Crossover
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Autore: Odinforce    25/08/2016    4 recensioni
Una serie di one-shot ambientate su Oblivion, il mondo in cui è narrata la mia maxi-opera Interior Dissidia. Storie parallele dedicati a personaggi diversi, sopravvissuti all'eterno ciclo di guerre e che cercano disperatamente di farsi valere a modo loro. Idee scartate dalla storia originale, ma non per questo dimenticate o mai avvenute.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’eterna speranza
 
Image and video hosting by TinyPic Il camioncino sfrecciava lungo la strada da quasi due ore, muovendosi attraverso un territorio sempre uguale. Ovunque i suoi passeggeri voltassero lo sguardo, infatti, non vedevano che pura desolazione: nient’altro che una distesa di terra e rocce, arida e spoglia come un deserto. Tutto parte di uno scenario molto più grande, naturalmente: quel territorio non era che uno dei molti frammenti che componevano quel mondo di caos e desolazione, noto a tutti con il nome di Oblivion.
Oblivion, la morte di tutto. Un abisso oscuro in cui tutte le cose trovavano la loro fine. Nulla trovava scampo all’opera di distruzione voluta da Nul, signore indiscusso di quel limbo; ogni battaglia organizzata su Oblivion procurava un numero incalcolabile di morti, e la distruzione dei loro mondi di appartenenza.
E la stessa sorte era capitata ai due personaggi che ora vagavano su quella landa desolata a bordo dello sgangherato camioncino.
L’uomo al volante era un ragazzone dai capelli bruni e il viso lentigginoso; aveva un fisico da giocatore di football, e in quel momento indossava una canottiera e un cappello rosso. Il suo nome era Bill, proprio come suo padre e suo nonno; Bill Terzo, come qualcuno si divertiva a chiamarlo ai vecchi tempi.
Bill continuava a guidare, impegnando ogni fibra del suo corpo a non interrompere quest’azione. Cercava di guardare avanti, ma ogni tanto lanciava occhiate ansiose al sedile del passeggero, dove giaceva la persona che lo accompagnava nel suo viaggio. Si trattava di una bellissima donna dai lunghi capelli dorati e la pelle candida, vestita con ciò che un tempo era stata un’elegante veste bianca. Lei si chiamava Kelda, nobile dama del regno di Asgard. In quel momento versava in brutte condizioni: una ferita ancora fresca spiccava dal suo fianco, cosa che nelle ultime ore l’aveva indebolita di molto.
Sicuramente ora vi starete chiedendo cosa ci facesse un umano in compagnia di un’asgardiana ferita tra le terre caotiche di Oblivion. Si dà il caso, in effetti, che Bill e Kelda si fossero conosciuti alcuni anni prima in un luogo molto più tranquillo, nella ridente cittadina di Broxton in Oklahoma. All’epoca, Asgard era stata ricostruita nei pressi di quel paese, a seguito dell’ultimo Ragnarok che il regno aveva dovuto affrontare... ma questa è un’altra storia. Sta di fatto, comunque, che tra Bill e Kelda era stato amore a prima vista (più o meno): un amore profondo, intenso, tale da colmare l’abisso che separava la natura di entrambi.
Lei, dea immortale di un regno antico; lui, umile e onesto lavoratore presso la tavola calda di famiglia. Pochi avrebbero scommesso sul felice proseguimento di una storia del genere. Il nonno di Bill aveva un detto: “Un uccello può amare un pesce, ma dove si costruirebbero una casa?”
“Sul bordo del fiume” fu la risposta, fornita a Bill da un giovane forestiero poco dopo aver conosciuto Kelda. Era stato questo a incoraggiare il mortale a seguire quella strada... la strada verso Asgard e la sua bella dama.
Le cose erano andate bene fra i due, anche se i pericoli non avevano mancato di minacciare la loro vita. Perché Asgard era da secoli fonte di guai: il regno degli dèi era un faro di eterna luce attraverso le tenebre, ma oltre alle navi attirava anche nemici e guerra, più in fretta di un Pokémon in un parco pubblico. E Bill e Kelda si erano ritrovati spesso nell’occhio del ciclone: una serie di sventure che avevano messo a repentaglio il loro legame e la loro stessa vita. Ma nonostante tutto erano riusciti a restare insieme, fino alla morte e persino oltre, uniti all’eterno banchetto degli eroi caduti nel Valhalla.
Ma nessun mondo era al sicuro dalla Volontà Suprema, nemmeno Asgard. Così anch’esso era precipitato su Oblivion, insieme a tutti i suoi abitanti. Molti erano morti subito, ma Bill e Kelda erano sopravvissuti; ben presto si erano trovati a combattere in una guerra al fianco dei signori di Asgard, contro un vasto esercito di nemici richiamati dal diabolico Nul.
E avevano perso. Bill e Kelda, nonostante avessero lottato con valore, non erano riusciti ad aver ragione del nemico, e ben presto erano stati costretti a fuggire, dopo che il più grande eroe di Asgard era sparito alla vista di tutti. Avevano assistito impotenti al crollo della città, per poi tentare la fuga tra le vie di una metropoli molto più cupa, abitata da uomini senza volto; avevano proseguito, lasciando la città con il primo mezzo di trasporto dotato di benzina.
Ora i due disperati amanti erano in viaggio, inseguendo l’ultima speranza di salvezza.
« Ti senti meglio? » chiese Bill a un certo punto, dopo aver lanciato l’ennesima occhiata alla sua amata.
« Sì » rispose Kelda con un debole sorriso. « Guarisco in fretta, lo sai. »
Bill annuì, e la prese per mano sorridendo a sua volta. Quel tocco gentile fece dimenticare il dolore e lo sconforto, ma solo per pochi attimi; subito dopo, infatti, accadde qualcosa che cancellò il suo sorriso.
Il camioncino si era fermato, e Bill non tardò a scoprire il perché: l’indicatore del carburante parlava chiaro... era finita la benzina.
« Maledizione » brontolò il giovane, rassegnato. « Speravo che la benzina durasse un po’ di più! Ora come faremo? Siamo ancora in mezzo al nulla... dovremo proseguire a piedi. »
Kelda si sporse in avanti, osservando il paesaggio che non era mutato di una virgola.
« Non importa » dichiarò, guardando in avanti. « Ormai siamo vicini, lo sento. »
« Ne sei sicura? »
« Lo sono, invero. »
Bill scrollò le spalle, sperando che Kelda avesse ragione. Perciò, non avendo altra scelta, scese dal mezzo e raggiunse Kelda dall’altra parte, aprendo la portiera. Lo sguardo dell’uomo cadde inevitabilmente sulla ferita della dea, che tuttavia aveva smesso di sanguinare già da un pezzo; anche per un’asgardiana di alto rango come lei non era facile né rapido riprendersi da simili danni. Appariva ancora debole, eppure continuava a sorridergli.
« Ce la fai a camminare? »
« Credo di sì » rispose Kelda, « ma non abbastanza in fretta. »
« D’accordo... allora ti porterò io. »
E senza aspettare un permesso o una risposta qualsiasi, Bill la prese in braccio, tirandola fuori dal camioncino. L’asgardiana ne rimase assai sorpresa, ma poi, mentre s’incamminavano verso la giusta direzione con lei tra le braccia, il suo sorriso si fece più largo.
Bill se ne accorse poco più avanti.
« Che c’è? » chiese.
« È la prima volta... » ammise Kelda, « la prima volta che mi trovo tra le braccia di uomo... sostenuta dalle sue forti e amorevoli braccia. Non era mai accaduto, prima d’ora. »
« Hehe... davvero? Be’, mi pare strano... eppure avrai conosciuto parecchi altri uomini prima di me. Possibile che nessuno ti avesse mai presa in braccio? »
« Nessuno, che fosse dio o mortale, mi ha mai concesso questa gentilezza. »
« Nemmeno tuo padre? »
« Non ho memoria di quei giorni lontani... ma non importa. Sei tu, mio William, tutto ciò che ora importa davvero. »
Kelda posò dunque una mano sulla guancia di Bill, accarezzandogliela. Sarebbe stato un momento estremamente romantico, se non fosse stato per la desolazione che li circondava, il cielo grigio e il sangue che imbrattava le candide vesti dell’asgardiana. Bill ricordò tutto questo e proseguì, continuando a trasportare la sua amata; fu sorpreso nel rendersi conto che lei pesava meno della spada e del fucile che portava con sé nel frattempo... armi che finora lo avevano protetto, ma non gli avevano permesso di trionfare sul nemico.
Kelda aveva ragione, avevano bisogno di un potere superiore per vincere la guerra. La sfida di Nul aveva regole precise: dovevano eliminare i loro nemici, e in cambio sarebbero tornati a casa. Dopo tutto quello che avevano passato non aspettavano altro, ed erano pronti a tutto pur di risvegliarsi dall’incubo.
I due proseguirono per circa un quarto d’ora, finché davanti a loro non apparve qualcosa di nuovo. Bill smise di camminare non appena fu di fronte all’orlo di un grande cratere circolare. Qualcosa lo aveva provocato di recente, forse un meteorite, ma da quella posizione non riusciva a stabilirlo.
« Ci siamo » dichiarò Kelda, guardando verso il fondo del cratere. « Siamo arrivati... percepisco la Forza di Odino provenire da laggiù. L’ultima fonte rimasta del potere del mio popolo. »
« Uhm... credi che si tratti di Thor? » domandò Bill ansioso. « Sarà ancora vivo? »
« Deve esserlo, poiché infatti ne sento il potere ancora attivo nelle vicinanze. Ora puoi mettermi giù, caro William... posso camminare di nuovo. »
L’uomo obbedì, e insieme scesero giù per il cratere con molta cautela. Bill aveva ripreso mano alle armi, guardandosi intorno; Kelda fece altrettanto, pur non avendo bisogno di spade o fucili per difendersi.
Ciò per cui avevano fatto tanta strada apparve finalmente davanti ai loro occhi, al centro del cratere. Ma non era ciò che si aspettavano di trovare. Kelda, inorridita, cadde perfino in ginocchio quando riconobbe ciò che vide.
Un martello giaceva al centro del cratere, nient’altro. Un grosso martello fatto di uru, materia estratta dal cuore delle stelle e pressoché invincibile. Giaceva intatto di fronte ai due amanti, recando sulla sua superficie una scritta leggibile:
 
Chiunque impugnerà questo martello,
se ne sarà degno,
otterrà il potere di Thor.
 
« No... » sussurrò Kelda, sconvolta. « Non era questo... non era questo che speravo di trovare. Quando ho percepito la Forza di Odino, speravo... speravo di trovare Thor... o lo stesso Padre di Tutti... ancora vivi! Ma questo... questo inutile strumento... annienta ogni speranza rimanente. »
Bill rimase in piedi al suo fianco, meno sconvolto di lei ma altrettanto rassegnato. Sapeva bene quanto Kelda che non potevano farci nulla con quel martello: esso era Mjolnir, il Martello di Thor. L’arma suprema di Asgard, ricolma della Forza di Odino, che aveva sconfitto e fatto tremare di paura interi popoli in tutto l’universo. Ma per impugnare quell’arma bisognava esserne degni, come diceva la stessa iscrizione fatta da Odino in persona. E solo Thor, in secoli di storia, era stato degno di sollevare Mjolnir.
Solo la morte era capace di tenere lontano il Dio del Tuono dal suo martello... e dal momento che di lui non c’era traccia nei paraggi, la realtà poteva essere solo quella.
Che cosa potevano fare, ormai? Sperduti in una landa desolata, senza benzina e con un martello impossibile da sollevare, Bill e Kelda non riuscivano a vedere altre soluzioni per cavarsela. Per un po’ rimasero in silenzio, vittime dello sconforto, lasciando che vento e polvere fossero i padroni della situazione.
E poi, una nuova disgrazia giunse alle loro spalle.
Bill e Kelda si voltarono, mentre una risata beffarda echeggiava per tutto il cratere. Tra le rocce si stagliava ora un nuovo individuo: un uomo dai lunghi capelli neri e gli occhi verdi; verde era anche l’abito che indossava, e un elmo dorato con due corna ornava la sua fronte. Costui rideva beffardo, nonostante apparisse in condizioni assai gravi: gli mancava tutto il braccio destro, come se una forza immensa glielo avesse incenerito. L’altro braccio reggeva uno scettro malconcio dalla punta affilata, con il quale cercava di restare in piedi.
E nel frattempo rideva di gusto, rivolto ai due amanti accanto al martello.
« Chi diavolo è quello? » chiese Bill, incerto.
« Riconoscerei quella risata ovunque » mormorò Kelda, sconvolta più che mai. « La voce del serpente, fonte dei peggiori mali mai accaduti alla splendente Asgard. Invero tu sei Loki, l’ingannatore! »
Loki non rispose, continuando piuttosto a mantenere quel ghigno beffardo.
Bill trasalì per lo stupore, dopo aver udito tale verità. Loki! Figlio di Laufey, sovrano dei Giganti di Ghiaccio di Jotunheim. Adottato da Odino molti secoli fa, divenuto di fatto fratellastro di Thor.
« E tu sei Kelda, nata di luce e cielo, di albe e vento » dichiarò infine Loki, avanzando di qualche passo. « Mentre tu sei Bill, figlio di Bill, figlio di Bill. Bill Terzo di Broxton. Bene, è proprio il caso di pronunciare un detto di voi mortali: “Il mondo è davvero piccolo”... anche se invero non camminiamo più su Midgard. »
Loki era noto nei miti come il dio degli inganni e delle malefatte, ma la realtà era ben diversa: Loki non era dispettoso, era malvagio. Aspirava al potere supremo, a spodestare Odino e a regnare su Asgard e su tutti i Nove Mondi. Questo era sempre stato il suo massimo obiettivo, fin da quando era ragazzino... e attraverso i suoi diabolici inganni aveva attentato innumerevoli volte all’equilibrio del Regno Splendente. Da lungo tempo era diventato nemesi di Thor, sebbene questi avesse sempre avuto pietà di lui... e questa sua inguaribile indulgenza aveva permesso a Loki di continuare a minacciare Asgard.
E Bill e Kelda erano caduti vittima in uno dei suoi ultimi piani. All’epoca Loki aveva sembianze ben diverse, per questo non lo avevano riconosciuto subito... ma ciò non cambiava la realtà dei fatti: l’Ingannatore era responsabile di gran parte delle loro sofferenze passate.
Bill si fece avanti, puntando la spada contro Loki.
« Stà indietro, bastardo! » urlò. « Non provare ad avvicinarti ancora. »
« Oh... pensi di incutermi timore con così poco? » commentò Loki. « Con una vecchia lama asgardiana e un po’ di tipica spavalderia americana? Anche se sono gravemente ferito, ho ancora potere sufficiente per ricordarti quanto ti sono superiore. »
Lo scettro brillò di azzurro, minacciando di colpire. Kelda si fece dunque avanti, ponendosi al fianco del suo amato.
« Non dimenticarti di me, ingannatore » dichiarò lei con voce dura. « Anche se non sono Thor, posso dominare anch’io la furia del cielo e della tempesta. Perciò attento... avanza ancora di un passo e scatenerò questa furia su ciò che resta di te! »
Loki si fermò, osservando la coppia che aveva di fronte. Bill e Kelda mantenevano la posizione, l’uno a fianco dell’altra, pronti a combattere insieme fino alla fine.
« L’amore » commentò con aria teatrale. « La più grande ed eterna delle illusioni! Un inganno che persino io fatico a comprendere. La forza che ha piegato la volontà di uomini e dèi per generazioni, spingendoli verso il dolore e la rovina. E mio fratello non ha forse conosciuto simili dolori, quando donò il suo cuore alla mortale guaritrice di Midgard? Proprio lui, Thor, bramato da donne e dee ben più degne, preferiva piuttosto le attenzioni di una sciocca farfallina dalla breve vita.
« Voi non siete da meno, giovani piccioncini... il vostro legame è solo fonte di enormi pene. »
Bill sospirò seccato.
« Perché voi asgardiani dovete parlare sempre così complicato? Non potete pretendere che tutti siano costretti ad ascoltarvi con un dizionario dei sinonimi in mano! Senza offesa, Kelda » aggiunse, rivolto a lei.
« Va tutto bene, mio caro. »
Loki ridacchiò ancora, sempre più divertito.
« Ad ogni modo » aggiunse Kelda, « dubito che tu sia venuto fin quaggiù per insegnarci inutili menzogne sull’amore, Loki. Rivela le tue intenzioni, dunque! »
« Sì, sputa il rospo! » esclamò Bill.
Loki non rispose subito, aspettando di smettere di ridere.
« Haha... non è evidente? » fece. « L’oggetto del mio desiderio è alle vostre spalle. Ora che Thor è finalmente fuori dai piedi, ho l’occasione per impadronirmi di Mjolnir. »
Bill e Kelda si voltarono, osservando per un attimo il martello.
« Questo tuo inganno è privo di ogni senso, Loki » dichiarò Kelda, tornando a fissarlo minacciosa. « Conosco bene l’oscurità che ottenebra il tuo cuore marcio. Tu non sei degno di sollevare il Martello, e mai lo sarai! Non potrai sottrarre Mjolnir da questo posto. »
Loki rise ancora. Era davvero irritante, persino per il nulla che li circondava.
« E chi ha parlato di prenderlo? » ammise l’ingannatore. « Ricordo questa piccola seccatura, ma poco importa. Ciò che importa è che sono arrivato qui, affinché possa dimostrare il mio operato al signore di questa guerra. Nul ha promesso di ricondurmi a casa e al trono che mi spetta, qualora avessi trionfato sul mio avversario... e ritengo che la presenza di Mjolnir al mio fianco sia prova sufficiente di tutto il trionfo. »
Bill e Kelda rimasero ad ascoltare fino alla fine, impietriti per l’orrore.
« Tu sei pazzo » concluse Bill.
« Uhm... io preferisco definirmi complicato » rispose Loki, alzando le spalle. « Ma non mi aspetto che possiate capirmi, né invero m’importa. Ora, preferite farvi da parte con i vostri piedi... o mi costringerete ad annientarvi? »
Fece un altro passo avanti, zoppicando. Bill e Kelda non avevano mai abbassato la guardia, perciò si apprestarono a sferrare il primo colpo... ma non fu necessario. Un nuovo imprevisto impedì l’avvento di un possibile scontro mortale.
« Tu non farai un bel niente, Loki! »
Una voce ignota, proveniente dall’alto, attirò l’attenzione dei presenti. Loki, Bill e Kelda alzarono lo sguardo, appena in tempo per vedere un nuovo individuo atterrare a poca distanza da loro: era di altezza e corporatura normali, vestito con un lungo soprabito bianco dotato di cappuccio che gli celava completamente il volto. Due grandi ali nere spuntavano dalla sua schiena, cosa che gli aveva permesso di volare fino a poco prima.
Alla sua vista, Loki s’inginocchiò.
« Potente Nul » mormorò con tono rispettoso. « Benvenuto, mio signore. »
Bill e Kelda si scambiarono un’occhiata sconvolta, nel sentir pronunciare quel nome. Nul! Non lo avevano mai incontrato prima di allora, ma dopo tutto ciò che avevano sentito sul suo conto avevano ben ragione a temerlo.
Nul, tuttavia, non badò assolutamente ai due innamorati, preferendo piuttosto rivolgere tutta l’attenzione sul dio degli inganni.
« Bah... te l’ho già detto l’altra volta, quando ti ho reclutato: i tuoi fottuti convenevoli non m’impressionano affatto » gli disse con voce glaciale. « La tua falsa gentilezza è inutile quanto un pezzo di carta igienica sotto i miei stivali... perciò risparmia il fiato, ingannatore, e usalo soltanto per dirmi qualcosa di utile. »
« Ehm... come desideri. In effetti stavo per chiamarti, Nul, perché tu potessi constatare il risultato della mia sfida. Mio fratello Thor è morto... e tutto ciò che resta di lui giace quaggiù. »
Indicò Mjolnir con aria soddisfatta. Nul guardò il martello a sua volta, restando tuttavia impassibile come un manichino. Bill e Kelda restavano in silenzio in disparte, quasi dimenticati, in attesa di un verdetto a loro favorevole.
« Bene » dichiarò infine Nul dopo una pausa. « Allora non mi resta che farti le mie congratulazioni, Loki, figlio di Laufey. Sei sopravvissuto. La tua guerra è finita. »
« Grazie, mio signore. Manterrai dunque la tua promessa? Mi riporterai ad Asgard? »
« Oh, ti manderei volentieri in un posto migliore di questo, Loki... se tu fossi realmente in ginocchio di fronte a me! »
Nul si voltò di scatto. Bill e Kelda lo videro sollevare una mano e stringerla intorno a semplice aria, come se avesse appena afferrato qualcosa d’invisibile. Nel frattempo, il Loki che avevano di fronte svanì nel nulla... e un altro Loki riapparve dove Nul si era voltato. L’incappucciato lo teneva stretto per la gola, sollevandolo dal terreno con facilità.
Kelda cominciò a capire. Loki era il dio degli inganni, dopotutto, e amava colpire di sorpresa i nemici con le sue illusioni. Evidentemente Nul se n’era accorto, e ora aveva appena dissolto l’illusione dietro cui si era celato Loki. L’ingannatore lo fissò sbalordito, mentre scalciava inutilmente per non soffocare... ma nelle sue condizioni non riuscì a opporre alcuna resistenza.
« Sorpreso, Loki? » disse Nul divertito. « Bene... in effetti trovo molto divertente l’idea di aver appena ingannato lo stesso dio degli inganni! Anche se, a dire il vero, ti avevo ingannato fin dall’inizio. »
« Co... cosa? » ansimò Loki.
« Eh già. Riportarti ad Asgard? Come se io ne fossi davvero capace. È tempo che tu capisca l’unica, vera realtà di Oblivion: non c’è vittoria per voi... e non c’è ritorno. »
« No... tu... avevi promesso... »
« Lo so... e ti ho fregato alla grande. Buon viaggio all’inferno, viscido rompiscatole. »
Crack.
Nul lasciò la presa, e Loki cadde a terra morto, sotto lo sguardo incredulo di Bill e Kelda. L’incappucciato gli aveva spezzato l’osso del collo come fosse un ramoscello secco. Non era una realtà facile da accettare: Loki, il dio degli inganni, eterna nemesi di Thor e flagello degli Aesir, era stato appena ucciso con una facilità inaudita.
Nul osservò compiaciuto il cadavere di Loki ancora per un po’, prima di rivolgere la sua attenzione sulla coppia di sopravvissuti. Bill e Kelda rimasero in guardia, tenendosi nel frattempo per mano.
« Bene... devo ammettere che sono molto sorpreso di vedere voi due da queste parti » dichiarò Nul, usando un tono molto più gentile. « Kelda Grantempesta e Bill Terzo. Una gran bella coppia di romanticoni, sopravvissuti al caos e alla guerra... almeno fino a oggi. »
Bill alzò un poco la spada.
« Che cosa vuoi da noi? » domandò.
« Porre fine alla vostra inutile resistenza. Credetemi, mi dispiace davvero che dobbiate subire tutto questo: sebbene l’uccisione di Loki mi abbia dato una gran soddisfazione, non c’è nulla di personale nelle mie azioni. Tutto deve finire: così ha deciso la Volontà Suprema. »
« Dunque vorresti ucciderci » intervenne Kelda. « Se così fosse, avresti potuto lasciare che fosse Loki a infliggerci il colpo mortale! Ho udito le voci sul tuo conto, Nul, e ho appreso che non ami intervenire di persona sul conflitto che hai scatenato. Perché, dunque, ora ti muovi contro di noi? Perché hai impedito a Loki di ucciderci? »
« Perché conoscevo bene Loki, e la sua abitudine di tormentare le sue vittime. Sono intervenuto appena in tempo per risparmiarvi l’atroce e lenta agonia che altrimenti avreste subìto per mano di quel folle. Io, invece, sono molto più discreto, e non amo perdere tempo quando uccido... soprattutto quando si tratta di eroi del vostro calibro. »
Nul cominciò ad avanzare verso la coppia, disarmato eppure minaccioso quanto un cataclisma. Bill e Kelda rimasero immobili, dominati dall’incredulità per quanto stava accadendo.
« Vi prometto che non sentirete niente » annunciò l’incappucciato, « quindi spero che possiate considerarlo un favore. Mi dispiace, davvero. »
Si alzò il vento all’improvviso. Nul fermò il suo avanzare, sorpreso: evidentemente non era opera sua, ma Bill si rese conto ben presto della verità. Al suo fianco, Kelda stava manifestando il suo vero potere: una lancia di ghiaccio apparve tra le sue mani, mentre il vento vorticava sempre più forte intorno a loro.
« Non so che farmene del tuo dispiacere, distruttore di mondi » dichiarò la dea, furiosa. « Né di quella che tu consideri pietà! Da quando sono finita su questo mondo insieme al mio amato, non ho fatto altro che subire una lunga sequela di disgrazie... ma non mi sono mai piegata ad esse! Perciò ti farò vedere, Nul, che gli asgardiani si arrendono solo dopo aver esalato l’ultimo respiro! »
Bill fissò la sua amata con orgoglio, stringendo la presa sulla spada. Kelda era ormai guarita completamente, per questo ora era di nuovo capace di sfoggiare il suo grande potere.
Nul rimase immobile, incurante del vento gelido che sferzava il suo abito bianco; nonostante l’ombra che celava il suo volto, era comunque evidente che fosse impressionato dal coraggio dimostrato dai suoi avversari.
« Come preferite, milady » disse. « Vi concederò una degna morte, se tanto ci tenete. »
Kelda reagì subito dopo. Alzò la mano libera, scagliando una raffica di vento contro il nemico. Nul si protesse con le sue ali, impedendo a un gran numero di schegge di ghiaccio di perforare le sue membra. Si accorse troppo tardi che era solo un diversivo: Kelda si era nel frattempo alzata in volo, evocando un vortice d’aria che fece abbattere sull’incappucciato. Nul lo schivò per un soffio, spiccando il volo a sua volta; una lancia di ghiaccio apparve sulle sue mani, identica a quella di Kelda. L’asgardiana ne fu sorpresa, ma riuscì comunque a difendersi dal successivo contrattacco di Nul. Le due lance cozzarono l’una contro l’altra, strette fra le mani dei loro padroni.
Bill era rimasto a terra, incredulo. Kelda era in pericolo, ma non sapeva come aiutarla finché la lotta avveniva così in alto. Abbassò lo sguardo: accanto a lui giaceva ancora Mjolnir, immobile al centro del cratere. L’arma più potente di Asgard... se solo avesse potuto usarla!
« Aaaaah! »
« Kelda! »
Nul aveva colpito la dea, trafiggendole la spalla con la lancia. Il colpo fu tale da scaraventarla a terra con forza, lontano da Bill. L’incappucciato atterrò subito accanto a lei, osservando ciò che aveva appena fatto.
Kelda era ferita, ma ancora viva... ancora intenzionata a lottare. Cercò di rialzarsi, sotto lo sguardo glaciale di Nul.
« Ti sei battuta con onore, asgardiana... proprio come Thor » dichiarò lui, gelido. « Ma non puoi battermi, e lo sai. Permettimi dunque di finirti, risparmiandoti ulteriori sofferenze. Arrenditi ora, e ti prometto che avrai una degna sepoltura insieme al tuo amato. »
Kelda sputò sangue, rivolgendo uno sguardo furioso a Nul.
« Che cosa hai fatto al figlio di Odino? »
« Ciò che andava fatto » rispose Nul. « Abbiamo combattuto, e anche a lungo. Thor era pronto a morire, per proteggere ciò che restava di Asgard su questo mondo. Gli ho concesso di battersi fino all’ultimo respiro... e infine è caduto, come suo padre e molti altri prima di lui. Come ti ho già detto, non c’è nulla di personale nelle mie azioni... eseguo solo il volere di mio padre. »
Si chinò su Kelda, afferrandole il bel viso insanguinato. La dea giurò di sentirlo sospirare, mentre le accarezzava i capelli.
« Così bella... così forte. Vorrei tanto non doverlo fare... ma non ho altra scelta. »
« Noooooo! »
Nul si voltò, appena in tempo per vedere Bill correre come un pazzo verso di lui. La spada del giovane colpì la lancia di ghiaccio, spezzandola in due; Nul cadde all’indietro per la sorpresa, mollando la presa su Kelda. Si rialzò in piedi senza sforzo, mentre l’asgardiana veniva soccorsa dal suo amato.
« Kelda... stai bene? »
« Sì... grazie, William. »
Nul scoppiò a ridere osservando i due amanti, stretti ognuno tra le braccia dell’altro. La sua risata parve spezzare il momento magico che si era creato.
« Però, devo ammettere che Loki aveva ragione, almeno su una cosa » disse. « L’amore è un’eterna illusione. Fa svalvolare uomini e dèi, li spinge tutti verso il dolore e la rovina. È un sentimento forte... eppure così fragile! »
Detto questo evocò una spada, identica a quella di Bill. Si scagliò quindi sull’uomo, che tuttavia parò il colpo con la sua arma.
« Bastardo... non ti permetterò di farle del male! Non me la porterai via! »
« Non temere, non lo farò » disse Nul. « Vi condurrò in un luogo dove potrete giacere insieme, per l’eternità. »
L’incappucciato ebbe la meglio. Il suo attacco spezzò la difesa di Bill, insieme alla spada; il ragazzo cadde all’indietro, atterrando proprio accanto al martello di Thor. Nul rimase ad osservarlo, senza attaccare ancora.
« Così mettete a dura prova la mia pazienza » dichiarò, alzando un poco la voce. « Ammiro i vostri sentimenti, non posso negarlo... ma non vi salveranno da tutto questo. Niente vi salverà! La vostra vita, la vostra storia... il vostro amore... svaniranno nel nulla eterno! »
Kelda si rialzò in piedi in quel momento, attirando l’attenzione del nemico.
« Sei libero di ripetere la tua cantilena all’infinito, distruttore... ma io e il mio amato non ci arrenderemo. Non ci spaventa la morte, né l’oblio, poiché invero li abbiamo già subiti entrambi. Ma se proprio dobbiamo subire questo fato ancora una volta, allora lo accoglieremo in piedi... e non ai tuoi piedi! »
Nul non rispose, lasciando parlare piuttosto il suo potere. Una nuova lancia di ghiaccio apparve sulla sua mano, pronto a sferrare un colpo decisivo...
Wham.
Qualcosa colpì Nul alle spalle, con una forza tale da staccarlo dal suolo e spedirlo lontano, rapido come un proiettile. Kelda ne fu sorpresa, ancora di più quando scoprì che quel colpo micidiale era stato sferrato da Bill, forte della nuova arma che impugnava ora tra le mani.
Il martello di Thor.
« William... » sussurrò l’asgardiana, incredula. « Tu puoi... Mjolnir... dunque ne sei degno. Ne sei degno! »
« Uhm, pare di sì » ammise Bill, guardando a sua volta il martello. In un gesto disperato, nel desiderio di difendere l’amata, aveva afferrato quell’arma, scoprendo con enorme stupore di poterla sollevare. Perfino lui stentava a crederci: dopotutto non era mai successo che un barista di Broxton fosse degno di impugnare l’arma di un dio.
Ma lo stupore di entrambi ebbe vita breve, e lasciò il posto all’esasperazione pochi secondi dopo. Nul era riapparso davanti a loro, sospeso nell’aria grazie alle sue ali... apparentemente illeso, nonostante avesse preso un colpo tremendo.
« Sorprendente » dichiarò l’incappucciato. « Non mi aspettavo assolutamente una cosa del genere... eppure, pensandoci bene, è quasi logico che tu sia degno di impugnare quell’affare, Bill. Hai coraggio da vendere, ti sai battere... e sei pronto a sacrificarti per coloro che ami; hai tutte le carte in regola per essere considerato un eroe, insomma... e se non ricordo male, è proprio per questo che ti furono aperte le porte del Valhalla, in passato. Be’, congratulazioni, ragazzo... ora hai il potere di Thor tra le tue mani! »
Bill e Kelda tornarono in guardia ancora una volta. Ormai era chiaro, nonostante le chiacchiere Nul era ancora una minaccia per loro... ma avrebbero continuato a combattere senza timore.
« Ora sì che diventate ai miei occhi dei buoni avversari » aggiunse Nul in quel momento. « Sia chiaro, nonostante tutto vi voglio morti... perché questo non cambia niente. Anzi, mi rende ancora più facili le cose... perché la mia forza proviene da quella del mio nemico! »
La mossa successiva dell’incappucciato lasciò Bill e Kelda di stucco. Sulle mani di Nul, infatti, era apparso un martello, identico in tutto e per tutto a Mjolnir; l’arma emetteva scariche elettriche, come se a impugnarlo fosse il Dio del Tuono in persona.
« Come diavolo è possibile? » protestò Bill, fissando la scena esterrefatto. « Perché ora ci sono due martelli? »
« Non lasciarti ingannare, William » spiegò Kelda. « Esiste un solo Mjolnir. Nul è semplicemente in grado di replicare i poteri e le armi altrui, come abbiamo già potuto constatare. Costui non è altro che un volgare imitatore! »
« Heh... può anche darsi » ammise Nul. « Ma guardate fin dove posso arrivare con le imitazioni! »
Spalancò le ali e volò ancora più in alto, mentre sollevava al cielo il martello. Il cielo si fece ancora più scuro, tuonando in modo minaccioso, e fulmini in grande quantità vennero fuori dalle nuvole; si abbattevano tutti su Mjolnir, come attirati da un parafulmine, caricandolo di energia. Tutto il cielo sembrava agitarsi al comando del martello, e i tuoni parevano una grande orchestra guidata dal suo direttore.
« Non avresti dovuto prendere quel martello, Bill! » gridò nel frattempo. « Mi ha permesso di fare questo... perché io, a differenza di te, so tutto ciò che c’è da sapere sul potere di Mjolnir! Io so tutto! So tutto di Thor, e di Odino e di Asgard... e so tutto di voi due! La vostra storia era così bella... e mi dispiace che abbia avuto vita breve. Ma tutto deve finire... e così sarà! »
Nul si apprestava a concludere lo scontro, sferrando un colpo micidiale da cui i due amanti non potevano difendersi. Bill e Kelda ne furono consapevoli, ma non per questo si lasciarono abbattere dallo sconforto. Restarono in piedi tenendosi ancora per mano, fissando il nemico sopra di loro.
« Sei pronto, William? » domandò Kelda.
« Uhm... direi di sì. Mi dispiace, ma purtroppo non credo di poter respingere quell’attacco. Ha ragione lui, non so niente di Mjolnir... non saprei come fare... »
« Non importa. Hai fatto abbastanza... anzi, hai fatto molto di più. Hai combattuto per me, proprio come un tempo... e ne sono felice. »
La dea gli rivolse un sorriso dolce, che Bill si trovò a ricambiare.
« Be’... tanto vale resistere finché possiamo, allora » disse l’uomo. « Non mi va proprio di dare soddisfazione a quel maledetto, sei d’accordo? »
« Lo sono, William. »
« Bene. Sai, dopo l’esperienza nel Valhalla non mi spaventa l’idea di morire di nuovo. Però... non mi era mai capitato di vivere un’avventura del genere. Spero che Nul abbia torto su quella storia del nulla in cui finiremo... e sull’amore. »
Kelda posò l’altra mano sulla guancia di Bill, accarezzandogliela di nuovo. Continuava a sorridere fiera, nonostante fosse vicina la fine.
« Non temere, William » gli disse. « L’amore non è illusione, come Nul crede. L’amore è speranza. Lo è sempre stato, e lo sarà sempre. Un’eterna speranza... una promessa di gioia e pace per tutti coloro che credono nell’amore. Per noi è stato così, in fondo... anzi, lo è ancora. Perciò non temere, amore mio... noi resteremo insieme, qualunque cosa accada. »
Il vento iniziò a vorticare fra i due, evocato da Kelda come protezione. Bill, incoraggiato, sollevò il martello, il quale si caricò di energia; l’ultima difesa prima di scomparire per sempre. Lo sapevano entrambi, era la fine... ma non sarebbero fuggiti.
« Addio » sentenziò Nul, abbassando il martello. Un fulmine enorme fu scagliato contro il suolo, un grande fascio di luce mortale pronto a distruggere per sempre i due amanti; e con loro, tutta l’area. Bill reagì nello stesso istante: un fulmine scaturì dal Mjolnir originale, dritto verso l’alto: la sua potenza bastò per fermare l’avanzata del colpo di Nul, impedendogli di raggiungerli.
Ma l’attacco di Nul si rivelò comunque più forte. Bill lo sapeva, non aveva alcuna speranza per respingere il colpo e restituirlo al mittente. Ma non intendeva mollare per questo, e continuò a resistere, deciso a combattere fino all’ultimo respiro. Al suo fianco, Kelda lo proteggeva, usando tutto il suo potere di asgardiana.
Era così bella, così forte. Bill ripensò al passato, e con orgoglio ammise di non avere alcun rimpianto: non si sarebbe mai pentito di essere giunto ai piedi della splendente Asgard con un mazzo di fiori per Kelda. Certo, forse avrebbe preferito non colpirla in fronte con una pietra per farle avere i fiori... ma per il resto era felice per come fossero andate le cose. Fino ad Asgard, per lei, poi fino a Latveria... e poi nel Valhalla.
Per lei.
Bill Terzo, l’uomo che aveva conquistato il cuore di una dea. C’era di che andarne fieri, dopotutto.
Così, mentre il fulmine del suo martello perdeva potenza, e quello di Nul avanzava spietato contro di loro, Bill si voltò a guardare la sua amata per l’ultima volta, catturando le sue labbra in un ultimo bacio. Lei rispose ad esso, e fu un piacevole oblio... lungo come un istante, breve come un’eternità... mentre la luce li avvolgeva entrambi, conducendoli verso la fine.
Un’eterna speranza.
 
Poco più tardi, era tutto finito. Nul aveva lasciato quella landa desolata, raggiungendo un luogo completamente diverso: un’area che un tempo doveva essere stata un parco pubblico o qualcosa del genere, ormai in rovina. Dove un tempo sorgevano alberi e giostre per i bambini, ora spuntavano dal terreno grossi pilastri di cristallo. Al loro interno, in ognuno di essi, erano rinchiusi coppie di persone, stretti in un abbraccio caloroso.
Nul camminava in mezzo ad essi, portando con sé due corpi: quelli di Bill e Kelda, sue ultime vittime. Anche se a malincuore, aveva deciso la loro sorte fin dall’inizio... fin da quando aveva notato la loro presenza su Oblivion. Nel mondo da cui provenivano, quello di Thor, non erano stati molto importanti: il loro amore, nulla più che una breve storia di contorno... ma che per qualcuno era rimasta nel cuore. Non erano stati dimenticati del tutto, per questo erano sopravvissuti nell’abisso dei mondi distrutti.
Ecco perché meritavano una degna sepoltura, secondo la Volontà Suprema.
Nul non poteva far altro che obbedire agli ordini. Perciò, una volta atterrato tra i feretri di cristallo, non fu sorpreso di trovare un piedistallo vuoto pronto all’uso: lo raggiunse subito, posandovi sopra i corpi di Bill e Kelda. Nonostante avessero preso in pieno un fulmine d’immane potenza, non erano andati inceneriti... ma esso aveva comunque tolto loro la vita.
Nul alzò lo sguardo. Qualcosa cadde giù dalle nuvole in quel momento: una piccola scintilla di luce, come una goccia di sole, che si posò esattamente sul piedistallo. Esso fu avvolto per alcuni secondi da un bagliore intenso; quando svanì, Nul poté vedere un nuovo feretro di cristallo davanti a sé: Bill e Kelda riposavano ora al suo interno, stretti in un abbraccio reso eterno da una forza ignota. Ai piedi del cristallo spiccava inoltre una targa con su scritta un’epigrafe in lingua italiana.
 
Bill Cobb III, l’uomo che amò una dea.
Kelda Grantempesta, la dea che amò un uomo.
Insieme per sempre, anche dopo la morte.
Insieme per sempre, anche alla fine di tutto.
 
Nul sospirò, amareggiato. Un’altra coppia di eroici amanti riposava ora nel Giardino dell’Eterna Illusione, per mano sua. Era costretto a farlo ogni volta che la Volontà Suprema glielo ordinava... ogni volta che aveva a che fare con storie romantiche rimaste nel cuore di suo padre. Storie a cui, per qualche motivo, Egli si degnava di rendere omaggio anche laggiù, nell’abisso in cui precipitavano tutti i mondi e le loro storie.
Non lo faceva con piacere. Nul li invidiava, dal primo all’ultimo. Ogni eroe che riposava in un cristallo stretto alla sua amata aveva qualcosa che lui non aveva mai ottenuto... e che non avrebbe mai assaporato. Amore... ciò che aveva fatto sorridere con orgoglio tutti quegli eroi fino all’ultimo respiro. Ciò che li aveva tenuti in piedi fino alla fine, proprio come Bill e Kelda.
Nul li invidiava... e avrebbe continuato a invidiarli fino alla fine.
Perché valeva la pena vivere in quell’illusione per cui tanto lottavano.
   
 
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