”
Jakotsu rispose con un
singhiozzo, prima di tracannare il contenuto del bicchiere in un sol botto.
“Avevo le mie ragioni, e tu non immagini quanto siano valide.”
Lei rispose con un sopracciglio alzato,
prima di dirigersi verso il frigorifero, dove ne estrasse la bottiglia di
latte, meravigliandosi che non fosse ancora scaduto.
Il ragazzo poggiò i gomiti sulla tavola
e vi sostenne il volto. Cercò di concentrarsi sul termine della serata
precedente.
“Sino a cosa ricordi?” gli domandò Kagura, aprendo le tende, mentre l’altro singhiozzava e
gemeva alla vista della luce, come nemmeno il Conte Dracula sarebbe stato in
grado di fare.
“Dunque: ero al bancone. Bevevo come una
spugna: e fin qui ci siamo. Poi…” si grattò la testa,
pensieroso. “non mi ricordo più quanto, sono uscito. Era fresco. E poi… è arrivato il taxi.”
“E sei arrivato a casa!” concluse la
donna. Ma lui, improvvisamente, aveva assunto un’aria tutt’altro che sollevava.
Si sorreggeva la fronte con una mano, al massimo della concentrazione, le
labbra increspate. “Non ero da solo sul taxi.”
“Ah no?”
Lui scosse la testa. Poi saltò sulla
sedia, come se il ricordo l’avesse punto dal vivo. “Bankotsu!”
strillò. “mi ha accompagnato a casa lui! Oh mio dio! Ora ricordo…
ero seduto sul marciapiede… il cellulare si era smontato… mi ha accompagnato qui!” Si alzò in piedi, in
preda ad un’agitazione irrefrenabile, torcendosi le mani, passandosele fra i
capelli.
“Si, ti ha accompagnato lui. Ti ha
portato sino a letto.”
“Nel senso che…”
“Nel senso che eri praticamente svenuto,
puzzavi d’alcol da far schifo e lui ti ha portato sulle spalle sulle scale e
poi ti ha adagiato sul materasso. E io ti ho spogliato.” Spiegò
sbrigativamente. “Era molto preoccupato, e anche io lo ero. Sembravi sull’orlo
del coma etilico.”
Ma Jakotsu
sembrava non starla più ad ascoltare. Era incredulo, a metà tra l’euforico e il
disperato. Si accasciò ancora sulla sedia, in completo subbuglio. “E dopo se ne
è andato?”
La donna si mordicchiò il labbro
inferiore, indecisa se raccontargli o meno la verità. Decise che una notizia in
più non avrebbe peggiorato poi di tanto le cose. “Gli ho offerto il divano per
dormire, e lui, dopo qualche tentennamento, ha accettato.”
“Vuoi dire che ha dormito qui?” squittì
il ragazzo, guardando il divano, straripante di cuscini ammonticchiati, come se
fosse la reliquia di un qualche santo miracoloso.
“Un paio d’ore. Aveva il treno alle 6.00
per Lille.”
“Lui… lui mi ha portato a casa… ha
lasciato la sua festa… per ME! Ed è rimasto a dormire
QUI, sul mio DIVANO!” strillò nuovamente.
E
poi la montagna di cuscini sul divano esplose.
Kagura e Jakotsu strillarono, abbracciandosi spaventati, mentre tra
i colorati guanciali compariva niente di meno che la figura di Bankotsu, ancora vestito, dall’aria completamente spaesata
e sorpresa.
I
tre si guardarono per un lungo istante, senza capire, poi l’atleta scese dal
divano con un salto. “Che ore sono?” domandò freneticamente, cercando le scarpe
sotto al mobilio.
Jakotsu stava
nuovamente collassando, completamente in balia delle sue palpitazioni in
eccesso, e fu Kagura, dopo lo sbalordimento iniziare,
ad indicare l’orologio a muro dell’angolo cottura. “Le 9 in punto.”
Bankotsu si prese la
faccia tra le mani, gemendo. “Sono morto…” Corse verso il divano e iniziò a frugare
furiosamente tra i cuscini, sino a trovare il proprio cellulare. Cercò
frettolosamente un numero e lo chiamò. “Mi uccide, questa volta mi uccide
davvero.” Kagura
lo fermò, impedendogli la conversazione togliendogli il cellulare di mano. “C’è
un TGV ad ogni ora, in un’ora sarai a Lille. A che ora hai l’appuntamento con
il Wedding Planner?”
“Che…? Il Wedding
Planner?” gemette Jakotsu. Bankotsu gli rivolse uno
sguardo colpevole. “Per i preparativi della cerimonia. Avevamo un appuntamento
a mezzogiorno per alcuni dettagli e…”
Il
ragazzo annuì, sperando di trovarsi dentro ad un incubo.
Kagura guardò i due.
Poi ordinò a Bankotsu di prendere il portatile del
suo coinquilino e di controllare gli orari, mentre lei faceva una capatina ad
‘incipriarsi il naso’. Jakotsu diede il suo consenso,
annuendo lievemente, mentre la donna spariva nel corridoio.
“Stai
meglio?” domandò l’atleta, mentre attendeva che il computer si accendesse.
L’altro fece un segno approssimativo con la mano, deglutendo faticosamente.
Aveva bisogno di altra acqua. O forse di un calmante, a giudicare dalla
reazione cardiaca che stava avendo. “Ti…de-devo rin-ringraziare.” Balbettò, fuori controllo.
Lo
schermo del computer domandò la password d’accesso, e il ragazzo fu costretto
ad avvicinarsi all’altro, che si era chinato leggermente per fargli spazio, per
digitare la parola d’accesso. Si sfiorarono appena, e i loro occhi si
incontrarono per un solo istante. Bankotsu si voltò
immediatamente verso lo schermo. “Avrei dovuto lasciarti per strada? Non fare
mai più una cosa del genere, Jackie. E’ una cosa stupida.”
“Avrei
dovuto allora partecipare alla tua festa?” rispose piccato l’altro.
“Assolutamente.
Forse avresti dovuto andartene. “
“Si,
in effetti ho notato che la mia presenza ti ha infastidito.” Sbottò ironico,
ricordandosi dell’audace autografo fatto a Yura.
Sembrava aver ripreso il controllo di sé, o quantomeno, di buona parte delle
sue facoltà mentali.
Bankotsu scosse la testa
corvina. “Non volevo assolutamente dire che mi hai dato fastidio. E’ piuttosto
il contrario. Non avrei voluto che tu vedessi.” Gli sfiorò la mano. “Che
diavolo è preso a quell’idiota a cui ti sei messo insieme…”
“Stai
parlando del mio nuovo EX.” Jakotsu si afflosciò a
terra, al suo fianco, sedendosi con le gambe incrociate. “Me lo merito. Suikotsu si stava comportando in una maniera egregia con
me. Era dolce, era premuroso, cercava sempre di accontentarmi: un ragazzo
d’oro. Ma l’ho spinto io a fare questo. Mi facevo sempre vedere da lui
annoiato, apatico, insofferente. Tutti i suoi sforzi non erano sufficienti a
farmi dimenticare di te.” Bankotsu sembrò sorpreso
dalla confessione. “Sei la mia stupida ossessione, Bank.
E ci vorrà ancora del tempo prima che riesca a liberarmene. Credimi, ci ho
provato. Con altri, con Suikotsu, soprattutto. Ci
stavo lavorando. E forse mi mancava
poco per riuscirci. Ma poi quel cretino ha fatto questa enorme cazzata, e io
ora temo di essere d’accapo.”
Incredibilmente,
Bankotsu aveva allungato una mano verso la guancia
del ragazzo seduto di fianco a sé, sfiorandola delicatamente. “Jackie…” mormorò. Ma Jakotsu
voltò la faccia di scatto, dall’altra parte. “Guarda quei maledetti orari del
treno, e poi vai via, per favore.”
Kagura, vestitasi,
rientrò nella stanza, gettando un’occhiata all’amico per domandargli se andasse
tutto bene, ricevendo in risposta un lieve sorriso.
“Avevi
ragione, Kagura. C’è un treno ad ogni ora. Prenderò
quello delle dieci e mezza.” Concluse il ragazzo, alzandosi.
“Posso
usare il bagno?”
La
donna annuì, recuperando la propria borsetta e la giacca dall’appendipanni. “Inizialmente oggi avevo intenzione di
lavoricchiare un po’ all’aperto, ma ormai si è fatto tardi. Credo che mi farò
una bella passeggiata salutare al cimitero. Porto i tuoi saluti a Alphonsine Duplessis e Dalida?
“E
soprattutto a La Goulue, se non ti spiace. Se aspetti
un attimo ti accompagno.”
Lei
lo fissò un attimo, studiandolo. “Forse è meglio che dormi ancora un po’. Non è
tanto lontano, posso farcela tranquillamente da sola.” Guardò il corridoio, per
assicurarsi che non stesse arrivando nessuno. “Se vi lascio un po’ da soli, mi
prometti che non farai stupidaggini?”
“Dubito
fortemente che il nostro ospite vorrebbe.”
Gli
diede un buffetto sulla guancia, e un bacio sulla fronte. “Quando se ne è
andato,invece di andare a dormire, mandami un messaggio, ci incontriamo e
facciamo insieme un giro in centro, che ne dici? Andiamo a vederci qualche
studente in libera uscita al Quartier Latin?”
Il
ragazzo annuì divertito. “Sei un tesoro, lo sai?” Squittì, schioccandole un
gran bacio sulla guancia. In quel momento Bankotsu
uscì dal bagno, e Kagura ne approfittò per salutarlo,
augurandogli in bocca al lupo, per poi uscire.
Quandò Jakotsu chiuse la porta, si sentì incredibilmente a disagio
a stare da solo con Bankotsu. Si grattò la testa
nervoso, domandandogli se desiderasse qualcosa. L’altro scosse la testa. “Vado
subito. Devo raggiungere la Gare du nord, ci metterò
una mezz’ora buona e non mi conviene perdere anche questo treno, ne va della
mia salute.”
Il
ragazzo annuì vigorosamente, lo sguardo piantato a terra. Bankotsu
raccolse la sua giacca da terra, si allacciò le scarpe e si diresse verso la
porta. Jakotsu lo accompagnò. L’atleta varcò la porta
senza dire nulla, poi si voltò di scatto, la bocca semiaperta come per aver
bisogno di dire qualcosa. Sembrava aver perso le parole. “mi dispiace.”
Sussurrò alla fine.
Jakotsu non poté fare a
meno di sorridere tristemente. “Non preoccuparti. Ormai ci sono praticamente
abituato.”
“Mi
dispiace di tutto Jackie. Di averti illuso, anche se non era una mia
intenzione. Di averti fatto soffrire. Io avrei dovuto starti lontano.”
“L’hai
già detto.” Mormorò l’altro, ripensando alla loro ultima, penosa conversazione
la notte in cui l’aveva lasciato.
“Sei
una persona speciale. Meriteresti qualcuno che ti ami davvero e che faccia di
tutto per te, non uno stronzo confuso e indeciso.”
Il
ragazzo lo fissò sorpreso. Mai gli aveva fatto un discorso del genere. Forse
non era lui che stava peggio. Forse fingere di essere qualcosa che non era,
nascondere la propria natura e i propri sentimenti, era ancora peggio che
essere lasciati. “Se sei confuso ed indeciso, perché allora ti sposi?” la
domanda gli uscì spontanea, prima che lui riuscisse a fare alcunché per
fermarla. Si ne pentì subito, tuffando nuovamente lo sguardo a terra.
Ma
Bankotsu sospirò solamente. “Lei è una brava persona.
Carina, in gamba. Gli uomini fanno la fila per lei. Ti piacerebbe, ne sono
sicuro. Se non fosse la mia futura moglie, è ovvio.”
“Un
piccolo particolare, non trovi?” Sbuffò. “E io? Cosa sono?”
“Tu
sei il mio grande peccato radioso.”
Jakotsu scoppiò a
ridere. “Verlaine? Da quando in qua citi Verlaine?”
“Da
quando abbiamo guardato Eclisse Totale,
ricordi? Uno dei pochi film che abbiamo visto insieme.”
“Già,
soprattutto uno dei pochi che abbiamo visto sino alla fine. La storia mi aveva
preso molto.”
Anche
Bankotsu scoppiò a ridere. “A chi la vuoi raccontare?
L’hai voluto vedere solo per Leonardo DiCaprio.”
Jakotsu ammise che un
pochino era vero, appoggiandosi allo stipite della porta. Entrambi tornarono
seri. “Quindi ora devi andare?”
Bankotsu annuì,
chiudendo gli occhi.
“In
bocca al lupo, allora.” Sospirò il ragazzo, facendo per chiudere la porta
lentamente. Ma l’altro lo fermò. Lo fissò un attimo, prima di avvicinarsi e di
premere le proprie labbra alle sue. Jakotsu sentì le
ginocchia farsi molli a quel contatto, mentre le mani di Bankotsu
scivolavano sulle guance, trattenendolo delicatamente a sé.
Si
staccarono un istante, che sembrò togliere il respiro ad entrambi. “Devo andare…” bisbigliò Bankotsu,
senza però muoversi di un passo.
Jakotsu scosse la
testa. “C’è un TGV ad ogni ora…”, lo supplicò con lo sguardo. Aveva bisogno di
lui, anche se sapeva che era sbagliato, che avrebbe riaperto una ferita che
aveva appena smesso di sanguinare.
“Devo
andare Jackie.” Ripeté, più a sé stesso che al ragazzo che aveva davanti.
“Bank, ti prego. Anche solo per un’ora, per dieci minuti.
Anche solo per parlare, o per fissare fuori dalla finestra, o i quadri di Kagura. Ma resta qui con me. Non te l’ho mai chiesto, non
ti ho mai pregato di farlo, prima d’ora.”
Bankotsu si avvicinò di
nuovo, facendolo arretrare all’interno dell’appartamento. “Ci pentiremo
entrambi di questo” sospirò, prima di chiudere la porta alle sue spalle e
baciarlo nuovamente.
Il
sole splendeva alto nel cielo, e l’aria calda di inizio giugno iniziava a farsi
sentire. Kagura si sventolò con un pezzo di carta,
guardandosi attorno seduta sulla panchina all’entrata del metrò. Jakotsu, la sorprese alle spalle, facendola trasalire,
mentre lui la derideva, meritandosi un colpo sul braccio e sulla spalla.
Entrarono nella galleria della metropolitana, prendendo per un soffio il treno
per il centro città. Nonostante la penombra, il ragazzo non si tolse gli
occhiali da sole.
Kagura trovò un posto
per sedersi, e lui si posizionò a suo fianco. “Allora?” domandò la donna.
“Allora
cosa?” Lei lo guardò con un sopracciglio alzato, e lui alzò le spalle. “E’
partito. Tutto qui.”
“Come
ti senti?”
“Beh,
un po’ a pezzi ma… è anche colpa dell’alcol di ieri
sera.” Si sforzò di sorridere.
Rimasero
in silenzio sino alla fermata Cluny – La Sorbonne,
dopo aver cambiato linea. Si diressero, parlando del più e del mondo, verso Rue
Mazarin, piena di gente, turisti e studenti. Kagura ne indicò un paio all’amico, con un cenno del capo,
e uno di loro sorrise pure di rimando al ragazzo, mentre lui sembrava su un
altro pianeta.
“Hei, ma dico, hai visto cosa ti sei lasciato scappare?”
domandò Kagura tirandolo per una manica. Poi alzò gli
occhi al cielo. “Ho fatto male a lasciarvi da soli, vero? Cosa ti ha detto?”
“Oh,
nulla, nulla. Non è successo niente di che. Ha bevuto un bicchiere d’acqua e se
ne è andato subito.” Disse velocemente. “Toh, c’è un tavolo libero a La Grouette, ci fermiamo per un gelato?”
Kagura lo strattonò
per una manica, fissandolo truce. “Jakotsu, giurami
che non hai fatto nessuna stronzata.”
“Non
ho fatto nessuna stronzata, te lo giuro!”
“Non
ti credo”
Il
ragazzo rimase in silenzio, puntando lo sguardo a terra, dietro alle lenti
scure. “Non ne abbiamo potuto fare a meno.”
La
donna si mise le mani fra i capelli, arrabbiata. “Ma sei stupido? Dopo tutto quello
che hai passato, ci caschi nuovamente? Jakotsu, cosa
c’è in quella tua testolina masochista? Hai fatto sesso con lui per
ringraziarlo di averti portato a casa?”
Questa
volta fu il ragazzo a replicare ad alta voce: “Lui non può fare a meno di me,
tanto quanto io non posso fare a meno di lui!”
“Infatti
lui si sta sposando con un’altra. DONNA.”
Il
ragazzo si pizzicò il naso aggiustandosi gli occhiali. Sembrava sul punto di
scoppiare. “Pensi che non lo sappia. Io sono una cosa diversa.”
“Diversa,
ma non abbastanza importante da essere l’unica.” Ribatté duramente Kagura, i pugni puntati sui fianchi. Vedendo lo sconcerto
dell’amico lo prese nuovamente sottobraccio, sospirando. Forse era stata troppo
dura con lui, non se lo meritava, stava di sicuro già male per conto suo.
“Andiamo a La Grouette, prima che ci rubino il
tavolino.”
Ciao Ragazze!!!
Un paio di note prima di lasciarvi:
1)
Alphonsine Duplessis= celebre cortigiana, meglio conosciuta come Dama
delle Camelie, narrata nel libro omonimo di Alexandre Dumas figlio, e ripresa nella Traviata di Verdi. Dalida= cantante
francese, morta suicida. Nota per aver avuto una storia con il cantate italiano
Tenco, anch’egli morto suicida. La Goulue= Ballerina
di CanCan al Moulin Rouge! Ritratta anche da Toulouse
– Lutrec. Tutte e tre questi personaggi sono ospiti
fissi (per non dire inquilini) del cimitero di MontMartre.
2)
Eclisse Totale – Poeti dall’Inferno, è un film del
1995, con protagonisti David Thewlis (Ovvero il Prof.
Lupin nei film di Harry Potter) e Leonardo DiCaprio
(che a quell’epoca era da acquolina in bocca), che interpretavano i poeti
maledetti Paul Verlaine e Arthur Rimbaud e la loro tormentata storia d’amore
(si, avete capito bene…). Il Titolo, Mon Grand Péché
Radieux (mio grande peccato radioso) è tratto dalla
poesia Laeti et Errabundi, di Paul Verlaine, dedicata appunto a Rimbaud, ed
è la frase con cui si conclude il film.
Grazie Mikamey e Jekka ancora per
leggermi e supportarmi!!!
E.C.