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Autore: Fenio394Sparrow    28/08/2016    1 recensioni
{Urban Fantasy || Angeli, Demoni, Fate, Stregoni, Lupi Mannari, Vampiri, Sirene, Fantasmi, Umani}
« Come mai sei caduto dal cielo,
astro mattutino, figlio dell'aurora?
Come mai sei atterrato,
tu che calpestavi le nazioni? »

L’angelo non sapeva cosa fare, non voleva fare niente – sentiva solo lo sconforto salire, salire come una spirale e trasformarsi in qualcosa che mai aveva provato prima, una terribile sensazione così intensa da toglierle il fiato e farla smettere di singhiozzare.
Sgranò gli occhi non appena realizzò cosa fosse.
Odio.
{Il raiting potrebbe salire!}
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Essere umana faceva schifo
~ qui è peggio di Game of Thrones ~




Marei camminava in fretta per tenere il passo di Candice - che non si fermava per aspettare l’angelo -  la quale  camminava con lentezza e fatica. Era risoluta, ma si vedeva che stava cercando di trattenere le lacrime, anche se quell’espressione contrita lasciava intendere un certo orgoglio che negli angeli era più comune di quanto ci si aspettasse; vuoi perché tutti stereotipano la figura, vuoi perché ti aspetteresti un po’ più di umiltà da chi è appena caduto dal cielo.
Le avevano dato una coperta con cui coprirsi e la stavano scortando alla Corte dei Miracoli, che di miracoloso non aveva nulla – ma Eliana doveva mantenere le apparenze, almeno per i nuovi arrivati.
Marei ricordava bene quando portarono lei là per introdurla al mondo delle ombre. Eliana e Samuel l’avevano accolta nell’istituto e fornito tutte le informazioni necessarie per farla adattare, le avevano dato una casa e un lavoro (un po’ come un ufficio di collocamento, ma migliore) e poi l’avevano fatta andare per la propria strada. Il fatto che continuasse a fare riferimento a loro in quelle situazioni – quando un angelo cadeva o un vampiro nasceva o qualcuno veniva morso – era da imputare al fatto che non le era rimasto neanche un briciolo di amor proprio per cercarsi un hobby.

Candice si girò, impaziente. «Vuoi muoverti, angelo? Non abbiamo tutto il tempo.»
Lei le lanciò un’occhiataccia e si strinse ancor di più nel tessuto, molto accigliata. «Mi fanno male i piedi. La strada è dura e io sono senza scarpe.»
«Oh, sei senza scarpe!» esclamò fintamente colpita la fata. «Bhe, non mi interessa, zuccherino. La Corte è dietro l’angolo, tu sei stata fortunata a cadere a pochi metri di distanza. Un tuo simile …» ed indicò il profilo di una montagna che sporgeva da dietro lo skyline della città «è caduto proprio là. E la strada era sterrata. Muoviti.»
Marei sospirò. Candice ce l’aveva con l’angelo perché era caduta esattamente davanti a loro, mentre stavano camminando per raggiungere il Candy Break, impendendo loro di lavorare. Ma era un preciso dovere di ogni cittadino di Asteria, quello di recuperare o segnalare immediatamente la presenza di una nuova creatura sovrannaturale in città. Se si trattava di Angeli Caduti ognuno era tenuto ad accompagnarli personalmente alla Corte. Candice Woods, per quanto potente ed arrogante, doveva rispettare le leggi che aveva contribuito a creare, considerato che faceva parte del Senato da tempo immemore. Molto prima dell’arrivo di Marei, diversi millenni, se non di più.
L’angelo strinse le labbra e affrettò il passo, desiderosa di arrivare il prima possibile. Marei le sorrise e le indicò un edificio poco più  giù, grande ma abbastanza anonimo. Quella notte era fresca e buia, ma la luce dei lampioni illuminava parte della facciata fatiscente: le finestre erano sprangate e le tegole cadevano a pezzi, l’edera cresceva incolta sfregiando i muri come cicatrici. Per la gente comune era solo l’ennesimo edificio in lista per essere buttato giù, ma era lì da che Marei aveva memoria, ed era certa che sarebbe rimasto lì molto più a lungo di quell’angelo. Sarebbe rimasto lì più a lungo di Marei stessa?
Considerando che da quarant’anni a quella parte godeva di un’aspettativa di vita infinita ne dubitava.

 Arrivate all’entrata, l’angelo si ritrasse, poco fiduciosa. «Questo posto cade a pezzi, non sarà pericoloso?»
Candice roteò gli occhi infastidita. «E’ una difesa magica, idiota. Non cade a pezzi e non è nemmeno pericoloso. Lo vuoi un paio di scarpe?»
Meccanicamente e controvoglia, come un bambino costretto ad ammettere di aver sbagliato, la ragazza annuì.
«Perfetto. Dopo di te, allora.»
Candice spinse la porta ignorando bellamente il cartello “Vietato l’accesso” e fece spazio affinché la Caduta potesse entrare. Ella varcò la soglia e si bloccò non appena mise piede là dentro, rimanendo a bocca aperta.
Bhè, sì, la Corte faceva il proprio effetto. Nemmeno Marei avrebbe mai scommesso un penny, vedendola dall’esterno, ma all’interno era davvero sorprendente. Un complesso circolare – mentre fuori era rettangolare – con vista sul cortile interno e su tutti i piani superiori, che si succedevano come le spire di un serpente fino al quindicesimo piano. Colonne in stile corinzio sorreggevano i soffitti ad intervalli regolari, il marmo bianco scintillava sotto la luce della luna, le persone si affrettavano, senza curarsi della bellezza del posto.
Candy non permise all’angelo di ammirare la rigogliosità del giardino; svoltò a sinistra e furono costrette a seguirla. La nuova arrivata arrancava dietro di loro e guardava con gli occhi sgranati le creature che si affaccendavano lì attorno, rivelati nella loro vera forma: fate con la pelle verde di clorofilla, stregoni con corna taurine, vampiri quasi luminescenti sotto il chiarore lunare. Marei diede un colpetto gentile alle spalle della ragazza e le sorrise. «Dobbiamo andare di là.»

Salirono tutte le rampe di scale senza sforzo – per lo meno lei e Candy, il povero angelo ansimava per lo sforzo, ancora avvolta nella coperta – e finalmente giunsero all’ultimo piano, dove non sembrava esserci anima viva. Varcarono una soglia e percorsero tutto il lunghissimo corridoio fino alla fine, dove la porta in legno massiccio nera era chiusa. Candice nemmeno bussò, al suo tocco il battente si aprì e le fece passare.
Al suo interno si rivelò una stanza ovale, in legno lucido, molto luminosa: numerose candele e lampade a gas illuminavano l’ambiente, ma di certo le prime cose a saltare all’occhio erano i bulbi luminescenti che fluttuavano senza sforzo. Una parete mancava totalmente, sostituita da un vetro che rivelava la città ammantata di blu sotto di loro: le strade, i palazzi, il prato brullo che si sostituiva ai quartieri periferici mano mano che ci si allontanava dal centro …  Tutto era sotto il controllo della donna che sedeva alla scrivania in legno massiccio, intenta a leggere delle carte.
Quando fecero la loro entrata non alzò nemmeno lo sguardo e parlò con voce annoiata. «Candice, a cosa devo la tua presenza qui?»
Eliana era una bellissima donna di età indefinibile, dalla pelle olivastra e i capelli ondulati, lunghi e neri. Le labbra erano carnose e coperte di rossetto rosso amarena, e quando parlavano non promettevano mai nulla di buono. Sarebbe stata affascinante, se solo non avesse avuto gli occhi neri. Completamente neri: iride, pupilla e sclera. Questo la nuova arrivata non poteva saperlo, perché la strega ancora non aveva posato i suoi famelici occhi su di lei; ma percepiva, sotto quello strato di ostinato silenzio, che qualcosa doveva aver capito, perché aveva le spalle rigide e sembrava intenzionata a passare inosservata.
«E’ caduto un angelo. L’ho portata qui.»
Eliana alzò lo sguardo sulla ragazza e sorrise; lei sgranò gli occhi, ma non si mosse.
«Benvenuta» disse la strega. «Il mio nome è Eliana. Dirigo la Corte dei Miracoli dall’alba dei tempi assieme ai rappresentanti di ogni razza delle ombre. Candy occupa il seggio delle fate da molto più tempo di quanto ci piaccia ammettere.»
«Capisco.» Disse l’angelo.
«Sai perché sei qui?» le chiese Eliana con gentilezza.
Marei non si fidava di lei, sebbene non avesse mai fatto nulla per guadagnarsi la propria ostilità. Era sempre cortese con tutti gli arrivati e si premurava di dare a tutti una sistemazione nel mondo delle ombre, li aiutava a muovere i primi passi e ad ambientarsi, e poi li lasciava liberi di andare per la propria strada. Molti rimanevano alle sue dipendenze, una volta presa familiarità col mondo, ma Marei non era una di questi. La sirena era sotto l’ala protettrice di Candice Woods dalle prime settimane, quando aveva ottenuto il lavoro nella sua discoteca.

«Immagino di essere qui perché Candice mi ci ha accompagnata con tanta gentilezza.» Rispose l’angelo.
La sirena soffocò un risolino. «Candy, devi ammettere che è simpatica.»
Candice alzò gli occhi al cielo. «Sì, sì, quello che ti pare. Eliana, te l’ho portata. Ora torno a lavoro.»
Prima di uscire dalla porta si rivolse a Marei. «Tu. Ti voglio in discoteca prima dell’una. Vedi di sbrigarti.»
«Okay» disse la ragazza.
Una volta chiusa la porta dietro Candice, Eliana si rivolse all’angelo. «Bene, hai conosciuto Candice Woods della Settima Coorte Fatata. Dopo un po’ ti ci abituerai: la stragrande maggioranza delle fate non riesce a dire una parola senza sputare sarcasmo.»
«Voglio sapere che ci faccio qui.»
«Già lo sai. Hai bisogno di un bagno, comunque. Marei, pensaci tu.» Fece un gesto con la mano e tornò alle proprie carte. «Ne parleremo dopo.»
L’angelo sembrava avere qualcos’altro da dire, ma Eliana aveva fatto intendere che la conversazione era chiusa, perciò Marei la prese delicatamente per un braccio e l’accompagnò nella sala da bagno.
 
Essere umana faceva schifo.
Non solo per il dolore fisico a cui non era abituata, ma per quel terribile senso di abbandono che le attanagliava le viscere e la lasciava senza fiato, sempre sull’orlo delle lacrime. Aveva una forma terrena da poche ore e già stava sperimentando il brutto della vita, senza contare poi tutti gli acciacchi che le facevano esclamare “Ahi! Ahi!” ad ogni passo che faceva.
Camminare sull’asfalto a piedi nudi era un’esperienza che non avrebbe mai augurato nemmeno al suo peggior nemico, non che ne avesse uno, s’intende.
Al momento tutto il suo odio era diretto al suo Dio.
Cacciata dal Paradiso. Dio l’aveva cacciata, lei come migliaia dei suoi fratelli. Eloah, pensò con rancore, il Giudice.
Sapeva perfettamente perché si trovava lì.
Perché aveva commesso peccato. E’ l’unico motivo per cui un angelo cade e perde il suo stato di grazia.
Peccando, aveva perso il diritto a guardare negli occhi Dio, ed ora ogni singola cosa che vedeva le pareva misera e priva di bellezza, senza significato. Tanto valeva accecarsi.
Odiava il modo in cui si sentiva. Odiava odiare Dio, odiava amarlo, odiava dipendere da lui e bramare il suo perdono e il suo sguardo su di lei, odiava  quell’odio che la stava consumando e la stava facendo piangere di rabbia. Odiava davvero quel sentimento, perché significava che era davvero umana. Non sapeva dove dirottarlo, non sapeva come controllarlo, sapeva solo che c’era e che non riusciva ad estirparlo. Lo odiava perché la faceva sentire umana, una persona anziché un angelo, perché gli angeli non sono in grado di provare nient’altro che sete implacabile di giustizia e amore. Né il primo né tantomeno il secondo sentimento sembravano pervaderla in alcun modo. Dubitava perfino di averne da qualche parte.
E’ questa la mia punizione, quindi? Domandò all’Altissimo, l’astio che rendeva il suo sangue un veleno. Avere una forma terrena rancorosa e vendicativa, in grado di provare solo odio e risentimento, è questa la condanna che merito?
Le diede fastidio anche il modo in cui pensava a Lui. Non era un lui, e non era nemmeno una lei. Quel corpo aveva delle informazioni incamerate dentro di sé, ma non coincidevano con quelle che lei stessa aveva appreso in tutto il suo tempo in carica. Perché credeva che Dio fosse un padre? Non lo era, era una madre. Era entrambi, non … non aveva sesso. Come tutti gli angeli. Semplicemente, era.

Io sono colui che sono.

Il suo corpo rabbrividì. Non riusciva a concepire un’idea simile, un’esistenza priva di forma, eppure il concetto l’affascinava e spaventava allo stesso tempo. Sapeva che era così, perché lo aveva visto. Era tutto, ogni singola cosa che vedeva, respirava, udiva. Era, di conseguenza, in lei, e tutti coloro che vivevano.
Ripudiò l’idea con disgusto. Non voleva avere niente a che fare con lui, niente.
«Allora, c’è qualcosa che ricordi?»
La voce della ragazza bionda la riportò alla realtà. All’angelo piaceva molto. Non solo perché l’aveva aiutata e si era dimostrata gentile con lei, ma proprio fisicamente. Le procurava uno strano senso di piacere, osservarla. Non lo aveva mai provato, ma il suo corpo reagiva a lei. Voleva continuare a guardarla. A ben pensarci, quella ragazza – Marei? – non era poi così priva di valore, ai suoi occhi. Le piacevano i capelli biondo chiaro, le piacevano gli occhi trasparenti di cui non riusciva a cogliere il colore – verdi o grigi? – e le piacevano le guance piene, le labbra carnose … da baciare, si ritrovò a pensare.
«Che cosa hai detto?» Domandò cadendo dalle nuvole. «Mi ero persa fra i miei pensieri.»
«Ho chiesto se c’è qualcosa che ti ricordi.» Rispose con gentilezza Marei. «Mi è capitato di portare qualche altro angelo come te qui e i ricordi sono la prima cosa di cui parlano. Ricordi qualcosa?»
L’angelo si fece pensierosa. A parte il suo Dio e i sentimenti che ne derivavano, non ricordava nulla tranne che un nome. «Melanie.» Disse.
«Melanie?» Chiese la ragazza. Aggrottò le sopracciglia e annuì. «Ti dice qualcosa?»
«No.» Mormorò l’angelo. «Mi dai una mano ad uscire dalla vasca?»
Marei disse che non poteva. «Mi spunta la coda, se tocco l’acqua. E’ piuttosto seccante, e fra poco più di un’ora devo andare a lavoro. Fai leva sul braccio ed esci, tieni l’asciugamano.»

Fece come le venne detto e si posizionò davanti allo specchio. Osservò con curiosità il proprio riflesso nello specchio e lasciò cadere l’asciugamano a terra, incurante dell’acqua che lasciò sul pavimento. Le fece piacere sentire lo sguardo dell’altra ragazza sopra il proprio corpo, come una carezza sulla pelle.
Il suo corpo era gradevole alla vista. Aveva i capelli rosso carota e un viso tondo – ma proprio tondo! – e labbra rosee. Ma i capelli erano bellissimi, santo cielo. Com’era possibile? Prese una ciocca e se la rigirò fra le dita. Avevano le doppie punte. Osservò il resto del corpo. La pelle era pallida. Le braccia erano sottili: le rigirò, osservando il modo in cui le ricordavano immagini di statue che non aveva mai visto; le dita erano lunghe e affusolate, le unghie rosee e lunghe anch’esse. Si meravigliò nel vedere i propri seni, la pancia accennata e nella peluria del pube, più scura rispetto a quella dei capelli. Non aveva lo spazio fra le gambe, ma compensava in altezza. Evitò di guardarsi la schiena: non voleva vedere l’assenza delle proprie ali. Nel complesso si piacque molto; i propri occhi avevano uno sguardo attento, trasparente. Sembravano castani chiari. Si voltò verso Marei. «Che ne pensi?»
«Se facessi la spogliarellista da noi guadagneresti un sacco.»
Non sapeva se prenderlo come un complimento o meno, così si limitò a stringersi nelle spalle. «Posso avere dei vestiti?»
 «Non è questo lo spirito di una spogliarellista.» Commentò Marei. Si avvicinò a lei – era molto più bassa – e la osservò con sguardo critico. «Sei scozzese.»
«Davvero?» Domandò l’angelo con curiosità. «Queste cose succedono molto a caso. Sono femmina, vero? Avere una forma fisica, un genere … accade a caso. Devo abituarmi a questa forma terrena.»
Marei le accarezzò la testa, per quanto riuscisse ad arrivarci, e le scostò una ciocca di capelli. «Sì, sei femmina. Noi siamo in America, in Virginia. Asteria è la più grande metropoli dello Stato. Come vuoi chiamarti?»

L’angelo non conosceva molti nomi, perciò fece le spallucce. «Melanie. Mi piace.»
Marei le accarezzò la schiena, soffermandosi sulle cicatrici che le frastagliavano la pelle, i segni che aveva volutamente ignorato perché troppo dolorosi da sopportare. «Melanie.»
Il modo in cui pronunciò il suo nome la fece rabbrividire, come un sussurro sulla pelle. Si allontanò appena da lei, a disagio. Il corpo … il suo corpo la faceva focalizzare su cose poco rilevanti.
Marei disse: «Eliana ti spiegherà tutto, ti darà le informazioni necessarie. Adesso devo andare a lavoro. Passa qualche volta.»
Le sorrise e si avviò verso la porta, ma Melanie la bloccò. «Ma i vestiti? Mi aiuteresti?»
Marei sospirò e guardò l’orologio. Mezzanotte e un quarto. Bhe, se si fosse sbrigata ce l’avrebbe fatta. «D’accordo. Preferisci la gonna o i pantaloni?»
 
Melanie si osservò allo specchio. Cavolo, faceva davvero strano avere un nome terreno. Però le piaceva. Suonava davvero bene. Melanie. Si intonava alla persona che vedeva riflessa allo specchio. Una ragazza di statura medio – alta, con i capelli sciolti e il viso truccato. A quanto pareva aveva sbizzarrito la vena creativa di Marei.
Le aveva rimediato un paio di scarpe col tacco in velluto marrone, un paio di calze grigie, una gonna attillata verde e una camicia gialla, ma stranamente l’insieme funzionava.
«Ehi, non essere così atterrita.» Le disse Marei. «Stai molto bene.»
Quasi rise dentro di sé. Ah, se Marei avesse saputo per quale motivo era atterrita! Di certo non per il proprio vestiario, anche se riconosceva di avere pensieri più superficiali di quanto le piacesse ammettere.
«Non mi sento male per quello.» Ammise Melanie.
Marei la guardò con un’espressione triste e poi tirò fuori qualcosa dalla tasca. Una collanina. Le fece cenno di abbassarsi per arrivare alla sua altezza; le scostò i capelli e gliela mise al collo. Un ciondolo a forma di corona, tempestato di brillantini, splendette sotto la luce delle lampade.
«Lo so che sei triste.» Le disse Marei con voce incredibilmente gentile. «Posso solo darti un consiglio per aiutarti ad ambientarti.»
«Quale?»
«Scegli con chi stare e restaci. Qui è peggio di Game of Thrones. Scegli con chi stare e restaci.»







l'angolo di Feniah
Ehilà! Dovrebbe esser passato poco tempo, non ne sono sicura! Comunque, questo è il primo capitolo. Abbiamo introdotto alcuni nuovi personaggi, fra cui Marei (Qui il suo aspetto) e l'angelo, Melanie (eccola
) e le cose iniziano a prendere la loro direzione. Ho dovuto tagliare perchè stava diventando troppo lungo e pesante da leggere. Un grazie a Questa pagina che è la vita e che adoro per il banner <3 All'inizio era per un'altra storia, sempre incentrata su Melanie, sebbene fosse tutt'altro contesto. E' troppo bella per non utilizzarla.
Ah, sì! Per cose che capiremo più in là, domani cambierò il nome della storia: da "Nomen est Omen" a "Per Aspera ad Astra" che c'entra comunque col nome della città, Asteria, che dalla regia mi dicono derivare dal greco e significa "Stella" . Non so se sia vero visto che non ho mai studiato greco ^^
A presto <3

 
   
 
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