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Autore: LiquidScience    29/08/2016    2 recensioni
Il Dottore e Rose finiscono all'interno di una misteriosa dimensione completamente bianca, che si plasma seguendo il loro sguardo.
(Molto tempo fa sognai di trovare pubblicata, in data odierna, questa storia. Così ho deciso di tener fede al sogno, scriverla e pubblicarla oggi. Nulla di speciale, spero vi piaccia)
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, TARDIS
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il TARDIS si materializzò accompagnato da un sonoro brontolio metallico, che cessò con un tonfo appena la procedura di atterraggio non fu completa. La porta di legno blu si aprì con un cigolio e un uomo con un lungo cappotto marrone ne uscì, osservandosi attorno.
«Dottore, siamo arrivati?» chiese una voce femminile alle sue spalle.
«Beh… In un certo senso, siamo arrivati» rispose il Signore del Tempo, arruffandosi i capelli castani con una mano. Tutto attorno a loro regnava il vuoto, di una tinta bianca uniforme. La luce era quasi accecante e sembrava provenire da qualsiasi direzione, tanto che i corpi dei due viaggiatori non proiettavano alcuna ombra.
«Dove siamo?» chiese Rose, uscendo dalla cabina blu.
«Non ne ho idea» il Dottore pronunciò quelle parole con un tono smorzato. Era raro che non sapesse qualcosa e stava cercando di godersi quel momento di totale buio.
«Direi il Vuoto ma…» lasciò incompleta la frase, preso da un particolare in lontananza. Sembrava un goccia, sospesa nell’aria, di un colore scuro.
«Rose!» esclamò, puntando il dito verso quello strano elemento che però scomparve appena le parole furono proferite.
«Cosa? Io non vedo niente» disse la ragazza, confusa.
«È scomparso appena ho parlato» constatò il Dottore, prima di portare il dito indice sulle labbra accennando di fare silenzio.
La goccia ricomparve e cominciò a cadere, lasciando una scia color verde bottiglia. Nella sua corsa, si diramò più e più volte variando di sfumatura fino a disegnare i contorni di un cespuglio di foglie sospeso in aria. Man mano che il colore scendeva, si andò a formarsi un solido tronco color marrone scuro. Una volta completata la figura dell’albero, le gocce caddero sul pavimento bianco dando forma e colori a un prato. Altri elementi del paesaggio si formarono in modo analogo, lasciando al Dottore e Rose la vista di uno dei parchi pubblici che si poteva tranquillamente trovare a Londra. Sullo sfondo, gli edifici londinesi facevano da cornice percorrendo tutta la linea dell’orizzonte.
Il Signore del Tempo si avvicinò al fusto della pianta, mettendosi su gli occhiali per esaminarlo. Batté il pugno sul tronco, poi appoggiò le mani e leccò il legno. Fece una smorfia, disgustato dal sapore del tronco.
«Legno. Semplice e naturale legno» esclamò, rivolgendosi di nuovo alla sua compagna di viaggio.
«Dottore!» Rose indicò un punto alle spalle del Signore del Tempo, agitata.
Quando l’altro si girò di nuovo verso la pianta, tutto era scomparso lasciando posto solamente al bianco più assoluto.
«Affascinante. Dev’essere un sub-universo»
«Cos’è un sub-universo?» chiese Rose, cercando di capirci qualcosa.
«Un universo subordinato al nostro. Non è abbastanza complesso per poter supportare una realtà propria e dipende completamente da elementi definiti nella superclasse»
«Ovvero?»
«Rose, inizia a parlare. Qualsiasi cosa»
«Quindi Dottore siamo bloccati in una specie di universo parallelo come quella volta con i Cyberm…» Rose non riuscì a finire la frase, distratta dal Signore del Tempo che aveva cominciato a parlarle sopra citando frasi composte in modo assolutamente casuale.
«Non riesco a concentrarmi se parli di… pere facendo quelle facce disgustate» commentò la ragazza, trattenendosi dal ridere.
«Esattamente! Questo universo non riesce a mantenere in piedi due sfere sensoriali così impegnative allo stesso tempo. Per questo mentre parliamo c’è il vuoto, ma quando ci guardiamo attorno in silenzio il passaggio si definisce davanti ai nostri occhi»
«Aspetta, ma se così fosse sarebbe dovuto sparire tutto con il minimo rumore»
«Beh» disse il Dottore, chinando la testa di lato «Credo dipenda dall’intensità dei rumori. O Da chi li produce»
«Per questo né io, né te né il TARDIS diventiamo…bianchi quando parliamo?»
«Penso di sì. Forse non è nemmeno la prima volta che finiamo –o finisco- in sub-universi del genere» il Dottore cominciò a camminare attorno all’area dov’erano atterrati, pensieroso.
«Beh, credo te ne saresti accorto altrimenti» disse sarcastica, allargando le braccia e seguendo con lo sguardo i movimenti dell’altro.
«Forse. O forse no» mormorò lui, arricciando il naso inspirando «Se un sub-universo è abbastanza grande, potremo esserci passati tranquillamente senza accorgercene. Questo sembra piccolo e piuttosto recente»
«Cosa facciamo allora, Dottore?»
«Come sempre. Al TARDIS!» esclamò lui fiondandosi dentro la cabina blu. Lanciò il cappotto su una delle colonne coralline che circondavano la sala circolare e si precipitò alla consolle centrale, i passi che riecheggiavano man mano che colpivano il grigliato di metallo che componeva il pavimento.
Rose lo seguì subito dopo, con più calma, rimanendo di fianco a lui mentre il Dottore armeggiava con alcuni comandi controllando continuamente i risultati sullo schermo.
«Ti ricordo che avremmo dovuto raggiungere Mickey per quel caso degli avvistamenti UFO nei dintorni della Deffry Vale School»
«Uh» borbottò, storcendo la bocca «abbiamo fatto solo una piccola deviazione»
«Piccola» sottolineò Rose, in tono ironico ma scherzoso. Notò che il Dottore sembrava avere qualche difficoltà a far partire la nave «Qualcosa non va?»
«Credo che abbia qualche problema a localizzare il punto di frattura»
Un ronzio si sprigionò dal rotore principale e il Dottore cominciò ad accarezzare i pezzi della console, alzando lo sguardo verso la colonna illuminata dalla luce verde acqua.
«Cosa c’è, cara? Su, su, fai la brava. Vedrai che riusciremo a uscire di qui»
«Volete che vi lasci soli?» disse Rose, vedendo quell’assurda e un po’ imbarazzante scenetta.
«Cosa…?» L’altro si voltò di scatto verso la ragazza con l’espressione sbigottita, non capendo immediatamente il perché di quelle parole. Quando realizzò a cosa si riferisse, si rizzò in piedi vagamente imbarazzato.
«E se fosse perché lì fuori è tutto bianco?» propose Rose, spostando il peso da una gamba all’altra.
«Ma certo! Silenzio radio» esclamò l’altro posando di nuovo il dito sul labbro e la ragazza lo imitò divertita. Uscirono assieme e cominciarono ad osservare l’ambiente che andava formandosi sotto i loro occhi. Piano piano, comparvero di nuovo le foglie color verde scuro degli alberi, il tronco dall’aspetto rugoso e l’erba che cominciò ad ondeggiare al vento. Piano piano anche lo sfondo della skyline di Londra comparve, con gli edifici dal sapore antico che si stagliavano sul cielo di mezzogiorno.
Mentre il Dottore cercava qualche piccolo indizio nel paesaggio circostante, Rose girò attorno al TARDIS. Dietro la cabina, un luccichio catturò la sua attenzione.
«Dott…» aveva aperto bocca istintivamente ma quando la tappò col palmo della mano era già troppo tardi: tutto era tornato bianco. Il Dottore si rivolse verso di lei e con ampi gesti le ricordò di non proferire parola. La raggiunse, per vedere il motivo per cui aveva cercato di chiamarlo.
Man mano che il silenzio regnava nel sub-universo, lo scintillio tornò visibile agli occhi curiosi dei due viaggiatori. Il Signore del Tempo esultò, soffocando qualsiasi gemito tanto da sembrare un attore di un film muto. Avvicinò un dito verso la zona interessata ed essa sembrava tentare di risucchiare la materia con cui veniva a contatto.
Estrasse il cacciavite sonico, ma esitò un attimo prima di utilizzarlo. Anche Rose non ne sembrava molto convinta e rivolse al Dottore uno sguardo contrariato.
Il cacciavite funzionava attraverso il suono. Molto probabilmente avrebbero ottenuto lo stesso effetto delle parole.
O forse no?
Decise comunque di premere quel piccolo tasto e il fischio tremolante dell’attrezzo si diffuse nel sub-universo, senza far sparire il luccichio. I due viaggiatori fecero spallucce e il Dottore continuò ad armeggiare col cacciavite. La piccola luce si allargò, fino a diventare una vera e propria spaccatura da cui si poteva vedere il loro universo d’origine. Tornarono all’interno della cabina, in completo silenzio rotto a tratti dal rumore dei passi sulla grata. Il Dottore armeggiò coi comandi finché, dopo aver tirato una grossa leva, il rotore temporale non partì producendo il caratteristico brontolio metallico che accompagnava il movimento oscillante dei cristalli all’interno della colonna.
«Agganciato, ora possiamo parlare liberamente. Reggiti forte, Rose, stiamo per usci
  
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