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Autore: UraniaSloanus    29/08/2016    1 recensioni
[Il Principe - Un amore impossibile]
Una mano ornata di mare si poggiò sulla guancia di Javier, nascondendo in parte il sorriso ironico che aveva animato le sue labbra con una lenta carezza. Fatima lo guardò ed il tempo parve fermarsi. Erano insieme, alla luce del sole, per il resto della loro vita.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SEI MESI DOPO

Una nuvola di polvere bianca si alzò dal telo che Nur stava cercando di scuotere, si fermò un attimo sbuffando. La polvere dei calcinacci era una cosa detestabile, l’entusiasmo per i progetti di Paco sulla caffetteria aveva lasciato presto il posto alla consapevolezza che non sarebbe stata una questione di pochi giorni, se avesse saputo che una ristrutturazione avrebbe comportato tanto lavoro, avrebbe optato per qualcosa di meno radicale.  Tutto sommato non era pentita della scelta di essere rimasta a Ceuta, le cose avevano cominciato a girare nel verso giusto anche per lei. Hamza, suo fratello, aveva ripreso a frequentare alcuni corsi al centro civico, anche se si vedeva come fosse più interessato a bazzicare Paco e la sua cricca di piccoli delinquenti piuttosto che i banchi di scuola, riflettè con un moto di leggera stizza. Però era un bravo ragazzo, sveglio e intelligente, Nur sapeva avrebbe trovato la sua strada. Si fermò a guardare il sole calare, spolverandosi invano i vestiti, scese nella piazzetta cercando Paco.
“Occhioni belli, vai già via?” le disse una voce calda mentre due braccia la avvolgevano da dietro.
“Occhioni belli ritiene di aver fatto il suo lavoro per oggi contrariamente a chi ha passato il pomeriggio a spasso” rispose lei con un velo di rimprovero nella voce ma appoggiandosi al torace di lui.
“Ehi, ehi, non vorrai che lasci i ragazzi ad occuparsi da soli di tutto, cosa penserebbero di me?”
“Oppure potresti spiegare loro quanto sia importante l’aiuto di tutti per finire i lavori il prima possibile, sai, qualcuno potrebbe pensare che tu stia cercando di prendere tempo per trovare una scusa con cui sbarazzarti di me”.
“Davvero? Qualcuno potrebbe pensarlo, Nur? Non credi che si sappia come io stia facendo sul serio?”
Nur lo fissò un attimo interdetta, il discorso sembrava pronunciato in maniera seria ma una luce birichina, quella luce che lei amava, brillava nello sguardo di Paco, lasciandole intendere come il discorso fosse altro che concluso. Improvvisamente, lui balzò sulla fontanella e, prendendo fiato, urlò:
“Amooo Nuuu-“
Non fece in tempo a finire che per poco non si trovò gambe all’aria.
“Cosa fai? Sei pazzo? Devi comportarti come un ragazzino?”
“Ehi, devi sapere che faccio sul serio Nur, voglio stare con te e ricostruire questo posto per me, per noi e i nostri figli se arriveranno. Voglio che torni ad essere la piazzetta polverosa in cui io e i miei cugini ci rotolavamo da bambini, fra risate e rimproveri, prima che il mondo ci cambiasse, e lo voglio con te. Eh Nur?”
Un sorriso morbido arricciò le labbra della ragazza: “Vedremo, Paco”. Mormorò prima di baciarlo. “Devo andare, mia madre mi sta aspettando”.
“Vuoi che ti accompagni?”
“No, faccio due passi”.
Si allontanò accompagnata dalla sua mano, infine si incamminò. Da quando aveva lasciato il suo precedente lavoro, era ritornata a casa con sua madre e sua zia. La donna non approvava Paco, ma dopo aver seppellito il marito e a distanza di pochi mesi il figlio maggiore, aveva perso l’abitudine di dire cosa fosse giusto e cosa no per quella figlia così giovane ma tanto indipendente. In vero, Nur sperava che vederla sistemata con dei figli potesse risollevarla un po’, sorrise pensando ai bambini che sarebbero venuti, in effetti, il  “vedremo” di poco prima suonava più come un assenso. C’erano cose di Paco che non sapeva e, in fondo, non era sicura di volerle conoscere, erano nel “prima” come amava risponderle lui. Si fermò un attimo davanti all’alto cancello che nascondeva quella che un tempo era casa Ashour, ora era in vendita e aveva perso molto dell’ordine in cui veniva mantenuta, gioie e dolori dietro quel cancello. Nur pensò alla signora che era arrivata a considerare un po’ un’amica, non sapeva più nulla di lei, si erano tenute in contatto per un po’, poi Fatima era stata portata in un ospedale sulla penisola. Si strinse le spalle e continuò, se avesse fatto in tempo, avrebbe preparato dei biscotti per gli operai.
 
Leila si lasciò cadere sul letto sfinita, come se tutta la stanchezza del mondo le fosse piombata addosso, guardò sconsolata gli scatoloni che, per quanto facesse, non accennavano a diminuire. Per i primi tempi si erano stabiliti in un piccolo appartamento nella periferia di Valencia con l’intenzione di proseguire per la Francia, ma in poco tempo Faruq aveva avviato un’attività e trovato una bella palazzina in quartiere tranquillo così erano rimasti. Il trasloco era più impegnativo del previsto, era incredibile la quantità di roba che nel giro di pochi mesi erano riusciti ad accumulare, con la notizia del bambino poi, la questione era degenerata. Si accarezzò la pancia ormai evidente e si chiese se, effettivamente, sarebbe stata una bambina come voleva Faruq, bella come la mamma, continuava a ripetere. C’era voluto del bello e del buono per convincerlo a rivolgersi ad una clinica, ma finalmente, attraversata la Spagna varie volte, erano in attesa del primo di una lunga serie di figli. Leila sperava che il lavoro non portasse via così tanto tempo a suo marito, lo vedeva un gran poco, del resto la “Sadissi Trasport” era solo agli inizi e le cose da mettere a punto erano molte.
“Leila, figlia mia, ti senti bene?” Aisha, premurosa e attenta aprì piano la porta. Le tribolazioni avevano lasciato un segno sul suo volto e la paura di nuove disgrazie la rendevano ansiosa.
“Tutto bene, sono solo stanca, volevo sistemare quegli scatoloni prima che tornasse Faruq, ogni mattina ci sbatte contro e non fa che ripetermi di spostarli”.
“Che se li sposti da solo, non è lui che ad avere un bambino in pancia. Gli uomini non capiscono quanto sia faticoso. Vieni, fra un po’ Nayat tornerà da scuola, ho fatto il thè ne prendiamo un bicchiere in terrazza, devi mangiare, sei così magra, poi penseremo a quegli scatoloni”.
Leila sorrise e la seguì, quando si trattava di mettere in ordine la famiglia, Aisha tornava la donna decisa di un tempo.

“Senti qui, Nayat!” disse Leila afferrando la mano della ragazza e portandosela alla pancia. Un palpito, simile alle ali di una farfalla così flebile ma allo stesso tempo deciso.
“Vedi mamma, anche il bambino è d’accordo!”
Portandosi una mano alla fronte, Aisha sospirò: “Ne parliamo questa sera con tuo fratello, intanto puoi uscire a comperare qualcosa, così non ti presenterai a mani nude”.
La ragazzina balzò al collo di sua madre per poi fiondarsi a prendere la borsetta. “Ciaooo” urlò prima di correre fuori.
Aveva cominciato a frequentare la scuola del quartiere, niente a che vedere con il centro civico o la chiusura del collegio a Siviglia. Certo, non conosceva nessuno ancora, ma la sua compagna di banco la aveva invitata alla festa di compleanno, ci teneva a non fare brutta figura. Alejandra non era molto brava a scuola, sognava di lavorare nella sartoria della madre e tutto il tempo che aveva lo dedicava a riviste di moda e uscite con gli amici. Nayat invidiava un po’ la sua libertà ma allo stesso tempo cominciava a capire l’importanza delle scelte intraprese. Svoltò l’angolo e si scontrò con un ragazzo che stava trasportando una cassetta di frutta. In un attimo, il passato le fu addosso, si alzò e corse via.

“Nayat? Nayat, scendi, tuo fratello ti vuole parlare!”
Si alzò dal letto e scese le scale, non era sicura di voler uscire quella sera.
“Nayat, ti accompagno a casa di questa tua amica, poi passerò a riprenderti alle 10, fatti trovare pronta”. Nayat annuì silenziosa.
“Le hai comperato qualcosa? Non ci hai messo molto” chiese Aisha dalla cucina.
“No, non ho trovato nulla” rispose la ragazza raggiungendo la madre.
“Tieni, porta questi. Li ho appena fatti” disse Aisha porgendole un vassoio di baklava ancora caldi.
Faruq la aveva accompagnata fin sull’ingresso, subito Alejandra, avvolta in un vestitino corto e luccicante, la aveva abbracciata. “Nura, che bello tu sia venuta! E che profumo!!! Per fortuna hai portato qualcosa, mia madre è bloccata nel traffico con la torta! Vieni, entra, le altre sono già in camera!!!”
Nura, il suo nuovo nome, la sua nuova identità. Le piaceva, fuori da casa lei era solo una ragazzina trasferita da una remota città spagnola, una come le altre e non quella che era pronta a farsi saltare in aria per la follia di pochi. Avevano passato la serata a chiacchiere, tra amici, l’avevano sommersa di domande sulla sua vecchia vita, Nayat un po’ aveva raccontato, un po’ inventato.
“Chi era quello che ti ha accompagnato?” chiese Dalia dal fondo di un sacchetto di patatine.
“Mio fratello, verrà a prendermi tra un po’” rispose Nayat.
“È molto più grande di te vero? Anch’io ho una sorella che si è sposata l’anno scorso, non abbiamo mai legato molto, lei e mia mamma litigano sempre, siete solo voi due?”
Nayat non sapeva cosa rispondere, fissò inespressiva Dalia, il cervello galleggiava lontano: Abdu che rubava i dolci mentre lei distraeva la mamma, Abdu e il motorino comprato con i soldi guadagnati l’estate prima al porto, Abdu e Fatima che compilano di nascosto la richiesta per un a borsa di studio sulla penisola, Nayat era contenta gliel’avessero rifiutata così sarebbe rimasto con lei più a lungo. Fatima e i suoi vestiti colorati, stipati in un armadio tra i mille disegni dei suoi alunni, Fatima battagliera contro Faruq. Schegge di vita passata. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Negare anche la loro passata esistenza?
“Qui siamo solo mia madre, mio fratello e sua moglie” mormorò piano, una mezza bugia, una mezza verità.
“Alejandra!!!! Sono arrivata!” L’arrivo della torta distrasse tutti.
 
Rosio aprì il bagagliaio della macchina e si mise ad armeggiare con il passeggino ignorando la quantità di borse e sacchetti che occupavano lo spazio disponibile. Il piccolo Josè intanto cominciava a protestare per la forzata immobilità.
“Arrivo, arrivo. Adesso vedrai che bel pomeriggio passeremo”.
Con un colpo deciso sistemò l’intelaiatura, prese il suo piccolo ometto e si avviò verso la terrazza sperando che Pilar non fosse in ritardo come sempre.
“Come sta il mio cucciolo preferito?” esclamò una voce trillante venendo loro incontro.
“Stiamo facendo i capricci, vero? Ancora non si è abituato al seggiolino della macchina, i miei vogliono che andiamo a trovarli per qualche giorno, il viaggio sarà terribile”. Aggiunse Rosio con un sospiro.
Camminarono sul lungo mare fino ad una panchina ombreggiata. Dopo un attimo di silenzio, Pilar disse:
“Ricordi? Proprio qui abbiamo fatto una foto io, te e Fati il giorno in cui è stato inaugurato il centro civico, sembra passato un secolo: Abdu, Omar, Khaled… È tutto così diverso eppure uguale”.
Rosio le poggiò un braccio attorno alle spalle sospirando.
“Già, però le cose sono cambiate in meglio. Il centro è stato riaperto, in ospedale non arrivano più ragazzi feriti da esplosivi e noi ci siamo sistemate. Anche Fatima è serena”
“La hai sentita?”
“Non di recente, mi ha detto che si sarebbe fatta viva una volta sistemata ma sono passati mesi”
Dopo poco si salutarono, Rosio stava per arrivare alla macchina quando la suoneria del telefono la avvisò di un nuovo messaggio e nel contempo:
“Rosio, Rosio!!! È Fatima!!! Guarda!” Pilar, trafelata, le sventolava il cellulare davanti al viso.

Ciao! Questo è il mio nuovo numero, ve lo avevo promesso. Ancora non possiamo sentirci direttamente, Javier crede sia troppo pericoloso, sarà il nostro piccolo segreto. Non posso dirvi dove sono ma sto bene, davvero bene. Spero che, prima o poi, riusciremo a vederci.
Baci.

“Altro che pericoloso, secondo me lui vuole averla tutta per sé” disse Pilar con tono malizioso.
 
Ruth si alzava presto ogni mattina, era suo padre a svegliarla prima di andare al lavoro, ora lei non riusciva più ad aspettare a letto sapendo che non sarebbe arrivato. Era morto. Punto, non poteva farci niente però di una cosa era grata: sua madre era diventata la sua roccia, sembrava impossibile considerando lo stato in cui era precipitata dopo la morte di Alberto. Ora lavorava all’Oratorio e seguiva un gruppo di sostegno per situazioni difficili, recentemente anche Lisa si era unita a lei. Tutta El Principe, dalla gente per bene ai piccoli delinquenti (non che la differenza fosse poi così netta o importante), le era stata vicina. Da un po’ di settimane il commissariato era diventata la sua seconda casa, lì più che da ogni altra parte sentiva la presenza di suo padre, nessuno aveva toccato la sua scrivania e Ruth ci si sedeva a fare i compiti o ad osservare il lavorio a tratti frenetico dei poliziotti. Era arrivato un nuovo ispettore capo che aveva cercato di fare presente come quello non fosse il posto per una ragazzina: l’intero commissariato si è zittito, Mati si era alzata, piazzata davanti al nuovo venuto e, con tono tagliente, secco quanto una lama affilata, aveva risposto:
“Suo padre ha dato la vita per ogni abitante di questo quartiere, ricco o povero, spagnolo o moro. Questo è il suo posto così come è il nostro”.
Nessuno aveva più detto nulla sull’argomento, nelle settimane Ruth aveva notato come i poliziotti andassero prima da Mati e poi dal capo, ogni questione passava attraverso di lei e lei, decisa e sicura come solo l’esperienza rendeva, dirimeva le varie questioni con un lavorio incessante che passava inosservato ai più, divideva ancora la scrivania di Sami, era arrivato nuovo organico e c’era poco posto. Ruth in quei giorni prese una decisione, il pomeriggio dopo si presentò con un ampio scatolone.
“Mati? Hai un momento?”
“Non ti senti bene Ruth? Ti faccio accompagnare a casa?”
“No, sto bene”. Dopo un attimo di esitazione, prese fiato e disse: “A El Principe serve un poliziotto, uno vero, non un burocrate, non un burattino. Qualcuno che conosca il quartiere ma soprattutto che ricordi sempre il significato di “giusto” e “sbagliato”, che sappia dire no a soprusi e umiliazioni di una e dell’altra parte. Non sono io a dover occupare il posto di mio padre, non ancora per lo meno, ma tu. Quando avrò finito, potrai sedere qui”.
Detto questo, si girò e cominciò a riempire la scatola con foto sue, di sua madre, di Alberto, in un cassetto trovò persino un biscotto mummificato che risaliva ad uno dei suoi disastrosi tentativi in cucina, suo padre lo aveva conservato. Finì anche quello nello scatolone. Quando ebbe terminato, guardò i colleghi di suo padre e, salutandoli, disse che, quando sarebbe tornata in quel commissariato, lo avrebbe fatto da poliziotta, come il suo papà.
In vero, continuò a essere presente nei giorni a venire, in fondo, fossero anche fotocopie o caffè, il commissariato de El Principe aveva sempre bisogno di un Pejon a disposizione.
 
Mati guardo la decisione nello sguardo di Ruth e si rivide una decina di anni prima quando anche lei, per motivi diversi, aveva preso la stessa strada. Non era rimasto molto delle idee che la animavano allora, cambiare il mondo era una cosa impegnativa, forse troppo per una ragazza. Il suo intervento poteva però essere grande per ogni singola persona che chiedeva aiuto, che si rivolgeva alla Polizia e non ai pugili di strada dove il limite tra difesa e omicidio scivolava sulla lama di un coltello. Mati aveva imparato ad amare quel quartiere variegato quanto le possibilità umane, dopo Hakim voleva andare lontano, non sentire o vedere più nulla, ma ora lo sapeva: quello era il suo posto.
“Mati? Che facciamo con il ragazzo?”
“Portalo in sala interrogatori, cominciamo”.
“Cristina, dal tribunale dei minori, non è ancora arrivata”.
“Vorrà dire che aspetteremo lei per l’interrogatorio, intanto ci faremo una bella chiacchierata con lui, no Sami?”.
Anche Sami sarebbe cresciuto bene, in poco tempo del novellino ingenuo dall’animo buono, non sarebbe rimasto molto. Forse, quando avrebbe perso un po’ dell’aria da cucciolo, ci sarebbe potuta uscire, anche se le storie con i colleghi non erano mai una buona idea. Ci avrebbe pensato poi.
“Rimani anche tu, Sami” disse mentre il ragazzo stava per uscire. In un flash rivide Fran dire quelle stesse parole rivolte a lei, rimanere per la “chiacchierata” era una cosa importante, voleva dire che eri parte del caso, sia nella sua parte ufficiale che, soprattutto, di quella ufficiosa com’era prassi a El Principe.
Sorrise e all’improvviso capì in pieno perché Ruth fosse venuta lì tutti i giorni: quello era il SUO posto. Si sedette e cominciarono.
 
“Sono stufa di vederti, Javier” disse la donna senza nemmeno alzare lo sguardo dai documenti che stava leggendo.
“Dammi quello che chiedo e non mi vedrai più” rispose lui.
“Lasciare in CNI è una scelta drastica. Dopo quello che è successo, potresti avere una buona carriera! Sei uno dei migliori agenti che abbiamo”.
“Questo è merito della mia insegnante. Sai che non voglio Carmen, non è una questione di carriera, ho dato me stesso nella missione a Ceuta” ignorò il sopracciglio ironicamente inarcato della donna e proseguì “Ho fatto di tutto per smantellare l’Akrab e con l’arresto di Robledo sento di aver concluso”.
“Allora è davvero finita, Javi?” chiese lei lasciando le carte.
“Voglio sposarmi, Carmen. Sono entrato nel CNI perché non avevo nulla al di fuori di questo, ma ora…” Sospirò, allungandosi sulla sedia.
“Che farai ora?”
“Non lo so, Fatima è stata dimessa solo da pochi giorni. È così strano poter andare dovunque vogliamo”. Disse lui scuotendo la testa.
Salinas si alzò e si diresse ad una delle grandi cassettiere sulla parete opposta.
“Ecco i documenti, il tuo stato è completamente riabilitato, anche se non credo che Robledo abbia intenzione di ritirare la denuncia per il pugno”.
“Ce ne faremo una ragione” disse Javier afferrando la cartellina. “Allora, Salinas, sei proprio sicura di non volermi più vedere?”
La donna lo abbracciò: “Se ai tuoi figli dovesse servire una vecchia zia, sai dove trovarmi”. Disse volgendo lo sguardo alla grande scrivania.
Javier ridacchiò: “Non dovrai aspettare molto, spero”. Poco prima di raggiungere la porta, si fermò.
“Salinas, la famiglia di Fran…” Lasciò la frase in sospeso, sicuro che la donna avrebbe capito.
“Stanno tutti bene, Javi. Ho pensato io a loro”
Con un ultimo cenno, si salutarono.
 
Girò con attenzione la chiave nella serratura e in silenzio entrò nella camera in cui alloggiava da un po’, quando era uscito, Fatima aveva detto di volersi riposare. Dalla porta del bagno filtrava una lama di luce, si accostò e rimase poggiato allo stipite fissando la donna che, intenta a sciacquarsi il viso, non si era ancora accorta di lui. Ad un tratto, riemerse dall’asciugamano.
“Nessuno ti ha mai detto che non sta bene spiare la gente?”
“In realtà, è successo il contrario” disse lui avvicinandosi e cingendola con un braccio “Ho una cosa per te” le mormorò ad un orecchio e, prima che lei potesse aggiungere altro, Javier si spostò davanti al balcone, nella stanza.
“I documenti! Te li hanno consegnati finalmente!” disse Fatima vedendo la cartellina anche se intuiva come quella, da sola, non poteva essere la ragione di tanto mistero. “Allora?” ogni sillaba trasudava curiosità.
Javier, si voltò guardandola negli occhi, brillanti e vivi come non mai, il viso perfetto aveva l’espressione entusiasta di una bambina, le si avvicinò.
“Come sei bella”. Una tenera carezza si posò sulla guancia di lei, prese un respiro profondo. “Fatima, non hai idea di quante volte ci abbia provato in questi mesi, ogni volta c’era qualcosa di più importante, per me e per te”. Le prese una mano e se la portò alle labbra in un bacio dolce, poi le lasciò cadere sul palmo un anello. “Ho detto a Khaled che ti avrei portato con me come mia sposa, ma non te lo ho mai chiesto”.
“L’anello di tua madre”. Un nodo le chiuse la gola, un senso di oppressione così dolce e struggente che, l’unica cosa che riuscì a fare, fu abbracciare quello che sarebbe diventato suo marito.
“Era già lì, ricordi? La sera in cui ti ho insegnato a clonare il telefono di Omar, mi chiedesti se avessi un ricordo di mia madre. L’anello era accanto alle tovagliette, per te, poi alla frontiera con il Marocco, sulle mura del Belvedere, a Madrid, ci ha seguito ovunque”.
“E continuerà a farlo” se lo infilò nell’anulare, le stava un po’ largo ma non tanto da perderlo.
“È un sì?” le chiese a fior di labbra.
“Ancora non ti basta uno sguardo? Sì, Javier, non potrei desiderare altro”.
Erano scesi a bar all’angolo, seduti ad uno di quei tavolini rotondi, Fatima amava le granite ed era diventata un’abitudine perfetta per quelle serate afose di città.
“Fatima, che vorresti fare adesso? Ho lasciato il CNI e possiamo andare dove vogliamo, a me basta stare con te”
La ragazza poggiò il volto alle mani e lo guardò pensierosa “Non lo so, Norvegia? Però è così lontana, mi piace la Spagna, è dove sono nata. Javier, tu sai dov’è la mia famiglia? Sono davvero a Parigi? Khaled diceva di sì”
“Non so dove sono, ma posso informarmi, riusciremo a trovarli se vuoi”
“Non so se vorranno vedermi, ma voglio raccontare tutto a mia madre, voglio che sappia che sono felice come mai in vita mia” Disse allungando una mano a prendere quella di Javier “Sono tanto importanti per me, so che la mia famiglia ha creato tanti problemi ma…”
“Shh, Fatima, sono la tua famiglia, poi da qualche parte dovremmo pur cominciare”. Javier si fece pensieroso “Vorrei farti conoscere mio padre, la prima volta che tornai a Madrid durante la missione, si accorse che qualcosa stava cambiando in me e mi diede l’anello di mia madre affinché arrivasse alla donna che avevo scelto, quella donna speciale”. 
Un sorriso dolce piegò le labbra di Fatima “Sarà un piacere conoscere l’uomo che ha cresciuto quello che diventerà mio marito”
 
Davanti a quella porta, continuava ad aggiustarsi nervosamente il velo che le nascondeva appena i capelli, una mano gentile le girò il volto “Andrà tutto bene, ti adoreranno”.
Il rumore della serratura le fece sussultare e si ritirò dietro l’uomo che si fece avanti per salutare il padre “Javier, finalmente vieni a trovarci!”
“Ciao, papà”
“Entrate, entrate, mettetevi comodi!” Varcarono la soglia e l’uomo si volse a guardarla “E finalmente non ti presenti solo!”
“Papà, lei è Nadja. Nadja lui è Julio, mio padre”
“Benvenuta nella nostra famiglia, Nadja” L’uomo sulla sessantina la accolse con calore “Lei è Consuelo” aggiunse presentando la donna.
“Benvenuta, cara” la accolse con un abbraccio caloroso “Venite, venite! La cena è quasi pronta!”
 
“Tuo padre ti vuole molto bene” mormorò lei nel buio
“Già, ma ho il sospetto che ne voglia molto più a te, aveva perso la speranza di vedermi sistemato, non ha mai detto nulla del mio lavoro, ma credeva mi portasse a sacrificare quello che un giorno avrei rimpianto” la fece sistemare con il capo poggiato al suo petto “Ho sentito qualcuno del CNI, so dove si trova la tua famiglia, quando vorrai, potremmo andare a cercarli”.
 
“Penso sia quella laggiù” Disse Javier sfilandosi gli occhiali scuri “Vuoi che venga con te?” Per un attimo l’immagine di Abdu morto galleggiò tra loro. Fatima lo abbracciò forte serrando gli occhi “Preferisco andare da sola”.
Un bacio sulla fronte “Ci vediamo dopo”.
Fatima si avvicinò alla casa di una chiara tonalità gialla, dipinta da poco, le tende alle finestre erano tanto simili a quelle della caffetteria che apparteneva ad una vita precedente. Si avvicinò alla porta e suonò. Per un tempo infinito non le rispose nessuno. Poi la porta si aprì e il volto stanco di sua madre spuntò sull’uscio.
“Salam aleykum, omi” mormorò Fatima, gli occhi già pieni di lacrime.
“Figlia” solo un attimo passò prima che le braccia familiari di sua madre l’avvolgessero.
Faruq le vide così, abbracciate e sentì che un altro pezzo di quella famiglia così tormentata stava tornando pian piano al suo posto ma non era pronto a riavere quella sorella che aveva lasciato a El Principe, che gli aveva abbandonati per un estraneo.
“Entra, entra. Abbiamo molto di cui parlare” Aisha si fece da parte per arraffare una teiera e un vassoio di dolcetti sopravvissuti alla razzia di Nayat e di quella sua strana amica. Si fermò un attimo nel vedere la figlia così spaesata “Siediti, prendi posto”
Si guardarono un attimo “Non so neanche da dove cominciare a chiedere, sono successe così tante cose… Abbiamo sentito della sparatoria al commissariato, cos’è successo dopo?” chiese Aisha prendendole le mani.
“Khaled mi minacciava dicendo che sapeva esattamente dove voi foste, voleva che lo seguissi in Marocco, in fuga. Sono riusciti ad impedirlo ma nello scontro sono…” si portò una mano al collo dove la cicatrice, ancora ben visibile, rimaneva a ricordo del dolore e della paura di quei momenti “Sono rimasta ferita, poi non ricordo molto, mi hanno portato all’ospedale e poi sulla penisola”
La madre le scostò il velo portandosi una mano al volto vedendo quello che rimaneva di quei giorni scellerati.
“È stato orribile mamma, credo di non aver mai avuto così tanta paura come in quei momenti. Ma dimmi di voi e Leila e Nayat, come sta Nayat?”
“Bene, cambiare posto è stata la cosa migliore che potesse capitare, Nayat va a scuola, ora ha un nuovo gruppo di amici, ragazze di qui, chiacchierone e rumorose, mi ricordano te e Pilar quando avevate la stessa età. Faruq ha avviato una ditta di trasporti, è così impegnato che quasi si dimentica di noi, ma fra poco dovrà trovare il modo di avere più tempo” un luccichio nuovo, carico di aspettativa si accese sul volto della donna “È in arrivo un nuovo Ben Barek” disse con un gran sorriso.
“Leila e Faruq avranno un figlio? È una notizia così bella mamma! Non potevano rendermi più felice!” pian piano le cose stavano tornando a posto, un nuovo piccolino! Fatima era così sollevata.
“E Morey, è con te?” disse la donna gettando uno sguardo alla piazzetta.
“Sì, mamma. Mi aiutato lui a scoprire dove eravate”. Fatima chinò il capo, voleva raccontare a sua madre delle splendide settimane, di quello che avevano visto, del corso di liscio, del padre di Javier e della sua passione per i dischi in vinile, di Consuelo e del suo arrosto, ma non poteva. La sofferenza per Abdu tornava viva ogni volta che si nominava Javier.
“È buono con te?” chiese la donna alzandole il volto.
“Lo amo, madre. Non sono mai stata così felice come ora in vita mia” La luce nel volto della figlia valse più di ogni altra spiegazione.
“Devo andare, madre. Tornerò a trovarvi se vi fa piacere, ci fermeremo per un po’”.
“Fatima, noi saremo sempre la tua famiglia, non hai bisogno del permesso per tornare”. Le passò un biglietto. “La prossima volta chiama, i tuoi fratelli saranno felici di rivederti”.
 
Nei giorni seguenti era diventata abitudine passare per il thè o accompagnare Nayat e Leila per negozi, una sera, tornando prima del solito, vide Javier scendere dalla macchina di una donna. Attese un poco, poi lo raggiunse nel piccolo appartamento che avevano preso in affitto, mentre era in bagno si accosto alla porta sentendolo confabulare al telefono.
“... sono io, Salinas… un favore… del commissariato… Sì, aspetto”
Vide la propria immagine perplessa riflessa nello specchio e la curiosità morderle lo stomaco, con fare studiato e noncurante si aggirò nell’appartamento cercando si sbirciare il faldone che era stato nascosto alla meglio sotto una giacca.
“Non eri tu quella che sottolineava come frugare tra le cose altrui, non sia educato? Sei più curiosa di una bambina, è più difficile di quello che sembri farti una sorpresa”. Disse Javier ridendo del suo sguardo colpevole.
“Dove sei stato oggi?”
“Te lo ho detto, è una sorpresa” provò a silenziarla con un bacio ma fu un misero tentativo.
“Javier, non puoi lasciarmi così! Non è giusto!”
Prese un lungo respiro “E va bene, volevo farti vedere cosa avevo trovato una volta ne avessi visti qualcuno in più ma se non riesci proprio ad aspettare…” le allungò una pila di cartelline colorate ognuna conteneva le informazioni di casette e appartamenti nel quartiere. “Alcune le ho già scartate, altre devo ancora vederle e la donna con cui mi hai visto in macchina è l’agente immobiliare, mia bellissima spia”. Disse lui baciandole una guancia. “Sempre che tu non voglia cambiare città ma in fondo, la tua famiglia è qui, nel quartiere ci sono scuole, centri giovani e, a quanto pare, in una delle sedi distaccate del commissariato, manca un ispettore capo”. Lacrime le si raccolsero nelle ciglia mentre guardava quell’uomo in cui vedeva riflesso tutto l’amore che provava.
“Ti amo, Javier”
“E io amo te, Fatima”
 
Javier guardò l’orologio per l’ennesima volta, Fatima non era mai in ritardo tranne quando era necessario fosse puntuale, la stava aspettando poco lontano da casa Sadissi, dovevano andare a prendere suo padre e Consuelo all’aereo porto. Vide Faruq e Leila scendere dalla loro auto quando un ragazzo in motorino, sfrecciò loro accanto afferrando la borsa della donna. Morey, forte di mesi intensi a El Pincipe dove gli scippi erano talmente comuni da non destare più di qualche imprecazione, si preparò a fermare il ladro che veniva proprio nella sua direzione. Raccolse il contenuto della borsa che si era sparpagliato sull’asfalto per rialzarsi e trovarsi di fronte Faruq, si misurarono con lo sguardo.
“Nessuno si era mai permesso di rubare la mia roba”
“Infatti, sei fuori allenamento” rispose Javier rendendogli la borsa.
“Faruq! Leila mi ha detto del furto, era molto spaventata” Fatima si fermò interdetta rendendosi conto della situazione in cui era capitata. “State bene?” chiese spostando lo sguardo da uno all’altro, riferendosi solo in parte alla borsa.
“Tranquilla, sorella. Ci vediamo domani” disse Faruq salutando la ragazza, si incamminò verso casa. Fatti pochi passi si girò di nuovo “Morey, domani è venerdì. Vi aspettiamo a pranzo”.
Scosse la testa nel vedere il grande sorriso sul volto di sua sorella “Shakar” sillabò lei.
 
I due uomini sedevano in terrazza, Faruq allungato sulla poltroncina e Javier poggiato alla balaustra, le donne si erano allontanate con la scusa di sistemare la borsa di Leila per il bimbo che a breve sarebbe nato.
“Non avrei mai pensato di offrire il thè ad un poliziotto”
“L’imminente paternità ti sconvolge parecchio”
“Ho il sospetto, saremmo presto nella stessa barca. Hai intenzione di rendere mia sorella una donna rispettabile, Morey?”
Sorrise mostrando la foto di due fedi “Lei voleva ci foste voi al suo fianco”.
Faruq si alzò e gli porse la mano “Forse se ne può parlare”.
Fatima si fermò fissando l’immagine attraverso il vetro, sua madre le strinse una spalla. Stava andando tutto a posto.
 
La cerimonia era stata breve, alla fine il funzionario aveva proclamato Javier Morey e Nadja Sadissi marito e moglie. Il sorriso e la pace sul volto dei due giovani sposi commossero più di altre parole, Javier, stringendo Fatima al petto vide suo padre che, senza troppa grazia, frugava nella borsetta di Consuelo per estrarre un delizioso fazzolettino di pizzo, Salinas applaudiva contenta, manciate di petali e riso piovevano ovunque e fuori i tamburi, come voleva la tradizione, cominciavano a suonare aprendo la strada al corteo nuziale.
Avevano affittato una terrazza sul mare per il pranzo, non erano in tanti ma molti degli invitati non si conoscevano, sia Fatima che Javier si impegnarono molto per avvicinare persone che potevano avere interessi in comune, alla fine del pranzo, Consuelo discuteva con Aisha che cercava in tutti i modi di estorcerle i segreti della sua cucina, Pilar, Nayat, Rosio e Leila erano su una panca in compagnia dei figli e Salinas discuteva di non si sa cosa con Faruq.
Fatima si poggiò alla balaustra della terrazza, l’abito appena più chiaro del mare alle sue spalle, i capelli scuri, appena velati. Le si avvicinò, non c’erano parole che servissero, si abbracciarono e il fotografo scelse proprio quel momento per quella che sarebbe diventata la più bella foto di loro due.
“Mamma, va tutto bene?” Aisha le fece posto sulla panca, lo sguardo un po’ appannato “Pensavo a tuo padre e a cosa direbbe se fosse qui. Sua figlia sposata ad un cristiano, un poliziotto, un assassino…”
“Mamma, ti prego. Javier…” Il dolore la colpì come una stilettata, suo marito, la sua vita, era un assassino, le lacrime che lui aveva versato, dolorose almeno quanto la verità da cui sgorgavano, non avevano alcun potere su ciò che era stato. Ma Aisha la zittì: “Non si può cambiare ciò che è stato, ma questa non è più la mia vita, è la vostra. Per me rimarrà sempre colui che mi ha portato via mio figlio ma è anche colui che mi ha riportato mia figlia. È un brav’uomo e sarà un buon marito e padre per te i vostri bambini. Non pensavo lo avrei mai detto, ma sei stata fortunata, Fatima, ed io sono contenta per te e per lui”. Aisha guardò quella figlia, così bella e forte e non poté non essere orgogliosa di lei e della sua nuova famiglia. In quel momento, Fatima ebbe un accenno dell’amore sconfinato di madre che, oltre ogni cosa, si nutriva di ciò che aveva creato. Quasi chiamato in causa, il suo sposo si girò, salutandola con un sorriso dal divanetto dall’altra parte della stanza.
Lo sguardo di Javier si era fermato sulla sua donna, fino a quando Faruq non emise un verso strozzato simile ad una protesta, contemplò la bambina che, allegramente, gli rigurgitava sulla spalla della giacca. Con un tossicchio, Javier cercò di dissimulare l’ilarità della scena.
“Strozzati, Morey” sbuffò Faruq cercando di incrociare lo sguardo di Leila perché venisse a riprendersi la loro principessa. Era nata da pochi mesi e, escluse le ore di sonno perso, fare il padre gli piaceva, certe incombenze, però, era più che lieto rimanessero di competenza femminile.
“Che succede qui?” Leila prese la bambina “Aspetta, ti cerco un panno per pulire la giacca” disse la giovane madre scaricando la figlioletta in braccio a Morey. “Ehi, piccolina, se diventerai bella come la tua mamma, il tuo papà avrà il suo bel daffare nel tenere lontani i ragazzi quando cominceranno a ronzarti intorno”
“Questo non sarà difficile, la mia prima preoccupazione saranno i poliziotti, specie se infiltrati del CNI e con una certa tendenza a non arrendersi”.
“Che cosa ti ha chiesto Salinas?” chiese Javier ricordando la strana chiacchierata.
“Lavoravi per lei vero? Era interessata alle rotte che seguono le merci in arrivo al porto e come vengono stoccate e smistate. Ti dice nulla?”
“Non lo so, ma Salinas non è tipo da fare domande a caso. Magari finirà con il reclutarti”. Lo sguardo di Faruq si bloccò su di lui, il verde vitreo ardeva promettendo minacce. Una mano ornata di mare si poggiò sulla guancia di Javier, nascondendo in parte il sorriso ironico che aveva animato le sue labbra con una lenta carezza. Fatima lo guardò ed il tempo parve fermarsi. Erano insieme, alla luce del sole, per il resto della loro vita. 

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Con questo breve testo volevo concludere una serie tv poco nota in Italia ma che ha avuto un grande successo in Spagna. Sono rimasta un po' delusa dal finale frettoloso che è stato proposto al termine della seconda stagione, così eccomi qui.
Grazi a tutti voi che siete arrivati fin qui.
UraniaSloanus
  
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