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Autore: Trick    25/08/2016    3 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Sono mortificata per questo ritardo, avevo ampiamente sopravvalutato la mia capacità di trovare del tempo libero. Purtroppo sto lavorando a questi capitoli un po' di getto, un po' perché sennò non ne esco più viva e un po' in ricordo della prima versione di questa storia, quando avevo sedici anni ed era tutto un premere sulla tastiera senza esattamente curarsi di cosa stavo combinando... vogliate perdonare il mio ritorno all'adolescenza.

 

 


Quando si era ritrovato per la prima volta al cospetto dei Figli aveva appena diciotto anni e ogni suo tentativo di convincerli ad appoggiare Silente nella guerra contro Voldemort era stato vano. Erano considerate le più sagge autorità della civiltà dei licantropi anche fuori dalla Fossa, nei pochi clan rimasti in piedi dopo l'irrigidimento delle leggi del Ministero della Magia, ma Remus aveva sempre riconosciuto lo spettro della paura in ognuna delle loro decisioni più ponderate.

Erano dei vecchi, erano polverosi – erano destinati a sparire – ma al momento rimanevano ancora l'unica possibilità che Remus avesse di farsi davvero ascoltare all'interno della Fossa.

Lo spettro della paura, si ripeté per l'ennesima volta mentre avanzava oltre le fila di catacombe a sud, ecco cosa davvero distruggerà questo posto.

Il Senato dei Figli si riuniva oltre le tombe, dove l'aria era più rarefatta e la pietra più gelida e scura. Non vi era altro modo di raggiungerli se non quello di superare i morti.

“È tradizione” gli aveva spiegato Gerwulf molti anni prima. “Il Senato decide chi va e chi resta, chi ha ragione e chi ha torto: nessuno mente di fronte a loro, perché lo sguardo dei morti segue ogni menzogna per farcela pagare nell'aldilà”.

“Decidete tutto voi?“ aveva chiesto cautamente Remus. ” E la gente qui sotto... non dice mai nulla”.

“Sono passati molti anni da quando qualcuno ha sollevato obiezioni contro i Figli”.

“Cosa gli è accaduto?”.

Remus non avrebbe mai dimenticato il sorriso storto sul volto allora più giovane di Gerwulf.
“Mi hanno sbattuto fuori per quindici anni”.

«Li avete sepolti qui?» domandò all'improvviso Remus mentre superavano le ultime file di tombe.

Gerwulf gli rivolse un'occhiata eloquente. Non c'era bisogno di chiedere di chi stesse parlando.

«Certo che sì».

Un uomo dal viso butterato e una giovane con i capelli legati in due piccole trecce rossicce facevano la guardia al largo arco di pietra che conduceva al Senato. Remus non riconobbe l'uomo, ma la ragazza gli rivolse un sorriso amichevole, scoprendo i denti sporgenti.

«Ben tornato, Mastro Lupin» gli disse.

«È bello rivederti, Ardesia».

Lei sollevò appena le sopracciglia, come se fosse stupita di scoprire che dopo tutti quegli anni ricordava ancora il suo nome. Remus rispose con un sorriso gentile. Non aveva mai dimenticato nessuno dei suoi studenti – maghi o licantropi che fossero.

«Immagino che tu non conosca Ford, Damerino» disse Gerwulf. «Si è unito a noi dopo che te ne sei andato. Risparmia i convenevoli, tanto non gli piaceresti comunque».

L'uomo chiamato Ford emise un grugnito arrabbiato. Mentre oltrepassavano l'arco, Remus si avvicinò a Gerwulf.

«Ed è sempre così amichevole con tutti?».

«Di solito non grugnisce».

«È una cosa buona?».

«No, ma almeno non ti ha steso. Tu non piaci a molti qua sotto, Damerino» gli ricordò lapidario. «Non stupirti se la tua fama di cane corre più svelta delle tue moine».

Remus sospirò rassegnato, ma decise di lasciare perdere. Aveva problemi più seri dei quali curarsi.

Sopra le loro teste si apriva un soffitto che svaniva nell'oscurità di quella grotta scavata dai secoli. Poche torce circondavano il perimetro circolare e illuminavo le figure curve dei tre Figli seduti sui loro troni. L'ultimo era vuoto, ma Gerwulf, come da triste abitudine, non si accomodò e si appoggiò stancamente alla parete rocciosa.

I Figli non sembravano cambiati nel loro grigiore: saldi e rigidi sui loro troni di pelle e lacera stoffa, con la vecchiaia ad appesantirgli lo sguardo e a rendergli gracchiante la voce.
I capelli di Odéon, il più anziano fra i tre, erano talmente lunghi da sfiorargli i piedi nudi che spuntavano oltre la lunga veste scura.

«Quando ci hai convocati, Gerwulf, non ci hai detto che era per lui» proclamò con voce grave Odéon.

«Certo che no, o non lo avreste mai ascoltato» rispose lui con tono sfacciato.

Remus storse il labbro. E meno male che Gerwulf gli aveva garantito di aver sistemato la situazione prima del suo incontro. Portò una mano al petto e si inchinò in avanti, come aveva imparato tanti anni prima.

«I miei omaggi al Senato al quale domando udienza».

«Non ti è stata concessa alcuna udienza» proclamò Argon, seduto alla sinistra del cugino più anziano.

Era più basso di Odèon e la barba grigia copriva il corpo scarno e vecchio. Si artigliava al trono con mani tanto sciupate da sembrare avvizzite in uno stagno verdastro. Dall'altra parte Callista lo scrutava con espressione curiosa. Gli rivolse un sorriso talmente leggero da svanire nell'intrigo di rughe che le solcavano il volto.

«Giovane Lupin, temevo che non sarei vissuta abbastanza a lungo per vederti seppellito dalla tua stessa scelleratezza».

Remus rispose al suo sorriso. Era una vecchia profondamente saggia, sebbene artigliata alle leggi della Fossa con la stessa cieca dedizione del fratello maggiore e del cugino più giovane.

«E ora quella scelleratezza lo ha riportato qui» brontolò Argon, picchiettando nervosamente le dita.

Remus sospirò e mostrò loro i palmi con quieta rassegnazione.

«Miei signori, se solo poteste--».

«No» lo interruppe secco Odéon. «Questo Senato ti ha già perdonato molto. Non abbiamo alcuna intenzione di ascoltarti. Torna a--».

«Io intendo ascoltarlo» tagliò corto Callista. «Per quale motivo sei tornato, ragazzo?».

Remus fece un respiro profondo. Per quale motivo girarci attorno?

«Greyback è vivo».

Il silenzio piombò fra di loro come la lama gelata di una ghigliottina.

«E così Lord Voldemort. Pare che siano già in procinto di stringere una nuova alleanza che vedrà presto le fila del nostro nemico rinfoltite dalle decine di Esclusi che bramano vendetta nei confronti della Fossa».

«Greyback è morto. Le voci del suo ritorno sono solo chiacchiere e bugie» dichiarò Argon.

«Non è morto più di quanto lo siamo noi» continuò Remus. «Dovete credermi, è--».

«Che prove puoi portare a sostegno di questa tua ennesima follia?» chiese Odéon.

Remus tacque.

«Ah, capisco...» riprese il Figlio. «Silente».

«Solo un sordo non darebbe ascolto alle sue spie».

«Silente non è mai stato nostro nemico» ricordò con calma Gerwulf. «Non che lo reputi amico, ma... è indubbio come non sia schierato dalla parte del Ministero e dei Loschi».

«Sono d'accordo con Gerwulf» annuì Callista. «E ho intuito il motivo del tuo ritorno, Lupin...».

«In tutta umiltà, mia signora, temo di no».

Lei sollevò cauta un sopracciglio bianco.

«Silente mi ha inviato per chiedervi di schierarvi dalla sua parte quando la guerra scoppierà nuovamente – e ormai è davvero questione di pochi mesi, forse poche settimane. Non intendo chiedervelo» disse in fretta, cercando di placare gli animi già in disaccordo dei Figli. «Non è per questo che sono qui. Greyback avrà presto il sostegno degli Esclusi: sfonderà i cancelli prima di quanto non potremmo difenderli e per allora la Fossa sarà perduta. Non sopravviverà nessuno».

«La Fossa non è mai stata violata».

«Ed è questo ad aver reso indolenti le sue difese» ribatté deciso Remus, ignorando una parte di sé che iniziava a domandarsi se non stesse superando il limite. «Quando vi rifiuterete di schierarvi con Lord Voldemort – e so che lo farete con la stessa insistenza con cui non vi siete mai schierati con Silente – non risparmieranno nessuno».

«Mi è difficile crederti, Remus Lupin. Tu stesso hai sostenuto di fronte a noi di aver veduto Fenrir Greyback cadere in battaglia».

«Ho paura di averlo solo visto cadere, mio signore. Nessuno ha mai trovato il suo corpo».

«Dunque, cosa suggerisci di fare, giovane Lupin?» lo derise Odéon. «Vuoi prendere la spada e uccidere il drago? Il nostro popolo non è un popolo di guerrieri. Aspetti che i tuoi amici con le bacchette vengano in nostro soccorso?».

«No, niente del genere. Vi sto suggerendo di scappare prima che sia troppo tardi».

Dopo una pausa raggelante, Argon scoppiò in una risata derisoria, seguito a ruota dal cugino.

Questa è la più grossa follia che ti abbia mai sentito dire».

«Non c'è altra scelta».

«Abbandonare la Fossa...» ripeté Argon con aria sconcertata. «E per andare dove, di grazia?».

Remus intercettò lo sguardo d'avvertimento di Gerwulf, ma voltò il capo e li fissò uno ad uno con espressione risoluta.

«A nord».

«A nord?».

Aveva temuto quel momento più di ogni altra cosa avesse detto in precedenza. Quando parlò, cercò di imporre alla sua voce un tono quanto meno esitante possibile.

«A Jura. Oltre i confini magici che proteggono le terre di--».

«Dai Pelle di Lupo?». Questa volta fu Callista a esprimere sconcerto. «Quelle terre sono popolate da selvaggi».

«Sono Lupi Mannari».

«No, non lo sono!» replicò indignato Argon. «Sono privi di fede e morale, vivono al di sopra delle nostre leggi, compiono sacrifici di sangue alla luna!».

«Lo credevo anche io, mio signore, ma le posso assicurare che non è affatto così».

Di nuovo, piombò il silenzio. Remus capì solo in quell'istante di aver commesso un errore madornale. Perfino Gerwulf lo stava fissando come se non riuscisse a credere a quanto aveva appena udito.

Remus sapeva che ormai era troppo tardi per tornare indietro.

«Ciò che credete di conoscere del popolo del nord non è nemmeno lontanamente vicino alla realtà».

«Hai avuto contatti con i Pelle di Lupo?» domandò Callista con voce atona.

Gerwulf si passò una mano sulla faccia, ma Remus annuì.

«Sì, mia signora».

«Pur sapendo che è assolutamente contro le nostre leggi?».

«Sì, mia signora».

«E pur sapendo che per chi trasgredisce a queste leggi c'è una punizione esemplare?».

«Sì, mia signora».

«Questo è inaccettabile!» gridò Argon. «Non meriti altro che l'esilio!».

«Siete ciechi» continuò Remus, ormai certo di non aver altro da perdere. Si rivolse a Callista e le mostrò i palmi. «Mia signora, siete l'unica che forse può capire la gravità di questa situazione. Se non riuscirete a trovare il coraggio di guardare oltre le pietre della Fossa, ciò che sta fuori vi ucciderà tutti. Sì, è vero...» continuò, ignorando le proteste di Argon e lo sguardo accusatore di Odèon, «...è vero, mia signora, ho deliberatamente trasgredito alle vostre leggi, ma guardatemi: sono qui, davanti voi, vivo. Ho passato diverso tempo al nord - dovevo sapere - e ora posso garantirglielo. C'è speranza di vedere il cielo, mia signora. È una terra vasta e incontaminata, protetta da antiche magie che tengono gli umani ben lontani dalle coste».

«Che eresia! Dovremmo tagliarti la testa» esordì ancora Argon.

«Fatelo!» esclamò con un moto di rabbia Remus. «Tagliatemi la testa e aspettate che Greyback venga a prendersi le vostre».

«Che diavolo...» mormorò Gerwulf. «Qui non si tagliano le teste da almeno cinque secoli».

«Questo Senato ti ha già perdonato molte volte, Lupin...» disse Odèon. «E non intende farlo ancora».

«Lo capisco, signore, ma--».

«Chi è a favore dell'esilio a vita nel mondo di sopra?» concluse con tono insindacabile, alzando un indice. «Io sono a favore».

Argon annuì con espressione severa.

«A favore».

Si rivolsero entrambi nella direzione di Gerwulf, che sembrava intento a recitare un lungo mantra di bestemmie e insulti. Il più giovane dei Figli scosse il capo e allargò le braccia, rivolgendo a Remus un'occhiata infastidita.

«Per quel diavolo che può contare... contrario».

Argon emise uno sbuffo indignato, ma non disse altro. Gli sguardi di tutti si posarono su Callista, che ora teneva in mano le sorti della votazione.

«Sei sempre stato molto abile nel pesare ogni parola, giovane Lupin» disse. «Eppure quest'oggi ti sei espresso senza l'ombra di esitazione, ignorando ogni conseguenza delle tue azioni. Non è da te».

«C'è una guerra che bussa al vostro cancello, mia signora. Il tempo di pesare le parole è ormai finito».

Callista fece un lieve cenno del capo e rimase in silenzio diversi istanti, scrutandolo con feroce intensità.

«Tu non temi l'esilio. Il mondo di sopra è la tua casa più di quanto non lo sarà mai la Fossa... dunque permettimi di dubitare che l'esito del nostro giudizio possa in qualche modo fermarti».

«Non mi fermerò, mia signora».

«Forse dovremmo realmente riconsiderare l'idea di tagliarti la testa».

Remus sorrise con tristezza.

«Forse dovreste».

Callista abbassò lo sguardo.

«A lungo abbiamo lavorato affinché la pace e la serenità dimorassero fra queste pietre e tu potresti essere la voce che le farà crollare. Sono a favore dell'esilio» dichiarò con voce apatica dopo un lungo istante di pausa. «Ma devi credermi, ragazzo... ti auguro tutta la fortuna possibile nel tuo cammino».

Remus infilò le mani in tasca.

«E io la auguro a voi».

Voltò loro le spalle e uscì a passo svelto dall'arco, ignorando la voce di Ardesia che gli domandava come fosse andata l'udienza. Era ormai giunto a metà delle catacombe quando Gerwulf gli piombò addosso come una tigre, scagliandolo con la schiena contro la parete rocciosa.

«Cosa diavolo pensavi di fare, eh!?» ruggì furibondo.

«La cosa giusta».

«La cosa giusta? Ah!». Lasciò la presa e scosse il capo come se fosse stordito. «E cosa speravi di ottenere? Diavolo, Lupin... i Pelle di Lupo!? Quando pensavi di dirmelo?».

«Ora» rispose con ovvietà Remus. «O non mi avresti mai portato dagli altri Figli».

«Tu sei pazzo... e ora sei anche un Escluso, gran bel colpo. A cosa accidenti sarà contato quando quel figlio di una cagna di Greyback scenderà quaggiù, eh?».

«Tu mi credi?».

«Sì, razza di imbecille».

Remus si umettò le labbra.

«Vieni con me a nord dai Pelle di Lupo. Aiutami a trovare un modo per far fuggire gli abitanti della Fossa».

«...prego?».

«Questa è la tua casa, la tua gente... vuoi davvero aspettare che distruggano ogni cosa?».

Gerwulf scosse le mani in segno di diniego.

«No, no, no... io là sopra non ci vengo. E tu sei pazzo – pazzo! La situazione è ancora gestibile, non--».

«Molto bene» tagliò corto. «È il momento di rendere la situazione ingestibile».

Scattò in direzione dell'uscita e iniziò a correre attraverso le catacombe, con le fiamme delle torce che tremavano al suo passaggio. Le urla di Gerwulf non gli arrivavano troppo distanti: voltò indietro il capo e vide il profilo dell'altro licantropo inseguirlo come una furia.

Sbucò nella piazza del Mercato, rischiando di travolgere un paio di uomini lì davanti. Si aprì un varco fra la gente quasi a spintoni, ignorando ogni protesta, e si catapultò davanti alla tenda di Wallace O'Leary.

«Ehi, Lupin!» esclamò l'uomo. «Che stai--?».

«Prendo questa in prestito!».

Afferrò una cassa di legno alta almeno sessanta centimetri e la trascinò quasi fino al centro del Mercato. Vi salì sopra con un salto agile nello stesso momento in cui Gerwulf usciva dalla galleria delle catacombe con il fiato rotto dalla corsa.

«Lupin...!» strepitò invano. «Non farlo!».

Remus gli rivolse un'occhiata di scuse. Aveva deciso di farlo ancor prima di parlare con i Figli. Certo, non aveva pensato che lo avrebbero esiliato, ma aveva messo in preventivo che mai e poi mai avrebbe potuto vantare del loro appoggio. C'era solo una cosa che poteva salvare la Fossa: la paura.

«Uomini e donne della Fossa!» urlò a gran voce. «Sono Remus Lupin e so che molti di voi non vorrebbero ascoltarmi, ma temo di non potervi lasciare altra scelta». Fece un respiro profondo. «Fenrir Greyack è vivo». Un boato di esclamazioni spaventate si levò dalla folla che si era radunata attorno a lui. «Sta radunando un nuovo branco che si arricchirà presto delle decine di Esclusi che sono stati esiliati dalla Fossa negli ultimi quattordici anni. E quel che è peggio...».

«Lupin!» urlò ancora Gerwulf. «Non statelo a sentire, non--».

«...è che anche Lord Voldemort è vivo. Sì, proprio lui. Il mostro che appendeva per i piedi i Lupi Mannari che si rifiutavano di seguirlo e li faceva scuoiare da Macnair – il boia dei Loschi, esatto, a quanti di noi la sua ascia ha già mozzato la testa?».

«Quel figlio di puttana!» strillò una donna. «Dicono abbia appeso la testa di mio fratello al Ministero della Magia!».

«Lui è il cane di Silente!» protestò un vecchio. «Non dategli ascolto, lo hanno mandato i Loschi! È qui per fregarci!».

«Sì, è vero, sono il cane di Silente» rispose con prontezza Remus. «Ma non sono io il bastardo che quattordici anni fa ha convinto i vostri ragazzi che avrebbero conquistato il mondo di sopra insieme a Voldemort. Non sono io, il bastardo che si è riparato con i loro corpi durante le battaglie, non sono io che li ho venduti ai Mangiamorte come carne da macello». Indicò con decisione le tortuose scale di pietra che conducevano fuori dalla Fossa. «Quando Greyback sfonderà i nostri cancelli si porterà dietro decine e decine di Mangiamorte. Cosa farete contro le loro bacchette magiche? Di questo posto non rimarranno che polvere e cenere».

Nonostante gli sguardi spaventati, la maggior parte della gente sembrava ancora decisa a non fidarsi di lui. Remus non poteva dar loro torto: erano trascorsi anni da quando era rimasto sotto terra abbastanza a lungo da farsi qualche vero amico e anche allora la diffidenza verso di lui era stata tanta.

«Vi dico che lo mandano i Loschi! Guardatelo, guardatelo! Con quegli occhi da Losco che ha, io dico di non fidarsi!».

«Invece ha ragione!» strillò un'altra donna. «Dobbiamo fare qualcosa! Non possiamo permettere a quei maghi di entrare!».

«Però abbiamo fatto entrare lui» commentò con ferocia un uomo dai baffi scuri vicino a lui. Remus non ricordava di averlo mai visto. «Non è uno di noi, lui usa la magia!».

«È vero!».

«Sì, buttiamolo fuori!».

La folla iniziava a scaldarsi e Remus iniziò a pensare che quella non era stata esattamente una delle sue idee migliori.

«Vi imploro di ascoltarmi, non--».

«Cane! Cane! Cane!».

«Ora basta».

La vecchia Mabel si fece largo fra la gente accalcata e si fermò a pochi passi da Remus, rivolgendogli uno sguardo perplesso.

«Scendi da quel trespolo, Lupin: non sei un pappagallo».

Remus alzò le mani in segno di resa e saltò giù dalla cassa.

«Statemi bene a sentire, tutti voi!» tuonò con voce decisa. «Vent'anni fa questo piscialetto è venuto fra noi per avvertirci che Fenrir – il nostro dannato Capo di Caccia, non un moccioso qualunque – stava progettando di far fronte comunque con dei maghi. E non lo abbiamo voluto ascoltare, perché aveva il puzzo del cane addosso... e avevamo ragione, puzza ancora di cane».

Remus stava per aprire la bocca, quando si sentì agguantare alla spalle. Gerwulf gli piantò un pugno nei reni che gli mozzò il fiato e lo fece piegare in due.

«Gerwulf, sto parlando!» protestò Mabel.

«E allora piantala subito e non aumentare le rogne».

I due licantropi si squadrarono l'un l'altro con aria minacciosa.

«Fottiti, Gerwulf: Lupin ha ragione» tagliò corto la vecchia. «Aveva ragione anche la prima volta, anni fa!» si rivolse ancora agli altri Lupi Mannari. «Ma, dicevo, non lo abbiamo ascoltato. E Greyback si è portato via trenta dei nostri ragazzi! Voi non c'eravate, non siete saliti con lui per riportarli a casa... siete rimasti qua, ad aspettare che altri muovessero il culo al posto vostro».

Si levò qualche leggera protesta.

«E poi, quando è venuta quell'epidemia di febbre e i nostri bambini hanno iniziato a morire... questo damerino è tornato quaggiù pieno di stramberie fatte con la magia, e quella magia li ha salvati. Ed è rimasto qua, ha insegnato a leggere e scrivere ai ragazzi – pure a me, e sono diventato perfino brava». Storse il naso con aria prepotente. «Sì, avete ragione: è un cane della peggior specie. Si veste come un umano, puzza di umano, scommetto che se ne è perfino scopato qualcuna, di quelle là... ma non azzardatevi a dire che è qui per fotterci. Remus non ci ha mai voltato le spalle, non ci ha mai mentito. Forse non è uno di noi, ma di sicuro è con noi... e ora lo ascolterete, o prenderò a calci ognuno dei vostri sederi».

Incrociò le braccia al petto e si voltò con fierezza verso Remus, che stava giusto iniziando a riprendere fiato dopo il pugno di Gerwulf.

«Allora, Lupin?» insistette la donna di poco prima. «Cosa proponi di fare?».

Alle sue spalle, Gerwulf emise un verso saccente. Evidentemente fremeva dalla voglia di vederlo spiegare al resto della Fossa la sua malsana idea di viaggiare verso nord.

«Non possiamo combattere né Greyback né Voldemort. Dobbiamo fuggire. Ho bisogno di volontari che abbiano la forza e il coraggio di seguirmi nel mondo di sopra, alla ricerca di una terra lontana dagli umani in cui possiamo trovare rifugio».

Un fremito sbalordito scosse la folla, ma Remus continuò.

«So che è una follia... ma l'unica altra scelta è la morte».

«E dove andremo?» chiese Wallace O'Leary.

Remus si grattò incerto la barba.

«Dai Pelle di Lupo» rispose al suo posto Gerwulf. «Oh, sì, avete sentito bene. Questo imbecille vuole portarci fra i ghiacci del nord, insieme ai Pelle di Lupo!».

«Cazzo, Lupin» commentò Wallace. «Questo è folle pure per te».

«No, no, no, aspettate!» li interruppe Remus. «Io li ho visti. Sono stato al nord, ho conosciuto le loro abitudini... non sono le creature spaventose che riempiono le storie. Erano spaventati quando mi hanno visto. Capite? Avevano paura di me. Avete passato tutta la vita a temere i Pelle di Lupo, mentre il vero nemico sono le pietre che vi tengono qua sotto. Quante volte avete desiderato vedere il cielo? Quante volte la rabbia vi ha vinto mentre pensavate a quanto ingiusta fosse questa vita arrangiata con scarti degli uomini? Quante volte?».

Nessuno rispose.

«Possiamo aiutarci a vicenda: fra di voi ci sono abili conciatori, fabbri, mastri cerusici. Loro hanno imparato a coltivare la terra più sterile e cacciano davvero, non rubano il cibo dai cassonetti degli umani». Indicò il mosaico di stelle che si allargava sulle loro teste. «Potreste vederlo ogni notte per tutte le notti in cui vivrete... o potreste restare e aspettare Greyback».

Gerwulf schioccò la lingua.

«E chi ti dice che saranno d'accordo con il tuo progetto di gloria e prosperità?».

Remus gli rivolse uno sguardo eloquente.

«Figlio di cagna...» mormorò Gerwulf. «Ne hai già discusso con i Pelle di Lupo. Era il tuo piano fin dall'inizio!».

«Almeno lui ce l'ha, un piano» replicò acida Mabel.

«Servono volontari che mi accompagnino nel viaggio verso Jura, dalla quale poi potremmo organizzare i primi gruppi che lasceranno la Fossa» li ignorò Remus. «Non vi mentirò: non sarà facile. Dovremmo mescolarci fra gli umani senza attirare l'attenzione dei Loschi – o che Dio non voglia, di Greyback e Voldemort – e dovremmo farlo in fretta. Capirò chiunque vorrà tirarsi indietro».

«Aye, io vengo» proclamò deciso Wallace, battendo una mano sul grosso addome. «Non sia mai che ti infili in un altro casino».

«Grazie, amico mio».

«Vengo anche io!» esclamò entusiasta Ric, sbucando alle spalle di Wallace.

«Te lo scordi, ragazzo. Tu stai qua a mandare avanti la fornace. Che credi? Che ammazzeremo Greyback con un bel sorriso?».

Il ragazzo abbassò deluso lo sguardo. Remus gli posò una mano sulla spalla.

«Ti sono grato, Ric, ma Wallace ha ragione: la Fossa va armata e ora sei l'unico che può organizzare un'armeria. Puoi farcela?».

Ric sorrise, facendo comparire un'orrenda piega sulla faccia, dove la cicatrice gli divideva la guancia.

«Aye, Mastro Lupin, ai suoi ordini».

«Chi è il prossimo, branco di cacasotto?» esclamò Mabel. «Io andrei, ma la mia anca non si muove più come una volta».

«Io!» esclamò una vocetta acuta fra la folla.

I licantropi si scansarono per far passare Lydia, che aveva ancora la bocca sporca del cibo che aveva mangiato a colazione.

Wallace scoppiò a ridere.

«Lydia, non--» le disse Remus con tono gentile, ma lo sguardo della bambina si era già accigliato. «C'è un compito speciale per te. Vedi quel ragazzo alto dietro di me?» le sussurrò in un orecchio. «È tanto bravo quanto pigro... il tuo compito è quello di farlo lavorare duramente, pensi di farcela?».

Lydia non sembrava molto convinta, ma non protestò oltre e si avvicinò a Ric, che sembrava estremamente divertito.

«Hai capito?» gli disse con voce impavida. «Io ti faccio lavorare».

Ric rise.

«Sembra molto facile, ora che ne stiamo solo parlando...» brontolò Gerwulf.

«È per questo che verrai con noi» gli disse Remus.

«Scordatelo».

«Sei l'unico a parte me che abbia studiato gli umani abbastanza a lungo da attraversare l'intero paese senza farci scoprire. Credevo che anche tu nutrissi il desiderio di lasciare la Fossa».

«È stato molto tempo fa, Damerino».

«Hai davvero smesso di desiderarlo?».

Gerwulf lo squadrò con un piglio infastidito, ma non rispose.

«Verrò anche io».

Remus sentì il sangue gelare mentre Anita faceva un passo in avanti con espressione fiera. Il Mercato piombò nel silenzio. Lo sguardo della donna faceva presupporre che fosse già pronta per la battaglia, ma l'attenzione di tutti era ormai su Remus. Lui inclinò piano il capo, incerto sul da farsi.

L'ultima volta in cui si erano incontrati, quattordici anni prima, Anita aveva cercato di ucciderlo. Remus non era rimasto a guardare: sapeva che entrambi portavano ancora i segni di quel duello.

«Che dici, Lupin?» insistette lei.

«Va bene» disse brevemente. Avrebbe avuto un sacco di tempo per rimpiangerlo. «Nessun altro?».

«Viene pure Gordon» annunciò Mabel.

«Eh? Cosa?» protestò l'uomo con espressione scioccata. «Oh, no, maledetta vecchia, io no non mi faccio prendere dai Loschi!».

«Ho detto che vai, piantala».

«Partiremo fra un paio di giorni» disse loro. «Datemi il tempo di procurare un po' di documenti falsi per non insospettire gli umani».

Un mormorio insistente si levò dalla folla – difficile stabilire se fosse più d'approvazione o di biasimo per la scelta fatta.

«Gerwulf?».

«Che vuoi, Damerino?».

Remus si guardò le mani.

«L'ultima volta in cui ho promesso che sarei andato di sopra a sistemare le cose ho fallito... non voglio fallire di nuovo».

Nonostante la stizza, Gerwulf parve colpito.

«Non è stata colpa tua. Greyback se li è portati via... te almeno ne hai portato indietro qualcuno».

«Morti».

«Anita era viva».

Remus lanciò un'occhiata distratta alla donna, che si era appartata in un angolo a fumare con aria placida da una lunga pipa.

«A tal proposito, Gerwulf...».

«No, non credo che ti ammazzerà, ma di sicuro ci renderà il viaggio un inferno».

«Ci renderà?» ripeté Remus, mentre un largo sorriso di gratitudine gli illuminava il viso.

«Oh, vaffanculo, Damerino».

Remus si passò una mano fra i capelli. Gordon gli fu addosso in un lampo, agitato e spaventato, e iniziò a elencargli i motivi per cui sarebbe stato un peso per tutto il gruppo.

«Mi spiace, Gordon» mormorò Remus in tono sincero. «Non me la sento di far arrabbiare Mabel».

Mentre piano piano la folla si disperdeva, Remus notò una curva figura bianca che lo fissava dall'ingresso della gallerie delle catacombe. Non ne era certo, ma credette di scorgere un leggero sorriso soddisfatto sul viso della vecchia Callista.








°°°

 

 

 


Inutili note di fine capitolo:

    1. Nella (brutta) versione originale, Remus si reca nell'isola di Jura, a nord della Scozia e si infiltra nel clan di Greyback. Oggi, nonostante io sia ancora (molto) scema, ho deciso che quell'idea era assurda e dipingeva delle creature che per abitudini non sarebbero mai potute diventare personaggi potenzialmente positivi dal punto di vista morale, cosa che invece sto cercando di ottenere in questa nuova versione con licantropi decisamente più simili a Remus che a Greyback. Più o meno. Vabbe', tutto questo per dire che mi dispiaceva non poter sfruttare un po' di insana natura selvaggia, perciò... beh, Jura c'è ancora, ma non è più Jura, l'ho presa - poveretta - e l'ho spostata ancora più a nord, mantendendole comunque il nome. Eh, chiamatela nostalgia, chiamatela crisi di mezza adolescenza.



   
 
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