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Autore: cioccolatino    26/08/2016    9 recensioni

Fra Duncan e Courtney c'è sempre stato un odio molto insidioso, nonostante sia tuttora l'unico vincolo che tiene ancor saldo il loro legame.
Mentre i ricordi dell'infanzia trascorsa da Courtney continueranno a tormentarla incessantemente, riaffioreranno i lugubri e macabri segreti del ragazzo dal cuore di ghiaccio, che sembra nascondere, nel profondo della propria anima, un lato oscuro, perfido e feroce.
Un mostro raccapricciante e intricato che renderá la vita di entrambi un infido e sconcertante inferno.
Genere: Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Scott | Coppie: Duncan/Courtney, Duncan/Gwen
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza | Contesto: Contesto generale
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Capitolo 1 – Fallen



Non ero la classica ragazza che usciva con gli amici per andare in discoteca a ballare, divertirsi e conoscere qualche ragazzo carinomen; non ero neanche il classico stereotipo di ragazza popolare della scuola, circondata da ragazzi molto attraenti, amici ricchi e quindi da mille attenzioni. Le giornate le trascorrevo sempre in biblioteca o da qualche parte in un luogo appartato, come la casa vecch
ia, disabitata e ormai instabile vicino al parco davanti casa mia, in compagnia dei libri. Andavo sempre lì, a isolarmi dal resto del mondo perché, in qualche modo, in quella casa abbandonata, riuscivo a sentirmi al sicuro, al sicuro dagli altri, che ovviamente non potevano capirmi e certe cose non riuscivano a comprenderle. Le uniche persone di cui potevo fidarmi ciecamente erano i libri, che non mi avevano mai deluso e mai lo avrebbero fatto, con i quali trascorrevo la maggior parte del tempo. Con loro avevo imparato a comunicare e a interagire, perché del resto erano gli unici con cui potevo farlo, e di conseguenza mi ci ero particolarmente affezionata. Gli altri coetanei pensavano che io fossi strana, cercavano sempre di evitarmi se riuscivano, si chiedevano come mai non avessi qualche amico o non uscissi per la città a fare una passeggiata o qualsiasi cosa che uno della mia età normalmente farebbe. Non riuscivo a capirmi nemmeno io, forse non ero riuscita a conoscermi abbastanza in diciassette anni della mia esistenza; non avevo mai capito perché facessi così fatica a relazionarmi con gli altri e per questo venivo spesso derisa, presa in giro, fino a diventare l'inevitabile vittima di bullismo. Tutto questo era iniziato alle medie, quando i miei compagni di classe avevano notato che ero diversa, dal semplice fatto che ero interessata in modo quasi maniacale allo studio e che mi sforzavo in qualunque campo didattico per apparire ingegnosa e perspicace. Questo desiderio di intraprendere lo studio era anche incentivato dai miei genitori, entrambi avvocati molto conosciuti a Toronto per la bravura e l'impegno che dedicavano nel loro lavoro, i quali risultavano, la maggior parte delle volte, severi e cinici. Sta di fatto che, da quel momento in poi, molti ragazzi avevano iniziato a provocarmi pesantemente con qualche battuta di pessimo gusto. All'inizio non era un problema per me, me la cavavo sempre con la mia spavalderia e sfrontatezza, non mi facevo mai abbattere da quegli insulsi ragazzini, i quali, appena rivolgevo loro parola, capivano di essere intellettualmente inferiori e perciò smettevano di insultarmi e deridermi. Dopo quelle giornate tornavo a casa con il sorriso stampato sulla faccia perché, come un avvocato riesce a incastrare il colpevole in tribunale davanti al giudice, alla giuria e ai presenti, io ero riuscita a zittire quei dementi senza sforzarmi minimamente. Tutti quanti ormai si erano rassegnati a lasciarmi in pace, sapevano che ero presuntuosa e alquanto impulsiva e questo lo sapevo pure io, ma purtroppo era il mio unico muro di difesa, l'unica via per il rifugio, l'unica scintilla di speranza che brillava ancora in me.
Le cose ben presto erano cambiate all'arrivo di un ragazzino dall'aria alquanto infantile, nonostante avesse l'aspetto da duro e portasse già dei piercing e un abbigliamento da vero e proprio ragazzo punk. Non mi piaceva parlare molto di lui, il solo pensiero di far riaffiorare quei ricordi orribili e tetri mi faceva piangere ininterrottamente anche se da fuori non l'avevo mai dato a vedere, apparendo come una ragazza arrogante e prepotente. Ed era proprio questo il punto: nessuno sapeva come mi sentivo realmente, nessuno era riuscito a capire che, dietro l'indifferenza e la sensazione di superiorità che tutti potevano notare, si nascondeva una povera ragazzina dalla poca autostima e dai pochissimi amici che trascorreva le serate a piangere e a sperare, che un giorno, tutto sarebbe finito, o almeno cambiato, evolvendosi in qualcosa di migliore della pessima e insulsa vita che amaramente conducevo. Nessuno era riuscito a capirlo. Nessuno lo avrebbe mai fatto.
 



Impiegai qualche istante per capire dove mi trovavo e ricordare come avevo trascorso la notte. Poi ricordai tutto, nei minimi dettagli: non avendo più un posto dove dormire, a parte la sala d'attesa della stazione dove di solito trascorrevo la notte a farmi canne e ad ubriacarmi con altri ragazzacci del posto, di cui non ricordavo nemmeno i nomi, ero stato ospitato a casa di Gwen, insieme a Geoff e DJ. Aveva diciott'anni, pertanto possedeva una casa di sua proprietà e, nonostante sua nonna venisse a farle visita ogni tanto, non si era posta alcun problema nell'invitarci a casa sua, specie per me. Ricordai tutte le bottiglie di alcol scolate durante la serata, insieme alle canne d'erba freneticamente fumate e come la serata avesse preso una piega alquanto sconvolgente ed eccitante.
Ricordo di aver invitato Gwen ad appartarci in camera sua, dove potevamo stare soli.

- " Avanti dai, devo scambiare due parole con te da sola. " - le avevo rivolto facendo l'occhiolino a Geoff ed emettendo un ghigno divertito.

- " Se è uno dei tuoi scherzi cretini non mostrerò alcuna compassione nei tuoi confronti la prossima volta che giocheremo a Call of Duty assieme. " - aveva risposto con aria divertita.
 
L' avevo condotta nella camera da letto dove, appena entrata, avevo chiuso con prontezza la porta a chiave.

- " Indovina un po' cosa ho voglia di fare stasera. " -

- " Mmm non saprei... Ubriacarti? Fumare? Divertirti? Niente che tu non abbia già fatto, Dunc. " -

- " Quello che sto per fare sarà davvero divertente " - le avevo risposto sorridendole maliziosamente.

- " Oh andiamo Dunc! Dici sempre così e poi alla fine succ... " -

Le avevo sferrato un pugno sul braccio senza usare troppa forza e, in seguito alle parolacce che le erano uscite dalla bocca per quel gesto improvviso, avevamo iniziato a fare la lotta come al solito. Ogni tanto ci divertivamo a fare queste cose infantili, forse lo facevamo più per scaricare le nostre tensioni che per divertirci, ma sta di fatto che alla fine ci sentivamo davvero molto meglio. Questa volta però era andata diversamente: Gwen aveva iniziato a sganciare una serie di pugni sul mio petto, sembrava davvero eccitata e divertita nel farlo così duramente; così, per rovinarle il divertimento, l'avevo afferrata per i fianchi stretti per poi sollevarla e scaraventarla sul letto senza la minima fatica. Lei stava per reagire, ma l'avevo subito bloccata, posizionandomi sopra di lei e afferrandole i polsi cercando di non farle troppo male. Aveva provato a dimenarsi e a ribellarsi per una decina di secondi prima di realizzare di aver perso la sfida e di conseguenza di doversi arrendere.

- " Allora " - le avevo rivolto con un tono di superiorità alquanto sconvolgente, inarcando le sopracciglia - " Ti arrendi bocconcino o... " -

- " O cosa? " - mi aveva puntualizzato con tono provocatorio, per poi sorridermi maliziosamente un'altra volta.

Adoravo quel sorriso. Non potevo farne a meno, non lo resistivo. Facevo l'impossibile per farla sorridere perché, quando lo faceva, era meravigliosa, semplicemente perfetta. Gwen era stata sempre un punto di luce nella mia vita e in qualche modo era sempre riuscita a farmi uscire dai guai, anche quella volta in cui ero stato sbattuto in riformatorio per aver dato fuoco ad un'auto oppure quella volta in cui avevo fatto a botte in discoteca, scatenando una rissa che si era conclusa dopo ore. A me non era mai fregato di quello che pensava la gente, sapevo di essere pericoloso, cattivo e violento e ne andavo anche fiero, ma lei aveva sempre pensato che io, in fin dei conti, fossi una brava persona; Io sapevo di non esserlo. Con lei mi sentivo a mio agio, in qualsiasi situazione, anche in quel momento in cui ero sopra di lei con i volti a qualche centimetro di distanza. Per un instante, prima di risponderle, avevo scrutato attentamente il suo viso, chiaro e pallido ma così candido e incantevole, per poi soffermare lo sguardo sugli occhi blu notte che mi osservavano immobili. Avevo lasciato che il mio sguardo percorresse il suo corpo asciutto e fragile per poi ritornare al viso. In quel momento, non ero riuscito a trattenermi a causa del forte desiderio che provavo nei suoi confronti: avevo premuto prontamente le mie labbra sulle sue. Avevamo così iniziato a farlo, entrambi vogliosi di esplorare ancora una volta quelle sensazioni che solo il sesso poteva offrirci. Alla fine, dopo che entrambi eravamo venuti, ci eravamo scambiati un'occhiata furtiva, per un'ultima volta, e non avevo potuto fare a meno di sorriderle malignamente. Non sapevo di preciso cosa provassi per lei, ma quando ero in sua compagnia, mi sentivo libero, eccitato, pronto al pericolo. Mi sentivo me stesso.




Ero fuori dalla porta di casa in attesa che Zoey, una vecchia compagna di scuola, probabilmente una delle poche a non avermi criticato e deriso spudoratamente, passasse a prendermi per andare al pub per scambiare qualche parola. Evidentemente era l'unica ad aver notato come mi sentissi interiormente o doveva essere davvero fuori di testa per invitare ad uscire la ragazza più asociale di Toronto, non sapevo nemmeno cosa si aspettasse da quell'incontro così improvviso e inaspettato. Scorsi in fondo alla via la sua nuova C4 nera e, dopo averla posteggiata di fronte al cancello per farmi salire, non potei fare a meno di complimentarmi con la sua auto.

- " La tua nuova macchina è una favola! Regalo dei tuoi? " -

- " Hahah... Magari! Ho dovuto fare un lavoro part-time questa estate nell'azienda di mio padre e nel frattempo lavorare in un negozio d'abbigliamento. Non è stato poi così terribile ma ho dovuto comunque metterci d'impegno per comprare questa bellezza! " -

- " Sono contenta per te. Vorrei sapere più che altro come mai hai deciso di invitarmi ad uscire, sai come sono... Non sono in grado di relazionarmi molto con nessuno in particolare. " -

- " Suvvia, ragazza! Per oggi sarà diverso, ok? Uscirai dal guscio e insieme andremo a scolarci qualche alcolico al pub e magari a conoscere qualche bel ragazzo. Sei pur sempre una ragazza, Court! Allora, andata? " - mi propose con aria di sfida.

- " Ehm... Non sono davvero convinta di poter esprimere afferratamene qualcosa in questo momento. " - le rivolsi lievemente preoccupata.

Iniziò a ridere dandomi qualche pacca col gomito e dopodichè mise in moto la macchina per dirigerci al pub.
Una volta entrate osservai attentamente il posto: non andavo molto spesso in pubs a causa della mia personalità fuori dalle righe ma, come aveva detto Zoey, quel giorno sarebbe stato diverso e quindi, senza pensarci sopra, presi un posto a sedere e invitai Zoey ad accomodarsi. Iniziammo a chiacchierare e tutto sembrava andare per il meglio fino a quando, scrutando l'atmosfera fattasi più scura e intensa e un branco di ragazzacci rozzi all'interno del pub, scorsi la sagoma di una persona che mi dava le spalle, alquanto famigliare. L'analizzai attentamente prima di rendermi conto che quella figura misteriosa era Duncan, colui che aveva reso la mia infanzia un incubo, l'unico essere che era stato in grado di farmi odiare, detestare, me e la mia stessa vita, priva di senso. Ero pietrificata dalla testa ai piedi, a tal punto da perdere il filo del discorso di Zoey, la quale, un secondo prima, parlava di serie tv e cartoni giapponesi. Cercai di mantenere la calma nonostante il mio cuore stesse battendo a mille dalla paura, quasi come stesse per cadere e rompersi in un'infinita di pezzi e, con fare deciso, scambiai qualche parola frettolosamente con Zoey. Fino a quel momento avevo deciso di ignorarla, nonostante fosse davvero decisa e determinata nell'instaurare, in qualche modo, una normale conversazione tra amiche.

- " Dun... Duncan è qui? " - le rivolsi preoccupata e terrorizzata.
Anche lei conosceva Duncan, ma a meno che i ricordi non giocassero brutti scherzi, aveva un bel rapporto con quest'ultimo, a differenza mia.

- " Oh sì è vero! Hai un occhio incredibile, io non l'avevo nemmeno notato, a quanto pare è uscito di prigione un'altra volta quel buono a nulla... Hey Duncan ! " -

In quel preciso istante sapevo che per me non ci sarebbe stata alcuna via d'uscita, lo sapevo, dovevo affrontarlo, lui e la sua combriccola di amici che già disprezzavo con tutto il cuore. La sanguinosa e devastante guerra rimasta in sospeso anni fa sarebbe ricominciata e stavolta sarebbe stata portata a termine, in un modo o nell'altro. Solo uno di noi due poteva uscirne vittorioso. O io o lui.



Ciao a tutti ragazzi! Questa è la mia prima storia in assoluto e sono davvero contenta di poterla condividere con tutti voi lettori e scrittori! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere tramite messaggio o recensione e tenetevi aggiornati per un altro capitolo pieno di colpi di scena (Questo capitolo è stato in parte un'introduzione per presentare le personalità dei due protagonisti perciò non ho potuto movimentarlo più di tanto). Grazie a tutti!!
  
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