Fanfic su artisti musicali > The 1975
Segui la storia  |       
Autore: imunfjxable    26/08/2016    1 recensioni
" I know when you're around cause I know the sound of your heart"
"So quando sei nei paraggi perché conosco il suono del tuo cuore"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8.Oh shit


 

 

 

Cosa fai quando non riesci a sfogare tutte le tue emozioni? Matty se lo domandava sempre. Come fai quando la musica non basta, le lacrime non escono, e le urla ti muoiono in gola?
Non era mai stato bravo a sfogarsi. Teneva sempre tutto per se, era una persona riservata, evitava di parlare di come stesse anche se lui era il suo argomento preferito.
Semplice «narcisismo idealista» spiegava lui. Era l'idea che aveva di lui a piacergli, non la sua versione reale; bensì quella romanzata, quella studiata in ogni minimo particolare, resa bella dalla poesia che si era costruito nella sua testa curandola con maniacale precisione quasi fosse il progetto di una grande scultura.
Era nella sua stanza, a fumare l'ennesima sigaretta- dopo che Océane gli aveva detto di non farlo- con gli occhi fissi sul soffitto, stava fissando da così tanto il nero uniforme della stanza che per un attimo credette di essersi addormentato, eppure la centrifuga d'emozioni che aveva nello stomaco, quel fuoco che aveva dentro ardeva e non lo lasciava riposare.
Océane aveva l'acqua scritta nel suo nome, ma forse, nemmeno lei sarebbe mai riuscita a spegnerlo.
L'aveva intuito subito che Matty era il suo antipodo, e ne fu sicura quando estrasse quella sigaretta sul ponte. Océane dormiva profondamente mentre si rigirava tra le lenzuola fredde del letto posto sotto la finestra della sua stanza. Intanto, Mia, continuava a nuotare nella sua boccia.
Matty riuscì a prendere sonno soltanto quando il sole sorse. Dormiva come al solito raggomitolato, abbracciato al cuscino che stringeva sia tra le braccia che tra le gambe. Allen era accanto a lui, il suo alito caldo solleticava la pelle di Matty, si mosse un po' e i suoi ricci caddero sul pelo del suo cane che gli leccò la faccia. Aprì gli occhi nuovamente, esausto per la lunga notte insonne e si rigirò nel letto, stingendo quel cuscino un po' più forte e osservandolo attentamente. Lo girò di lato e ne disegnò il contorno con le dita, ad occhi chiusi, mentre immaginava che li ci fossero i fianchi di qualche ragazza.
Sospirò profondamente, portando la mano destra sul comodino in modo da afferrare le sigarette e ne estrasse una dal pacchetto con i denti.
L'accese e accarezzò Allen, che continuava a leccarlo ovunque facendolo ridere- soffriva tanto il solletico.
I suoi occhi studiarono il suo appartamento attenti, come se lo stessero vedendo per la prima volta.
Matty amava stare da solo. Scrivere da solo, prendere il tè da solo, camminare o fumare da solo. Aveva sempre avuto bisogno dei propri spazi, non era mai stato particolarmente affettuoso e anche quando teneva veramente a qualcuno  aveva necessariamente bisogno di passare un po' di tempo da solo.
Eppure, quando camminava e vedeva un bambino con la propria madre, quando vedeva Edith e Edward che si baciavano, quando vedeva Ross e George scherzare assieme con Adam senza avere bisogno dei propri spazi capiva che a volte doveva stare da solo, ma non gli piaceva essere solo.
Per quanto ci provasse però, il contatto umano non era una cosa nella quale eccelleva particolarmente. Aveva avuto la capacità di mandare all'aria relazioni perfette a causa della sua maledetta testa, dei troppi pensieri che l'abitavano. Del suo sentirsi limitato, oppresso, a disagio perché l'etichetta di fidanzato gli stava stretta e non voleva essere costretto a dipendere da qualcuno.
C'erano giorni in cui- da fidanzato- andava dalla sua ragazza, la coccolava, parlavano, facevano l'amore; ma c'erano giorni in cui lui non riusciva a rispondere alle sue chiamate, uscire con lei era un obbligo piuttosto che un piacere, ed era così esausto della sua voce e delle sue parole inutili.
Ci fu un giorno dove la sua (ex) ragazza disse «finiamola qui» ed era sempre la stessa storia con tutte.
Ma il problema era decisamente lui, e lo sapeva. Scostò gli occhi dalla sua stanza, smise di studiare il modo in cui l'ombra della lampada si stagliava sulla parere giallastra, e fissò il pelo marrone di Allen. Lui ci sarebbe sempre stato.
«Vieni qui bello» lo richiamò, e si addormentò nuovamente, alle dieci del mattino, con Allen tra le braccia, mentre gli stringeva la zampa destra.

La notte di Edith invece, era stata ben diversa, così come quella di Edward.
Si era svegliato di soprassalto nella notte, era rimasto a rigirarsi nelle coperte con gli occhi azzurri arrossati per le lacrime trattenute, odiava piangere.
Cercò di resistere per un po' e stette circa quaranta minuti seduto a fumare un intero pacchetto, ciccando con noncuranza sul pavimento, mentre il suo corpo continuava ad essere percorso da brividi e la testa gli martellava. Chiamò Edith.
La sua voce assonnata giunse chiaramente alle sue orecchie, si pentì subito di averla chiamata, avrebbe dovuto lasciarla stare, farla riposare, piuttosto che infastidirla con i suoi problemi- ma lui era un debole.
«arrivo»
Non gli diede nemmeno il tempo di dire qualcosa che subito capì e poco dopo Edith era già davanti la porta. Edward si alzò e le aprì mentre divorava l'unghia dell'indice della mano destra. Edith entrò e si sfilò le scarpe, restando con i suoi calzini grigi fino alla caviglia che Edward adorava, perché le rendevano il piede ancora più fine di quanto già non fosse. Aveva i pantaloni della tuta nera, e un maglioncino leggero grigio (a notte fonda a Londra faceva un po' freddo) dalle cui maniche lunghe uscivano le dita affusolate. Quelle della mano destra si posavano sulla manica della borsa nera che le aveva regalato e lei estrasse da quest'ultima dei biscotti al cioccolato fondente e un pacchetto di Marlboro Light, le sue preferite.
Senza dire una parola si stesero sul letto, mangiando in silenzio, interrotti soltanto dai numerosi sbadigli di Edith che aveva la testa poggiata sul petto di Edward. Chiuse gli occhi e si addormentò improvvisamente mentre le braccia del suo ragazzo le circondarono il corpo esile e i suoi occhi blu intenso la scrutavano nel buio della stanza illuminata scarsamente dalla luce del bagno (lasciavano accesa sempre quella perché le altre erano troppi forti e davano fastidio).
Edward le baciò una guancia, senza smettere di guardarla.
Iniziò a piangere in silenzio. Senza un preciso motivo. La guardava e piangeva, asciugandosi con il dorso della mano velocemente le lacrime che avevano avuto la meglio su di lui.
Le accarezzò il viso, tenendola stretta tra le sue gambe, con la sua schiena poggiata sulla sua pancia e la sua testa sul suo petto.
Edith aprì gli occhi improvvisamente.
«cazzo Ed mi sono addormentata, scusami» ma lui la zittì baciandola lentamente.
«non riesco a dormire Edith. Non ne posso più»
«non hai preso i sonniferi?» ed Edward scosse il capo, rabbrividendo al solo pensiero delle pillole bianche che erano nel barattolo sull'ultimo scaffale del bagno- le aveva messe lì a posta: era lo scaffale più alto e non ci sarebbe arrivato facilmente.
«parliamo un po'» le disse «com'è andata a danza oggi la lezione?» e vide gli occhi di Edith ingrandirsi improvvisamente, scorse una scintilla in tutto quel buio e non era dell'accendino che lei stava usando per dare fuoco alla sigaretta che aveva appena preso. Erano semplicemente i suoi occhi, e non li aveva mai visti così luminosi.
Iniziò a parlare a raffica, come era solita fare quando era estremamente felice e mise Edward di buon umore il modo in cui le sue labbra si curvavano quando pronunciava la parola "danza".
«Alla festa mi accennasti qualcosa a uno spettacolo dove ci sarebbero stati gli insegnanti della Royal Ballet, quando è?»
«Sabato» esitò qualche secondo prima di chiedergli «Ed ti andrebbe di venire?»
Lui le prese il volto tra le mani baciandola nuovamente, la guardò e le baciò la punta del naso.
«Ci sarò»
Lei gli saltò addosso, stringendosi a lui e baciandogli la pelle candida con foga. Si fermò per qualche secondo ad osservare gli occhi di Edward, erano di un blu così profondo e l'avevano sempre messa in soggezione, fin dalla prima volta che li aveva visti.
«hai fatto qualche incubo, come al solito?»
«più o meno»
Edward finì la sigaretta di Edith prima di raccontarle quello che aveva sognato.
«È stato strano, ma bellissimo Edith. Non era un incubo, ma un sogno. Ci pensi mai a quanto siamo fortunati? A quante persone soffrano nel mondo e noi che abbiamo tutto continuiamo a lamentarci? Mi arrabbio quando realizzo ciò. Forse l'essere umano è destinato a essere perennemente infelice, non ci accontentiamo mai. Ho sognato un bambino, stranamente. Lo sai che in genere non mi piacciono, ma ne ho sognato uno. Aveva i capelli mossi, sporchi, così come il suo viso dalla pelle nera, con i riflessi bronzei. Era nel bel mezzo di una città distrutta, rasa al suolo. Ed è lì che ho capito che la cosa più brutta del genocidio non era la piramide di corpi morti accatastati ai lati della strada, o il sangue per terra Edith, no. La cosa più brutta era il silenzio. Ma era un sogno felice quello. Perché l'unico motivo per il quale il bambino alzava le mani in aria, non era perché stava per essere sparato, no.
L'unico motivo per il quale le sue mani vibravano nel cielo era per mostrarci come immaginava di volare quando era un aereo plano»
Edith restò zitta. Cercava spesso di dare un significato ai sogni di Edward, ma questa volta restò zitta. Si baciarono nuovamente, e lei si sfiorò le labbra con le mani, sorridendo leggermente. Fecero l'amore quella sera, non lo facevano da tanto.
Quando si svegliò il giorno dopo Edward la guardò nuovamente, accarezzandole la schiena nuda, studiando quel corpo con perizia, nonostante lo conoscesse bene come le crepe dell'intonaco giallastro.

«Matty porca troia apri questa porta!» Adam bussava freneticamente mentre Louis, il fratello minore di Matty, lo guardava tentando di trattenere le risate.
Matty aprì dopo diversi minuti, assonnato, mezzo nudo.
«Lo sai che giorno è oggi?» Hann lo fissò serio e Matty sbuffò, a prima mattina non aveva la forza di discutere specialmente con lui, che finiva sempre per avere ragione (e matty odiava avere torto). Si guardò intorno spaesato, girandosi per osservare l'orario sull'orologio della cucina: erano le 11.00.
Sgranò gli occhi, si era riaddormentato.
Intanto Louis era già entrato in casa e stava giocando con Allen. Louis?!
Si ricordò che oggi era venerdì e che il venerdì era la giornata dedicata a lui e Louis. L'avevano deciso da quando i suoi si erano separati.
Adam lo afferrò per le spalle tirandolo fuori.
«Matty, Louis è venuto qui alle nove. Non gli hai risposto, è venuto da me. Era preoccupato, già la scorsa volta non è andata nel migliore dei modi»
«Si lo so, scusami Adam. Grazie mille, ora torna da Devonne però» gli fece l'occhiolino quando pronunciò il nome della ragazza di Adam che arrossì un po' per poi sbuffare e lasciare Matty da solo con Louis.
Si precipitò da suo fratello, per scusarsi e lui rise divertito.
«Tranquillo Matty, me l'aspettavo, sei sempre stato un dormiglione. È solo che avevo fame, per questo ho chiamato Adam e ho mangiato da lui»
«Piccolo bastardo» disse scompigliandogli i capelli. Prese una sigaretta e la fumò mentre aspettava che l'acqua per il tè bollisse.
«Matty»
«Dimmi Louis»
«Guardami» gli disse sorridendo.
Matty per lo sgomento si lasciò scappare la sigaretta dalle labbra che gli cadde sul polso, bruciandogli leggermente la pelle.
«porca troia» mormorò massaggiandosi la parte bruciacchiata.
«e tu, togliti subito quella cosa dalla bocca!» urlò contro Louis che si stava avvicinando sfacciatamente all'accendino bianco sul tavolo. L'accese e fece un tiro davanti a Matty, che restò a guardare.
«Louis, se non la spegni subito, lo dico a mamma»
«Anche tu fumi. E non pensare che non me ne sia accorto quando ero piccolo, anche tu hai iniziato a fumare a quindici anni»
«Non c'entra, Louis posala»
«no»
«Louis!»
Ma lui continuò a fumare e Matty iniziò a rincorrerlo per la casa. Louis la prendeva a scherzare, era tutto un gioco per lui. Si somigliavano così tanto, anche Matty era così da piccolo. Beh, Louis non era poi tanto piccolo. Aveva quasi sedici anni ora, ma per Matty restava quel poppante biondino che aveva fatto i primi passi con lui seduto sul divano, quello che pianse la prima volta che andò in bicicletta perché aveva paura, quello che andava bene a scuola per far contenta la madre (a differenza sua?), quello a cui avrebbe voluto dire un sacco di cose ma non gliele diceva perché non voleva portarlo sulla cattiva strada.
Louis si fermò quando si ritrovò con la schiena contro la porta del cesso, e Matty lo raggiunse.
«Louis dammela, sto iniziando a perdere la pazienza. Chi cavolo ti ha insegnato a fumare?»
«Perché tu potevi e io non posso ora? Che ti importa? Matty non sono più un bambino lo capisci?»
Matty restò zitto. Avrebbe voluto tirargli uno schiaffo. Non lo fece. Avrebbe voluto dirgli che il fumo uccideva, ma sarebbe stato un ipocrita.
«Non fumare troppo» gli disse «andiamo a farci una partita a FIFA okay?»
Louis l'abbracciò all'improvviso e Matty esitò qualche secondo prima di ricambiare.
«anche se non sembra, se sono uno stronzo, e se non te lo dico» gli sussurrò «ti voglio bene. Ricordatelo. Ora però basta, dai» risero assieme e tornarono in salotto.

Dopo diverse partite dove Matty era stato battuto (lui sosteneva che lo faceva di proposito per vedere Louis contento) ricominciarono a parlare, di ragazze, di una che piaceva a Louis, di Océane e Edith.
«Chi ti ha insegnato a fumare quindi?» gli chiese «non vuoi dirmelo?»
«Dei ragazzi a scuola, andavamo a studiare assieme all'uscita e mentre andavamo in biblioteca fumavano. Mi hanno insegnato loro» tentennò un po' prima di chiedergli chi avesse insegnato a fumare a lui.
«Una ragazza, l'ho conosciuta mentre eravamo a Belfast, Eileen»
«E non l'hai più vista?»
«No»
Il telefono di Louis squillò.
«È mamma. Devo andare Matty, a venerdì prossimo» Matty accompagnò suo fratello alla porta e lo abbracciò mormorandogli «attento a non farti scoprire da mamma con le sigarette, se ci sono problemi, chiamami e dai la colpa a me»
«Sei il migliore Matty» disse contento, con gli occhi verdi (Matty era sempre stato geloso degli occhi di Louis in quanto erano molto piu chiari dei suoi tanto da sfiorare il verde) che brillavano.
Chiuse la porta, e si accasciò lungo essa, leggendo un messaggio di Océane sullo schermo del telefono.
Lo ringraziava per ieri sera e gli chiedeva se avesse voglia di uscire nuovamente, dopo il lavoro.
Le rispose, e si massaggiò le tempie, era ancora stanco.
Poi sgranò gli occhi quando sentì una puzza di bruciato: il tè. Si ricordò di averlo lasciato acceso per tutto questo tempo e si maledisse per essere così stupido.
«cazzo»

AYYEEEE.
Non uccidetemi, non succede nulla, è un capitolo di passaggio :(
Zero idee, sorry. Spero che vi sia piaciuto comunque. Apro una parentesi per i terremotati, voi avete sentito qualcosa? Spero stiate tutte bene ragazze ♥
Il prossimo sarà migliore, giuro ahah😍💙Non smetterò mai di ringraziare abbastanza p8if (Federicaa ♥) per le sue meravigliose recensioni.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The 1975 / Vai alla pagina dell'autore: imunfjxable