Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: Stray_Ashes    27/08/2016    2 recensioni
[Frerard!] - [30 Kisses Challenge]
Chiudi gli occhi e baciami, che sia per la prima volta, che sia per l’ultima, che sia per dire addio o per dire ciao, che sia per rabbia o per amore. Baciami, adesso e trenta volte, o dammi un bacio che duri per sempre, che io riesca a sentire anche quando non ci sei, e non ci sono, anche quando ci perdiamo, anche quando c’è il mondo che ci guarda, anche quando siamo tutti e siamo nessuno.
Ti porterei con me in mezzo ai temporali, tra le fiamme dell’inferno, sotto a una pioggia di proiettili, e ti trascinerei fin dentro alle parole che ho scritto, tra i pensieri che ho pensato.
Baciami, animale. Prendimi la mano, regalami un sorriso, e poggia le tue labbra sulle mie.
_________________________
Beh, ho deciso così su due piedi di fare questa raccolta di OneShots, seguendo una Challange di 30 baci in situazioni diverse, e vediamo un po' cosa me ne viene fuori. E' la prima volta che faccio una cosa del genere, in tutti i sensi... una challange... di baci... ew, cheesy as fuck, but that is.
Il rating potrebbe variare.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 

 
3. Un bacio pieno di odio

"The Jerk and The Asshole"


 

Io odiavo Gerard Way.

E non lo dico tanto per dire. Lo odiavo per davvero.

Avete presente quel tipo di odio, quello puro e irreversibile, che ti si annida da qualche parte nel petto e te lo fa marcire? Ecco. Se l'odio fosse un organo, il mio assomiglierebbe a uno di quei polmoni incartapecoriti e consumati dal fumo... forse solo un po' più brutto.

E se non avessi diciotto anni di ricordi su cui basarmi, non sarei nemmeno stato tanto sicuro sul perché lo odiassi così tanto... e nessun altro al di fuori di me avrebbe potuto capirlo. Non c'erano molte persone in grado di odiare Gerard Way, dopotutto, e se succedeva, allora era perché non lo conoscevano di persona, e si basavano solo su pregiudizi. Anche se aveva un torto, le persone facevano fatica a provare rancore nei suoi confronti, per qualche inspiegabile ragione.

E poi c'ero io. L'eccezione – poco eccezionale. Quello diverso – come al solito. Perché io Gerard lo conoscevo di persona, eppure lo odiavo lo stesso. Lo conoscevo da diciotto anni, e lo odiavo lo stesso. Avrei dovuto essere classificato come specie protetta... o come specie da eliminare, dipende dai punti di vista.

E adesso, abbandonato come uno straccio usato sopra al mio letto disfatto, fissavo truce il soffitto e stringevo le labbra, cercando di riesumare le ragioni per cui odiavo Gerard Way, e se ve lo state chiedendo, – avevo di meglio da fare, ma la mia mente era fatta così. Tanto, da un momento all'altro avrei ripreso ad arrabbiarmi con me stesso, avrei tirato giù tutti i santi dal cielo sperando che mi cadessero in testa, mi sarei alzato, suonato la chitarra fino a consumarmi le dita pur di far andare la frustrazione, e poi sarei di nuovo collassato su questo medesimo letto fino a che mort– sonno non sopraggiunga. Era sempre così che finivano le conversazioni con la mia testa. La cosa più bella era che dovevo condividere con me stesso tutta quanta la vita. Strepitoso.

Perché odiavo Gerard? Perché mi stavo facendo questa domanda? Per la seconda questione, ho una risposta.

Erano già passate un paio di ore da quando mia madre mi aveva chiamato in cucina, eppure mi stavo ancora arrovellando sulla catastrofe che quella conversazione aveva portato...

«Tesoro? Puoi scendere un secondo giù in cucina?» queste erano state le parole testuali di mia madre. Davvero, penso che le madri abbiano un codice di frasi fatte, parole studiate da bande di intellettuali e secchioni, stillate e montate insieme con il solo scopo di abbindolare e fregarti, lanciandoti in faccia secchiate di diplomatica cortesia. Ciò nonostante, scesi giù in cucina perché evidentemente i suddetti intellettuali e secchioni sapevano fare il loro lavoro.

«Sai che giorno è domani, vero?»

Avevo sbattuto le palpebre un paio di volte. Mia madre aveva sbuffato. «E' il 4 luglio, Frank» Questa volta avevo sbattuto le palpebre una volta soltanto, prima di annuire con sospetto.

Dimenticandosi velocemente della mia mancanza di presenza mentale e di attenzione nei confronti del calendario (e che cazzo, era estate), mia madre aveva esibito un gran sorriso (dovevano avere anche un codice di sorrisi da usare nelle occasioni giuste, lo sapevo) ed aveva preso a riordinare il bancone già ordinato della cucina, tutta contenta per chissà quale motivo – ora sapevo quale motivo, mio malgrado.

«Beh, i vicini hanno deciso di invitarci per un barbecue! Non è stupendo, Frank?»

No. No non lo era.

Avevo deglutito, entrando sulla difensiva. «Vicini di destra o di sinistra?»

Questa volta era stata mia madre a sbattere le palpebre un paio di volte. «Sinistra»

E il mondo mi era caduto addosso.

Sì, sono un melodrammatico, ma questa era una cosa terribile. Una catastrofe. Ogni santissimo 4 luglio ero stato felicemente rinchiuso nella mia camera o in uno dei parchi da solo con Mama, ed ero sempre stato apposto così, grazie tante.

«Cristo! E perché non quelli di destra

«Perché quelli di destra hanno 70 anni per gamba, Frank» aveva risposto con cautela mia madre. Era brava a riconoscere le mie crisi, ed era anche brava a non farci niente al riguardo. Anzi. Non fraintendetemi, mi amava come ogni madre dovrebbe, ma il mio cinismo dovevo pur averlo preso da qualcuno, no? «E comunque, dov'è il problema? Ti farà bene un po' di compagnia, e anche a me, probabilmente. I vicini di sinistra sono molto simpatici, e anche piuttosto ricchi. E non ti ricordi del loro figlio?»

«No»

«È tornato dal college da poco,» era andata avanti, mani sui fianchi, ignorandomi deliberatamente. «L'ho visto l'altro giorno ed è diventato proprio un gran bel ragazzo, Frank. Secondo me ti piacerebbe. Com'è che si chiamava – Jared?»

«Gerard»

«E allora vedi che te lo ricordi!»

Sull'orlo di una crisi di nervi, mi ero gettato le mani fra i capelli, stringendo i denti. «Ma è un barbecue! Io sono vegetariano, mamma. Che cazzo ci vado a fare a un barbecue?!»

«Oh andiamo. Ci saranno sicuramente quelle orribili verdure grigliate, ci sono sempre» mi aveva spento, completamente incurante del mio linguaggio – e di questo le ero grato. Mia madre era segretamente un po' punk nel cuore. Alla fine, avevamo un bel rapporto, io e lei. «Allora. Tu e Gerard eravate amici? Mi son presa la libertà di dire a sua madre che volevi fargli qualche domanda riguardo il college»

Scherzavo. Non avevamo più un bel rapporto io e lei.

Lanciando le braccia per aria, me n'ero andato su dalle scale e mi ero chiuso in camera, dove tuttora mi trovavo, intento – come già detto – a fare una sintesi delle inflessibili ragioni per cui odiavo Gerard Way. E non c'era chance al mondo in cui avrei fatto qualunque tipo di domanda a quel ragazzo, tanto meno sul college; era stato via tutto l'anno e non essere stato costretto a vederlo quelle poche volte che uscivo con Mama, era stato proprio bello, onestamente. Ti accorgevi subito di come il vicinato fosse più luminoso. O almeno, questo nella mia opinione. Nell'opinione degli altri, si sarebbe meritato una festa per il suo breve ritorno, e non l'incendio che avrei voluto progettare io.

Gerard Way, d'altronde, aveva i biscotti e la grazia degli anziani, la stima e l'approvazione degli adulti, l'appoggio dei coetanei, le strisce di bava delle ragazze. Ew...

Una festa in suo onore doveva davvero essere la cosa più stomachevole a cui avrei mai potuto assistere, e non lo dicevo solo perché io di feste non ne vedevo neanche per il mio compleanno. Era una mia decisione. Odiavo le feste, come ogni punk che si rispetti.

Nel cuore, Gerard era sempre stato un cinico stronzo, specie con me; presuntuoso, sadico, irraggiungibile, riservato, imperfettamente perfetto. Poi, agli occhi degli altri era diventato più un uomo che un ragazzo, aveva inseguito il suo sogno, era diventato un artista con talento, sapeva cantare, scrivere, gestire la sua vita. Erano anche riusciti tutti a chiudere un occhio sul suo periodo di dipendenza dall'alcool. Era andato al college, era tornato col sorriso, una macchia di pittura sulla mano, e selvaggi capelli neri.

Ma io lo odiavo ancora. Perché mi guardava ancora nello stesso modo, perché era ancora stronzo, e perché non l'avrei perdonato facilmente. Non avrei dimenticato i castelli di fango che facevo da bambino – quelli che mi distruggeva ogni volta, non avrei dimenticato i piccoli insulti, le risate, gli inganni. Una volta, mi aveva messo in imbarazzo davanti alla ragazza che mi piaceva, proprio lì sul portico di casa mia. Un'altra volta, mi aveva reso lo zimbello di mezzo paese con qualche menzogna improvvisata.

Poi, a volte improvvisamente mi cercava, mi raccontava le sue aspirazioni, i suoi sogni, le sue storie, e il giorno dopo spariva, o si prendeva di nuovo gioco di me, perché questo ero soltanto, per lui: un gioco. E per quanto il piccolo me di quei tempi avesse provato, Gerard non mi avrebbe mai permesso di essere suo amico. Quello che però non fece, fu negarmi di essere suo nemico, e quindi fu abbastanza facile diventarlo.

Agli occhi degli altri poteva essere cambiato, ma non lo era.

E non lo odiavo perché ne ero geloso. Assolutamente no. Non se ne parla. No.

Ero felice nel mio piccolo mondo di fallimenti.

E questa, era la sintesi dei motivi per cui detestavo Gerard, e guarda caso, ero arrabbiato con me stesso proprio come avevo predetto.

Non so perché la mia mente avesse voluto concentrarsi su questo, ma di certo non aiutava la mia situazione, perché il mio rancore si era aggravato, e che io lo volessi o meno, mia madre mi avrebbe trascinato fino a quel barbecue, con uno dei guinzagli di Mama, se necessario.

Beh, non ero costretto a rivolgergli la parola, o a guardarlo negli occhi, o a stargli più vicino di un paio di metri, provai a dirmi per rassicurarmi, ma sapevo benissimo che avrei fallito, e che mia madre mi avrebbe imbarazzato senza alcuna pietà. Da un lato ero molto felice di non essere fidanzato, sapevo che quella donna sarebbe riuscita a tirare fuori uno di quegli orribili album di foto tipici dei film.

Prima di addormentarmi, tuttavia, la mia mente restò qualche secondo sul fatto che più volte mi ero chiesto per quali ragioni odiassi Gerard Way, ma mai avevo provato a chiedermi perché non avrei dovuto. Subito dopo, prima che potessi ribellarmi, la mia mente si spense.

* * * *

Il portico di casa Way era come il nostro, ma con più fiori. Rispetto a mia madre, che era da sola a gestirci, Donna Way aveva anche del tempo per del giardinaggio, e leggevo facilmente la lieve invidia negli occhi verdastri di mia mamma. Entrambi avevamo qualcosa da invidiare alla famiglia Way... ma più probabilmente, qualcosa ce l'aveva tutto il vicinato.

Ci aprì la porta un ragazzo ossuto ed alto, con una faccia da poker e capelli biondicci, che riconobbi come il fratello minore di Gerard, Mikey. Non ero mai stato ben sicuro di cosa pensare di lui, e probabilmente non avrei preso una decisione nemmeno oggi. Al momento, la mia testa era concentrata sui concetti di "entra da questa porta, sopravvivi, esci da questa porta".

Donna Way era alta come Linda Iero, ma coi capelli biondi anziché scuri, e lo stesso sorriso furbo e materno. Per quanto riguarda Donald Way, non avevo paragoni da fare, perché non avevo un padre. Pazienza.

«Gerard! Scendi, sono arrivati i nostri ospiti» chiamò Donna in direzione delle scale, subito dopo averci fatto accomodare momentaneamente sul loro divano scuro. Deglutii, e quando sentii rumore di stivali trotterellare giù dagli scalini di marmo, mi si gelò il sangue nelle vene e mi voltai con estrema lentezza.

E lì, mi ricordai del perché non provavo mai troppo a restare sulle ragioni per non odiare Gerard Way, considerando che c'era una ragione soltanto in grado di vincerne molte altre.

Gerard era mozzafiato, più di quanto mi ricordavo che fosse.

Figlio di puttana.

Da quando era tornato dal college, l'avevo visto solo di sfuggita, da lontano, ma adesso era lì, braccia incrociate sul petto, peso appoggiato alla ringhiera delle scale, con i suoi indomabili capelli scuri, gli zigomi alti ed affilati, gli occhi verdi ed eleganti, e quello stramaledetto sorriso furbo, che lì per lì mi sembrò brillare con onestà. Sembrava quasi felice davvero.

Ma io no lo ero. Io mi sentivo incastrato in un limbo, circondato da spine.

Gerard sorrise ancora con i suoi denti piccoli, e poi si fece avanti con sicurezza, stringendo la mano a mia madre. «Buongiorno signora Iero». Era così cordiale da far schifo. Ma aveva il suo fascino.

Mia madre, infatti, si illuminò. «Oh Gerard, come ti trovo bene. Sei proprio diventato un gran bel ragazzo... Mi ricordo come fosse ieri di quando eri soltanto un bambino» disse, ricambiando il sorriso enorme di Donna.

Mi accigliai internamente, perché quella stessa donna fino al giorno prima non ricordava come si chiamasse il "gran bel ragazzo che ricordava come se fosse ieri". Mentre pensavo alle piccole grandi falsità di casa Iero, all'improvvisò mi ritrovai Gerard davanti agli occhi, e quasi mi strozzai con la saliva.

«Ciao Frank»

Woah, si ricordava come mi chiamassi. Da qualche parte avevo letto che i bambini dopo un po' tendevano a dimenticarsi il nome dei loro giocattoli. Scossi brevemente la testa e osservai il suo viso pulito, e quel suo stramaledetto tipico accenno di sogghigno, tutto storto da una parte. «Ciao, Gerard»

E dalla piccole luce nei suoi occhi, capii che anche lui ricordava tutto.

* * * *

Alla fine, mia madre aveva ragione. Le "orribili verdure grigliate" c'erano davvero, e non erano così orribili come sosteneva lei, ma avevo smesso di litigare su questo argomento.

Durante il pranzo così spudoratamente americano, ebbi la gioia di vedere una famiglia mangiare insieme attorno ad un tavolo bianco, nel giardino dietro casa. Donna e mia madre parlavano animatamente di chissà cosa, Donald fissava i disegni della tovaglia con rinomato interesse, e io osservavo Gerard allontanare l'acqua di qualche centimetro ogni volta che Mikey tentava di raggiungerla, completamente incurante dei "Dammela, coglione!" del fratellino. Bastava questa ridicola scena a confermare la mia tesi che no, Gerard non era cambiato. Era ancora lo stesso stronzo.

Eppure, quello sul volto di Mikey non era... odio. Affatto. Era nervosismo, certo, ma quando salì praticamente in braccio al fratello per prendersi la benedetta acqua, ridevano entrambi come pazzi, e quando Gerard arruffò i capelli a Mikey, l'altro si limitò a fargli la linguaccia, prima di sorridere.

Pensieroso, aggrottai le sopracciglia. Non avevo un fratello, non sapevo cosa significasse... beh, tutto questo. La mia famiglia era disfatta, abbandonata a sé stessa; io e mia madre ci bastavamo, o almeno, facevamo finta che fosse così. Ma Mikey e Gerard, nonostante tutto, giocavano, si perdonavano, si davano fastidio, e si volevano... bene. E io non lo capivo.

Se Gerard, o chiunque, avesse provato ad allontanarmi l'acqua a quel modo, l'avrei coperto di insulti, colpito nelle costole e buttato giù dalla sedia, sempre che avessi abbastanza forza per farlo. Di sicuro, non avrei riso come rideva Mikey, che non avevo mai neanche visto ridere in tutti questi anni, se devo essere onesto.

Distrattamente, mi chiesi che cosa esattamente mi stessi perdendo del mondo.

E per la prima volta nella mia vita, mi arresi al fatto che ero geloso di qualcosa, di qualcuno. Volevo anch'io quella spensieratezza, quel perdono. Ma sapevo che non l'avrei avuto mai.

Fu la voce di Donna a strapparmi dai miei pensieri, permettendomi di notare che tutti avevano già finito di mangiare, mentre uno dei miei peperoni giaceva ancora intoccato nel piatto.

«Gerard, perché non mostri quella tua collezione di fumetti a Frank?»

Mia madre annuì con convinzione. «A Frank piacciono molto i fumetti». Diedi mentalmente uno schiaffo a me stesso, poi uno a lei.

«Così potete anche discutere del college con più tranquillità»

Maledette cospiratrici.

Gerard sollevò un sopracciglio con sorprendente lentezza, e scetticismo. «Stai scherzando? Non lascio toccare quella collezione nemmeno a Mikey, Donna.»

Mi faceva strano sentire un figlio chiamare per nome la propria madre...

«Oh andiamo, non fare il bambino possessivo, Gerard. Pensavo che il college ti avesse cambiato almeno un po'»

Gerard sputò fuori una risata asciutta. «Mamma, il college ha cambiato solo il peso del tuo portafoglio, appesantendo quello del tizio che vende tele e pittura in un angolo di New York»

Dopo questo, la conversazione divenne un battibecco di cui persi capo e coda, e quindi nemmeno realizzai come Donna Way avesse convinto suo figlio ad alzarsi in piedi. In ogni caso, Gerard mi lanciò un'occhiata imperativa, prima di uscire dal giardino a grandi passi, lasciandosi alle spalle una risatina di Mikey e un me piuttosto confuso. Pensai di ribellarmi, perché non avevo avuto nemmeno una parola in tutto questo, poi decisi che ne avevo avuto abbastanza del chiacchiericcio delle due comar– madri, e seguì mestamente Gerard all'interno della casa.

Il ragazzo mi lanciò un'occhiata soltanto, inespressiva, prima di salire lungo le scale, verso la sua camera. Immaginai che spettacolo dovessero essere da fuori le nostre facce imbronciate... probabilmente in qualche film sarebbe sembrata la scena subito prima di un omicidio.

Dovevo ammetterlo, però, la collezione di Gerard era davvero notevole, e tenuta anche con estrema cura e dedizione: riposta su diversi scaffali, si mangiava buona parte del muro, accanto a poster di band, altri libri, ninnoli. Non ero mai stato in questa stanza, ovviamente. Rimasi a bocca aperta in ammirazione per alcuni istanti, poi mi obbligai a ricostruire il muro che proteggeva le mie emozioni, e la richiusi.

Gerard incrociò le braccia sul petto, guardò la sua collezione, e poi guardò me, con un'espressione strana, che non capii affondo. «Bene. Adesso che puoi capire che significa avere una passione ed inseguirla in capo al mondo, sappi che non ti è concesso sfiorarla o respirarci sopra. La lontananza ideale è di 50 centimetri almeno. Le regole di Mikey valgono anche per i non-fratelli»

Sentii un violento moto di stizza, e prima che potessi controllarmi, la mia bocca si aprì con uno scatto. «Come se davvero mi interessassero i tuoi fottuti fumetti»

Pr un breve istante, sul viso di Gerard vidi... confusione? Offesa? Delusione? Dopo, divenne solo rabbia, e poi ogni emozione si spense, tutto nella frazione di un momento. Il suo volto, adesso, sembrava quasi arreso, seccato. Sospirò pesantemente e mi guardò con stanchezza: «Okay. Okay. Abbiamo capito che tu non vuoi essere qui. Molto bene, nemmeno io ti voglio qui. Quindi, che cosa ci stai a fare? Potevi restartene giù, o a casa tua»

Sbattei le palpebre un paio di volte, cercando di riconoscere almeno una delle emozioni che mi stavano impazzendo nella mente e nello stomaco, e ne riconobbi molte simili a quelle che il suo volto aveva espresso solo poco prima. Digrignai i denti, osservandolo a occhi ristretti. «Che cosa ti aspettavi che ti dicessi? "Oh Gerard che meraviglia qual è il tuo supereroe preferito"? Non siamo bambini. Quei tempi sono finiti, Gerard» sibilai, e poi ingoiai il groppo amaro che sentivo in gola. «Anzi, tra di noi non ci sono mai stati»

«No. Ma mi aspettavo che portassi comunque un vago rispetto, siccome sei in casa mia»

Strabuzzai gli occhi, inciampando nelle mie stesse parole. «Io – tu... Rispetto?! Tu mi parli di rispetto? La persona che nella mia vita è stata più irrispettosa nei miei confronti, chiede adesso del fottuto rispetto?»

«Esatto! Anche perché forse abbiamo passato l'infanzia in case vicine, Frank, ma tu non sai proprio niente di me!»

«E' ovvio che non so niente di te!» strillai. «Perché tu non me lo hai mai permesso!!»

Gerard aprì la bocca, come sul punto di urlare qualcosa a sua volta, ma non uscì un suono. Quando notai che respirava pesantemente e che i suoi occhi era strabuzzati e grandi, le pupille dilatate e una gocciolina di sudore sulla fronte, mi resi anche conto che nella nostra sfuriata ci eravamo avvicinati l'uno all'altro, gridandoci letteralmente in faccia.

Messo ancora più a disagio dal suo silenzio, decisi che avevo ancora voglio di gridare, e allora lo feci, spingendogli un dito contro il petto. «E vuoi sapere perché? Perché sei un grandissimo stronzo Gerard Way, ecco perché!»

Il mio tocco sembrò tirarlo fuori dallo stato di stallo in cui era rimasto incastrato. «Io sono uno– » ripeté con incredulità. «Se io sono uno stronzo, allora tu sei un gran coglione! E non venire ad accusarmi adesso per qualche stupidata che ho fatto da ragazzino!»

«Tu non hai idea delle cose che mi hai fatto passare!»

«E in ogni caso non mi è mai sembrato che ti interessasse conoscermi!» mi strepitò in faccia Gerard, a pochi centimetri.

«E allora oltre che stronzo sei pure cieco!»

«Tu sbavavi dietro a quella cretina di Jamia, il tuo unico interesse per me era sputtanarmi!»

«Perché tu sputtanavi me! Portavo sempre Jamia davanti al porticato per farti vedere che qualcuno era in grado di amarmi, siccome né tu né mio padre ce l'avete mai fatta!»

«Beh era un'idea di merda!»

«Lo so!!»

«E allora sei un coglione

«E tu sei uno stronzo

Un attimo prima boccheggiavamo alla ricerca di aria, sudati... e un attimo dopo, le nostre labbra erano le une sulle altre. Con foga, forza, bisogno, rabbia.

Non so perché, non so come, non so nemmeno quando. Non so nemmeno di chi fosse stata l'idea, probabilmente di entrambi, o di nessuno, perché era stato più un impulso che un'idea o qualunque altra cosa, un bisogno segreto e completamente folle, perché non c'era cosa più folle che avessi mai fatto nella mia vita.

Però diavolo, Gerard sapeva baciare bene.

E questo non era nemmeno stato uno di quei primi baci casti, di prova – oh, no... fu un bacio quasi passionale, quasi violento, tra labbra, lingua, denti, mani. Perché era un bacio di frustrazione, collera, forse persino vendetta. Era un bacio pieno di odio, e lo dicono tutti quanto l'odio sia simile all'amore.

Eppure, restava il bacio migliore che avessi mai dato e ricevuto, perché il sapore di Gerard era – sorprendentemente – dolce, ma anche tagliente, selvatico, travolgente, come la sua personalità stessa. E la pressione che la sua bocca esercitava sulla mia era in grado di annullare qualunque pensiero, al di fuori di "Oh mio dio, oh mio dio, è Gerard, il ragazzo che ammiravo, il ragazzo che odio. E Dio, per favore, più vicino".

Come falene, le mie dita si spostarono sui suoi capelli, arricciandosi tra le ciocche e spingendolo verso di me, un po' più in basso, proprio mentre sentivo le sue mani artigliarmi la schiena, lì tra le scapole, lanciando ulteriori brividi in tutto il mio corpo, come se il movimento delle sue labbra e la sua lingua non fossero abbastanza per mandarmi completamente in tilt il cervello. Se c'era una parte di me che da qualche parte stava gridando in orrore, al momento doveva essere stata soppressa con eccessiva violenza, considerando che non volevo rompere questo contatto mai più, per quanto questo possa suonare sciocco e insensato, considerando che avevo odiato questo ragazzo per anni. Forse la cosa affascinante, era proprio questa.

Credo che tu possa odiare e sentirti punk per tutto il tempo che vorrai, ma quando ti ritrovi Gerard Way a pochi centimetri dalla faccia, c'è davvero poco che tu possa fare.

Quando ci dividemmo, fu per mancanza d'aria. Per alcuni lunghi istanti – le mie mani ancora sulla sua testa e le sue sulla mia schiena – ci fissammo con occhi sbarrati, confusi, eccitati... eppure, né in me né in lui trovai tracce di rimorso, e anche questo mi risultò parecchio strano.

«Io ti odio» constatò Gerard con un sussurro. Il suo respiro caldo mi accarezzò la guancia, e io socchiusi gli occhi.

«E io ti odio di più»

Gerard annuì piano, «Non abbiamo parlato di college».

Scossi la testa e io mi presi un altro breve, bizzarro istante a respirare il suo odore, prima di liberare le dita dai suoi capelli e abbandonare le braccia lungo i miei fianchi. Mi passai velocemente la lingua sulle labbra, prima di sentire un improvviso senso di colpa. «Comunque... mi piace molto la tua collezione»

Subito, Gerard inarcò un sopracciglio in modo beffardo, poi invece sorrise genuinamente, in modo forse un po' triste. «E a me piacevano molto i tuoi castelli di fango»

Ieri, forse, sarei scoppiato a piangere, o urlare, e l'avrei preso a calci fino a farlo sanguinare come uno scolapasta.

Ma oggi, invece, risi.







 

_____________________________

Sono stranamente soddisfatta di come sia venuta questa... cosetta. No lo so, è stata più scorrevole da scrivere rispetto al solito, e spero anche sia più scorrevole da leggere.

Ed è anche stranamente divertente far insultare questi due a vicenda, soprattutto quando hai il potere di chiudere le cose così. Il che, mi è quasi dispiaciuto, avrei voluto andare avanti con altre cavolate in questo piccolo vicinato immaginario. Oh beh.

Stavo anche pensando di mettermi e auto-tradurmela in inglese. Mh.

Next,
 

4. Un bacio al cinema

 

Vi abbraccerei per un commento ed un parere... so, see ya

_Ashes

 

 

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: Stray_Ashes