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Autore: MarySmolder_1308    27/08/2016    0 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Mary
Il mio corpo si era paralizzato all’improvviso, invaso dalla paura. Rivissi in un niente il giorno in cui Valerie mi aveva sparato.
Mi ci vollero tutta la mia forza mentale e la mia auto-convinzione per sbloccarmi. Non l’avrebbe fatto, dovevo convincermi che non l’avrebbe fatto. Non sarei tornata su un letto d’ospedale con una pallottola conficcata in corpo.
I piedi cominciarono a fare un passo, seguito da un altro e da un altro ancora, fin quando non mi ritrovai faccia a faccia con Kevin. Gli presi la mano libera dalla pistola e sorrisi nuovamente.
“Respira, va tutto bene”
“Io volevo solo che la mia bambina stesse bene. Perché è dovuto succedere tutto questo?”
“So come ti senti. Impotente, inutile, in colpa”
“Come fai a saperlo?”
“Mi sono sentita così quando hanno investito il mio ragazzo e, invece, il bersaglio ero io. Ma non devi sentirti così, perché non è stata assolutamente colpa tua. Purtroppo, sono cose che succedono e tutto quello che ci resta da fare è provare ad andare avanti. Non rovinarti così, Kevin. Jodie e la tua piccola Sarah non vorrebbero questo. Ti prego, dammi la pistola e troviamo una soluzione a tutto questo dolore, perché credimi se ti dico che la soluzione c’è!” gli strinsi la mano.
“La soluzione è solamente una. Grazie di tutto, Mary” mi sorrise e puntò la pistola sotto il suo mento.
La sua mano scivolò dalla mia e il corpo cadde a terra senza vita, dopo quello sparo assordante.
“No!” urlai e cominciai a piangere.
 
POV Ian
Dopo essermi svegliato, feci un’abbondante colazione e mi spaparanzai sul divano, in attesa che Mary rientrasse. Che noia! Ma non aveva detto che ci avrebbe messo poco? Accesi il televisore per passare il tempo e trovai uno stupido reality show che, poco dopo, fu interrotto. Al suo posto venne trasmessa un’edizione straordinaria del telegiornale.
“Interrompiamo i programmi per parlare di un fatto che stamane ha scosso i cittadini di Atlanta, rendendo ancora una volta evidente il disagio e la disperazione di molte persone. Oggi, alle otto e trenta del mattino, un uomo si è presentato armato nell’ospedale di Saint Joseph. Il primario dell’ospedale ha prontamente chiamato la polizia e solo qualche minuto fa lo stato di allerta è finito. Vediamo le immagini, riprese dalle nostre telecamere, che ricordiamo erano state montate prima dell’accaduto, per il documentario ospedaliero in corso nel nostro canale”.
Il servizio cominciò. Dopo aver ripreso quel pazzoide che, in evidente agitazione, entrava nella struttura, la scena cambiò. Era il piano di pediatria, lo ricordavo bene, e quell’uomo teneva in ostaggio una bambina. Dopo qualche minuto, arrivò Mary e cominciò a parlarci. Non finii nemmeno il servizio, indossai un paio di scarpe e presi la macchina, guidando in direzione dell’ospedale.
Arrivato, fui bloccato da un agente di polizia.
“Lei non può entrare. Lo stato di allerta sarà pure finito, ma quest’edificio è ancora off-limits” disse.
“La prego, voglio solo vedere se la mia ragazza sta bene”
“Alan, è quell’attore famoso. La sua ragazza è un medico. Lascialo entrare” disse un secondo agente, sopraggiunto proprio in quel momento.
“Grazie” lo guardai riconoscente ed entrai.
Chiesi di Mary e andai a cercarla.
Quando mi vide, sorrise.
“Ehi”.
Stava per abbracciarmi, ma le bloccai i polsi fortemente.
“Ma che ti prende?” mi guardò spiazzata.
“Ho visto il servizio al telegiornale. Ti sei messa a fermare pure i pazzi armati adesso? Mary, ma che fai?” urlai arrabbiato.
“Conoscevo quell’uomo! Pensavo che, se gli avessi parlato, avrebbe lasciato andare l’ostaggio e così ha fatto”
“Poteva prendere te come ostaggio. Non ci hai pensato?”
“Ian, non è successo, quindi perché preoccuparsene? Non fare una scenata qui, calmati e ne parliamo a casa”
“No, invece ne parliamo proprio qui e in questo momento. Cosa sarebbe successo se avesse ferito te? Cos’è, volevi riprovare l’ebbrezza di sentire una pallottola in corpo?”
“Ian, per favore” chiuse gli occhi per qualche istante, inspirando profondamente.
Non riuscivo a calmarmi. Ero troppo arrabbiato con lei. Come aveva potuto mettersi in pericolo in quel modo?
“Io non mi calmo. Dovevi stare più attenta. Ma cosa ti diceva la testa?” alzai ancora la voce, stringendole di più i polsi.
“La testa mi diceva di non permettere al marito di una cara amica morta di fare stronzate! E lasciami andare, mi stai facendo male” mi rispose con lo stesso tono.
Le lasciai immediatamente i polsi. Si erano notevolmente arrossati.
Mary li toccò entrambi, poi girò i tacchi e cominciò a camminare.
“Ti faccio notare che la discussione non è finita”
“Lo so benissimo, ma non ho intenzione di continuarla urlando per i corridoi, mentre tutti i miei colleghi ci guardano” sbottò e se ne andò verso gli sgabuzzini.
Ci chiudemmo in uno di quelli.
“Ian, non volevo assolutamente provare nuovamente quella sensazione” disse seria, abbassando lo sguardo.
“Scusa se te l’ho ricordata” sussurrai mortificato, nonostante l’arrabbiatura non fosse ancora svanita.
Ricordarle l’incidente era stato davvero un colpo basso.
“Ascoltami. Volevo solo aiutarlo. Sai chi era? Il marito di Jodie, la mia amica agente immobiliare. Ricordi? E’ morta durante il mio turno, quando ancora facevate volontariato qui. Sua figlia Sarah è peggiorata e necessitava di un cuore. Tre giorni fa”
“Mary, mi ricordo questi avvenimenti, non c’è bisogno che li ripeti”
“Tre giorni fa avevamo trovato quel cuore, ma purtroppo Liz, un’altra bambina del piano, era più grave – prese un respiro profondo – perciò il cuore destinato a Sarah spettò all’altra bambina. Io stessa feci quel trapianto. A Sarah, invece, misi un cuore artificiale; tuttavia si è infettato ed è morta e-e io volevo solo”
“Capisco che volessi aiutare quella persona, credimi, ma hai corso un rischio troppo alto! Mary, credo che non dovresti lavorare per un po’. Magari se ti prendessi un altro periodo di ferie”
“Ferie? Cosa?! Stai scherzando. Dimmi che stai scherzando!” mi guardò incredula e arrabbiata.
“Non sto affatto scherzando. Credo che ti farebbe bene”
“No, no, assolutamente no. Ma che dici? Io non rinuncio a lavorare, solo perché oggi è successa questa cosa”
“Mary, prova a ragionare, per favore”
“Ragionare?! – alzò la voce, ancora più arrabbiata – Allora sai che ti dico? Devi prenderti le ferie pure tu”
“E adesso che c’entra il mio lavoro?” ribattei.
Non aveva senso.
“Beh, mentre io sono qui a suturare ferite, potrebbe caderti un meteorite addosso mentre giri una scena. Perciò, non andarci nemmeno tu”
“Mary, questo discorso non regge, è assurdo”
“Bene, te ne sei reso conto. Ian, non puoi dirmi di prendermi un periodo di ferie. Queste cose potrebbero succedere anche al mio rientro. Sono situazioni e tragedie che non possiamo controllare”
“Su questo hai ragione – sospirai – Ma, dimmi una cosa… mentre pensavi a far ragionare quell’uomo, hai pensato a me? Cosa ne sarebbe stato di me se quell’uomo ti avesse fatto del male?”
“No, non parlare così” chiuse gli occhi.
“E invece io parlo proprio così. Mary – la presi per le spalle – guardami. Non mi sarei mai perdonato se ti fosse successo qualcosa. Tu sei la mia ragazza, sei la mia futura moglie, dannazione, e i-io non posso vivere s-se”.
Mary non mi fece finire la frase.
“Sssh, scusami, scusami, scusami” disse mortificata tra le lacrime e mi abbracciò forte.
La strinsi anch’io. La paura e la preoccupazione svanirono con quel gesto.
Senza lasciarla andare, trovai le sue labbra e cominciai a baciarla. Mentre i nostri corpi si avvinghiavano l’uno all’altro, anche i nostri spiriti bollenti si calmarono, lasciando il posto solo alla passione.
I vestiti volarono chissà dove.
Presi Mary in braccio, a cavalcioni, ed entrai in lei. Ci appoggiammo al muro, poco sotto la finestra, con i raggi del sole che riscaldavano i nostri corpi.
“Non osare mai più farmi questo. Non sono niente senza di te. Niente” le sussurrai all’orecchio, ansimante.
“Oh, Ian” mormorò, stringendomi.
Stavamo continuando a rapportarci fisicamente, quando Mary esclamò: “Oh, mamma! Stacchiamoci"
"Cosa? Io non ho finito e di certo nemmeno tu o ti avrei sentita” feci il mio sorriso sghembo, tentando di baciarla.
“No, Ian, dico sul serio” smosse le gambe, fin quando non la lasciai andare.
Subito dopo prese il camice e si coprì.
Era rossa in volto, come se si vergognasse.
“Ma che succede?”
“Guarda lì in alto” rispose, per poi abbassare il capo nuovamente.
Seguii con lo sguardo il punto che indicava il suo dito. Vi era un puntino rosso, che lampeggiava a intermittenza.
“Credo che abbiamo appena litigato e risolto, più che risolto, molto più che semplicemente risolto, davanti a una telecamera” disse, presa d’imbarazzo.
“Telecamere anche negli sgabuzzini? – sbottai – Ah, usciamo di qui e torniamo a casa!” scossi la testa e uscimmo da quella stanza.
“D’accordo, ma prima” mi prese per mano e mi portò in un’altra stanza.
“Salve” disse cordialmente al tecnico televisivo.
“Dottoressa Floridia, giusto?”
“Esatto” sorrise.
“Cosa posso fare per lei?”
“Beh, potrebbe cominciare con il darmi una certa cassetta, o quello che è, appena registrata”
“Ah, intende quella in cui lei e il suo ragazzo famoso continuate il litigio cominciato in corridoio e poi ci date dentro come due adolescenti che non riescono a controllarsi? Mmm, spiacente, quella registrazione potrebbe tornarmi utile, se va in onda oggi pomeriggio”
“Lo sa che è un insolente?” feci un passo avanti, ma Mary mi bloccò.
“Ci penso io” disse.
Il suo tono di voce era strano. Sembrava tra il cattivo e il divertito.
Alzai le mani in segno di resa.
“Tutto tuo” risposi.
Lei mi sorrise, poi si avvicinò al tecnico.
“Qual è il tuo nome?”
“Grayson”
“Ascoltami, Grayson. Io sono un medico e sono molto brava ad aggiustare, per così dire, i corpi delle persone. Ma, in quanto medico, conosco pure i punti vitali, che possono essere facilmente raggiunti e portarti in fin di vita, se gravemente danneggiati”
“Non lo farebbe mai”
“Ah, davvero? Ne è proprio sicuro?” sorrise.
“A dire il vero no” disse Grayson un po’ spaventato.
“Bene, allora facciamo così: lei mi dia pure la registrazione, così io non le faccio pagare quasi duemila dollari di spese ospedaliere. Che ne dice?”
“Direi che è perfetto” prese la cassetta e gliela porse.
“Felice che abbiamo trovato un accordo” Mary accettò l’oggetto e tornò al mio fianco.
Stavamo per andarcene, quando si voltò nuovamente.
“Ah, Grayson”
“Sì?”
“Stavo solo scherzando! Non ci riuscirei mai. Non ho nemmeno la forza di colpire una mosca” si mise a ridere e mi prese a braccetto.
Prendemmo le nostre auto e tornammo a casa.
Non appena rientrò, le andai incontro e cominciai a toccarle i fianchi.
“Ian?” disse il mio nome, già ammaliata.
“Dimmi, cara” continuai a toccarla.
“Che stai facendo?”
“Ti tocco i fianchi. E’ forse vietato?”
“No, certo che no – fece una risatina – Ma perché?”
“Perché sono rimasto piacevolmente sorpreso. Non conoscevo questo tuo lato, mmm come dire… dark?” risi, baciandole il collo.
“Non è niente di che. A volte mi diverto a fare la ragazzaccia”
“Saresti un’attrice straordinaria”
“Errore, io sono timida”
“Non mi sei sembrata molto timida prima”
“L’apparenza può ingannare”
“Non stavolta” smisi di accarezzarle i fianchi.
“Non smettere, mi piaceva” si lamentò in modo sensuale.
“Lo so. Ma credo che questo ti piacerà di più – sorrisi e la presi in braccio – Preferenze?”
“Credo che una doccia sarebbe l’ideale” mi guardò maliziosa.
Mi diressi verso il bagno, mentre le nostre bocche non riuscivano a separarsi.
 
POV Mary
Aprii gli occhi lentamente, mentre Ed Sheeran cantava sulle note di “Kiss me”.
Staccai il telefono e guardai l’orario.
Erano le nove.
Il giorno era arrivato.
Mi guardai intorno, sorridente e compiaciuta di me stessa.
Il sole entrava deciso dalla grande porta finestra, che dava sul terrazzo, e illuminava tutta la mia stanza, mai stata così bella prima di allora.
Strinsi le lenzuola a me con fare possessivo, mentre cercavo di trattenere dentro di me la felicità per quel preciso evento.
Il telefono vibrò nuovamente, stavolta facendo echeggiare un ‘toc toc’.
Sbloccai la tastiera e lessi il messaggio.
<< Buongiorno, splendido raggio di sole! Oggi è il grande giorno *-* chi avrebbe detto che sarebbe arrivato così all’improvviso? Il mio bouquet aveva ragione :P Come ti senti? Non vedo l’ora di vederti, sarai bellissima! Ti voglio bene :* >>.
Sorrisi.
Rose aveva proprio ragione. Ricordai, stringendo più forte a me le lenzuola bianche, il giorno del matrimonio di Rose e Steve, quando, senza alcuna previsione, avevo preso il bouquet.
Al solo pensiero di quel mazzo di fiori color indaco tra le mie mani, arrossii.
Quello, anche se per puro caso, era stato il primo indizio di tutto quello che stavo per vivere.
Cliccai lo spazio per rispondere e le scrissi: << Già, la ‘leggenda del bouquet’ questa volta ci ha preso! Io non vedo l’ora di abbracciarti! Ti voglio bene anche io :* >>.
Inviai il messaggio e lo guardai imbambolata per un po’, poi mi voltai verso la porta, che aveva appena scricchiolato.
“E’ permesso?” disse mia madre, entrando di soppiatto con un vassoio.
“La colazione a letto? Addirittura” risposi, ancora un po’ assonnata.
“Beh, credo oggi calzi a pennello” sorrise, porgendomi il vassoio.
Lo osservai attentamente. Solo succo di frutta, pane tostato e marmellata di albicocche.
“Ti ho preparato solo queste cose perché suppongo tu non abbia molta fame, ma, se mi sono sbagliata, corro subito a prepararti altro”
“No, va benissimo così” sorrisi e cominciai a mangiare.
Ad accompagnare quella colazione semplice e deliziosa c’era una rosa bianca. La presi e una goccia di rugiada cadde sul lenzuolo.
“I nonni l’hanno portata stamattina. Direttamente dal loro giardino paradisiaco, solo per te” mi disse, poi uscì dalla stanza, lasciandomi sola.
Ah, che nonni cari! Se stavano provando ad aggiungere perfezione a quella giornata ci stavano riuscendo benissimo.
Chiusi gli occhi per un momento. Mentre respiravo profondamente, ricordai l’ultima volta che ero stata in quel magico posto.
Pasqua, solo tre settimane prima. Accanto a me c’era Ian e dovevamo annunciare a tutti il matrimonio.
Riaprii gli occhi, ancora sorridente per quella memoria, così recente, ma che sembrava così lontana.
Le tre settimane successive a quel giorno, infatti, erano state un vero inferno anche per via dei preparativi, oltre che per il lavoro. Se non avessi ricevuto una mano da mia madre, Serena, Iris, Tatia, Nadia, Mel, Rose, Edna e Robyn non ce l’avrei mai fatta a organizzare tutto in tempo. Tante volte avevo pianto per qualcosa in ritardo o non andata per il verso giusto, ma loro nove mi avevano sempre sostenuta e consolata, facendomi arrivare a quel giorno più tranquilla.
“Toc toc” Serena irruppe nella stanza, con in mano il mio vestito.
Era elettrizzata, il suo volto sprizzava felicità da tutti i pori.
“Accidenti, S, ci manca solo che ti metti a fare le capriole con triplo salto mortale – risi – Ovviamente non con il mio vestito in mano”.
Mi fece una linguaccia ridendo, poi, sistemato l’abito accuratamente, si sedette vicino a me e mi abbracciò.
“Sono solo felice per la mia grande cugina! Non posso esserlo?”
“Certo che puoi. Sono felice anch’io” la strinsi.
“E’ bello sentirtelo dire”
“Ci credo. Dopo anni e anni di ‘rimarrò zitella’ e simili, sarai sollevata”
“Questo sicuramente – ridemmo, poi tornò seria – Ho una cosa da darti” mi fece l’occhiolino e uscì dalla stanza.
Qualche secondo dopo tornò con un pacchetto in mano.
“Aprilo” mi sorrise.
“Che cos’è?” la guardai, corrugando lievemente la fronte.
“Per questo devi aprirlo” rise.
“Ok” presi il pacchetto in mano e lo scartai.
I miei occhi cominciarono a velarsi di lacrime.
“Lo ricordi? Era il mio ‘qualcosa di nuovo’ il giorno del mio matrimonio e me lo avevi regalato tu. Probabilmente starai pensando: ‘Ma perché mi stai dando qualcosa che ti ho regalato io?’. La risposta è molto semplice. Questo è il simbolo più bello del nostro ‘essere cugine’, della nostra amicizia, della nostra sorellanza. Questa è una delle cose più care che ho e voglio che in questo giorno così importante, che aspetti praticamente da quando sei nata, questa sia il tuo ‘qualcosa di prestato’”.
Guardai attentamente la collana di oro bianco con il ciondolo a forma di infinito.
Ciondolo forse un po’ scontato, talvolta utilizzato da tanti in modo superficiale, ma era il simbolo perfetto per noi.
Mai avevamo litigato, sempre ci eravamo sostenute, sempre ci eravamo incluse nei nostri progetti futuri. Nonostante ci fosse la distanza fisica a separarci, mai avevamo permesso che ci fosse quella emotiva. Il nostro legame era davvero inscindibile.
“S, io…” non riuscii a continuare la frase, le lacrime mi avevano invasa.
“Ho fatto bene a dartela adesso, se avessi ritardato ti saresti rovinata tutto il trucco – sorrise e mi abbracciò – Ti voglio bene”
“Non sai quanto te ne voglia io” dissi tra le lacrime e la strinsi forte.
“E’ permesso?” disse Giorgio, con al suo seguito mio cugino Stefano e mia cugina Francesca.
“Ragazzi, ma che ci fate tutti qui stamattina?” sorrisi, asciugandomi velocemente le lacrime.
“Siamo venuti recando doni” Francesca sorrise e mi porse un pacchetto.
“Anche tu?” mi limitai a dire e, con le mani tremanti, lo scartai.
Un paio di orecchini blu mi ammaliò completamente.
“Ho fatto questi orecchini per te. Sono il tuo ‘qualcosa di blu’”
“Fra, non dovevi”
“Sì, invece. Auguri” sorrise e mi abbracciò.
“Ne abbiamo uno anche noi due” Giorgio e Stefano sghignazzarono, mentre me lo porgevano.
Lo aprii.
“Non è divertente!” li guardai.
“E’ il tuo ‘qualcosa di nuovo’” disse Giorgio.
“E poi è tradizione americana” aggiunse Stefano.
Presi la giarrettiera bianca in mano.
“Non ho intenzione di farmi togliere questa cosa dalla coscia d-davanti a tutti”
“Sei diventata rossissima” Stefano mi canzonò.
“Sarà imbarazzante” sbottai.
“Questo vuol dire che lo farai” Giorgio rise.
“Ho scelta?”
“Ovviamente no!”.
Ridemmo tutti quanti, poi ci abbracciammo.
“Possiamo unirci alla festa?” Mel, Iris, Nadia e Tatia fecero capolino dalla porta.
“Siamo venute per portare il ‘qualcosa di vecchio’” disse Mel, sorridendo.
Si scambiarono tutti uno sguardo complice.
“E cosa sarebbe?” chiesi io, incerta se sorridere o esserne spaventata, considerata già la giarrettiera.
“Beh – avanzò con passo esitante Nadia – in realtà sono due cose. Molto vecchie. Direi che hanno almeno – avvicinò il pollice e l’indice al mento, per pensare – che dici, Tatia? Almeno una decina d’anni. Giusto?”
“Giustissimo – sopraggiunse Tatia – e, anche se è malconcio e per questo motivo è stato sostituito, beh, tutte lo conserviamo ancora” sorrise.
Sorridemmo tutte.
Avevo capito di cosa si trattava.
Quando Tatia tirò fuori il mio braccialetto, con incise le nostre iniziali, delle ‘sorelle per scelta’, non fui sorpresa. Era il qualcosa di vecchio più azzeccato che potessero trovare.
Il primo braccialetto che avevamo preso tutte insieme a Firenze, nel secondo anno di università.
Il primo di una lunga serie, con i segni evidenti del tempo, con l’attaccatura arrugginita, con il cuoio colorato di azzurro un po’ sbiadito, ma bellissimo.
Porsi il polso destro, per permettere a Tatia di legarmelo.
“Dopo il matrimonio ovviamente torna nel tuo mausoleo, Mary” disse Nadia, agitando l’indice, come se fosse una madre che raccomandava il figlio.
“Ovviamente – risi – Ma, a proposito, perché avete detto che le cose vecchie sono due?”
“Mi permetto di aggiungere al ‘qualcosa di vecchio’ una cosa prettamente nostra, ancora più vecchia del braccialetto azzurro – disse Iris, sorridendo – una cosa che è con me da ben undici anni, modificata da otto, che non indosso sempre o si rovina ancora di più; che non sembra, ma tengo con cura; che non è di oro, ma è tra le cose più preziose che possiedo. E mi dispiace per il colore” concluse con una smorfia.
Anche in quel caso, mi ci volle solo un attimo per capire.
Non appena il mio pensiero si collegò a quel secondo braccialetto, quest’ultimo si materializzò davanti ai miei occhi, tra le mani di Iris.
Il braccialetto di cuoio colorato di fucsia, con su inciso ‘Persona’ era davanti ai miei occhi.
Quella parola per i ‘comuni mortali’ era una parola ordinaria, ma per chi, come me, era da sempre una fan sfegatata di ‘Grey’s Anatomy’ sapeva quanto fosse importante. E, soprattutto, sapeva quanto quella parola ci appartenesse. Proprio per questo motivo, nonostante le avessi regalato quel braccialetto prima di partire per l’università, lo avevo riportato al negozio nel 2006 per far aggiungere quella parola, per farla incidere, così che fosse sempre con lei e, quindi di conseguenza, che anch’io lo fossi.
“E’ forse la cosa che più ci rappresenta, questa parola. Perché come Mer e Cri, non ci siamo mai abbandonate. C’è stata la lontananza fisica, è vero, ma mai, mai sentimentale. Ci siamo sempre dette le cose con schiettezza, ci siamo sempre dette quando sbagliavamo e quando, invece avevamo ragione. Ci siamo sempre supportate. Le nostre spalle hanno visto le nostre lacrime. I nostri occhi hanno visto i nostri sorrisi. E, anche se non possiamo vederci o sentirci tutti i giorni, sappiamo che ci siamo. E che ci saremo sempre. Per questo, in un giorno così importante, ci tengo che tu abbia questa parola accanto” mi legò il braccialetto accanto all’altro.
“Oh, Persona mia!” esclamai piangendo, mentre ci abbracciavamo forte.
“Adesso corri a fare la doccia. Parrucchiera e truccatrice saranno qui a momenti” disse la mia persona dopo qualche attimo, sorridendo.
Sciolto l’abbraccio, mi diede una spintarella verso il bagno.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=_mIZCiXPv0w
 
Mio padre mi teneva ben salda, mentre le mie amiche italiane e Rose erano pronte a sfilarmi davanti, stringendo i loro bouquet.
Serena, Iris e Giorgio, in qualità di testimoni, erano già all’interno della chiesa.
“Pronta?” mi chiese mio padre.
“Sì” dissi decisa e feci segno alle mie amiche di procedere.
Più salivamo, più Ian si faceva vicino. Ero emozionatissima, il cuore mi batteva a mille, sentivo le gambe cedere, ma non importava. Dovevo continuare, dovevo salire tutti gli scalini, dovevo arrivare in cima, solo così il mio sogno si sarebbe coronato. Arrivata a metà strada, prima di proseguire, mi voltai a guardare il paesaggio.
Ricordavo perfettamente il giorno in cui avevo deciso di sposarmi nella chiesa madre della mia città natale, San Giorgio.
Era il Giugno del duemiladue e avevo diciassette anni. Era uno di quei periodi strani. Pensavo sempre al principe azzurro che mi avrebbe salvata, che mi avrebbe permesso di donare tutto l’amore che potevo offrire e che mi avrebbe amata, ma non arrivava mai. Era una situazione triste, perché tutte le ragazze della mia classe ne avevano, invece, a bizzeffe. Mi veniva sempre la voglia di sprofondare e di piangere e la speranza, che tutti mi consigliavano di avere, sembrava ormai sparita, dissolta.
Quel giorno, però, era cambiato tutto. Le campane erano in festa per il matrimonio di amici di famiglia e, quando avevo salito tutti gli scalini, l’imponenza della chiesa e l’immenso paesaggio dinanzi a lei mi avevano stregato talmente tanto, che tutta quella frustrazione era svanita nel nulla. Era stata una sensazione splendida, di serenità, di pace, come se in quel momento non avesse avuto importanza il fatto che fossi l’unica ragazza a non essere fidanzata della mia classe. Dentro di me si era insinuata quella speranza che più volte mi era stata menzionata. In quell’esatto istante avevo finalmente realizzato che non dovevo cercare e cercare, a volte anche con disperazione, ma semplicemente… aspettare. Quell’atmosfera mi aveva donato quel pensiero, perciò il minimo che potessi fare era realizzare quel pensiero proprio lì.
“Tutto ok?” mi sussurrò mio padre.
“Sì, pensieri giovanili, niente di che” sorrisi e proseguimmo.
Arrivati in cima, riuscii a intravedere Ian in tutto il suo splendore.
Era vicino all’altare. Indossava un abito nero, completo di panciotto e papillon, anch’essi neri.
Sentii le guance avvampare. Non riuscivo a credere che tutto stesse accadendo davvero.
Cominciai a percorrere la navata al fianco di uno dei miei genitori, mentre il mio amato coro, la mia seconda famiglia dall’età di 15 anni, cantava gioioso per il mio ingresso. Giunti vicini a Ian, mio padre gli cedette la mia mano e lui l’accolse dolcemente, poi mi tolse il velo e mi baciò in fronte.
“Ciao splendore” mi sussurrò.
“Ciao a te” la mia voce faceva trasparire tutta la mia emozione.
“Andiamo a sposarci” sorrise.
“Sposarci? Credevo fossimo qui per visitare la chiesa” sussurrai a mia volta, sarcastica.
Ian mi strinse la mano e sorrise, poi la cerimonia iniziò e il sacerdote ci fece accomodare. Cominciarono le letture.
Scoppiai in lacrime come una bambina, quando Giorgio, tutto ben vestito, cominciò a cantare per me. Avevo sempre pianto quando cantava, era vero, però, stavolta c’era una variazione. Tutte le note e le parole che intonava contenevano quella passione da fratelli che ci legava, nonostante i litigi che avevano caratterizzato la nostra infanzia e la lontananza fisica che aveva caratterizzato la nostra maturità.
Non appena finì di cantare, mi disse ‘ti voglio bene’ al microfono e tornò a sedere.
La cerimonia continuò e arrivò il momento del matrimonio vero e proprio. Il sacerdote si avvicinò e invitò me e Ian ad alzarci, poi a porci uno di fronte all’altra. Dopo una serie di formule, il sacerdote ripeté prima in italiano, poi in inglese: “Se, dunque, è vostra intenzione unirvi in matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete, davanti a Dio e alla Sua Chiesa, il vostro consenso” e porse il microfono a Ian.
“Io, Ian Joseph Somerhalder, accolgo te, Maria Chiara Floridia, come mia legittima sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” mi sorrise.
Il microfono passò a me: “Io, Maria Chiara Floridia, accolgo te, Ian Joseph Somerhalder, come mio legittimo sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” finii la frase con commozione e Lucas accorse per portarmi i fazzoletti.
Dopo aver asciugato le lacrime di gioia, il sacerdote consegnò a Dio il nostro amore e consacrò le fedi, poi diede nuovamente il microfono a Ian.
“Maria Chiara, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e mi mise l’anello al dito.
“Ian, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” sorrisi e gli misi l’anello.
“Per il potere conferitomi dalla Chiesa, vi dichiaro marito e moglie” il sacerdote sorrise e tutti ci applaudirono.
Il resto della cerimonia passò in fretta e ben presto arrivò la benedizione del sacerdote, che segnava la fine della messa.
Io e Ian ci voltammo e vedemmo arrivare una massa di persone.
Dopo auguri, baci e abbracci, Ian mi prese a braccetto e, mentre la marcia nuziale suonava autorevole, percorremmo la navata per uscire dalla chiesa.
 
“Oddio, no, è troppo imbarazzante – mi coprii il volto con le mani – per favore, abbiate pietà!” implorai, ma invano.
Quasi tutti gli invitati erano disposti di modo che si formasse un cerchio tra me e Ian.
Il lancio del bouquet c’era già stato, l’aveva preso Nina, con sua grande sorpresa e, soprattutto, imbarazzo.
Ora, teoricamente, spettava alla giarrettiera.
Al centro del cerchio, proprio tra me e Ian, vi era una sedia. Dovevo, sempre teoricamente ovviamente, appoggiare un piede lì e permettere a mio marito di togliermi con i denti quella sottospecie di fascia. Il tutto, per la mia gioia, mentre tutti gli invitati ci fissavano.
“Mary, dai! E’ solo una giarrettiera!” disse Ian per incoraggiarmi.
“Non è ‘solo’ una giarrettiera – precisai, borbottando a bassa voce, così che sentisse solamente lui – ti devi infilare in mezzo alle mie cosce per toglierla” diventai bordeaux, davanti agli occhi divertiti del mio consorte.
“Chiudi gli occhi e sarà tutto finito in men che non si dica” sussurrò beffardo, facendomi l’occhiolino.
Brontolai, poi appoggiai il piede sulla sedia. Tutti, soprattutto gli uomini, cominciarono a urlare, mentre Ian si chinava e percorreva il profilo della mia gamba destra con la guancia.
Non appena arrivò all’altezza della giarrettiera, prima che cominciasse a toglierla, salì un po’ più su e mi diede un bacio sull’inguine.
Trattenni il respiro per un attimo, mentre il disgraziato a mano a mano veniva fuori con la giarrettiera tra i denti.
Tutti gli invitati urlarono molto di più, applaudendo.
Ian, radunati gli uomini, procedette con il lancio della giarrettiera.
Lo prese Alex.
Il fotografo incitò i due vincitori a posare insieme con i loro bottini per immortalare quel momento.
Fu estremamente comico assistere alla scena.
Nina teneva il bouquet a disagio, chiaramente non contenta di cosa rappresentasse, mentre Alex, già evidentemente parecchio ubriaco, era così fiero di aver preso la giarrettiera, che se la mise in testa, come fosse una corona.
La foto venne scattata e Nina tornò immediatamente da Joseph, cercando di allontanarsi il più possibile dal mio collega.
Poco prima che potesse essere annunciato il primo ballo tra me e Ian, l’animatore della serata propose un momento di discorsi, per cui chiunque poteva dire qualcosa a noi come singole persone o come coppia, se avesse voluto.
Gli invitati cominciarono a mettersi in fila, mentre ci accomodavamo mano nella mano.
Tra colleghi, conoscenti e parenti vari, arrivò finalmente il turno di Jess e Paul, i migliori amici in assoluto di Ian.
“Ian, caro, uno dei ‘miei ragazzi’ – disse Jessica, virgolettando le parole – come dice Amelia Pond al suo Dottore e al suo amato Rory – sorrise – Il giorno del mio matrimonio celebrasti tutto emozionato il nostro Amore, esaltandolo, sottolineando come l’Amore Vero sia un sentimento quanto raro quanto immediato da trovare. Perché quando vedi quella persona, semplicemente lo sai. Senti proprio dentro che potrebbe essere La – sottolineò quell’articolo – persona, quella con cui passare il resto della propria vita. E non è facile. E anche per voi non lo è stato, lo sapete voi e lo sappiamo pure noi che, nel nostro piccolo, abbiamo accompagnato la vostra storia; però vedervi adesso in questo giorno, felici, sereni e innamorati è così bello che fa ammettere che ne è valsa la pena. Aspettare, scappare, rinnegare, tornare e finalmente amare, proprio tutto ciò che vi ha condotto qui, l’uno davanti all’altra. Mi sembra di essere la Lily della situazione, davanti a Ted e Tracy di ‘How I met your mother’, tutta contenta di dire che ce l’abbiamo fatta finalmente. Non so se questo discorso abbia senso, ma”
“Possibilmente no” si intromise Paul, dandole una spintarella.
“Ma finiscila – sghignazzò Jess – Dicevo, ma sono davvero felice, così come anche Paul, di essere qui oggi e di vedere celebrato questo amore! Vi vogliamo bene! Congratulazioni, ragazzi!” applaudirono, sorridendoci, poi lasciarono il posto alle mie sorelle per scelta.
“Avevamo pensato di dire una cosa come, per esempio, quanto avessimo ragione a dire alla carissima Floridia che non sarebbe rimasta sola, ma, piuttosto che ricordare questo” Serena sorrise.
“Abbiamo pensato di ricordarle una cosa, che effettivamente ha a che fare con questo discorso, che abbiamo ascoltato per – Tatia corrugò la fronte, guardando Nadia – quanti anni, sorella? Tredici anni circa?”
“Sì, anno più, anno meno, sono stati circa tredici anni” anche Nadia sorrise.
“Ragazze, mi state spaventando” ammisi, agitandomi sulla sedia.
“Beh, fai bene – Iris si impadronì del microfono sghignazzando – perché, visto che avevamo ragione noi, tu hai perso una certa scommessa, fatta nel”
“Nel 2004, oh mamma!” esclamai, ridendo istericamente.
 
“Mary, non rimarrai una gattara a vita”Mel avvicinò un altro shot al mio volto.
“Sì, invece, perché chi vuoi che mi prenda?” risi, mentre buttavo giù l’alcolico.
“Mary, ok, visto che non ci darai mai ragione a parole, ma sicuramente a fatti sì, facciamo una scommessa” Iris batté le mani, guardandomi ammiccante.
“Sentiamo”
“Se un giorno ti sposerai, al tuo matrimonio dovrai bere cinque shots, uno per ognuna di noi, visto che quel giorno sarà la conferma del fatto che abbiamo sempre avuto ragione” incrociò le braccia.
“D’accordo – risi più forte – tanto non accadrà mai”
“Ok, brindiamo e suggelliamo questa promessa” disse Serena, versando il vino bianco nei calici.
“Cin cin, promessa sia” dicemmo tutte insieme.
 
 “Esattamente, perciò, abbiamo fatto preparare i cinque shots che dovrai bere di fila: rum e pera, vodka liscia, scotch single malt, bourbon e, per finire, tequila, insieme a sale e limone”
“E fu così che Mary andò in coma etilico” mi auto canzonai, guardandole implorante.
“Ah, ah – Mel agitò un indice – gli occhi da cucciolo non funzioneranno in questo momento”
“Uffa” brontolai, roteando gli occhi.
Cercai di aggrapparmi al braccio di Ian, ma fu inutile. Del tutto inutile.
Le mie sorelle per scelta mi strapparono da lui, avvicinandomi al tavolo.
“Ian” lo chiamai, lagnosa.
“Beh, una scommessa è una scommessa” disse divertito.
“E va bene, va bene” scossi la testa.
Presi un bel respiro, poi cominciai a svuotare i bicchierini velocemente. Per ultimo, leccai l’incavo della mano destra, in cui avevo messo il sale, bevvi la tequila e poi presi la polpa del lime.
Sgranai gli occhi, cercando di rimanere in equilibrio.
“Ce l’hai fatta” urlarono quelle disgraziate, battendo le mani.
Ian mi si avvicinò, tenendomi da dietro.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Sì, non preoccuparti” mi voltai, sorridendogli.
“Ora, però, abbiamo un’altra sorpresa” Nadia sorrise, porgendo a me e Ian un microfono ciascuno.
“Eh?” prima ci guardammo entrambi, per poi guardare loro.
“Sì, esatto, perché dovrete cantare! – Iris parlò eccitata – più precisamente questa canzone. Via!” fece segnale all’animatore, di modo che facesse partire la base.
Subito la riconobbi e sorrisi.
Era la seconda parte di ‘A thousand years’ di Christina Perri.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=9RbcR_KSRB8
 
The day we met,
Frozen I held my breath
Right from the start
I knew that I'd found a home for my heart
Beats fast
Colors and promises
How to be brave?
How can I love when I'm afraid to fall
But watching you stand alone
All of my doubt suddenly goes away somehow
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
Time stands still
Beauty in all she is
I will be brave
I will not let anything take away
What's standing in front of me
Every breath
Every hour has come to this
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I'll love you for a thousand more
I'll love you for a thousand more
Ohh
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I'll love you for a thousand more
La canzone si concluse, ma la base strumentale continuò a essere suonata.
L’animatore raccolse i microfoni e ci invitò a danzare proprio su quelle note, che, grazie alle mie donne di sempre, io e Ian ci eravamo appena dedicati. Ian mi prese la mano destra e con l’altra mi cinse i fianchi. Cominciammo a volteggiare e volteggiare. Improvvisamente, tutto il mondo circostante era svanito. C’eravamo solo noi e la dolce musica.
Alla fine del ballo, avvertendo un capogiro, mi aggrappai più fortemente a mio marito, che mi strinse.
Tutti applaudirono, poi presero anch’essi a danzare.
 
POV Ian
Aprii la porta della stanza d’albergo, poi presi Mary in braccio.
“Ma che fai?” sussurrò, scoppiando a ridere.
“Beh, è tradizione – sorisi – o mi sbaglio?”
“No, non sbagli, è che mi gira tutto” Mary continuò a ridere.
“Ti prego non dirmi che sei veramente ubriaca la nostra prima notte di nozze” dissi, mentre chiudevo la porta alle mie spalle.
“Ubriaca io? Sai benissimo che reggo bene l’alcol”
“Oh, lo so! Ma quei cinque shots”
“Quei cinque shots mi hanno solo rallegrata, non preoccuparti” mi fece l’occhiolino.
Non appena le permisi di poggiare i piedi per terra, le cinsi i fianchi.
“Allora” le sussurrai all’orecchio.
“Ce l’abbiamo fatta, eh? Questa giornata è passata – sospirò di sollievo – ed è andata incredibilmente bene”
“Esatto, ma questo non mi sorprende più di tanto, cara mogliettina”
“Oh! – sorrise chiudendo gli occhi – Dillo di nuovo”
“Tipo le iene con il nome di Mufasa?”
“Esatto” rise.
“Mogliettina” ripetei, carezzandole il fondo schiena.
“Caro maritino, ho i brividi”
“Spero di piacere” ammisi.
Restammo per un silenzio in quel modo. Io in apnea, lei, ancora con gli occhi chiusi, concentrata sulle mie mani.
Dopo un po’, riaprì gli occhi, molto più maliziosi di prima.
“Perciò, siamo sposati”
“Eh già” sorrisi.
“Molto bene” disse.
Cominciò a toccarmi il petto, su e giù, su e giù.
Nonostante fossero dei semplici tocchi, io ero già elettrizzato.
“Maritino, avrei una richiesta” sorrise, allontanando le sue mani.
“Dimmi”
“O forse più che altro dovrei chiamarla una cortesia” continuò vagamente.
Corrugai la fronte, cercando di capire se dietro quelle parole ci fosse davvero qualcosa o se stesse solo vaneggiando per l’alcol.
Mary, nel frattempo, si era allontanata da me e si era voltata. Scostati i capelli, mi guardò.
Riprese: “Mi abbasseresti la lampo del vestito?”
“Oh” risposi, con le dita che fremevano.
Feci come mi aveva chiesto. Mary fu, così, in grado di sbarazzarsi del vestito; appoggiatolo, poi, accuratamente su una sedia, tornò di fronte a me in intimo, con ancora indosso i tacchi.
Non era mai stata così bella come in quel momento. La stavo letteralmente divorando con gli occhi, fin quando non disse: “Potresti pure toccare, non solo guardare, sai, maritino caro?” ridendo.
Non me lo feci ripetere due volte. Mi tolsi la giacca e le cinsi i fianchi, cominciando a baciarla con desiderio. La mia – forse ubriaca – consorte, di rimando, mi tolse la camicia e mi sbottonò i pantaloni. In men che non si dica ci ritrovammo tra le lenzuola, l’una tra le braccia dell’altro.
“Ti amo” mi sussurrò.
“Anche io, tanto” le sorrisi, carezzandole il volto.
Anche lei sorrise.
Gli intimi volarono. Mary mi baciò il petto, poi salì a cavalcioni su di me e cominciò a muoversi.
Quelle dichiarazioni d’amore sussurrate furono le ultime parole di quella notte.
 
“Cosa si aspetta da stasera? Lei sa qualcosa circa questo spettacolo?” mi chiese un giornalista, su uno strampalato red carpet.
“Onestamente no, ma sono davvero eccitato. I ragazzi si sono impegnati tanto per divertire il pubblico e per fare in modo che ci siano delle donazioni a favore dell’ospedale, scopo primario per celebrare la storia di questa struttura, per cui sono certo che sarà tutto straordinario e che andrà tutto bene”
“E’ strano per lei sapere che sarà seduto a guardare la moglie su un palco? Non è un po’ un’inversione di ruolo?”
“No, anzi non vedo l’ora di vedere quale sarà il suo di ruolo” sorrisi, cercando di tenere a freno la lingua e non rispondere con un doppio senso.
I giochi di ruolo, infatti, a me e a quella pazza di Mary piacevano molto.
“Pensa che l’idea del documentario sia stata buona?”
“In fin dei conti sì. Insomma, ci sono stati dei momenti in cui l’ho odiata, davvero tanto, però, beh, ecco, adesso credo sia stata davvero una cosa buona. E’ servita per l’ospedale, perché dopo centocinquant’anni di attività si meritava una grande festa e poi anche per chi ci lavora. Queste professioni vengono acclamate, ma spesso passano in secondo piano, rispetto, per esempio, alla professione che svolgo io, quando in realtà dovrebbero essere più in evidenza. Qui lottano con le unghie e con i denti per salvare delle vite. Già dire solo questo fa capire come siano tutti straordinari”
“Grazie mille, Ian” il giornalista sorrise.
“Di niente” ricambiai il sorriso e proseguii.
Nonostante sapessi che tutti i componenti dell’ospedale avevano oltrepassato il red carpet molto prima di me, non potevo fare a meno di guardarmi intorno alla ricerca di Mary.
Trovai, invece, Nina e Joseph.
“Ciao, ragazzi” sorrisi, agitando la mano.
“Niki, per favore – Joseph roteò gli occhi, poi mi notò – Oh, Ian, ciao!” sorrise.
“Che succede?” chiesi, guardandoli entrambi.
“Nina non vuole stare qui stasera, perché la presenza di quell’Alex la irrita” mi spiegò Morgan.
“Oh! Fa a tutti quell’effetto, non preoccuparti”
“Sì, ma da quando ha vinto quella giarrettiera, ogni volta che mi guarda ammicca e mi infastidisce, non lo reggo” strinse i pugni.
“Pensa che sei venuta per vedere Mary, lascia perdere quel troglodita”
“Hai ragione, Jo, però” abbassò il capo.
“Niente ‘però’. Su, prendiamo posto o non riusciremo a vedere niente”.
 
Era stato tutto incredibilmente perfetto.
Non c’erano altre parole per descrivere quella serata.
Tutto era stato azzeccato, curato, fantastico.
I dialoghi erano stati mirati, perfetti per far capire la storia dell’ospedale e il suo significato, sia fisico per la città che sentimentale per lo staff.
Le foto erano state sorprendenti, perfette per far notare la crescita di quella struttura, che ai tempi dell’ottocento era una semplice casa per poi arrivare alla grandezza dell’attualità.
I video erano stati divertenti e commoventi, perfetti per evidenziare quanto sia delicato quel mestiere, quanto non sia affatto facile essere un medico, un chirurgo, un infermiere, un’ostetrica, un paramedico e così via.
Era stato bello vedere quei ragazzi – e soprattutto Lei – a lavoro. Effettivamente noi avevamo avuto la fortuna di vederli dal vivo, cosa sottolineata nel corso della serata, essendo il nostro volontariato stato un evento importante, ma era stato comunque straordinario osservarli in quelle registrazioni, prima tutti concentrati per una visita o un’operazione e poi un po’ più spensierati in saletta. Queste differenze permettevano di realizzare come, nonostante tutto, fossero umani. Esattamente come tutti gli altri. Capaci della grandezza e del fallimento. Capaci di soffrire, ma anche di gioire con le famiglie dei loro pazienti e con i pazienti stessi.
E, infine, ma non meno importanti, le canzoni. Ah, quelle canzoni! Semplicemente perfette.
Era impossibile non ripetere quell’aggettivo per ogni cosa.
Le canzoni erano state tantissime ed emozionanti, partendo da ‘The story’ di Brandi Carliel e ‘Saturn’ di Sleeping at last, cantate egregiamente dalla mia consorte, arrivando fino a ‘Viva la vida’ e ‘Fix you’ dei Coldplay, ‘How to save a life’ dei The Fray, ‘Eye of the tiger’ di Survivor, ‘To build a home’ dei Cinematic Orchestra, ‘Stay with me’ di Sam Smith, ‘Human’ di Christina Perri, ‘Try’ di Pink e molte, moltissime altre.
Il palco si illuminò nuovamente, segno che lo spettacolo stava per proseguire.
Venne fuori Mary, vestita in divisa, come se stesse per andare a lavoro. Si avvicinò al microfono.
“Signore e signori, bambini e donzelle, a nome di tutto lo staff ospedaliero, vi ringrazio per aver partecipato a questa serata di beneficenza. Il ricavato, come già detto, andrà all’ospedale, che finanzierà ogni singolo reparto. Non vi ringrazio solo per la vostra gentilezza nel donare delle somme di denaro, ma anche e soprattutto per un'altra cosa, molto più importante di quest’ultimo. Grazie per averci donato il vostro tempo e per averci permesso di mostrare la dedizione e la passione che ogni singola persona all’interno di questo ospedale mette nel suo lavoro; l’allegria e la simpatia che si mostrano verso i pazienti, che non sono solo incubatrici di malattie, anche se a volte queste sono fantasticamente affascinanti, ma persone che vanno curate e rispettate e che meritano di sorridere, nonostante il grave peso di una malattia. Questo è ciò che avete osservato in questi mesi  tramite il documentario che il nostro primario, il dottor Craig Richardson, ha permesso di girare. Stasera, però, avete scoperto un’altra cosa. Noi medici, noi chirurghi, noi ostetriche, noi infermieri, noi paramedici e noi tecnici non siamo delle persone strane che pensano alla scienza e basta. Noi siamo persone capaci di amare e di essere amati; capaci di avere degli hobby e altre passioni al di fuori della medicina. Noi siamo come una grande famiglia, che gioisce per il successo di un membro e consola la sfortuna di un altro. Sono fiera di far parte del Saint Joseph e spero che, grazie a questo periodo di tempo trascorso insieme e soprattutto a questa sera, voi possiate essere felici di averci al vostro servizio. Grazie a tutti di cuore. Ora vi lasciamo con un’ultima, ma non meno importante, canzone. Buona visione” sorrise e prese il microfono tra le mani.
Mentre lo strumentale cominciava e tantissimi dello staff entravano in divisa con i microfoni, dei video partirono sullo schermo, arricchendo maggiormente quella performance.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=H3CDz-vsF50
 
Hope when you take that jump, you don't fear the fall
Hope when the water rises, you built a wall
Hope when the crowd screams out, they're screaming your name
Hope if everybody runs, you choose to stay
Hope that you fall in love, and it hurts so bad
The only way you can know is give it all you have
And I hope that you don't suffer but take the pain
Hope when the moment comes, you'll say
I, I did it all
I, I did it all
I owned every second that this world could give
I saw so many places, the things that I did
With every broken bone, I swear I lived
Hope that you spend your days, but they all add up
And when that sun goes down, hope you raise your cup
Oh, I wish that I could witness all your joy and all your pain
But until my moment comes, I'll say
I, I did it all
I, I did it all
I owned every second that this world could give
I saw so many places, the things that I did
With every broken bone, I swear I lived
Oh, oh, oh, oh
With every broken bone, I swear I lived
With every broken bone, I swear I
I, I did it all
I, I did it all
I owned every second that this world could give
I saw so many places, the things that I did
With every broken bone, I swear I lived
Oh, oh, oh, oh
I swear I lived, ohhh
I swear I lived, ohhh
 Non appena la canzone finì, tutti urlarono un ‘Grazie’. Le luci sul palco si spensero.
Cominciammo tutti ad applaudire, ci alzammo in piedi, urlammo anche noi.
Era stato davvero perfetto.
 
POV Mary
Lo spettacolo era andato benissimo, noi ci eravamo divertiti e il pubblico aveva apprezzato tantissimo, specie tutti i video che parlavano della storia dell’ospedale dalla costruzione ai giorni nostri, per non parlare delle varie esibizioni di tutto lo staff ospedaliero.
La spensieratezza, provocata da quella magica serata, sparì, però, molto presto. Mentre organizzavamo l’evento, infatti, Rose aveva fatto il sorteggio per decidere chi avrebbe scritto e letto il discorso di ringraziamento. La mia amata amica sfortuna fece pescare il mio nome.
Ah, non mi sentivo le gambe, né la voce!
“Mary, tocca a te, su!” Rose mi fece cenno di salire sul palco.
“No, Rose, non ci riesco. La voce e le gambe mi tremano, non ce la posso fare” farfugliai, scuotendo la testa.
“Hai detto la stessa cosa quando dovevi cantare e ci sei riuscita benissimo. Perciò vai e basta” mi diede una spintarella.
Non mi restò altro da fare che salire sul palco. Le luci si accesero su di me.
Mi avvicinai al microfono e cominciai a parlare, sperando che non si notasse il mio imbarazzo: “Signore e signori, bambini e donzelle, a nome di tutto lo staff ospedaliero, vi ringrazio per aver partecipato a questa serata di beneficenza. Il ricavato, come già detto, andrà all’ospedale, che finanzierà ogni singolo reparto. Non vi ringrazio solo per la vostra gentilezza nel donare delle somme di denaro, ma anche e soprattutto per un'altra cosa, molto più importante di quest’ultimo. Grazie per averci donato il vostro tempo e per averci permesso di mostrare la dedizione e la passione che ogni singola persona all’interno di questo ospedale mette nel suo lavoro; l’allegria e la simpatia che si mostrano verso i pazienti, che non sono solo incubatrici di malattie, anche se a volte queste sono fantasticamente affascinanti, ma persone che vanno curate e rispettate e che meritano di sorridere, nonostante il grave peso di una malattia. Questo è ciò che avete osservato in questi mesi  tramite il documentario che il nostro primario, il dottor Craig Richardson, ha permesso di girare. Stasera, però, avete scoperto un’altra cosa. Noi medici, noi chirurghi, noi ostetriche, noi infermieri, noi paramedici e noi tecnici non siamo delle persone strane che pensano alla scienza e basta. Noi siamo persone capaci di amare e di essere amati; capaci di avere degli hobby e altre passioni al di fuori della medicina. Noi siamo come una grande famiglia, che gioisce per il successo di un membro e consola la sfortuna di un altro. Sono fiera di far parte del Saint Joseph e spero che, grazie a questo periodo di tempo trascorso insieme e soprattutto a questa sera, voi possiate essere felici di averci al vostro servizio. Grazie a tutti di cuore. Ora vi lasciamo con un’ultima, ma non meno importante, canzone. Buona visione” sorrisi e presi il microfono tra le mani.
Ce l’avevo fatta!
Sorrisi tra me e me elettrizzata.
Mentre lo strumentale cominciava e gli altri entravano in divisa con i microfoni, gli ultimi video partirono sullo schermo. Non erano delle ripetizioni dei video precedenti, anzi! Non li avevamo utilizzati appositamente, proprio perché più adatti a quell’ultima canzone. Rappresentavano, infatti, tutti quei piccoli momenti vissuti, partendo dai primi fotogrammi del 1920 fino a quell’anno. C’erano tante parti che io stessa avevo vissuto ed era così bello poterli trasmettere agli altri. Gli scherzi negli spogliatoi, i balletti in saletta durante il turno di notte, i canti natalizi in sala operatoria,  la visione degli episodi di alcuni telefilm e così via.
Iniziammo a cantare, effettuando quell’ultima ma speciale performance.
Non appena la canzone si concluse, urlammo un ringraziamento tutti insieme, poi scendemmo dal palco. Subito ci abbracciammo tutti insieme, urlando ancora.
“Siamo stati grandiosi” dicemmo, ancora una volta in coro.
In mezzo alla folla, io, Rose, Steve e Alex ci trovammo, abbracciandoci ancora una volta.
Mentre Rose e Steve si baciavano felici, Alex si congratulò con me, sussurrando al mio orecchio.
“Oh, grazie, Al! Anche tu sei stato bravissimo” sorrisi e lo abbracciai.
Notai che impiegò un po’ di tempo sia per ricambiare l’abbraccio, che, per poi, lasciarmi andare.
Volevo parlargli, ma
“Carissimi colleghi – il Capo venne dietro le quinte, applaudendo e impedendomi di farlo – siete stati una potenza! – sorrise – E, con molto piacere, voglio dirvi che stasera abbiamo raccolto un milione e mezzo di dollari”
“Quanti?” dissero alcuni, “Cosa?” altri, tutti sorpresi.
“Già e questo è solo merito vostro. Congratulazioni, miei cari!”.
 
“Ciao, ragazzi! – agitai la mano, sorridendo – Come state?”
“Bene, Mary, voi?” Rose e Steve, ricambiarono il saluto, entusiasti.
“Tutto a posto, anche se abbiamo vissuto attimi di panico a pranzo” Ian mi guardò, facendo una risatina.
“Che intendi, Somerhalder?”
“Mary ha preso una pietanza tipica, non rendendosi conto che ci fosse il piccante. Dico solo questo”
“Ohw – fecero delle smorfie, allontanandosi dall’obbiettivo della fotocamera interna – Come ti senti adesso?”
“Beh, diciamo che in quei momenti ho creduto seriamente di morire, perché mi è venuto pure il reflusso, però dopo pranzo Ian mi ha coccolato ed è andata meglio”
“Ehi, piccioncini – Steve ammiccò – vi state dando alla pazza gioia, eh?”
“Beh, insomma, dobbiamo pur approfittarne, siamo in luna di miele! O sbaglio?” disse Ian, carezzandomi una spalla.
“Ma state comunque visitando l’India, vero? O restate in camera tutto il giorno e tutta la notte?” Rose ci guardò di sottecchi.
“Ovviamente la stiamo visitando! – risposi – Ho sempre sognato di venirci, di certo non faccio sfumare questo sogno solo perché il signorino qui presente è parecchio eccitato” mi misi a braccia conserte.
“Non mi sembra che tu protesti, quando ti propongo le cosacce” mi diede una spintarella.
“Non mi lasci altra scelta – lo guardai, poi cambiai discorso – Comunque, ragazzi, voi che mi dite? In ospedale come va?”
“Oh, tutto bene, non preoccuparti! – subentrò Alex, di cui notai subito la faccia da spaccone; che avesse sentito poco prima? – Sempre la solita routine. Soliti turni, solite patologie, solite manfrine coi pazienti e le loro famiglie, insomma, non ti stai perdendo niente”
“Sei sempre così simpatico” rispose Ian, un po’ scontroso.
“Alex, devi dirci qualcosa?” chiesero in coro i coniugi Crane.
“Sì, ho un caso per voi dal pronto soccorso, mi servirebbe un vostro consulto. Ovviamente volevo pure salutare la sposina – mi guardò di sfuggita, senza soffermarsi troppo – ma principalmente era per questo”
“Ragazzi, andate pure – sorrisi – ci sentiamo un’altra volta, d’accordo?”
“Va bene! Un bacione e una buonanotte, piccioncini” dissero in coro e la videochiamata finì.
Il mio cellulare vibrò.
Era un messaggio su Whatsapp.
<< Ti sta molto bene quell’abito azzurro. E’ un vestito locale? >>
Alex.
Sospirai.
Mi aveva solo guardato di sfuggita, come aveva fatto a notarlo?
<< Sì, l’ho comprato qualche giorno fa. L’ho visto e come potevo resistere? Buon lavoro >>
Scrissi qualche smile e lo inviai.
“Tutto bene?” mi chiese Ian, tentando di sbirciare.
“Sì, è solo che – esitai – non so, credo di non essere molto corretta nei confronti di Alex”
“Di nuovo con questa storia?” mi guardò accigliato.
“Ian, non lo faccio apposta, ma credo seriamente che stia soffrendo e io non posso tollerare questo, mi sento troppo in colpa”
“Amore, i suoi sentimenti sono importanti, ok? Ma lo sono anche i tuoi. E tu non puoi impedirti di vivere certi momenti, perché altrimenti gli fai del male. Non sarebbe giusto nei confronti di te stessa. Lo so che sembra un discorso egoista, ma è così”
“Ian, scusami, davvero – chinai il capo – ma io non la penso allo stesso modo. Non è affatto corretto”
“Allora, sentiamo, come vorresti risolvere questa cosa? – notai una variazione nella sua voce, si stava surriscaldando – Dargli un bel bacino così magari si placa? Dirgli che le nozze non sono valide? Annullarle? Allora?”
“Ian” cercai di avvicinarmi a lui per carezzarlo, ma si allontanò con uno scatto da me.
“No, Mary”
“No che cosa? Non sto dicendo che farei qualcosa tra quelle che hai elencato, non potrei mai! Come hai potuto minimamente pensare ciò? Io ti amo! Sei l’amore della mia vita, credimi! Semplicemente mi dispiace che una persona in cui ho trovato un amico soffra per causa mia, ma non dubitare mai dei miei sentimenti per te, mai” parlai alterata.
“Ridillo”
“Che cosa?”
“Che mi ami”
“Perché, dubitavi?”
“No, ma è stato molto bello sentirlo con quella passione, quella voce graffiante. Sembravi una leonessa”
“Ti amo. Sei l’amore della mia vita. Sei il mio lieto fine. Il mio capitan Uncino, il mio Owen Hunt, il mio”
“Damon Salvatore?” sorrise.
“Esatto. Devo continuare o facciamo pace?”.
Ian sospirò.
“La seconda”
“Bene, anche perché è davvero triste litigare in luna di miele” puntualizzai.
Dopo qualche secondo, mi abbracciò.
“E comunque anche io ti amo. E anche tu sei l’amore della mia vita” mi sussurrò all’orecchio.
“Non hai inventiva, mi spiace”
“Ok, allora – sciolse l’abbraccio, guardandosi un attimo intorno, poi si schiarì la gola – Se c’è una crisi, tu non ti blocchi, tu vai avanti e fai andare avanti anche tutti noi, perché hai visto di peggio, al peggio sei sopravvissuta e sai che anche noi sopravvivremo. Dici di essere cupa e triste, ma non è una difetto, è una forza. Una forza che fa di te quello che sei.”
“Così sei scorretto” affermai, riconoscendo fin da subito le parole di Derek Shepherd dedicate a Meredith durante la sua proposta di matrimonio nella 5x19 di Grey’s Anatomy.
“Io ti amo, Maria Chiara Floridia, e voglio passare il resto della mia vita con te – sorrise – Pace fatta?”
“Pace fatta”.
Ci baciammo.
 
Sorseggiavo beatamente il mio cocktail, mentre sentivo il calore del sole penetrarmi la pelle.
Ah, che sensazione meravigliosa!
"Grazie a voi, siete meravigliosi" sentii Ian dire, mentre tornava al mio fianco.
"Hai la mascella bloccata a forza di sorrisi?" chiesi sarcasticamente.
Scoppiò a ridere e mi prese la mano, cominciando a giocherellarci.
"Ti stai rilassando?" domandò.
"Ovviamente. Specie quando non siamo insieme" aprii gli occhi sorridendo.
I raggi del sole invasero il mio campo visivo, rendendo Ian simile a un’ombra.
"Ah sì? Bene" Ian si alzò e cominciò a camminare in direzione dell'hotel.
Scattai in piedi, ignorando un piccolo capogiro, e lo raggiunsi, saltandogli sulla schiena.
"Ma dove credi di andare?" gli sussurrai all'orecchio.
"Riconosco quando non sono desiderato" mi guardò con la coda dell'occhio.
"Non mi sembra affatto – gli diedi un bacio sul collo, poi scesi dalla sua schiena – ma se proprio lo pensi" mi voltai e mi avviai verso la tovaglia su cui ero stata sdraiata fino a poco prima.
"E riconosco anche quando è il momento perfetto per gettare mia moglie in acqua" urlò.
In meno di un secondo mi ritrovai in aria, con la pancia sulla sua spalla, subito dopo sott'acqua.
Appena riemersi, notai Ian sorridere beffardamente.
"Chi le ha insegnato le buone maniere?" mi avvicinai a lui pian piano.
"Mi scuso, signora. Mi permetta di rimediare" si avvicinò anche lui.
"Rimediare?" cominciai involontariamente a fissargli quelle labbra perfette.
"Dimostrarle che ho le buone maniere" sorrise e mi baciò.
Le nostre dita cominciarono a spaziare. Le mie gli toccavano i capelli, le sue la schiena e il volto. I nostri respiri si combinarono in uno solo e fu difficile staccarsi.
"Adesso ci siamo" sorrisi, senza fiato.
"Felice di aver rimediato"
"Mi mancherà tutto questo" mi guardai intorno.
"Sono state tre settimane magiche"
"Tranne per il piccolo allarme di sei giorni fa"
"Almeno stavolta me ne hai parlato subito"
"Anche se negativo di nuovo"
"Tempo al tempo, Mary. Abbiamo tutta la vita per procreare" mi baciò la fronte.
"Lo so – cambiai discorso – Che ne dici se oggi pomeriggio facciamo snorkeling? Mi piacerebbe rifare quest'esperienza prima di ripartire"
"Ogni suo desiderio è un ordine , signora Somerhalder"
"Chi ti ha detto che prendo il tuo cognome?".
Ridemmo.
"Andiamo a pranzo, su" Ian mi prese in braccio e mi portò fuori dall'acqua, mentre il sole splendeva caldo su Sharm El Sheik.
 
Ian trascinava con una mano il carrello pieno di valige, mentre con l’altra stringeva la mia. Mentre camminavamo verso il grande atrio dell’aeroporto di Atlanta, non riuscivo a smettere di guardare la bellissima collana che avevo comprato a Sharm.
“La consumerai guardandola” Ian sghignazzò.
“Ah ah ah, com’è spiritoso mio marito” lo guardai.
“Marito… Mmm, suona meglio ogni giorno di più, dillo di nuovo”
“Mio marito” gli sussurrai all’orecchio.
“Dillo di nuovo”
“Marito”
“Non mi abituerò mai a questo sostantivo” mi sorrise e mi baciò una guancia.
“Come io non mi abituerò mai al termine ‘moglie’” lo guardai sincera e mi strinsi al suo braccio.
Inspirai e il suo odore invase le mie narici. Era uno dei profumi migliori del mondo, così dolce, buono, frizzante, travolgente. Rispecchiava la sua bellissima persona.
Sfregai il naso contro il suo braccio per cercare di catturare più particolari di quell’odore paradisiaco.
“Che fai?” mi chiese curioso.
“Ti respiro”
“Romantico, Polar” mi strinse di più la mano, mentre ridevamo, e mi baciò i capelli.
Le possibili moine da coppia neo sposata vennero presto interrotte.
I giornalisti, puntuali come orologi svizzeri e, ovviamente, onnipresenti, ci vennero incontro, inondandoci di flash.
Ian sorrise e mi sussurrò di rilassarmi.
“Ian, siete appena rientrati dal viaggio di nozze, giusto?” chiese uno.
“Esatto”
“Come mai siete partiti così tardi? Vi siete sposati a metà Maggio, due mesi fa”
“Beh, mia moglie doveva affrontare gli esami di fine anno e io avevo un giro di convention da affrontare. E’ stata la scelta migliore dopotutto”
“Come mai?”
“Sharm a Luglio è molto più bella e calda” sorrise.
Una giornalista mi squadrò dalla testa ai piedi un po’ con disgusto. Aveva i capelli raccolti in una coda e delle unghie chilometriche laccate di rosso. Mi pose il microfono davanti alla bocca.
“Si è divertita in queste tre settimane?”
“Certamente! E’ stato anche rilassante dopo mesi sui libri”
“Siete stati solo a Sharm?”
“No, il viaggio è cominciato in India, terra che avevo sempre sognato di ammirare e poi contro ogni previsione siamo stati anche a Suez… e al Cairo” completai la frase con un entusiasmo evidente.
La giornalista mantenne sempre un’aria di sufficienza, che cambiò meccanicamente non appena si rivolse a Ian.
I suoi occhi divennero pozzi profondi e colmi di piacere. Mancava solo la bava e il ritratto era completo.
“Per niente carina questa qui” pensai, guardandola in cagnesco.
“Ian, cosa pensa di queste tre settimane?”
“Anche per me sono state molto rilassanti. Sì, insomma, dopo convention in tutto il mondo avevo proprio bisogno di stare un po’ con mia moglie” si voltò verso di me e sfoggiò il suo sorriso disarmante, attirandomi a lui.
“Capisco” il tono della giornalista era deluso.
Dentro di me mi elevai trionfante, ridendo.
Dopo qualche altra domanda, ci ringraziarono per esserci fermati a parlare con loro e ci lasciarono andare, sicuramente scattandoci qualche altra foto di spalle.
Mentre ci dirigevamo verso l’uscita, dove John ci aspettava, Ian mi cinse le spalle con un braccio e mi sussurrò: “Adoro il tuo sguardo possessivo”
“Te ne sei accorto, eh?”
“Io noto sempre tutto, tesoro mio” mi baciò la guancia.
 
Io, Serena, Iris, Nadia e Tatia uscimmo fuori dall’auto, mentre il sole faceva capolino tra le nuvole.
La giornata, in quel di Torino, non era cominciata nel migliore dei modi, vista la pioggia, ma pian piano stava andando meglio.
Ci guardammo tutte, contentissime. Era l’ultimo matrimonio di gruppo. Come si soleva dire nel nostro dialetto, ‘ci eravamo accasate tutte’. Sembrava tanto strano, ma allo stesso tempo naturale. Come se fossimo tutte consapevoli del fatto che doveva andare così. Sembrava… destino!
“Siete meravigliose” dissero senza fiato i nostri consorti.
“Avete ragione” rispondemmo in coro, ridendo.
Mel aveva scelto davvero bene il colore degli abiti, un azzurro delicatissimo, che, tuttavia, spiccava sulle pelli di tutte, anche delle più bianche. La monospalla che contribuiva ad arricciare il corpetto era davvero elegante. Un cinturino di seta separava il corpetto dalla lunga gonna, liscia.
Era semplice, ma perfetto. Come tutti i vestiti che avevamo scelto per i matrimoni di tutte, d’altronde. Sorrisi. Anche in queste piccole cose mi rendevo conto di come fossimo anime compatibili, armoniose, familiari. Di come fossimo Sorelle.
“Pronta ad andare?” mi chiese Ian, porgendomi il braccio.
“Certamente – risposi, aggrappandomi a lui; guardai dietro di me, intravedendo l’auto di Melania arrivare, poi continuai – e comunque anche tu non sei niente male oggi” ammiccai.
“Riservati i complimenti per dopo, Matt mi ha detto che ha dato una sbirciatina alla suite di stanotte. Melania e Luca non hanno badato a spese, abbiamo tutti quelle di lusso con idromassaggio e quant’altro”
“Sarà molto interessante, allora” ammiccai nuovamente.
“Mary, non farlo più o finisce che ti prendo in braccio e fuggiamo dalla chiesa”.
Feci una risatina, mentre proseguivamo lungo la navata.
Non appena arrivammo e arrivarono anche le altre, cominciò la marcia nuziale, segno che Melania stava per fare il suo ingresso.
L’avevo già vista con il vestito indosso in foto e in video, ma vederla dal vivo, tutta emozionata, fu diverso. Il pizzo, più visibile sul corpetto ma presente su tutto l’abito, esaltava quella grazia, che da sempre aveva avuto. Lo scollo a cuore, che si intravedeva al di sotto del pizzo, le avvolgeva il petto delicatamente, per poi scendere morbidamente lungo i fianchi, aprendosi in una gonna sontuosa, ma comunque non eccessiva. Anche lei aveva un cinturino di seta, bianca ovviamente, a cingerle la vita. A parole sembrava sontuoso, da principessa o da bambola di porcellana, ma nei fatti non era niente di tutto ciò. Era meraviglioso e semplice, era… suo. Quell’abito gridava ‘Melania’ da tutti i pori. Ebbi subito le lacrime agli occhi. Mentre avanzava, ripensai a tutti i momenti che avevamo passato insieme in quegli anni. Era proprio vero che certi legami erano destinati a essere. Nonostante il tempo, le distanze, la logica. Per sempre. E quello con lei era uno di questi. Ne ero proprio certa.
“Vuoi un fazzoletto?” mi propose Ian.
“No, non preoccuparti. Va tutto bene, sono solo contenta” gli sorrisi, tornando poi a guardare Mel.
La mia piccola grande Mel. La mia pazza e dolce coinquilina. La mia Dugonga. Risi al ricordo di quel buffo animale.
 
“Mel, che ne pensi di schiodarti da quel divano? Vedi più quello che l’università” le dissi scherzosamente.
"Non è colpa mia se ci amiamo – si resse per qualche attimo sui gomiti – so bene che non puoi comprendere questa relazione fino in fondo, ma siamo anime gemelle, fattene una ragione”
“D’accordo – alzai le mani, in segno di resa – Se, però, ti vengono le piaghe da decubito, io non ti curo. Ti porto in geriatria e ci pensano loro”
“Esagerata – scosse la testa, facendo una risatina – Dai, Mary, è bellissimo rilassarsi qui e poltrire, senza pensare agli esami”
“Lo so – sorrisi – Lo sai a chi mi somigli?”
“A chi?”
“A un dugongo. Sono animali che amano da morire poltrire. Praticamente sei la loro personificazione”.
Mel scoppiò a ridere e si alzò di scatto, venendomi incontro.
“Sono la tua Dugonga domestica allora – rise abbracciandomi – e tu sei il mio Koala domestico, perché non ti scolli più dopo un abbraccio”
“Affare fatto” la strinsi di rimando.
 
E ci chiamavamo con quei nomignoli ormai da otto anni. Com’era passato velocemente il tempo? Non sapevo dirlo, non sapevo spiegarlo. Eppure era successo. Eravamo lì, con carriere attive, alcune anche con i figli. Insomma, stavamo vivendo un futuro che fino a poco tempo prima era solo un sogno. E la cosa più bella è che non dovevamo essere svegliate. Perché quella era la nostra realtà ormai. Ed era stupenda.
 
POV Ian
Aprii gli occhi di scatto per via di un rumore e guardai la sveglia.
Era finalmente il mio giorno libero dopo una settimana sfibrante di riprese e io mi svegliavo giustamente alle 7 del mattino.
Cos’era stato quel rumore?
“Scusa, amore – Mary fece una smorfia mortificata – non volevo svegliarti!”
“No, non preoccuparti – strabuzzai gli occhi – Com’è andata in ospedale?”
“Tutto bene – sbadigliò – Ti scoccia se dormo un pochettino? Tanto la mattina riesco a prendere sonno solo per un paio d’ore, lo sai” si tolse le scarpe e, una volta messo il pigiama, si sdraiò, guardandomi.
“Dormi, tranquilla” le sorrisi e le diedi un bacio in fronte.
Cercai di riprendere sonno anche io.
Quando mi risvegliai, cercai Mary con la mano, ma non c’era.
Mi issai sui gomiti, guardandomi intorno ancora un po’ stordito, cercando di capire se fosse ancora all’interno della stanza.
La trovai vicino alla finestra, con indosso una giacca.
“Potevi svegliarmi” mormorai, con la voce ancora grave.
Si voltò, battendo più volte le palpebre. Sorrise, anche se… sembrava un sorriso amaro.
“Eri così bello che non mi andava di destarti dal sonno”
“Tutto bene, tesoro?” mi sedetti sul letto, a mano a mano mettendo meglio a fuoco ciò che mi circondava.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=4b2M5K7sbc0
 
Riuscii a inquadrare meglio anche Mary. Aveva le gote rosse e gli occhi lucidi.
Aveva pianto.
“Che succede?” insistetti, non notando alcuna risposta.
“Oggi è l’undici di Ottobre”
“Ricorre qualche anniversario, per caso? Sei arrabbiata perché non ricordo qualcosa?” mi alzai immediatamente, grattandomi la nuca.
Quella data non mi diceva assolutamente niente. Cos’avevo dimenticato?
“Ma no – fece una risatina, sempre amara – non hai dimenticato niente. Oggi in teoria non succede niente. Non è avvenuto, né sta avvenendo qualcosa. Oggi è il giorno in cui si ricorda il ‘cosa’ sarebbe potuto accadere. L’evento che, avvenendo, ci avrebbe potuto stravolgere la vita. Oggi è un giorno di condizionali e di periodi ipotetici, non di presenti o periodi certi”
“Mary – mi avvicinai cautamente a lei, guardandola – che succede? Perché questo giorno ti sta turbando così tanto?”
“Oggi, undici Ottobre duemilaquattoridici, sarebbe potuto nascere nostro figlio o nostra figlia. Il giorno previsto teoricamente per il parto era questo” non riuscì più a sostenere il mio sguardo e abbassò il suo, cominciando nuovamente a singhiozzare.
“Oh, tesoro!” esclamai, avvolgendola immediatamente tra le mie braccia.
“Perché non riesco” pronunciò queste parole, spezzate dai singhiozzi, non riuscendo nemmeno a finire la domanda, che, comunque, avevo intuito.
“Smettila – le presi il volto tra le mani, costringendola a guardarmi – Non è colpa tua! Mi senti? Non è colpa tua! – le asciugai le lacrime con i pollici – Vuol dire che per ora deve andare così, ma non sarà sempre così, ok? Magari il piccoletto o la piccoletta di casa, chiunque sia, ci vuole fare i dispetti e quindi per ora non arriva e poi sbam! – alzai il tono della voce – Eccolo che spunta dal nulla per farci una bellissima sorpresa, quando meno ce lo aspettiamo! Non pensare ai condizionali e agli ipotetici – sorrisi – Pensa al presente. Lo so che è difficile, lo so che è stata davvero dura da superare, però siamo qui, insieme, innamorati e in salute. Possiamo ancora riuscire ad avere un figlio. Possiamo provarci quanto vuoi, anzi! Magari se faremo più pratica, più si deciderà ad arrivare” sorrisi nuovamente, stavolta più ammiccante, sperando di strapparle un sorriso.
Ci riuscii.
“Sì, beh, provare non è poi così male”
“Non è poi così male?! – ripetei incredulo – Guarda che mi offendo”
“Sì, beh, a volte potresti fare di più” Mary cercò di trattenere una risata.
“Ah, sì?” – le lasciai il viso; la presi dai fianchi e la buttai sul letto, mettendomi sopra di lei – Ora ti faccio vedere io” la guardai con aria di superiorità.
Mary, per tutta risposta, mi carezzò il volto con una mano.
“Quanto ti amo!” disse, adorante.
“Anche io” mi sdraiai al suo fianco.
La feci appoggiare sul mio petto.
Ci scambiammo un bacio stampo e facemmo intrecciare le nostre mani.
Restammo per un bel po’ di tempo in quella posizione.
Io, lei e i nostri cuori in sincronia.









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Note dell'autrice:
Tra esami e wifi inesistenti, finalmente ce l'abbiamo fatta!
E' stato un capitolo abbastanza pieno di avvenimenti e abbastanza saltuario, visto che da aprile si arriva a ottobre, ma spero non sia stato troppo confusionario e spero soprattutto vi sia piaciuto. Mi dispiace pubblicare ormai così raramente, ma cerco sempre di conciliare tutto, perché amo parlare di questi personaggi, per cui, nonostante i 200 impegni, cerco sempre di dedicare loro (e quindi di conseguenza voi) del tempo.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto e coloro i quali lasceranno magari una recensione!
Questo è il link del gruppo: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Alla prossima, 
Mary
  
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