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Autore: MadAka    30/08/2016    0 recensioni
Raccolta di diverse one-shot unite fra l'ora da un unico filo conduttore: i rapporti di coppia.
Ognuna delle opere qui inserite è una storia a sé stante, con protagonisti e contesti differenti, in cui si racconta l'avvicinamento fra due persone che non sempre è detto vada a buon fine.
Ogni capitolo è introdotto da una breve presentazione.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Per uno come Stefano, abituato a immortalare l’attimo, una sola notte potrebbe non essere sufficiente per lanciarsi.

L’esito di quell’ultima sera ruota esclusivamente attorno a Elisa che, come una fotografia del suo autore preferito, ha impedito al ragazzo di imparare a ignorarla.

 

 

 

 

 

– In un metro e mezzo –

 

 

 

 

All’apparenza non c’era nulla di diverso rispetto alle sere precedenti. Il cielo scuro, limpido, era rischiarato qua e là dalle molteplici luci che brillavano in tutta l’area della festa, sollevandosi dai ristoranti, dalle piste da ballo e sportive, dalle bancarelle, dai bar e dagli stand. Le persone, moltitudini di persone, affollavano ogni angolo riempendolo di chiacchiere, risate e opinioni.

Stefano si faceva largo fra tutto ciò per l’ennesima volta, come aveva fatto ogni sera precedente nelle ultime tre settimane. Quella, però, sarebbe stata l’ultima volta. Il festival – enorme – che lo aveva assunto insieme a Giorgio, suo collega e migliore amico con il quale aveva aperto una piccola attività di fotografia, era giunto all’ultima sera. Ed era proprio questo a cambiare l’atmosfera, a renderla diversa, malinconica, a chi come lui aspettava, lavorava e amava quella grande festa che ogni anno, per tre settimane, rendeva la città in cui era nato e cresciuto viva e magica. Dentro di sé il ragazzo aveva un leggera inquietudine, un misto di preoccupazione e voglia di fare, che cresceva mano a mano che si avvicinava a passo sicuro verso l’arena concerti, il pass da fotografo al collo e il braccialetto con il nome della band, per poter entrare, al polso destro. L’ultimo giorno di festa non significava solo la fine di quel miscuglio di persone, profumi, suoni e colori, ma anche che non avrebbe più visto tutti quei volti che aveva ritrovato o conosciuto proprio lì. Fra tutti quei nomi e quei visi, uno più degli altri spiccava: quello di Elisa.

Lei era uno di quei fotografi sempre presenti sotto palco, che ogni sera, indipendentemente dall’artista, scattava con la sua reflex. Lavorava come volontaria per il bar gestito dai giovani che riforniva di birra e panini il pubblico dei live, fotografando con la stessa passione sia le persone sopra lo stage, che quelle sotto e quelle che dietro il bancone dispensavano bere di ogni genere. Si erano conosciuti lì, sotto quel palco, in quel metro e mezzo di larghezza in cui ogni sera almeno sette fotografi si dovevano muovere in una danza ben orchestrata, nel tentativo di non intralciarsi a vicenda ma cercando comunque di ottenere degli scatti migliori degli altri.

Quella strana sensazione nel petto sia allargò ulteriormente appena vide stagliarsi oltre le porte d’ingresso, ancora chiuse al pubblico, la sagoma del palco su cui rodie e fonici stavano sistemando la strumentazione per la prima delle tre band. Avvicinandosi cercò con lo sguardo la figura ormai conosciuta della ragazza e la trovò appoggiata a una transenna, intenta a conversare con un addetto alla sicurezza. Ora sì che quell’inquietudine gli esplodeva dentro, misteriosa, ma al tempo stesso chiara. Non gli servivano chissà quali spiegazioni per capire cosa significava, era fin troppo palese; era stato palese da subito e aveva continuato a esserlo per tutte le sere successive. Anche se, in realtà, non l’aveva vista per tre intere settimane, ma per un giorno in meno. La prima sera in assoluto, all’inaugurazione della festa, lei non c’era. Quando Stefano aveva lasciato l’arena concerti per andare a post-produrre le fotografie in lui era tutto normale. Aveva rivisto vecchi amici, aveva incrociato sguardi nuovi, ma niente che lo avesse affascinato più di quanto meritava.

Tuttavia il secondo giorno lei era là. La vide perché era impossibile non vederla, specie per uno con il suo spirito di osservazione. Era seduta in terra, sul calpestabile in legno impolverato e scheggiato in quel metro e mezzo che separava le transenne dietro cui la gente si accalcava per la prima fila, dal palco. Era seduta lì, la schiena appoggiata ai subwoofer impilati uno sull’altro, le gambe strette al petto e la reflex appoggiata sulle ginocchia, protetta e coccolata fra le sue mani. Avrebbe voluto farle una foto perché la trovò bellissima. Non solo era bellissima quell’immagine, ma per lui anche lei lo era. I capelli castani, lunghi fin sotto le spalle, le ricadevano avvolgendosi su se stessi in leggeri e accennati boccoli. I lineamenti precisi del viso accentuavano gli occhi luminosi e leggermente allungati. Con le dita affusolate, molte delle quali con sottili anelli argentati, tamburellava sul corpo della macchina fotografica mentre faceva oscillare la testa di qua e di là seguendo il ritmo della canzone che stavano passando in attesa della band, le labbra che ricamavano appena le parole del testo. Lei era un fotogramma di quella musica, uno scatto perfetto, quello da diaframma aperto e da sfondo sfocato. Stefano non l’aveva fotografata, ma si era impresso quell’immagine in mente con una tale forza che chiudendo gli occhi avrebbe potuto vederla in qualsiasi momento. Elisa aveva avuto su di lui un effetto che nessun’altra gli aveva mai fatto e la cosa era incredibile e sorprendente al tempo stesso.

Il giorno dopo, il terzo, si erano rivisti sotto allo stesso palco, sullo stesso calpestabile. Durante il concerto, mentre scattavano ciascuno le proprie fotografie, Stefano l’aveva accidentalmente urtata. Quel contatto debole, la morbidezza della pelle di lei, avevano fatto scattare nel ragazzo qualcosa. Quando si era scusato e lei aveva risposto sorridendogli per fargli capire che non era successo niente, qualcosa in lui gli impose di conoscerla.

Le aveva rivolto la parola alla scadenza del quarto giorno. L’aveva avvicinata prima che il concerto principale iniziasse, chiedendole qualche informazione sulla band anche se non ne aveva bisogno. Era rimasto affascinato dalle sue iridi color cioccolato, che riverberavano di blu per colpa delle luci dello stage, e l’aveva ascoltata con attenzione. Dal modo spigliato in cui gli aveva risposto, guardandolo, sorridendo e arricchendo le frasi di dettagli, Stefano aveva intuito che avrebbe potuto tranquillamente instaurare una conversazione con lei.

E avvenne. Ogni sera facevano amicizia un po’ di più e ogni sera il ragazzo raggiungeva il palco prima, così da avere più minuti, secondi, da trascorrere con lei.

Tuttavia una sera era comparso Giorgio. Aveva visto l’amico chiacchierare con Elisa e si era intromesso. Con il suo modo di fare alla mano sembrava aver affascinato la ragazza in quei pochi minuti molto più di quanto Stefano era riuscito a fare in sei sere.

In uno strano miscuglio di gelosia, invidia e desiderio la verità era venuta a galla praticamente subito e per opera dello stesso Gio. Stefano lo ricordava ancora alla perfezione. Si ricordava la sua ricerca della macchina fotografica, del suo dirigersi dal corridoio al piccolo studio che condivideva con l’amico e in cui lavoravano insieme.

«Gio, hai visto la mia reflex?» aveva chiesto.

«È qui. Ho scaricato le foto proprio ora.»

In quel momento il tempo che si fermava non aveva avuto suono nelle orecchie di Stefano, era stato come il battito d’ali di una farfalla. Aveva raggiunto l’altro e lo aveva trovato davanti al pc, a fare quello che non avrebbe dovuto fare: guardare le sue foto. Non c’era niente di male in realtà, Gio guardava sempre le foto Stefano e anche lui guardava quelle di Gio. Tuttavia, proprio la sera precedente, il ragazzo aveva fotografato Elisa. Non c’era stato un motivo particolare, lo aveva fatto perché voleva farlo, perché lei era distratta e completamente rapita da altro. Perché era bellissima e lui non aveva saputo trattenersi per l’ennesima volta. La trovava intrisa d’arte, farcita di una naturalezza di cui le sue fotografie erano avide di nutrirsi.

Era rimasto impietrito a guardare Gio che faceva scorrere una dopo l’altra le due, tre, quattro foto di lei sullo schermo del pc, finché l’amico non aveva spezzato il silenzio.

«Ma questa è Elisa» aveva detto, con un tono lievemente sorpreso. Il lungo silenzio che ne era seguito valeva quanto una risposta. Giorgio si era voltato verso Stefano – metà sulla porta, metà nel corridoio – l’aveva analizzato con un sopracciglio inarcato e aveva detto: «Ti piace, per caso?»

Il balbettio costellato di “beh”, “ehm”, “no, è solo che” di Stefano era stato un’ammissione più che sufficiente.

Da quella mattina, però, le cose si erano semplificate. I due amici si erano accordati per permettere a Stefano di passare quanto più tempo possibile con la ragazza. Invece che alternarsi sotto il palco, delle foto dei concerti si sarebbe occupato soltanto Stefano, mentre Giorgio avrebbe approfittato di quel lasso di tempo per andare a immortalare le persone in giro per la festa.

Tutto ciò aveva permesso a Stefano di poter trascorrere diverso tempo ogni sera insieme a Elisa, nella speranza di riuscire a ottenere qualcosa.

A conti fatti, arrivato all’ultima sera aveva la sua amicizia su Facebook e una moltitudine di cuori su Instagram, cosa che poteva essere sia positiva che negativa in base al punto di vista.

Fatto sta che ora lei era là, ancora appoggiata alle transenne, ancora intenta a conversare con l’addetto alla sicurezza. Lui, invece, era immobile, semi nascosto dalla penombra, continuando a guardarla con quella sensazione nel petto – quel misto di preoccupazione e voglia di fare – che stava andando ingigantendosi. Si lisciò la barba passandovi le mani un paio di volte, poi, come sovrappensiero, prese ad arricciare una corta ciocca di capelli intorno all’indice che, appena venne liberata, tornò liscia esattamente com’era prima. Infine si sistemò la camicia, la sua camicia preferita che aveva indossato senza neanche rendersi conto. Si era ritrovato vestito, con in dosso quel capo e il suo subconscio che gli diceva che quella era la cosa giusta da indossare, che se uno come lui, se Stefano, voleva ottenere qualcosa in una sola sera, non avrebbe dovuto indossare nient’altro se non quella camicia. Indipendentemente da come sarebbe andata a finire si impose di registrare nella sua mente quante più immagini possibili della ragazza, nel caso non l’avesse più vista. Alcune le aveva già immagazzinate in quel caos di luci, colori e fotogrammi che era il suo cervello, come il modo in cui lei impugnava la reflex, avvolgendosi la tracolla al polso anziché al collo, come si alzava in punta di piedi per scattare alcune foto, o il modo in cui si scostava i capelli quando voleva rivedere ciò che aveva appena scattato.

Comunque sia non avrebbe combinato nulla stando immobile al centro del prato su cui si ergeva il palco, soprattutto perché quello non era il suo posto. Si fece forza e riprese a camminare, dirigendosi verso lo stage, verso Elisa.

 

*

 

Rientrando nell’arena concerti tutto appariva desolato. Era passata l’una di notte ormai e in giro erano rimaste poche persone, che sciamavano a piccoli gruppi dal prato al bar e dal bar alle uscite. Sul prato davanti al palco centinaia di bicchieri vuoti e bottigliette erano sparsi sull’erba, come i caduti di una lunga battaglia. Sopra al palco, invece, gli unici rumori provenienti erano ora quelli dei rodie che smontavano, spostavano e si davano indicazioni per smantellare ciò che per tre settimane aveva fornito musica di qualità a volumi altissimi. Stefano scrutò con gli occhi fra i pochi presenti, in cerca di Elisa.

Si erano lasciati al termine delle prime tre canzoni – su richiesta della band stessa che non voleva avere fotografi oltre quei pochi pezzi. Avevano lasciato insieme quel metro e mezzo di calpestabile, fra palco e pubblico in cui si erano conosciuti, per l’ultima volta, rimanendo a parlare ancora un po’ fuori dal backstage, le rispettive macchine fotografiche strette fra le mani. Alla fine, però, il senso del dovere di Stefano aveva avuto la meglio e lui, scusandosi, aveva detto alla ragazza di dover andare, raggiungere Giorgio e immortalare le ultime ore di quella grande festa conclusiva. Era già convinto che non avrebbe rivisto la ragazza tanto presto che lei aveva annuito con il capo, dicendo semplicemente: «Beh, allora se mai ci vediamo dopo. Stasera mi fermo fino alla chiusura.»

Rinvigorito da quella frase, appena le persone erano calate in giro per la festa, Stefano si era incamminato nuovamente verso l’arena e arrivato lì, davanti al dispiacere che solo la fine di un concerto sapeva provocargli, si era messo a cercare con gli occhi Elisa.

La trovò seduta sul prato, le gambe incrociate, la schiena dritta, lo zaino rosso posato accanto a sé. Se avesse tracciato una linea si sarebbe reso conto che la ragazza era seduta esattamente in corrispondenza del centro del palco, immobile come una bambola a fissare i roadie che si muovevano sotto i fari di luce gialla.

La raggiunse. Quando Elisa sollevò lo sguardo per identificarlo sorrise subito.

«Hai fatto delle belle foto?» gli chiese.

«Qualcuna, forse» rispose lui mentre si sedeva sull’erba alla destra di lei. Si tolse di spalla lo zaino contenente la sua attrezzatura e distese le gambe.

Accanto a lui la ragazza sospirò. «Mi dispiace che sia finito. Ogni anno non vedo l’ora che inizi e poi,» indicò in direzione del palco, «è già tutto finito.»

«Vale anche per me» rispose lui.

«Oltretutto dopodomani devo anche riprendere con il tirocinio» sbuffò. «Mi mancano due settimane ma non ho più voglia di andare là ogni giorno.»

«Quando hai finito cosa pensi di fare?»

La domanda gli uscì prima che potesse pensarci. Il suo subconscio aveva agito nuovamente da solo. Gli era chiaro che il quesito fosse direttamente collegato alla speranza di incontrare di nuovo Elisa in qualche modo, in qualche posto. La vide stringersi nelle spalle.

«Non so di preciso. Immagino che ricomincerò a cercarmi un lavoro. Uno vero, con lo stipendio, non un tirocinio che fa curriculum» marcò le ultime parole con una nota di stizza.

«Cercherai come fotografa?»

Non era sicuro di sapere in che direzione stava portando la conversazione. Attese la risposta della ragazza quasi contando i secondi.

«Può darsi» disse lei, con tono pensieroso. Si bloccò, voltandosi a guardare Stefano attentamente. Lui si sentì colto in flagrante, sollevò le sopracciglia e rispose allo sguardo di Elisa.

«Cos’è, tu e Giorgio avete bisogno di un tirocinante?»

La sua domanda traboccava di quella sottile vena sarcastica che lui, in pochi giorni, aveva imparato a riconoscere e ad apprezzare ogni volta che usciva dalle sue labbra. Si mise a ridere e subito dopo lo fece anche lei.

«Non intendevo questo» si corresse lui. «È solo che sei molto brava a fare fotografie e secondo me dovresti farlo di mestiere.»

Lo pensava davvero.

Lei sorrise. «Beh, se mai ci penso su. Detto da te è un bel complimento.»

«Non esagerare.»

«No, non esagero. Insomma, vogliamo parlare delle foto che hai fatto ai Two Door Cinema Club? Spettacolari, davvero. E anche Giorgio non è da meno. Ci credo che la vostra attività sta andando a gonfie vele.»

Le parole di Elisa scatenarono in lui una sensazione frizzante. Una lattina ben agitata era appena stata aperta in un punto imprecisato dentro di sé. La ringraziò per il complimento e la naturalezza con cui lei gli disse che era convinta fosse la verità rese tutto ancora più semplice. Cominciarono a parlare dei giorni trascorsi in festa, delle persone che avevano incrociato, delle band fotografate in quello stretto metro e mezzo al di sotto del palco. Per la prima volta riuscirono a conversare senza doversi urlare reciprocamente nelle orecchie, senza dover ripetere le cose più volte, senza che fossero gli sguardi a doversi far capire più delle parole. Davanti a loro il palco si svuotava lentamente, i roadie continuavano a fare avanti e indietro e le poche persone ancora presenti divennero sempre meno. I due rimasero seduti sul prato a chiacchierare ancora, salutando gli addetti alla sicurezza che se ne andavano per il cambio di turno, sdraiandosi e rimettendosi a sedere, mentre le luci intorno a loro venivano abbassate o spente.

Le ore trascorsero in fila, una dietro l’altra. Il ragazzo le sentiva scorrere via con una fretta innaturale, come se fossero in fuga dal tempo. Era consapevole che avrebbe fatto meglio ad andare, che doveva lavorare per il mattino, sistemare le foto che aveva scattato in quell’ultima sera e pubblicarle in fretta sulle pagine Facebook della festa.

Non ci riuscì. Prima di allontanarsi da Elisa voleva avere la certezza che quello non sarebbe stato il loro ultimo incontro, che avrebbe potuto rivederla da qualche parte, in qualche posto. In fondo vivevano vicini. Solo, lui in città e lei in provincia. Forse era proprio quello a impedirgli di alzarsi e salutarla. Il dubbio, in quel momento, era più forte del senso del dovere.

Sopra di loro il passaggio del tempo veniva scandito dal chiarore del cielo, che in quel finire di agosto cominciava a farsi timidamente largo ancora troppo presto. Quando il blu scuro della notte cominciò a sfaldarsi sulle loro teste, quando le ore trascorse uno accanto all’altra divennero palesi, quasi palpabili, le parole da dirsi vennero meno. Si fecero più rade, calarono ulteriormente e alla fine, i due, si zittirono dopo un’intera notte di frasi.

Fu allora che accadde. Accadde che nel silenzio sospeso che si era formato fra loro, mentre si guardavano senza parlare, si avvicinarono fino a baciarsi. Lo fecero insieme, senza che nessuno dei due si sporgesse per primo. Tuttavia in entrambi si istillò fin da subito la preoccupazione di essere respinti ed entrambi si concentrarono per assaporare il primo momento, quello che anticipa tutto, l’antipasto.

In quel lunghissimo primo momento Elisa si ritrovò curiosamente a ringraziare di non aver fatto mettere le cipolle nel kebab che aveva mangiato a cena, di non aver bevuto troppa birra e di aver masticato così tante chewingum da essere certa di poter avere l’alito profumato di menta per giorni. Stefano aveva ancora addosso il leggero profumo di pulito della sua camicia, che in quelle ore si era mescolato all’odore della sera e a quello delle sigarette fumate da altri. La sua bocca sapeva di liquirizia e la cosa era per lei insolitamente piacevole. Non aveva mai baciato un ragazzo con la barba; uno con un accenno di barba, quella di due, tre giorni sì, ma non uno che avesse una bella barba come quella di Stefano. Era morbida e le solleticava il mento e le guance. Nella posizione in cui si trovavano fu lui il primo a spostarsi perché fossero più comodi. Torse il busto, puntellandosi sull’erba con la mano sinistra. Anche nella sua mente si accavallavano le sfumature di lei, come la leggera nota d’arancia nascosta fra la menta che aveva sulle labbra, o il profumo dei suoi capelli, sempre il solito e sempre buonissimo. Fece scorrere la mano destra fino alla nuca di Elisa, cominciando ad avvolgersi intorno alle dita i suoi capelli, accarezzandole la testa mentre intrecciava alla mano lunghe ciocche morbide. Elisa venne scossa dai brividi a quel gesto, li sentì scivolare lungo la schiena, ricongiungendosi a quelli provocati dal contatto delle sue labbra con quelle di Stefano. Decise di muovere il proprio braccio destro, rimasto sollevato a mezz’aria da prima. Con la mano raggiunse il mento del ragazzo, affondò le dita nella sua barba fino a sentirne la pelle e lì cominciò a disegnare piccoli cerchi leggeri. Stefano ebbe un fremito; assurdamente immaginò che dovesse sentirsi così il suo cane quando lui lo grattava dietro l’orecchio e nei suoi occhi si leggeva perfettamente quel piacere e quella speranza che non finisse mai.

Nessuno dei due sapeva dire da quanto era iniziato quel bacio, ma una volta superato il primo momento, superata la paura di vedersi respingere, fecero in modo di farlo durare il più a lungo possibile.

Quando si separarono lei sorrise, dolcemente, come a dirgli di non preoccuparsi, che, sì, era accaduto e che andava benissimo così. Lui avrebbe voluto fotografarlo quel sorriso, imbrigliarlo a sé, registrarlo così da poterlo conservare per sempre, anche se una loro ipotetica storia fosse finita per il verso sbagliato.

«Che ore sono?» chiese Elisa, alzando gli occhi sul cielo tenue. Attese paziente il breve istante in cui Stefano si riprese dal leggero stupore per la domanda inattesa.

«Le sei meno dieci» fu la risposta.

Lei arricciò le labbra, guardò il ragazzo e domandò: «Ti va di andare a fare colazione? Ho troppa fame.»

Lui sorrise divertito da quella domanda così naturale, resa ancora più speciale per via del momento in cui venne pronunciata. Acconsentì e i due si alzarono, diretti verso l’uscita del festival, insieme. Stefano sapeva perfettamente che aveva altro da fare, che doveva sistemare le foto per quella stessa mattina e che Giorgio lo aveva cercato più volte quella notte, facendo vibrare il suo cellulare anche nei momenti meno opportuni. Ma Gio avrebbe capito, lo sapeva; glielo avrebbe spiegato appena avuta l’occasione, appena Elisa sarebbe stata distratta da qualcosa o momentaneamente assente. Avrebbe detto tutto a Gio, lo avrebbe fatto, così come sapeva che lui sarebbe stato contento e che lo avrebbe perdonato, dopotutto. In fin dei conti era quella l’amicizia e, non a caso, Giorgio era il suo migliore amico.

 

 

  
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