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Autore: malpensandoti    28/08/2016    3 recensioni
Jodie le sorride di tanto in tanto, le scosta i capelli dal volto e le dice che Louis non ha idea di cosa si stia perdendo a non volere una sorella del genere.
Georgia la ringrazia e tace, alla fine non ci crede più di tanto.
Aspetta piano gli uomini – le persone – della sua vita prendersi qualcosa e sparire, perché è così che funziona, è così che semplicemente vanno le cose.
Vanno via.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Words As Weapons
Born To Die

 
 
 

Don’t make me sad, don’t make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets tough
I don’t know why




 

 

 
Quando torna a casa – salutato Harry fuori dalla porta con un sorriso emozionato – Georgia nota con la coda dell'occhio sua madre in piedi al centro del salotto, intenta a stirare le sue camice da lavoro. Di sottofondo, Marvin Gaye intona la sua Let's Get It On.
“Che sorrisone! – esclama Jodie nel vederla entrare nella stanza – È per via del ragazzo che sta camminando sul nostro vialetto per tornare dell'altra parte della strada?”
Georgia arrossisce vistosamente. Si lecca le labbra e si schiarisce la voce, guardandosi intorno con fare imbarazzato.
Ha voglia di parlare: con Harry i discorsi sono intensi ma sempre brevi e lei adesso è così contenta da voler discutere per ore e per ore.
Era da un po' che non sentiva questa sensazione.
“Ho conosciuto delle persone – dice all'improvviso, di fretta. Sua madre ferma il movimento della mano destra e la guarda – Tramite dei compagni di squadra di Oscar. Sono tutti ragazzi più grandi. Sono...simpatici”
Jodie si apre in un sorriso raggiante: “Ma è fantastico, tesoro!”
Georgia annuisce velocemente, infilandosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
“C'è...c'è anche Louis. Tra queste persone, voglio dire. C'è anche lui”
Il sorriso di sua madre s'incrina come una sinfonia con una nota stonata, facendole perdere l'aria sbarazzina che nonostante gli anni non è mai invecchiata. Adesso la sua espressione è quasi disgustata, sicuramente timorosa.
“Oh” mormora, a corto di parole.
“Già...”
Jodie sembra parecchio in difficoltà e per un attimo Georgia vorrebbe non aver detto nulla. Entrambe si mordono le labbra simili e rimangono in silenzio.
“E...ti ha riconosciuta? – le domanda sua madre poi – Voglio dire, sa chi sei?”
Le viene da ridere nel rispondere. Pensa a tutti gli sguardi astiosi, alle parole di sufficienza, alla rabbia di Louis nel constatare la sua presenza, il fatto che lei semplicemente respiri vicino a lui. Come si può continuare a voler bene a chi ci vuole così male?
“Sa decisamente chi sono – mormora – E mi odia. Mi odia davvero tantissimo”
Nonostante io l'abbia pregato di non farlo, vorrebbe aggiungere.
Nonostante si sia preoccupato per lei, nonostante – in qualche maniera – si sia preso cura del suo stare male.
Jodie fa una faccia rammaricata che non le si addice per nulla. Lascia perdere il ferro ancora caldo e le si avvicina, abbracciandola un po'.
“Tesoro – cantilena – Non dargli retta. Tu vali molto di più di una persona così. Non volendoti nella sua vita è lui-”
“È lui a perderci – conclude Georgia come da copione – Lo so, mamma. Lo so”
Non è mai stata brava a credere a queste parole, però.
La donna le accarezza le guance calde e “Gli uomini sono fatti così, amore mio – le dice – Hanno tanti pregi, certo. Ci fanno sognare, ci fanno ridere, ci fanno innamorare. Guarda come diventi rossa appena accenno al nipote della vedova Styles! Eppure hanno anche milioni di difetti, Georgia. E uno di questi è quello di non saper restarci accanto. Loro scappano come ladri, sempre”
Georgia sente i suoi occhi iniziare a pizzicare inevitabilmente: è come un riflesso. Ogni volta che si parla di suo padre – delle sue azioni, del suo abbandono – lei comincia a piangere come una bambina. Non è ancora pronta ad andare avanti.
Jodie le sorride dispiaciuta, ma non capisce.
“Sono davvero contenta per la tua cotta, così come sono contenta se stare vicino a Louis ti faccia in qualche modo piacere. Ma sta' attenta, d'accordo? Non lasciare che ti facciano del male”
Georgia – le lacrime che le fanno il solletico sul mento e gli occhi rossi – annuisce mestamente e sorride.
Vorrebbe rispondere: male come quello che mi fai tu?
 
 
 
 
 
Usciti da scuola, Oscar ha trascinato Georgia verso il parco, dove Suki, Louis, Zayn, Cyndi e Niall hanno occupato un tavolo lungo di legno per giocare a carte e fumare erba.
Lei è finita all'angolo della panchina, accanto a Niall e di fronte a Oscar, il quale non appena adocchiata Cyndi le ha lasciato la mano per baciare platealmente le labbra della sua pseudo-ragazza.
Niall le ha sorriso in modo incoraggiante e Georgia s'è sentita arrossire fino alla punta delle Vans nere: entrambi custodiscono un segreto importante.
Adesso tutti e sette stanno stretti su quelle due panchine e parlano della prossima festa da organizzare.
“Potremmo farla a tema” sta dicendo Suki, che con le mani affusolate è intenta a chiudere una sigaretta.
“Che tipo di tema?” le chiede Cyndi, un po' scettica.
La sua migliore amica fa spallucce e passa la sigaretta a Zayn, che insieme a Louis è seduto sullo schienale della panchina, i gomiti sulle ginocchia e gli occhi un po' piccoli e arrossati.
“Antica Grecia?” propone Niall.
“Vuoi partecipare a un'orgia, Boss?” ride Oscar.
Georgia ascolta impassibile, le mani che giocano con l'accendino rosa chiaro del biondo.
La piccola fiamma le scalda il palmo della mano per quella frazione di secondo un cui lei lo avvicina al fuoco, mandandole una minuscola scarica di adrenalina che la fa sorridere.
“Non sarebbe la prima” bofonchia Cyndi.
Zayn ride e si aggiusta gli occhiali sul naso dritto.
“Tema sport? Del tipo che ognuno si veste con una divisa sportiva diversa?”
Il pollice gira la ruota spigolata, la fiamma compare alta prima di affievolirsi e seguire il movimento del vento, in attesa di bruciare qualcosa.
“Fanno feste del genere tipo ogni quattro anni. Le chiamano Olimpiadi
La sua bocca si schiude a quel meccanismo così semplice ed essenziale, gli occhi spalancati non perdono il sentiero dell'indice libero che cerca di accarezzare il pericolo.
“Come sei simpatica, Suki. Te l'hanno mai detto?”
“Un paio di volte, sì”
La fiamma scompare, il pollice inizia a dolore. Il movimento non si ferma, qualcosa brucia dentro. Di nuovo il calore sulla pelle, la mano che piano scende a toccare, prova a rinchiudere il fuoco nel suo abbraccio.
“Tema film?”
“Scontato”
“Tema libri?”
“Sì, e chi diavolo ne ha mai letto uno, lock?”
Il suo sorriso ha uno spasmo contemporaneo al dolore: è come se qualcosa spingesse nella sua carne per arrivare ai tendini della sua mano, si fa spazio tra le pieghe della vita per-
Georgia!”
L'urlo angosciato di Oscar la riporta alla realtà: balza fuori dalla panchina, l'accendino che finisce contro il prato umido e la mano ustionata che davanti a lei fa fatica a restare aperta.
Deve stringere i denti fino a sentirli far rumore per non imprecare. Brucia da impazzire.
Oscar è in piedi davanti a lei e la guarda come se non la riconoscesse neanche. Osserva la bruciatura, la pelle morta del suo piccolo palmo e “Hey – sussurra – Stai bene? Ti sei completamente ustionata”
“Io... – Georgia inizia a balbettare per via del dolore, gli occhi diventati umidi all'improvviso – Non so, non me ne sono neanche accorta”
Suki cerca velocemente nella sua borsa una bottiglietta d'acqua, si alza in piedi anche lei e le bagna la ferita aperta, l'espressione che cerca di trasmettere rassicurazione.
“Devi andare in ospedale, raggio di sole – interviene Niall, il volto preoccupato – Tipo, subito
“Come?” gli domanda Georgia, come stordita.
Il rugbista apre bocca per ripetere, Louis però salta fuori dalla panchina e “L'accompagno io” esclama, senza guardarla.
Georgia allora lancia un'occhiata di puro panico verso Oscar, il quale ha le sopracciglia alzate e l'espressione severa: le sta dicendo con gli occhi 'va', stupida!'
È preoccupato, lo si capisce dalla mascella tesa e lo sguardo duro. Georgia non ci vuole pensare adesso, non con il dolore lancinante alla mano: Oscar inizierebbe a fare domande se venisse con lei, la sgriderebbe come un padre perché semplicemente non potrebbe capire e nemmeno sforzarsi di farlo.
Louis lascia un bacio sulla tempia di Suki, la quale gli sorride e “Fateci sapere” dice, sistemandosi i capelli scuri.
 
 
 
 
 
Georgia cerca invano di appiattirsi contro il sedile del passeggero per tutto il viaggio. Tiene gli occhi blu fissi sulla mano ustionata e si morde il labbro. Dovrebbe chiamare sua madre, riflette.
Louis guida attentamente, senza staccare la visuale dalla strada nemmeno per un secondo. Il cielo grigio sopra alla macchina non promette nulla di buono e lei si domanda se suo fratello sia ancora spaventato dai temporali come quando erano piccoli. Quel pensiero – in mezzo al dolore pungente – la fa sorridere un poco.
Arrivano in dieci minuti, senza dire una parola. Louis le afferra senza troppi complimenti il gomito della mano non ferita e la conduce verso le porte automatiche del pronto soccorso. Georgia lo segue come una bambina ubbidiente e si morde la lingua per non fargli quella domanda che sa per certo lo farebbe arrabbiare: nonostante Louis creda il contrario, è pur sempre figlio di Marshall.
L'interno è affollato e grande, con i muri dipinti di un rosa chiaro e le sedie piene di teste agitate e chine sul pavimento lucido.
Il bancone è al centro, ruota attorno a un paio di infermiere che parlano al telefono e scrivono qualcosa su un computer vecchio e nero.
“Aspettami qui” le intima Louis, lasciando la presa dura sul suo giaccone.
“Va bene”
Georgia lo osserva avvicinarsi con circospezione al personale indaffarato, raggiungere il bancone pallido e picchiettare la mano sulla superficie.
Il volto scuro dell'infermiera in camice giallo si apre in un sorriso smagliante non appena lo vede: “Louis! – esclama – Ma guardati! Sei proprio come tua madre, ti fai più bello ogni giorno che passa”
Il ragazzo sembra quasi arrossire. “Ti ringrazio, Queen” mormora sorridendo.
“Di cosa hai bisogno? Tua madre è al secondo piano, vuoi che te la chiami?”
Georgia inorridisce solo al pensiero: preferirebbe che le amputassero la mano per infezione piuttosto che conoscere la donna alla quale sua madre ha rovinato la vita.
Fortunatamente, Louis sembra pensarla allo stesso modo. “No, grazie – dice, poi fa cenno a Georgia di avvicinarsi – La mia...amica, qui, si è ustionata con la fiamma di un accendino”
Georgia accanto a lui tenta un sorriso tremolante mentre mostra la bruciatura alla donna, la quale impassibile annuisce e “Una gran bella ferita, non c'è che dire – mormora, prima di digitare qualche numero sul telefono fisso e alzare la cornetta – D'accordo tesoro, sta' tranquilla. Adesso chiamo il dottor Shelley e ti faccio subito medicare”
Conduce entrambi verso il corridoio, in una stanza piccola e vuota che odora di cotone e disinfettante. Georgia si siede sulla carta che riveste il lettino e fissa il pavimento grigio.
Quando sono da soli, si schiarisce la voce e “Puoi andare, se vuoi – mormora – Voglio dire, non sei obbligato a restare. Grazie, però”
Con la coda dell'occhio lo vede muoversi a braccia incrociate per la stanza.
“È questa l'idea che ti sei fatta di me, vero? – le domanda poi, la voce piena di sarcasmo – Pensi che me ne andrei, lasciandoti qui?”
Georgia alza gli occhi verso di lui. “Non mi sono fatta nessuna idea – gli risponde, piano – Credevo solo che non sopportassi la mia compagnia, tutto qui”
“È molto più complicato di così – sospira lui – Non capiresti, però”
Cosa? Cosa non capirebbe?
La porta si apre prima che lei possa fare qualsiasi tipo di domanda.
L'uomo appena entrato è alto, di bell'aspetto. Ha i capelli biondicci e gli occhi verdi, il naso sottile e un sorriso dolce.
Lou!” esclama, nel vedere il ragazzo.
Papà – balbetta questo, improvvisamente a disagio – Credevo...Queen ha detto che sarebbe venuto Frank”
“Frank si sta occupando di un altro paziente – ribatte l'uomo – Che c'è? Non sei contento di vedere il tuo vecchio?”
Georgia, gli occhi di nuovo incollati verso la punta delle sue scarpe, sta cercando disperatamente di non far cadere alcuna lacrima. È così frustrante.
In meno di dieci secondi, quell'uomo – Papà – è riuscito a distruggere quel piccolo legame che stava iniziando a formarsi nella stanza.
Lo chiama papà perché è suo padre, e questo brucia più di qualsiasi altra fiamma contro la pelle.
“Ciao, biondina – l'uomo si siede sul seggiolino rotondo accanto a lei e le sorride con fare gentile, una cartella in mano – Come ti chiami?”
La voce le esce tremante. “Georgia. Georgia Greenwich”
La penna smette di scrivere le sue credenziali, il dottor Tomlinson alza la testa di scatto e la guarda allucinato. Osserva poi la ferita e suo figlio, “Non ti ha bruciata lui, vero?”
Papà! Come diavolo ti viene in mente?”
“Beh, una qualche idea ce l'avrei – ribatte stizzito, prima di scuotere la testa e sospirare – D'accordo, mentre ti medico quest'orrenda ustione mi racconti tutto. Va bene, Georgia? E non piangere, tesoro. Non è successo nulla”
Lei annuisce, sbatte gli occhi e lascia che le lacrime intrappolate tra le sue ciglia cadano veloci sul volto bianco.
 
 
 

 

 

 

 

 

so di essere pessima, ma - davvero - non sopporto di non riuscire a concludere questa storia.
non so se ci sia ancora qualcuno disposto ad aspettare mesi e mesi per un aggiornamento, ma ti ringrazio di cuore se stai leggendo adesso. vuol dire davvero tanto per me.
siamo al capitolo sedici e io ho così tanto da scrivere ancora su questi personaggi, su georgia e su harry, su louis, su oscar, su suki...
concluderò quello che ho iniziato, lo prometto.
a breve partirò per l'america e spero con tutto il mio cuore di riuscire a trovare la giusta energia per andare avanti con questa storia e le mille altre che alla sera non mi lasciano dormire.
di nuovo, grazie ancora.
un bacio immenso!
seguitemi su wattpad se avete voglia, mi chiamo mmalpensandoti.
caterina


 




  
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