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Autore: Pascal76    30/08/2016    0 recensioni
"A volte i nostri mostri possono salvarci da una morte dolorosa. Tu ne sei la prova".
"Quando l'ho scoperto non sapevo che il mio mondo si sarebbe rovesciato; tutto ha un prezzo e niente deve essere dato per scontato, sapevo. Ma un conto è sapere una brutta realtà, un conto è viverla. E Lui mi sta aiutando a sopravvivere".
A volte il nostro istinto ci aiuta a vivere, altre volte ci distrugge.
Ma io non ho avuto questa fortuna.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il grido non produsse alcun suono. Rimasi così per alcuni minuti, le orecchie coperte dalle mani e il cuscino in grembo, dondolandomi avanti e indietro finché non ce feci più e caddi in un sonno inquieto che mi risvegliò qualche ora dopo, alla sera. Quando mi misi seduta sul letto, notai che il cuscino era umido dove avevo poggiato la testa e anche un po' accartocciato, data la violenza con cui l'avevo aggrappato, come se temessi che qualcuno potesse rubarmelo.

Sospirai. Quando presi in mano il telefono, notai che avevo tredici chiamate perse da Carlos e un messaggio sulla segreteria telefonica. Li ignorai.

Accesi l'abat-jour sul comodino e rimasi seduta sul bordo del letto per un po', finché qualcuno non venne a bussare alla porta della camera e mio padre entrò con un vassoio di biscotti in mano.

All'inizio mi aspettai che mi guardasse duramente e, con quel tono di voce che mi faceva sempre rabbrividire, mi rimproverasse per essermi comportata così sgarbatamente con loro e per aver saltato il pranzo, cosa che lo faceva sempre infuriare.

Ma le cose andarono diversamente : appoggiò il vassoio sulla scrivania e mi rivolse un finto sorriso rassicurante, prima di uscire dalla camera in totale silenzio.

Se da un lato mi rilassai, dall'altro entrai in allerta.

Quel silenzio poteva significare tante cose, e tutte negative. Presi un biscotto dal vassoio e lo mangiai, ricordando quanta fame avessi. Erano i miei biscotti preferiti, quelli secchi che diventavano incredibilmente morbidi e dolci quando li inzuppavo nel latte. Li divorai tutti, uno dopo l'altro, senza sentirmi particolarmente sazia.

Ma non mangiai altro.

Stavo raccogliendo le briciole dal copriletto, quando sentii un sassolino picchiare contro la finestra : Amy. Mi sporsi e la trovai dall'altro lato della strada, sul marciapiede di fronte ai Branwell, avvolta nel suo cappotto color rosso acceso visibile anche a qualche chilometro di distanza, come una volta avevo ironizzato. Le feci cenno di aspettarmi e, utilizzando l'unico passaggio segreto di cui disponevo, un vecchio ed inutilizzato montacarichi collegato al garage, la raggiunsi nel buio pesto di quella sera.

Ero felice di rivederla; non la solita e monotona sensazione di benessere quando eravamo insieme, ma una felicità innata di vedere che, nonostante il suo atteggiamento brusco di quella mattina e anche tutti i precedenti della settimana, lei avesse comunque deciso di venire da me. Un po' come in aeroporto, quando rivedi dopo troppo tempo un caro amico e gli corri incontro, stringendolo tra le braccia più che puoi, anche se senti che non è ancora abbastanza. E così feci con lei : la strinsi forte finché non fu lei stessa a dirmi di allentare la presa perché la stavo soffocando.

« Sei tornata … » dissi, un largo sorriso a trentadue denti stampato in faccia.

« Non me ne sono mai andata, in realtà » rispose, sorridendo a sua volta.

Dopo un breve silenzio aggiunse : « Ti abbiamo vista scappare e poi non hai più risposto alle nostre chiamate. Perché? »

Fui tentata di dirle la verità, ma pure a me sembrava talmente assurdo da non poterlo dire ad alta voce. « Ho avuto un … mi sono sentita male. »

« Eri con Finn » disse lapidaria. Rabbrividii, e sapevo che non era per il freddo.

« Che cosa intendi? Lo sai che non lo sopporto » risposi, cercando di riparare il terribile strappo che sentivo si era creato tra di noi.

« Beh, visto come si è agitato non appena sei svenuta … »

« Ah certo, stai dicendo che tra me e lui c'è un qualche … una qualche relazione. È questo che intendi? »

« Forse »

« Amy davvero crederai che io possa mettermi insieme a quello là? Davvero? Sopratutto se non lo sopporto? » sì, certamente disse una voce in un angolino del mio cervello.

« Siamo tutti imprevedibili per quanto riguarda l'amore. » disse facendo spallucce.

Feci per ribattere, ma qualcos'altro attirò la mia attenzione : un grido disumano, terribile. Uno dei lampioni in fondo alla via esplose in una marea di scintille dorate, allarmandomi. Una fitta ed intricata rete di sottilissimi fili azzurri stava intessendosi sopra le nostre teste. La osservai, finché non mi sentii i capelli rizzare in testa e feci una cosa inspiegabile.

Le mie mani si strinsero a pugno intorno a qualcosa di apparente immateriale, ma che sulla mia pelle sembrava avere una consistenza. Pungeva. Era come tenere una mangiata di sottilissimi aghi che mi pungevano i palmi senza ferirli.

Quando riaprii di scatto la mano, un'onda invisibile si propagò per tutto il vicinato. Qualsiasi cosa ci fosse in fondo alla via smise di avanzare, arrestandosi.

« Bel colpo, Black »

« Grazie » dissi prima di rendermene conto. Era stato veloce, ma era bastato.

Mi voltai di scatto e vidi Finn accanto a me impugnando un'arma molto simile ad un fucile, ma più corta e … azzurra. Sembrava splendesse, ma ciò che mi preoccupava ancora di più era che Finn non aveva indosso vestiti normali, ma bensì una tuta nera, come una divisa militare a tinta unita però. Guardava la strada e sorrideva come un predatore. Era bellissimo.

« Cosa ci fai tu qui? » chiesi terrorizzata.

« Il mio lavoro, CaricaBatterie » rispose in tono grave. Con un movimento fulmineo, mi prese per un braccio e mi spinse a terra, sparando a quella persona in fondo alla via che sembrava essersi rialzata. Capendo che molto probabilmente tutta la sicurezza che trasmetteva era data dal fatto che aveva la situazione sotto controllo, mi misi disperatamente a cercare Amy con loro sguardo.

Mi sentii svuotare i polmoni quando non la trovai. Colta dal panico, mi rialzai e ci mancò poco che qualcosa mi colpisse ancora alla testa, quando mi piegai sulle ginocchia per schivare un'anomala saetta di luce. Provai l'irrazionale sensazione di rispondere allo stesso modo.

« Vai! » urlò Finn. Non me lo feci ripetere due volte. Cominciai a correre il più veloce possibile lontano dalla strada. Non pensai ad un effettivo nascondiglio perché l'unica cosa che desiderai in quel momento fu di trovare un luogo sicuro, dove quella persona a cui Finn stava sparando non potesse trovarmi. Non la conoscevo, eppure avevo la sensazione di conoscerla alla perfezione. Era cose una parte di me ricordasse, mentre l'altra parte fosse totalmente ignara di quel ricordo.

Non è possibile, non è reale. Mi dissi mentalmente.

Lo è invece rispose una vocina in un angolino remoto della mia testa.

Ripresi a correre. Tutto sembrava passato in secondo piano : Finn, saette di luce, pistole, Finn in divisa nera, mio fratello, il tizio in fondo alla strada, Amy. Amy. Mi arrestai di colpo, col fiatone. Presa com'ero dallo spavento, mi ero dimenticata che la mia migliore amica era sparita.

Feci dietrofront e mi misi a cercarla, perlustrando la zona con lo sguardo mentre correvo alla cieca. Attraversai un vicoletto stretto tra la casa dei Branwell e quella degli Stewart. I rumori della sparatoria erano cessati, ma questo non mi rilassava per niente. Alla fine del vicolo guardai attentamente la strada, che in quel momento stava cominciando a riempirsi di persone. C'erano anche i miei genitori. Anzi, c'erano tutti.

Sembrava una scena delle scuole elementari, quando i pompieri ordinavano la prova di evacuazione dell'edificio e tutti uscivano in fila indiana.

Mia madre era in lacrime e si stringeva in mio padre, il quale sembrava agitato quasi quanto lei e continuava a guardarsi intorno. Solo allora notai con una certa preoccupazione che mio fratello non era lì. Che gli esami gli sottraessero del tempo per divertirsi era vero, ma che non potesse evacuare di casa per colpa di uno stupido libro era anche troppo. E conoscendo mio fratello, lui non andava mai oltre il limite dell'irrazionale.

Ma se non era lì, allora dov'era?

Feci per raggiungere i miei genitori, quando qualcosa alle mie spalle mi tirò indietro con violenza, scagliandomi sul marciapiede buio del vicolo.

Con uno scatto mi misi in piedi e constatai sconcertata che ero atterrata sull'asfalto della strada di fronte a casa mia, non nel marciapiede del vicolo.

« Com'è possibile ? » chiesi a nessuno in particolare.

Ma la riposta mi arrivò subito, chiara e tagliente come una lama. « Oltre che stronza, sei anche stupida quindi! »

Mi voltai e mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo della stessa età di mio fratello, forse poco più grande. Alto, muscoloso e possente, mi guardava come se fossi la causa di tutti i suoi problemi, con uno sguardo carico d'odio e disprezzo che mi fece rabbrividire. A scuola non andavo a genio a tutti, ma nessuno mi aveva mai guardata in quel modo.

Era un misto tra “Ti voglio morta” e “Ti taglierò le dita delle mani ad una ad una solo per vederti soffrire” in senso letterale.

« Chi sei? » chiesi con circospezione, i pugni chiusi. Nonostante il suo viso mi risultasse noto, non riuscivo a ricordare dove l'avessi già visto.

« Non ti parlano spesso di me eh? Oppure sono troppo impegnati a riempirti di complimenti per quello che sei eh? Una brutta figlia di … »

« Dimmi chi diamine sei! » urlai inconsapevolmente. Mi coprii la bocca con entrambe le mani, stupita e impaurita da ciò che avevo fatto. Lui non si scompose.

« Dimmi Genevieve, ti va di fare un gioco molto divertente? Un gioco dove tu muori e io mi riprendo ciò che è mio? Eh? Ti va di giocare un po'?! » e detto questo nelle sue mani si accese di una luce rossa simile al bagliore del fuoco. Sembrava un attizzatoio ardente.

Mi coprii gli occhi a causa della luce, e quella distrazione mi costò un colpo allo stomaco molto forte, che mi piegò in due.

« Ti diverti Genevieve? » chiese con un sorrisetto malefico. Si preparò a colpirmi ancora, ma qualcosa di argenteo si allacciò alla sua caviglia e lo fece cadere a faccia in avanti, a pochi centimetri da me. Come lui cadde a terra, io balzai in piedi e lo colpii, spinta da una forza illegittima che sembrava desiderare ardentemente vendetta.

Fu veloce, ma bastò poco per metterlo KO.

Quando fu senza sensi divenne più facile studiarlo. Aveva un lungo taglio che gli percorreva il collo, sul viso gli correvano delle vene accese di rosso il cui bagliore sembrava pulsare, come i battiti del cuore. Feci per toccarlo, ma una mano mi bloccò il braccio con la sua stretta di ferro.

« Non toccarlo » mi ammonì. Era Finn.

« Da quando credi di potermi dare ordini? » risposi e mi divincolai.

« Da quando ti salvo la vita » disse, avvicinandosi a me.

La vicinanza non mi provocò disagio, seppure tutto in quella situazione fosse anormale : Finn con la divisa nera e la pistola azzurra in mano, il ragazzo che si illuminava di rosso e, dulcis in fundo, Finn a distanza ravvicinata.

Mi scrutò per alcuni secondi, studiandomi. Poi fece una cosa inaspettata e che mi tolse il fiato. Fu un piccolo gesto, ma fu tutto per me : sorrise. Non era un sorriso completo, ma solo a metà, tirando su solo un angolo della bocca.

Mi immaginai quanto sarebbe stato bello baciarlo sulle labbra e …

No, scossi la testa scacciando quei pensieri inappropriati e posai lo sguardo sul ragazzo disteso a terra. Sembrava un cadavere.

« Lui chi è? » sussurrai, temendo che in realtà fosse sveglio e stesse fingendo di essere incosciente. Avevo una certa preparazione in queste cose, sopratutto grazie a tutti i film d'azione che avevo visto fino a quel periodo.

Finn fece spallucce. « Non lo so, ma se ti è venuto a cercare vuol dire che ti conosce »

« Quindi non sai chi è? »

« Non esattamente »

« Jamie Garrick » intervenne una voce alle sue spalle. Quando guardai oltre, vidi che si trattava di Annie, vestita da capo a piedi come Finn, con l'eccezione dei capelli legati. Mi guardava senza espressione, come se fossi trasparente e non esistessi. Non l'avevo mai vista così. Sembrava elegante e provocante allo stesso tempo, completamente diversa dalla donna che si vestiva da capo a piedi come una suora.

« E te come fai a saperlo? » Finn si girò.

« Credi che la mia copertura da infermiera alle scuole superiori sia solo un passatempo, Finn? » gli rispose, sorridendo. Era sempre Annie l'infermiera, ma era come diversa, cambiata. Oppure era sempre stata così, ma non l'avevo mai notato.

« Ho Caricabatterie » disse il ragazzo, sbrigativo. Sapevo che si rivolgeva a me.

« Non chiamarmi così! » replicai. Entrambi mi guardarono accigliati.

« Preferisci Genevieve? Un nome da bambina succhiapollici? Sai, pensavo avessi dei gusti un po' più decenti » disse, incrociando le braccia al petto. Quanto era bello …

« No. Sai cosa? Non chiamarmi proprio » dissi e girai sui tacchi, scavalcando il corpo inerme del ragazzo e imboccando la prima via che incontrai. Se un lato di me non voleva aver a che fare con Finn, l'altro desiderava che mi rincorresse e mi implorasse di restare con lui.

Ma non fu così.

Più o meno a metà strada mi girai e notai con una fitta di delusione che sia lui che Annie erano scomparsi assieme all'altro ragazzo. Tutto ciò che era appena successo era assurdo ed incredibile. Sembrava la scena di un film di fantascienza e di azione, ma con molta poca fiction e forse troppa realtà. Orientandomi grazie alla memoria fotografica, raggiunsi casa mia ed aspettai, seduta sull'amaca sfilacciata della veranda.

Le luci di casa erano accese ed insolitamente … pulsanti. Le guardai, le osservai e provai il desiderio di toccarle, come i bambini quando vedono il fuoco e vogliono toccarlo a tutti i costi. Incantata, appoggiai il palmo della mano alla finestra e la luce subito si spense. Un senso di delusione mi afflosciò , ma subito fu rimpiazzato da qualcosa di più forte, di energico, come elettricità pura.

Sorrisi spontaneamente, senza motivo.

Mi stesi sull'amaca e rimasi così, sorridente e beatamente stordita finché non udii in lontananza un mormorio e di scatto mi alzai in piedi, con un vago senso di allerta.

« Genevieve! » esclamò mia madre quando mi vide. Non era per niente arrabbiata, anche se ero ben consapevole che la sensazione di sollievo che provava in quel momento sarebbe durata poco. Mi corse incontro e mi strinse a sé, letteralmente.

« Dove cavolo eri? E tuo fratello? Vi abbiamo cercati ovunque! » disse, gli occhi lucidi di pianto.

« Io … » cominciai, quando un terrificante pensiero mi sconvolse. In tutto quel intontimento, mi ero dimenticata completamente di Amy. Mi guardai intorno cercando i signori Wright e li trovai l'uno abbracciato all'altro, in disparte accanto alla casa dei McAllister. Li raggiunsi di corsa, pregando che la mia sensazione di terrore fosse infondata.

« Elise. Dov'è tua figlia? » chiesi, in preda al panico.

« Aveva detto che stava venendo a casa tua e poi non l'abbiamo più vista » rispose il marito, un uomo sulla quarantina. Mi guardava come se potessi avere io la risposta a quell'emblema, con una fiducia che mi fece star male.

« Lei … Io »

« Guardate su! » disse una voce e tutti si voltarono. Stava indicando il cielo buio e tappezzato di stelle con una mano. Proprio in quel momento passò uno stormo di elicotteri e tutti sembrarono andare in panico. Udii delle grida, degli urli e anche un acuto stridulo come di ferro che striscia su dell'altro ferro, oltre che un rumore che ormai avevo imparato a riconoscere come l'esplosione di un lampione.

Mi chiesi cosa ci fosse di così spaventoso, quando la mia attenzione fu catturata da Finn, nascosto dietro ad uno degli alberi del parco di Greenpoint, il parco che io ed Amy frequentavamo sempre da piccole. Stava guardando in mia direzione e, quando vide che l'avevo individuato, mi fece cenno di raggiungerlo.

Esitai, guardandomi attorno e valutando se fosse l'occasione di sparire ancora come prima e far prendere un mini-infarto a mia madre.

Prima di rendermene conto, stavo correndo verso di lui. Mi bloccai a pochi centimetri di distanza, sentendomi mortificata.

« CaricaBatterie » disse, per niente sorpreso di vedermi.

« Cosa vuoi? »

« Io niente, sono venuto a fare una passeggiata e tu mi hai raggiunta. » il sarcasmo nella sua voce era palpabile.

« Smettila di dire cavolate. »

« Che peccato, ne avevo una davvero bella dove tu mi supplicavi di non farlo. »

« Non fare cosa? »

Finn si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio : « Non pensare male Genevieve. Non fa male. » e sentii una sua mano sollevarmi un lembo della maglietta. Mi irrigidii di colpo, sentendomi mancare l'aria dai polmoni. Le sue mani erano fredde, ma dal tocco leggero. Poi sentii un ago pungermi la pelle e caddi tra le sue braccia, incosciente. 

   
 
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