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Autore: Pandroso    31/08/2016    2 recensioni
IV CAPITOLO PUBBLICATO, ERA ORA! E NUOVA ILLUSTRAZIONE
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Messaggio importante: i luoghi e gli avvenimenti qui menzionati sono del tutto casuali, e non prendono spunto da quanto sta accadendo ultimamente nel nostro paese. Il capitolo era stato già strutturato anni fa e prima del tragico evento che ha sconvolto  il centro Italia.

 photo Zoro - Perona - Una coppia e tre spade_zpszdbzesj7.jpg

Curami ̴  4. Una coppia e tre spade.

 

 “And this silence is her life
Falling fast into the dark November sky
Over voices she shall cry
Soundless screams are felt before the sun can rise”


La tenebrosa foresta di Kuraigana era una imponente e lussureggiante barriera naturale; pini, larici e altissimi pecci la rendevano una fitta selva quasi impenetrabile.
Vista dall’alto, la foresta ingannava l’occhio umano: la macchia di pinaceae, stretta in mezzo ad una vallata – creata da catene montuose dalla singolare forma a punta ricurva – assumeva le sembianze di una gigantesca fiera addormentatasi in mezzo ai monti. Frusciando tra le cime degli alberi, il vento sembrava accarezzarne il folto manto morello, scuro quanto quello dei selvaggi Humandrillus che abitavano il bosco; e stando attenti, lo si poteva udire agitare rami e foglie e produrre un sibilo molto simile ad un inquietante sospiro.
In prossimità del centro, un piccolo pertugio, una dolina, s’apriva come se la fiera portasse sul dorso una profonda ferita. Non c’erano alberi in quel punto. E proprio lì, nell’ònfalo dell’isola, si stava dirigendo una coppia di pirati.

Zoro avanzava seguendo Perona, la sola che tra i due era cosciente della direzione presa. Costretto a starle dietro, per poter raggiungere il luogo segreto in cui lei  gli aveva nascosto le katana, lo spadaccino s’era stancato orribilmente e, ogni tanto, si ritrovava a sbirciare la punta delle proprie scarpe: totalmente inzaccherate di fango, utili a ricordargli che s’erano messi in viaggio da molto tempo… Tempo perduto, in ore sprecate a tentare di non scivolare sul terreno reso maggiormente umido da una insignificante pioggia, che aveva preso a scendere nel momento stesso in cui avevano lasciato il castello.
Ad aggravare il tasso di umidità, e l’impazienza dello spadaccino che poco tollerava quell’ambiente dal pungente odore di muschio, c’era pure la costante mancanza di sole tipica dell’isola; e la presenza di alberi tanto vicini tra loro non permetteva alla poca luce di raggiungere completamente il sottobosco.
Il terreno assumeva così una consistenza vischiosa, di argilla bagnata, e d’un colore identico all’ebano, su cui entrambi i ragazzi, camminando, tracciavano una texture di impronte appaiate a due a due.
Avventurarsi in quel luogo era come spostarsi dentro l’epidermide dell’isola, un secondo mondo ombroso che si animava al di sotto  delle chiome degli alberi, e nel quale, a tratti, filtravano pochi ma taglienti raggi di luce bigia, che rischiaravano di qualche tono la penombra di quel luogo pregno di un silenzio sacrale, interrotto solo dal cinguettio di qualche uccellino e dalla marcia monotona dei due pirati.

Differentemente da Zoro, Perona aveva sul viso l'espressione dell’estasi nell’attimo del trapasso a nuova vita, c’era quanto avesse mai potuto desiderare, e forse anche di più: un ambiente isolato e tinto d’un velo piceo che ne rabbuiava ogni forma vivente e non vivente, la pioggia che colava giù lenta come le lacrime di un cielo commosso, dando un tocco vivido al quadro insaturo in cui la ragazza si stava muovendo, incarnando con soddisfazione la figura dell’anima dannata – se poteva considerarsi dannazione il viaggio per il recupero delle antipatiche spade di Zoro – e, ovviamente, c’era lo spadaccino... che la seguiva.
Quasi un cane fedele.
Oh, sì, lui in quel momento era interamente suo. Se solo avesse potuto, la Principessa Fantasma avrebbe recitato una malia per legarlo a sé e vagare con lui, per sempre, in quel bosco maledettamente incantato.
Purtroppo, la realtà era assai diversa dai lugubri sogni di Perona: Zoro non era affatto così fedele, o così canidae come lei lo avrebbe preferito.

L’ennesima inevitabile pozzanghera, una mistura di terra, acqua e foglie in decomposizione, avviluppò completamente il piede destro dello spadaccino, al quale parve di sprofondare in sabbie mobili e di affogare, in quella melma e con un sordido splash, ogni speranza di un veloce ritorno.
«Ehi, oramai siamo molto lontani dal castello, sei sicura che non ci siamo perduti? Non è che hai dimenticato dove hai messo le mie spade?» ringhiò Zoro, cercando di contenere la rabbia e la voglia di tirare i lunghi capelli rosa della sua momentanea compagna di viaggio.
Di simile ai canidi il ragazzo aveva solo i latrati.​
«Ah, ci risiamo! Sono stufa di ripetertelo – gli rispose Perona, costretta a cancellare ogni desiderio di dannazione da condividere col bellimbusto porta sciabole – NON CI SIAMO PERSI! So benissimo dove stiamo andando, io non sono come te, che non riesci nemmeno a trovare l’uscita del castello!»
«Come fai a esserne sicura? – la contestò Zoro – A me qui sembra tutto così uguale: guarda quell’albero laggiù – le disse indicandole un abete rosso con un cenno della testa – sono sicuro che è lo stesso che abbiamo visto poco fa».
Perona strizzò gli occhi: in fondo, provava pena per lui; se solo fosse stato zitto, lo spadaccino sarebbe stato un cagnolino perfetto… La ragazza ci pensò sopra: ebbene, era un problema che poteva risolversi!
Qualche punto con ago e filo e gli avrebbe cucito la bocca a dovere, magari aggiungendovi sopra un merletto rosa, per creare un sorriso bello e largo come quello che possedeva il suo esercito di fantasmi.
Certo, in questo modo allo spadaccino non sarebbe stato più possibile mangiare, sarebbe morto d’inedia… Ulteriore vantaggio! Perona lo avrebbe portarto dal dott. Hogback e poi da Gekko Moria: il primo ne avrebbe sistemato il cadavere, il secondo ci avrebbe impiantato un’ombra per riportarlo in vita come zombie, ma stavolta al suo servizio.
Le era venuta davvero un’idea geniale!
La ragazza ridacchiò tra sé, presa tra fantasie e piani tanto magnifici quanto inattuabili.

«Guarda che sto parlando con te! Qui gli alberi sono tutti uguali, ci siamo persi!» le gridò contro Zoro, nuovamente, facendo scoppiare la bolla in cui galleggiavano felici le bizzarre idee di Perona.
Forse un taglio alla lingua sarebbe stato più spiccio e conveniente.
«I miei punti di riferimento non sono gli alberi! Ora capisco perché riesci a perderti con tanta facilità, sei completamente privo di senso dell’orientamento - Perona gli stava parlando dandogli la schiena e, mentre articolava le labbra, rigirava velocemente e costantemente il manico dell’ombrellino tra le mani, un gesto nervoso? Chissà - Sarebbe divertente se ti lasciassi solo in mezzo al bosco... Vorrei proprio vedere in quel caso come faresti ad uscirne senza di me. Mi stupisce persino pensare a come tu abbia fatto ad arrivare nella Rotta Maggiore, sei proprio un - » la ragazza non finì la frase, si voltò indietro per cercare lo sguardo dello spadaccino, le ultime parole gliele doveva dire guardandolo negli occhi mortificandolo efficacemente.

Zoro non c’era.
Niente spadaccino a destra o a sinistra.
Da nessuna parte, nemmeno la sagoma.
Incredibilmente scomparso dal suo campo visivo.
Questo non ci voleva. Ma non poteva essere andato molto lontano; per scovarlo, Perona pensò di seguire le sue impronte dal punto in cui queste non apparivano più al fianco delle proprie. Guardò a terra: finché le grandi tracce lasciate delle scarpe del pirata comparivano accanto alle sue, quelle più piccole, nessun problema, anzi, avrebbe potuto dire che lo spadaccino aveva un’andatura regolare, di passo marziale.
Però, cos’erano le altre impronte che sembravano iniziare svoltando a destra, poi tornavano indietro, proseguivano avanti e sparivano tra gli arbusti, per sbucare nuovamente fuori e prendere un’altra direzione?!
Un folle!
«Noo! Come farò a trovarlo se non si capisce da dove è partito?! – ululò la ghost-girl, intrecciando le dita spasmodiche tra i capelli – Stupido spadaccino, non solo mi lasci parlare da sola, ti permetti anche di sparire! Dove ti sei cacciato?! Cattivo! Cattivo!»



A parte qualche uccellino che le fece il verso, e le poche gocce di pioggia che picchiettavano leggere sul suo sull’ombrellino rosso; Perona non udì alcuna risposta.
Sospirò, rassegnandosi all’idea di doversi muovere alla cieca, fin quando, d’improvviso, sentì un ramo spezzarsi alle sue spalle.
«Whaaa!!!» il rilascio di un Hallow avvenne per  riflesso motorio; il fantasma per poco non colpì il tronco di un albero rischiando di provocare un’esplosione; ma filò via, verso l’alto fino a scomparire.
«Deve piacerti molto urlare» le disse Zoro, seguendo con gli occhi la direzione presa da quella specie di bomba spettro; il ragazzo era ricomparso alla stessa maniera con la quale era sparito. E non doveva essere lui a comportarsi come un fantasma, a giudizio di Perona.
La ragazza gli riservò uno tra gli sguardi più infuriati che possedeva, «Si può sapere perché ti sei allontanato?! Ti rendi conto del rischio che hai corso! Cioè, che ho corso. Avrei potuto non ritrovarti mai più!», difficile dire se parlava spinta dalla rabbia o dalla preoccupazione per le sorti del “cagnolino”, anzi, delle proprie sorti: in assenza del cane, lei sarebbe sprofondata di nuovo nella monotonia ammorbante che si viveva a Kuraigana. Una sventura che non doveva più ripetersi.
«Non esagerare, cercavo solo la strada per ritrovare le mie katana» le rispose lo spadaccino, squisitamente tranquillo.
«Ma tu non puoi saperla!»
«Infatti, la cercavo. Poiché tu l’hai dimenticata»
«Non l’ho dimenticata, te l’ho detto poco fa! Perché devi continuare a contraddirmi, ti costa tanto limitarti a seguirmi? Se non lo farai non riavrai mai e poi mai le tue spade!»
La voce della ragazza tuonò nelle orecchie di Zoro: “non riavrai mai le tue spade!”...

Pure? Ma è roba mia...
Ora basta.

«Ragazzina, inizio ad averne abbastanza, ci stiamo mettendo troppo tempo, a quest’ora avrei già dovuto iniziare il mio addestramento! La mia unica preoccupazione avrebbe dovuto essere quella di colpire Occhi di Falco! Non giocare con te a nascondino per recuperare cose che mi appartengono. Sono stufo!»
L’aveva fatta nera. Zoro era arrabbiatissimo.
«Pensi che io mi stia divertendo? – sì, lei si stava davvero divertendo – Credi che a me faccia piacere la tua compagnia? – assolutamente, avere quello spadaccino che le gironzolava intorno stava attecchendo bene da qualche parte nella sua testa, o in un altro posto sbagliato – Be’, ci vorrà il tempo che ci vorrà. Te l’avevo detto che il luogo è lontano dal castello. Se continuerai a tormentarmi ti abbandonerò qui per davvero. Così non inizierai mai il tuo tanto desiderato allenamento! Oh-ro oh-ro oh-ro!». Perona incorniciò la minaccia con la sua speciale risatina maligna, in tono con l’ambiente circostante.
Ma Zoro, più di lei, sapeva rendersi indigesto: «Guarda che se ti sei stufata di accompagnarmi puoi benissimo dirmi dove le hai nascoste e andartene senza sprecare altro tempo. Ci penserò io a trovarle. Grazie per quello che hai fatto finora. Non ho più bisogno del tuo aiuto».

Colpita.
Affondata.

Strappata via ad ogni sogno di felicità insieme allo spadaccino formato cane.
Con poche parole brevemente snocciolate, Zoro l’aveva fatta a brandelli.
Perona guardò lo spadaccino, era rimasta spiazzata: lui era un servo a cui non piaceva la sua compagnia, lui era un servo infedele, a lui forse non piaceva essere un servo.

Tragedia.

Che strano: quando gli obbligati orsacchiotti non erano contenti di stare con lei, a Perona bastava trapassarli con qualche Negative Hallow, e dopo bearsi guardandoli inginocchiati e supplichevoli.
Ma in quel momento, era sbocciata una mai provata attenzione verso i sentimenti del suo “nuovo giocattolo”, che aveva palesemente dimostrato di non tollerarla e non ricambiarla... ma ricambiare cosa, per l’esattezza?
Avrebbe potuto indirizzargli qualche fantasma contagia depressione per piegarlo alla sua volontà, eppure, Perona non ci riusciva, e non capirne nemmeno la ragione le donava ondate di nausea; la stessa nausea che avrebbe sentito se avesse assaggiato un muffin dall’aspetto appetitoso, scoprendo, dopo avergli dato un morso, che le protuberanze del mini dolcetto  non nascondevano frutti di bosco o zuccherosi canditi, ma disgustosi bigattini.

I suoi occhi neri si bordarono di rosso, allagati di lacrime che a stento la ragazza tratteneva sul filo delle ciglia lunghissime.
Zoro la guardava non capendone le intenzioni, ma intuiva che del pericoloso stava sobbollendo dietro quell’innocente aspetto di bimba troppo cresciuta.
Perona fece un passo verso di lui, un altro, e un altro ancora, troppo vicina; lo spadaccino indietreggiò appena, non fu sufficiente, lei lo afferrò per la camicia, ancorandosi a questa per gridare tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni: «BRUTTO STUPIDO! Tu hai ancora bisogno di me! Tu devi per forza avere bisogno di me, perché solo io so dove sono le tue preziosissime spade! Chiaro?!?!».
Decifrato: tu sei il mio cagnolino ed io la tua padrona, obbedisci o niente pappa!
Lo strattonò per convincerlo a seguirla. Avesse avuto un guinzaglio, la ragazza lo avrebbe utilizzato volentieri.
Comunque, la sua reazione lasciò Zoro frastornato: egli s’aspettava qualche strana diavoleria, degna del frutto maledetto che la ragazza aveva mangiato, non un comportamento tanto puerile.
Ma per la prima volta, Perona non aveva schiavizzato alcun essere innocente per farne un comodo zerbino.

«E-ehi, ho capito, ma adesso lasciami! Non c’è bisogno di fare così, molla!» brontolò lui, mentre veniva tirato via. 
La ragazza insistette, lo strattonò forte fino a fargli saltare alcuni bottoni della camicia che Mihawk aveva prestato al pirata. Era lei quella che temeva di essere abbandonata.
Andò avanti così per diversi metri, ma quando alla Principessa Fantasma, girandosi un attimo indietro, le cadde l’occhio su uno dei pettorali glabri e d’acciaio del pirata, con allegata una catena di addominali, ella staccò le mani dalla morbida stoffa.
Arrossì, esplodendo di vergogna.


«Spero ti sarai calmata, guarda qua!» la rimproverò Zoro, mentre si riassettava infilando i lembi della camicia nella comoda haramaki verde, e spingendo nelle sottili asole i pochi bottoni rimasti. Quella peste doveva essere posseduta.

Ma Perona non gli rispose, era impegnata ad analizzare la gravità del proprio comportamento: tante volte aveva medicato il pirata, era abituata alla vista del torace nudo, tuttavia, medicare e spogliare non erano la stessa cosa, almeno per lei.
«Che c’è, perché ora mi fissi in quel modo?» le chiese Zoro, accorgendosi che la ragazza aveva assunto un'espressione tra l'imbarazzo e... oh, quei suoi occhi neri erano così intensi, inghiottivano qualunque cosa, ci si  poteva specchiare… E sì, c’era proprio lui lì dentro, solo lui.
Durò decimi di secondo, ma il pirata avvertì un brivido accompagnato da claustrofobia, calore e voglia di girarsi da un'altra parte per sfuggire ad una specie di forza magnetica che aveva avuto origine da quelle due grotte buie che erano le iridi di Perona.
È una strega...


Intanto, attorno alla stravagante coppia, che di tacito accordo aveva deciso di darsi tregua, s’era creata una insolita quiete, non si sentivano più neanche gli uccellini. Il cambiamento non passò indifferente allo spadaccino; Perona invece sembrò non farci caso: aveva ripreso a camminare strusciando la punta del suo ombrellino, chiuso perché era smesso di piovere, lo faceva oscillare sulla terra umida, lasciando tracce sinuose simili all’impronta segnata dal passaggio di un serpente.
No, oltre le stramberie di Perona, non poteva esserci nessuna minaccia nel bosco. Zoro aveva sconfitto tutti gli Humandrillus presenti sull’isola durante il tentativo di fuggire da questa per raggiungere il suo
disperato Capitano. Poteva però trattarsi di sopravvissuti che non avevano imparato la lezione, e si stavano nascondendo tra gli alberi per attaccare nell’attimo propizio; peggio per loro, perché lo spadaccino era pronto a massacrarli a mani nude. Sì, non era il caso di allarmarsi.

«Ragazzina, ti sei fatta finalmente silenziosa» per rompere la quiete, lo spadaccino iniziò a schernirla.
Perona non voleva dargli corda, ma ignorarlo completamente, come s’era promessa di fare neanche dieci minuti prima, le era impossibile.

«Evita di chiamarmi ragazzina»
«Perché, non lo sei? Non sei una ragazzina?» e Zoro stava scoprendo il piacere di prenderla in giro.
«La ragazzina si è presa cura di te e tra poco ti riporterà al castello»
«Brava, ma non prima di avermi consegnato le spade»
Perona alzò gli occhi al cielo, quelle non erano più spade ma un'ossessione per lui e un incubo per lei. Seguitò a camminare senza badare alla conformazione del sentiero; e fatto un passo, la terra franò proprio sotto i suoi piedi.
Non ebbe nemmeno il tempo di gridare.
Cadde giù.

Si sarebbe fracassata il grazioso visetto su una grossa pietra, magari battendo il naso o la fronte, oppure si sarebbe rotta qualche osso, di certo sarebbe stata una caduta dolorosa se Zoro non l’avesse tempestivamente afferrata e spinta su. Perona teneva gli occhi chiusi, in attesa dello schianto a terra, schianto che stranamente tardava ad arrivare e che, nella sua coscienza, andava a sovrapporre il concetto di caduta con quello di tepore: precipitare non era male, ci si sentiva insolitamente bene, era qualcosa di avvolgente, simile ad un abbraccio, uno di quelli che lei dava ai peluche che le erano stati negati a tradimento e di cui aveva estremamente bisogno.
Quando decise di riaprirli, la ragazza si trovò con la guancia appiccicata al petto scoperto di Zoro, su quella pelle abbronzata che la camicia non copriva perché era stata sbottonata strada facendo dallo spadaccino, il quale mal sopportava bottoni o zip, e che aveva costantemente caldo…
No, sbagliato, era stata lei, prima, quando lo aveva strattonato gli aveva fatto saltare via una fila di bottoni, quelli che avrebbero dovuto chiudere quel punto così attraente.
Sapevano di buono il corpo e le braccia forti che la stavano tenendo stretta, Perona ci aveva già fatto attentamente caso durante tutte le occasioni in cui lo aveva medicato, toccandolo anche; ma mai le era capitato di sfiorarlo col con le labbra, lasciandogli un involontario bacio lì, sul petto. 
E non era finita: si era aggrappata alla schiena di Zoro, intensamente, come quando stringeva  il suo orsacchiotto preferito, nonché servitore fidato, Kumacy. 
Lo spadaccino infatti avvertiva un leggero fastidio, provocato dalle unghie della ragazza che lo stavano praticamente arpionando. Oltre questo, Zoro non si sentiva scosso dalla situazione, o almeno mai quanto Perona.

Per la sua integrità mentale, se era rimasta, la ragazza capì di doverlo allontanare immediatamente, e ricorrendo ai suoi Hallow.
Si concentrò per evocarne alcuni, ma non comparvero, non riusciva a rilasciarli. Era bloccata dalle catene di quel l'abbraccio che pareva aver interrotto non solo il suo battito cardiaco ma anche il tempo.
«Chi è che doveva prendersi cura di me? A momenti fai un volo di due metri! Guarda avanti quando cammini… Ragazzina» la redarguì Zoro, rimproverandola una seconda volta.
Perona andò nel panico, i suoi poteri sembravano essere inaspettatamente spariti. Si scostò in malo modo da lui, dandogli una spinta. Zoro la lasciò andare, non aveva alcun motivo per continuare a starle appiccicato, l'aveva messa in salvo. Bastava.
«Sei tu che mi fai distrarre con le tue chiacchiere inutili! E comunque avrei potuto evitare di cadere anche da sola!» rispose lei, sulla difensiva. Per non guardare in faccia lo spadaccino e farsi scoprire in difficoltà,Perona andò a raccogliere l’ombrellino che nel frattempo le era caduto.
«A proposito – disse Zoro, buttando lo sguardo verso la profonda voragine che per poco non li aveva inghiottiti – là in fondo ci sono parecchi… crani?! E sembrerebbero tutti appartenenti ad esseri umani… In che razza di posto mi stai portando? Eh, strega?»
Ora che la fastidiosa caligine 
alzatasi a causa della terra che era franata si era diradata, era possibile vedere distintamente la profondità di quel burrone.
«Non chiamarmi neanche strega!»
«D’accordo, ma vieni a dare un’occhiata»
Perona si avvicinò circospetta, e non per quello che era lì seppellito, ma per calcolare le distanze che dovevano mantenersi tra lei e lo spadaccino.
Si sporse di poco, verso quell’orrore.
«È  Una fossa comune – sentenziò – Allora siamo vicini, guardati intorno, questo è un cimitero»
Con attenzione Zoro scrutò l’ambiente: erano circondati da pietre. Non ci aveva fatto caso finora, perché erano tutte coperte dalla vegetazione che le mimetizzava bene col resto della natura. 
Zoro ne aveva una proprio accanto a sé, il ragazzo strappò via foglie e radici per vedere meglio di che si trattava: anche se poco leggibili, poiché logorate dal tempo, delle incisioni marcavano la pietra con date, nomi ed epitaffi.
«Sembrerebbero delle lapidi. Un cimitero tra gli alberi… è strano» osservò Zoro.
«Potrebbero non aver avuto più spazio dove seppellire i morti, ti ricordo che quest’isola è stata colpita da una guerra che ha sterminato l’intera popolazione»
«Potevano liberarsene bruciandoli…» disse lo spadaccino, lui era un miscredente convinto.
«Probabilmente non era usanza di questo regno. Pensa, per anni gli alberi si sono nutriti dei corpi che sono stati qui inumati, e sai… ora che stiamo calpestando questa terra, riesco a sentire la loro anima penarsi»
Ad accompagnare le parole di Perona, una gelida folata s’alzò intonando un delicato frusciare di foglie; il vento raggiunse entrambi, girandogli attorno in un vortice che per un attimo sembrò riavvicinarli, come nell’abbraccio non voluto che si erano dati.
Un unico soffio di vento raggelante, niente altro.
Perona s’aggiustò un codino che minacciava di sciogliersi, era tranquilla e per nulla turbata se si escludeva la tachicardia post salvataggio e le labbra che si leccava credendo così di poter sentire il sapore della pelle dello spadaccino. Quest'ultimo, accanto a lei, riprese a camminare come se nulla fosse.

«Siamo arrivati, guarda! Guarda laggiù!» annunciò la ragazza, indicando un punto dove gli alberi si diradavano e lasciavano intravedere una zona sgombra e aperta, con al centro un edificio in rovina.
Di fronte a loro, una struttura si ergeva con fatica e sulla sua sommità si elevava una croce. 
Era una chiesa.
«Tu hai messo le mie spade là dentro?» chiese scettico Zoro, continuando ad osservare schifato l’architettura morente di uomini da tempo ormai morti.
«Certo, non lo trovi un luogo graziosamente oscuro e sicuro?! Prima che tu arrivassi, venivo qui a rilassarmi e cantavo per le anime dannate» gli rispose Perona, distendendo le labbra rosse e scoprendo due file di denti bianchissimi, in una mossa simile ad un sorriso, e facendo una sorta di piroetta su se stessa come se danzasse.
«Sì, da perfetto fantasma del castello… » la canzonò il pirata, era una fissa quella delle anime.
«Che cosa hai detto?!»
«Che questa catapecchia potrebbe crollare da un momento all’altro e tu… – Zoro si concesse un secondo di riflessione: no, non c’era tempo per arrabbiarsi ancora, l’avrebbe fatto dopo; le spade avevano l’assoluta priorità – cerchiamo di sbrigarci e andiamocene via»
«Perché? Hai paura di loro?»
«Loro chi?»
«Come, non li senti? I fantasmi! Loro ci osservano, e lo stanno facendo proprio ora»
«Non dire fesserie, è che non voglio perdere altro tempo» le rispose lo spadaccino, ma con una mezza verità. Perché a preoccuparlo c’era davvero qualcosa adesso, e non erano di certo i fantasmi: da quando avevano raggiunto il cimitero ed era calata quella calma eccessiva, Zoro aveva alzato la guardia, e a parte Perona e i suoi maledetti spettri, sentiva che in quel luogo c’era qualcun altro, ed era vivo. La sua non era stata solo una sensazione, non erano completamente soli.

Si avvicinarono alla struttura, davanti a loro un nartece, o quel che ne era rimasto, era costituito da quattro colonne unite da archi a tutto sesto; foglie di edera salivano tortili arrampicandosi su ogni pilastro, erano foglie di un verde tendente al petrolio e, in alcuni tratti, contrastavano vistosamente col poco del marmo rimasto bianco e immacolato – il resto delle colonne s’era ingrigito e portava ancora i segni di una sanguinosa battaglia – e il tetto, che avrebbe dovuto chiudere il portico, era riverso in pezzi sul vestibolo.
Entrarono direttamente all’interno della chiesa, passando dall’ingresso sfondato. Anche il soffitto della navata centrale era in parte crollato e le finestre ad ogiva, presenti su entrambi i lati della chiesa, avevano tutte le vetrate infrante, assumevano la forma di bocche urlanti dai denti rotti. Al rosone era stato riservato lo stesso destino: era spoglio, privo d'ogni fregio, e appariva come un semplice buco in una parete.
L' architettura era in gran parte pericolante, bisognava stare attenti passando tra le travi che pendevano dal soffitto, il quale doveva aver avuto una volta a capriate.
«Dobbiamo sorpassare il transetto ed entrare in quella porta sotto l’abside, fortunatamente non è crollato nulla altrimenti sarebbe stato impossibile recuperarle» rivelò Perona, ricevendo in risposta un grugnito di disapprovazione da parte di Zoro.
La porta cigolò, stanca di esistere e pronta a collassare come il resto di quel luogo fatiscente. Lo spazio in cui i due si infilarono era profondo e rettangolare, col soffitto inclinato e aperto con finestre a forma di losanga, dalle quali poteva inoltrarsi la flebile luce del giorno ormai vicino al suo decesso.
Addossati sulla sinistra, a corredare quella che sembrava una cripta, stavano in fila una decina di sarcofagi: erano tutti sigillati, tranne uno col coperchio in frantumi sul pavimento: la salma, che di sicuro il sarcofago aveva ospitato, non c’era più.
In quel luogo angusto l'aria era irrespirabile, densa, da graffiare la gola.
«Lì dentro», la ragazza fantasma indicò il terzo della fila, Zoro ci si fiondò come uno squalo su un grosso e sanguinolento pezzo di carne. Guardò incredulo l’interno della cassa, fino a quando non strinse tra le mani le spade che sembravano non voler più far ritorno dal loro padrone. Le afferrò delicatamente, come un padre affettuoso prenderebbe in braccio i propri bambini dalla culla. E le controllò una per una, prima la Shuusui, la spada nera, new entry presa direttamente dalle putrefatte mani del samurai Ryuma, ma dopo averlo sconfitto; successivamente, esaminò la spada maledetta Kitetsu, con l’hamon di tipo Hitatsura; ed infine, passò alla spada bianca: la Wado Ichimonji di Kuina, la sua spada, la loro spada, quella che non l’aveva mai abbandonato in nessun combattimento.
«Contento adesso?» domandò Perona, che si aspettava di essere ringraziata.
Ma il ragazzo non la degnò della minima attenzione, quella era rivolta completamente alle katana.
Il modo col quale Zoro trattava le spade attirò la curiosità della ragazza, che guardò lo spadaccino con molto interesse. Ella osservò bene come le riponeva attento nel fodero e s'accorse degli occhi adoranti che il ragazzo riservava loro, occhi di un innamorato. Occhi che Perona scoprì desiderare, avere solo per lei.
Divenne gelosa, invidiosa di quelle attenzioni riservate interamente alle spade e niente a lei. Si succhiò il dito indice per sfogare il fastidio che sentiva guizzarle dentro. Zoro non se ne accorse.
«Oh! Ora sì che mi sento più sicuro, adesso possiamo fare ritorno al castello!» annunciò soddisfatto lui, con di nuovo le sue fidate lame legate alla vita. Aveva ritrovato l'equilibrio, già sentiva di stare meglio, era scomparsa pure la stanchezza.

I due uscirono dalla cripta maleodorante, ed attraversarono con attenzione l’interno della chiesa che minacciava di sgretolarsi sulle loro teste.
«Merda! Non ce la faremo mai a tornare prima che diventi buio pesto!»
Esclamò Zoro, guardando il cielo che gravava su di loro come una calotta pronta a crollare, alla pari delle le rovine alle loro spalle; l’orizzonte aveva assunto le peculiari tinte rossastre della notte.
Di luce ce n’era poca, uno degli aspetti sfavorevoli dell'isola era proprio l'arrivo dell'oscurità: accadeva come se non vi fosse un tramonto, si passava dal giorno alla sera all'improvviso.
«Io non voglio passare la notte qui, andiamo via lo stesso!» disse la ragazza, avendo già intuito l’andazzo.
«Non avevi detto che ti rilassava questo posto?»
«Sì, ma non per dormirci! Io voglio un letto comodo!»
«Fattene una ragione, non possiamo tornare indietro. Cerchiamo un riparo dentro, anche se qui rischia di crollarci tutto addosso sarà certamente un riparo sufficiente»
«E perché? Hai paura di dormire all’aperto tra i fantasmi che ci circondano?»
«Basta con questa storia dei fantasmi, e poi qui l’unico fantasma sei tu»
«Ah ah, divertente! Ti ricordo che posso assumere l’aspetto di un fantasma quando voglio, ma adesso sono una ragazza in carne ed ossa a tutti gli effetti, non uno spettro!»
Si era infuriata, piuttosto, pareva che fosse rimasta offesa dalle parole di Zoro, il quale restò a fissarla: lo spadaccino non capiva che bisogno c’era di spiegargli le modalità e i poteri che le aveva donato il frutto Horo Horo, tanto per lui restava comunque una strega.
«Sì, come vuoi» accorciò Zoro, era un’altra la sua preoccupazione, qualcuno li stava osservando e offrirsi al nemico non rientrava nel suo codice di comportamento. L'intuito gli suggeriva di non muoversi durante le ore di buio.

Passando per la navata laterale di destra, rimasta quasi intatta, i due trovarono uno stretto corridoio che portava alle scale per raggiungere il campanile; stare in un punto alto, secondo Zoro poteva rivelarsi essere una buona postazione strategica.
Le scale sembravano ancora robuste, lo spadaccino e la ragazza fantasma salirono seguendo la spirale, gradino dopo gradino.
«Ma tu guarda dove mi tocca dormire, su queste assi di legno marcio!» esclamò Perona, appena arrivata in cima e dopo aver sondato l’ambiente. Davanti a lei c’era un’area quadrata col pavimento  in legno logoro, un parapetto che correva lungo tutto il perimetro del campanile e delle corde che pendevano dall’alto, quelle delle campane.
«Paura di strapparti le calze?»
«Smettila! Mi prude il naso, c’è tanta polvere
, qui è tutto così sudicio!»
«E dimentichi  i topi, i ragni… o gli scarafaggi che ti cammineranno addosso appena siederai a terra!» la avvisò maligno lo spadaccino.
«Sta’ zitto! Non è divertente!»
La ragazza si sentì svenire, gli scarafaggi le ricordarono un brutto episodio, accaduto con un altro elemento della ciurma di Cappello di Paglia, un certo naso lungo. Ancora tremava al pensiero di quello che le era riuscito a combinare. Era quasi morta di crepacuore, e con scarafaggi finti. Figuriamoci se ne avesse visto uno vivo!
«Io mi metterò qui - annunciò Zoro, scegliendo un angolo dei quattro disponibili – tu mettiti dove ti pare»
«Come se ci fossero posti in cui dormire!» osservò Perona, sdegnata.
«Non ti agitare, è colpa tua se ci troviamo in questa situazione, non ho scelto io di nascondere le spade dentro un sarcofago… Adesso fammi riposare, se ci ripenso m’arrabbio, grazie a te ho perso un giorno di addestramento».
La ragazza s’arrese e, avvilita, andò a sedersi dalla parte opposta rispetto allo spadaccino.
Inutile negarlo: anche se con qualche difficoltà, lei avrebbe potuto attraversare il bosco da sola e tornare al castello, dove la attendeva sicuramente  un morbido letto e un pasto caldo.
Eppure, l’idea di allontanarsi da lui la agitava: lo spadaccino aveva di nuovo le sue spade, fine del gioco; per questo Perona non voleva andarsene, a costo di affrontare insetti e acari, voleva ancora bearsi della sua compagnia.
E c’era anche un’altra questione in sospeso: la ragazza non riusciva a capire per quale motivo i suoi poteri avevano fatto cilecca, stentava a credere che fosse solo colpa della presenza dello spadaccino, cioè, del suo abbraccio. Ma pur sapendo che la pratica l'avrebbe mandata in paranoia, stranamente, voleva essere nuovamente stretta. Perché aveva scoperto che fare lei la parte dell’orsacchiotto non era niente male.
In preda alle riflessioni, Perona tentò di trovare una posizione che le desse la parvenza di stare comoda.
Provare a sdraiarsi? Neanche morta, aveva il terrore che i suoi lunghissimi capelli divenissero luogo di escursione per insetti e punto d’approdo di tutta quella polvere che sentiva andarle nei polmoni ad ogni respiro.

«Niente letto, mi fa male la schiena… Uffa, io non ce la faccio a stare così, e ho anche freddo!»
«Ohi, non iniziare a lamentarti. Dobbiamo solo attendere che torni un po’ di luce, non c’è bisogno di disperarsi» come sempre, Zoro aveva poca voglia di sentirla frignare.
«Come fai ad essere così tranquillo? Quasi ti invidio»
Ma lo spadaccino non lo era, sapeva che quella cosa avrebbe approfittato dell’oscurità per attaccarli.

Passarono trenta minuti di farfugliamenti insopportabili, mixati da sospiri e brontolii di uno stomaco affamato. L’origine di quella discoteca era Perona.
«Di’ un po’,  come hai scoperto questo posto? Credevo non ci fosse nient’altro rimasto in piedi oltre al castello» le chiese lo spadaccino, pensando che conversare normalmente potesse essere un diversivo per distrarla.
«Te l’avevo già detto, ma tu non mi stai mai a sentire, lo scoprii quando ero sola, e non avendo nulla da fare me ne andavo in giro per l’isola»
«Davvero? E non avevi paura di essere attaccata da quelle scimmie selvagge?»
«No, usavo il mio spirito per muovermi e quando sono un fantasma divento intangibile.»
«Ah, giusto… Però, sei proprio strana, una mocciosa mezza fantasma…»
«Guarda che adesso sono una ragazza! – in quel momento a Perona balenò per la testa di farsi testare dallo spadaccino, lei era tutta tangibile, ma ricacciò subito a calci l’idea, che oscenità le era saltata per la testa? – Comunque, lo strano sei tu: fossi in te, non sarei contenta se avessi capelli come i tuoi, non sono per nulla carini, sembri un muschio»
«Non ti piacciono i miei capelli? E io che credevo ne andassi pazza!»
Zoro sorrise, quello che gli aveva appena detto la ragazza sembrava uscito direttamente dalla bocca di un cuoco idiota di sua conoscenza.
«Illuso, non ci trovo niente di bello in te: sei sgraziato, maleducato e anche ottuso. No, non mi saresti utile nemmeno come servo» la ragazza abbellì tutto con una linguaccia; che lo spadaccino non vide.  
In verità, Perona gli aveva detto parecchie bugie: tra le tante voglie e curiosità che provava nei confronti di Zoro, c’era anche quella di infilare le dita tra quei suoi insoliti capelli verdi, per verificare se fossero veramente morbidi come la stoffa di un peluche.
«Quindi non mi vuoi… »
«No, non ti voglio!»
«Be’ora che ci penso, devo ritenermi fortunato, perché io non potrei mai stare insieme ad una ragazzina piagnona e viziata come te!»

Crash!

Era forse crollato qualcosa?
Perona credé di aver udito il rumore di un oggetto molto pesante rovinare a terra. D’istinto guardò se il pavimento su cui era scomodamente adagiata fosse ancora sotto di lei; ed era lì, il suo sedere glielo confermava dolente. No, doveva essersi rotto qualcosa di più vicino, di più interno e che pulsava forte… Ma certo! Era il suo cuore quello che aveva subito un colpo e, difatti, le stava facendo male. Come se qualcuno  stesse lì a spremerlo.
Però, faceva fatica a ricordare, non capiva, cosa era accaduto?
Tentò di riavvolgere il nastro, rewind: dunque, lo spadaccino aveva ripreso le odiose sciabolacce… No, troppo indietro, doveva essere successo dopo. Ah, ecco:  aveva detto allo spadaccino che non gli piacevano i suoi capelli, il suo comportamento e che non lo avrebbe mai voluto nemmeno per usarlo come schiavetto.

“… Non potrei mai stare insieme ad una ragazzina piagnona e viziata come te!”

Ora Perona ricordava, sentì immediatamente pungere la punta del proprio naso e gli occhi irritarsi. Due lacrime gocciolarono giù, bruciandole le guance. 
Sotto l’aria tetra e il carattere insolente, Perona in verità era tenera come spezzatino. Le parole di Zoro l’avevano ferita terribilmente.
I cani potevano anche mordere, e lei stava sanguinando.
Non pensò che forse Zoro aveva semplicemente ricambiato gli stessi complimenti che lei non si era risparmiata di rifilargli; purtroppo, in quelle parole, la ragazza ci sentiva del vero.
Lei era una ragazzina, piangeva e faceva i capricci. E a lui non piaceva.
Era finita.

Non sentendola più, lo spadaccino pensò che quel diavolo di ragazza fosse crollata dal sonno. Ignaro di essere la causa del suo silenzio, Zoro appoggiò la fronte contro le katana per riposare anche lui. Ma non avrebbe dormito, non poteva, il pericolo stava venendo a cercarli.

 

“'Til the riegn of sleep again
Without sight we wander through the haze of this dark land
To the fields and seas again
Without sight she wanders through the haze of this lost land


˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Dopo secoli, riprendo in mano questa storia lasciata in sospeso; specifico che questo e i prossimi capitoli erano già stati abbozzati almeno tre anni fa, ma mai corretti, mai sistemati. Finiti nell’archivio del mio pc. Le cause sono state molteplici, e non starò a giustificarmi. Chiedo solo scusa a tutti i lettori e recensori che in passato manifestarono interesse nei confronti del racconto, e spero che questo quarto capitolo, forse troppo lungo, ma necessario, non li abbia delusi e che abbiano ancora voglia di seguirmi.
Ringrazio ovviamente i nuovi che leggeranno la storia, spero avrete tempo e piacere di recensirla.
Due paroline per Perona: io sono convinta che lei abbia la propensione al melodramma. E farla soffrire mi diverte. ^_^
La canzone scelta per questo capitolo appartiene ai Bella Morte – The Quiet da ascoltare qui se vi va: LINK
L’illustrazione ad inizio capitolo l’ho fatta io, a proposito, se vi servisse qualcuno che faccia un’immagine per la vostra storia, qualora vi piacesse il mio chiamiamolo stile, provate a contattarmi, se non sono impegnata magari potrebbe nascere una qualche collaborazione proficua, e io potrei anche divertirmi.

Vi segnalo anche le altre mie FF pubblicate.
Questa è fresca e in corso, siamo solo al primo capitolo:

Loverman…
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.

Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
LEGGI

L’impensabile inaspettato (Zoro/Sanji)
Sanji ha un impellente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note.
E a voi la lettura.

Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro

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Ultime previsioni prima di Dressrosa
(Rufy/Nami/Trafalgar Law)
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.

Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami

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