Messaggio
importante:
i luoghi e gli avvenimenti qui menzionati sono del tutto casuali,
e non prendono spunto da quanto sta accadendo ultimamente nel nostro
paese. Il
capitolo era stato già strutturato anni fa e prima del
tragico evento che ha
sconvolto il centro
Italia.
Curami ̴ 4. Una coppia e tre spade.
“And this silence is her life
Falling fast into the dark November sky
Over voices she shall cry
Soundless screams are felt before the sun can rise”
La tenebrosa foresta di Kuraigana era
una imponente e lussureggiante barriera naturale; pini, larici e
altissimi pecci la rendevano una fitta selva quasi impenetrabile.
Vista dall’alto, la foresta ingannava l’occhio
umano: la macchia di pinaceae, stretta in mezzo ad una vallata
– creata da catene montuose dalla singolare forma a punta
ricurva – assumeva le sembianze di una gigantesca fiera
addormentatasi in mezzo ai monti.
In prossimità del centro, un piccolo pertugio, una dolina,
s’apriva come se la fiera portasse sul dorso una profonda
ferita. Non c’erano alberi in quel punto. E proprio
lì, nell’ònfalo dell’isola,
si stava dirigendo una coppia di pirati.
Zoro avanzava seguendo Perona, la sola che tra i due era cosciente
della direzione presa. Costretto a starle dietro, per poter raggiungere
il luogo segreto in cui lei gli
aveva nascosto le katana, lo spadaccino s’era stancato
orribilmente e, ogni tanto, si ritrovava a sbirciare la punta delle
proprie scarpe: totalmente inzaccherate di fango, utili a ricordargli
che s’erano messi in viaggio da molto tempo… Tempo
perduto, in ore sprecate a tentare di non scivolare sul terreno reso
maggiormente umido da una insignificante pioggia, che aveva preso a
scendere nel momento stesso in cui avevano lasciato il castello.
Ad aggravare il tasso di umidità, e l’impazienza
dello spadaccino che poco tollerava quell’ambiente dal
pungente odore di muschio, c’era pure la costante mancanza di
sole tipica dell’isola; e la presenza di alberi tanto vicini
tra loro non permetteva alla poca luce di raggiungere completamente il
sottobosco.
Il terreno assumeva così una consistenza vischiosa, di
argilla bagnata, e d’un colore identico all’ebano,
su cui entrambi i ragazzi, camminando, tracciavano una texture di
impronte appaiate a due a due.
Avventurarsi in quel luogo era come spostarsi dentro
l’epidermide dell’isola, un secondo mondo ombroso
che si animava al di sotto delle
chiome degli alberi, e nel quale, a tratti, filtravano pochi ma
taglienti raggi di luce bigia, che rischiaravano di qualche tono la
penombra di quel luogo pregno di un silenzio sacrale, interrotto solo
dal cinguettio di qualche uccellino e dalla marcia monotona dei due
pirati.
Differentemente da Zoro, Perona aveva sul viso l'espressione
dell’estasi nell’attimo del trapasso a nuova vita,
c’era quanto avesse mai potuto desiderare, e forse anche di
più: un ambiente isolato e tinto d’un velo piceo
che ne rabbuiava ogni forma vivente e non vivente, la pioggia che
colava giù lenta come le lacrime di un cielo commosso, dando
un tocco vivido al quadro insaturo in cui la ragazza si stava muovendo,
incarnando con soddisfazione la figura dell’anima dannata
– se poteva considerarsi dannazione il viaggio per il
recupero delle antipatiche spade di Zoro – e, ovviamente,
c’era lo spadaccino... che la seguiva.
Quasi un cane fedele.
Oh, sì, lui in quel momento era interamente suo. Se solo
avesse potuto, la Principessa Fantasma avrebbe recitato una malia per
legarlo a sé e vagare con lui, per sempre, in quel bosco
maledettamente incantato.
Purtroppo, la realtà era assai diversa dai lugubri sogni di
Perona: Zoro non era affatto così fedele, o così
canidae come lei lo avrebbe preferito.
L’ennesima inevitabile pozzanghera, una mistura di terra,
acqua e foglie in decomposizione, avviluppò completamente il
piede destro dello spadaccino, al quale parve di sprofondare in sabbie
mobili e di affogare, in quella melma e con un sordido splash, ogni
speranza di un veloce ritorno.
«Ehi, oramai siamo molto lontani dal castello, sei sicura che
non ci siamo perduti? Non è che hai dimenticato dove hai
messo le mie spade?» ringhiò Zoro, cercando di
contenere la rabbia e la voglia di tirare i lunghi capelli rosa della
sua momentanea compagna di viaggio.
Di simile ai canidi il ragazzo aveva solo i latrati.
«Ah, ci risiamo! Sono stufa di ripetertelo – gli
rispose Perona, costretta a cancellare ogni desiderio di dannazione da
condividere col bellimbusto porta sciabole – NON CI SIAMO
PERSI! So benissimo dove stiamo andando, io non sono come te, che non
riesci nemmeno a trovare l’uscita del castello!»
«Come fai a esserne sicura? – la
contestò Zoro – A me qui sembra tutto
così uguale: guarda quell’albero laggiù
– le disse indicandole un abete rosso con un cenno della
testa – sono sicuro che è lo stesso che abbiamo
visto poco fa».
Perona strizzò gli occhi: in fondo, provava pena per lui; se
solo fosse stato zitto, lo spadaccino sarebbe stato un cagnolino
perfetto… La ragazza ci pensò sopra: ebbene, era
un problema che poteva risolversi!
Qualche punto con ago e filo e gli avrebbe cucito la bocca a dovere,
magari aggiungendovi sopra un merletto rosa, per creare un sorriso
bello e largo come quello che possedeva il suo esercito di fantasmi.
Certo, in questo modo allo spadaccino non sarebbe stato più
possibile mangiare, sarebbe morto d’inedia…
Ulteriore vantaggio! Perona lo avrebbe portarto dal dott. Hogback e poi
da Gekko Moria: il primo ne avrebbe sistemato il cadavere, il secondo
ci avrebbe impiantato un’ombra per riportarlo in vita come
zombie, ma stavolta al suo servizio.
Le era venuta davvero un’idea geniale!
La ragazza ridacchiò tra sé, presa tra fantasie e
piani tanto magnifici quanto inattuabili.
«Guarda che sto parlando con te! Qui gli alberi sono tutti
uguali, ci siamo persi!» le gridò contro Zoro,
nuovamente, facendo scoppiare la bolla in cui galleggiavano felici le
bizzarre idee di Perona.
Forse un taglio alla lingua sarebbe stato più spiccio e
conveniente.
«I miei punti di riferimento non sono gli alberi! Ora capisco
perché riesci a perderti con tanta facilità, sei
completamente privo di senso dell’orientamento - Perona gli
stava parlando dandogli la schiena e, mentre articolava le labbra,
rigirava velocemente e costantemente il manico
dell’ombrellino tra le mani, un gesto nervoso?
Chissà - Sarebbe divertente se ti lasciassi solo in mezzo al
bosco... Vorrei proprio vedere in quel caso come faresti ad uscirne
senza di me. Mi stupisce persino pensare a come tu abbia fatto ad
arrivare nella Rotta Maggiore, sei proprio un - » la ragazza
non finì la frase, si voltò indietro per cercare
lo sguardo dello spadaccino, le ultime parole gliele doveva dire
guardandolo negli occhi mortificandolo efficacemente.
Zoro non c’era.
Niente spadaccino a destra o a sinistra.
Da nessuna parte, nemmeno la sagoma.
Incredibilmente scomparso dal suo campo visivo.
Questo non ci voleva. Ma non poteva essere andato molto lontano; per
scovarlo, Perona pensò di seguire le sue impronte dal punto
in cui queste non apparivano più al fianco delle proprie.
Guardò a terra: finché le grandi tracce lasciate
delle scarpe del pirata comparivano accanto alle sue, quelle
più piccole, nessun problema, anzi, avrebbe potuto dire che
lo spadaccino aveva un’andatura regolare, di passo marziale.
Però, cos’erano le altre impronte che sembravano
iniziare svoltando a destra, poi tornavano indietro, proseguivano
avanti e sparivano tra gli arbusti, per sbucare nuovamente fuori e
prendere un’altra direzione?!
Un folle!
«Noo! Come farò a trovarlo se non si capisce da
dove è partito?! – ululò la ghost-girl,
intrecciando le dita spasmodiche tra i capelli – Stupido
spadaccino, non solo mi lasci parlare da sola, ti permetti anche di
sparire! Dove ti sei cacciato?! Cattivo! Cattivo!»
A parte qualche uccellino che le fece il verso, e le poche gocce di
pioggia che picchiettavano leggere sul suo sull’ombrellino
rosso; Perona non udì alcuna risposta.
Sospirò, rassegnandosi all’idea di doversi muovere
alla cieca, fin quando, d’improvviso, sentì un
ramo spezzarsi alle sue spalle.
«Whaaa!!!» il rilascio di un Hallow avvenne per riflesso
motorio; il fantasma per poco non colpì il tronco di un
albero rischiando di provocare un’esplosione; ma
filò via, verso l’alto fino a scomparire.
«Deve piacerti molto urlare» le disse Zoro,
seguendo con gli occhi la direzione presa da quella specie di bomba
spettro; il ragazzo era ricomparso alla stessa maniera con la quale era
sparito. E non doveva essere lui a comportarsi come un fantasma, a
giudizio di Perona.
La ragazza gli riservò uno tra gli sguardi più
infuriati che possedeva, «Si può sapere
perché ti sei allontanato?! Ti rendi conto del rischio che
hai corso! Cioè, che ho corso. Avrei potuto non ritrovarti
mai più!», difficile dire se parlava spinta dalla
rabbia o dalla preoccupazione per le sorti del
“cagnolino”, anzi, delle proprie sorti: in assenza
del cane, lei sarebbe sprofondata di nuovo nella monotonia ammorbante
che si viveva a Kuraigana. Una sventura che non doveva più
ripetersi.
«Non esagerare, cercavo solo la strada per ritrovare le mie
katana» le rispose lo spadaccino, squisitamente tranquillo.
«Ma tu non puoi saperla!»
«Infatti, la cercavo. Poiché
tu l’hai dimenticata»
«Non l’ho dimenticata, te l’ho detto poco
fa! Perché devi continuare a contraddirmi, ti costa tanto
limitarti a seguirmi? Se non lo farai non riavrai mai e poi mai le tue
spade!»
La voce della ragazza tuonò nelle orecchie di Zoro: “non riavrai mai le
tue spade!”...
Pure? Ma
è roba mia...
Ora basta.
L’aveva fatta nera. Zoro era arrabbiatissimo.
«Pensi che io mi stia divertendo? – sì,
lei si stava davvero divertendo – Credi che a me faccia
piacere la tua compagnia? – assolutamente, avere quello
spadaccino che le gironzolava intorno stava attecchendo bene da qualche
parte nella sua testa, o in un altro posto sbagliato –
Be’, ci vorrà il
tempo che ci vorrà. Te l’avevo detto che il luogo
è lontano dal castello. Se continuerai a tormentarmi ti
abbandonerò qui per davvero. Così non inizierai
mai il tuo tanto desiderato allenamento! Oh-ro oh-ro oh-ro!».
Perona incorniciò la
minaccia con la sua speciale risatina maligna, in tono con
l’ambiente circostante.
Ma Zoro, più di lei, sapeva rendersi indigesto:
«Guarda che se ti sei stufata di accompagnarmi puoi benissimo
dirmi dove le hai nascoste e andartene senza sprecare altro tempo. Ci
penserò io a trovarle. Grazie per quello che hai fatto
finora. Non ho più bisogno del tuo aiuto».
Colpita.
Affondata.
Strappata via ad ogni sogno di felicità insieme allo
spadaccino formato cane.
Con poche parole brevemente snocciolate, Zoro l’aveva fatta a
brandelli.
Perona guardò lo spadaccino, era rimasta spiazzata: lui era
un servo a cui non piaceva la sua compagnia, lui era un servo infedele,
a lui forse non piaceva essere un servo.
Tragedia.
Ma in quel momento, era sbocciata una mai provata attenzione verso i
sentimenti del suo “nuovo giocattolo”, che aveva
palesemente dimostrato di non tollerarla e non ricambiarla... ma
ricambiare cosa, per l’esattezza?
Avrebbe potuto indirizzargli qualche fantasma contagia depressione per
piegarlo alla sua volontà, eppure, Perona non ci riusciva, e
non capirne nemmeno la ragione le donava ondate di nausea; la stessa
nausea che avrebbe sentito se avesse assaggiato un muffin
dall’aspetto appetitoso, scoprendo, dopo avergli dato un
morso, che le protuberanze del mini dolcetto non
nascondevano frutti di bosco o zuccherosi canditi, ma disgustosi
bigattini.
I suoi occhi neri si bordarono di rosso,
allagati di lacrime che a stento la ragazza tratteneva sul filo delle
ciglia lunghissime.
Zoro la guardava non capendone le intenzioni, ma intuiva che del
pericoloso stava sobbollendo dietro quell’innocente aspetto
di bimba troppo cresciuta.
Perona fece un passo verso di lui, un altro, e un altro ancora, troppo
vicina; lo spadaccino indietreggiò appena, non fu
sufficiente, lei lo afferrò per la camicia, ancorandosi a
questa per gridare tutta l’aria che aveva trattenuto nei
polmoni: «BRUTTO STUPIDO! Tu hai ancora bisogno di me! Tu
devi per forza avere bisogno di me, perché solo io so dove
sono le tue preziosissime spade! Chiaro?!?!».
Decifrato: tu sei il mio cagnolino ed io la tua padrona, obbedisci o
niente pappa!
Lo strattonò per convincerlo a seguirla. Avesse avuto un
guinzaglio, la ragazza lo avrebbe utilizzato volentieri.
Comunque, la sua reazione lasciò Zoro frastornato: egli
s’aspettava qualche strana diavoleria, degna del frutto
maledetto che la ragazza aveva mangiato, non un comportamento
tanto puerile.
Ma per la prima volta, Perona non aveva schiavizzato alcun essere
innocente per farne un comodo zerbino.
«E-ehi, ho capito, ma adesso
lasciami! Non c’è bisogno di fare così,
molla!» brontolò lui, mentre veniva tirato
via.
La ragazza insistette, lo strattonò forte fino a fargli
saltare alcuni bottoni della camicia che Mihawk aveva prestato al
pirata. Era lei quella che temeva di essere abbandonata.
Andò avanti così per diversi metri, ma quando
alla Principessa Fantasma, girandosi un attimo indietro, le cadde
l’occhio su uno dei pettorali glabri e d’acciaio
del pirata, con allegata una catena di addominali, ella
staccò le mani dalla morbida stoffa.
Arrossì, esplodendo di vergogna.
«Spero ti sarai calmata, guarda qua!» la rimproverò Zoro, mentre si riassettava infilando i lembi della camicia nella comoda haramaki verde, e spingendo nelle sottili asole i pochi bottoni rimasti. Quella peste doveva essere posseduta.
Ma Perona non gli rispose, era impegnata ad analizzare la gravità del proprio comportamento: tante volte aveva medicato il pirata, era abituata alla vista del torace nudo, tuttavia, medicare e spogliare non erano la stessa cosa, almeno per lei.
«Che c’è, perché ora mi fissi in quel modo?» le chiese Zoro, accorgendosi che la ragazza aveva assunto un'espressione tra l'imbarazzo e... oh, quei suoi occhi neri erano così intensi, inghiottivano qualunque cosa, ci si poteva specchiare… E sì, c’era proprio lui lì dentro, solo lui.
Durò decimi di secondo, ma il pirata avvertì un brivido accompagnato da claustrofobia, calore e voglia di girarsi da un'altra parte per sfuggire ad una specie di forza magnetica che aveva avuto origine da quelle due grotte buie che erano le iridi di Perona.
È una strega...
Intanto, attorno alla stravagante coppia, che di tacito accordo aveva deciso di darsi tregua, s’era creata una insolita quiete, non si sentivano più neanche gli uccellini. Il cambiamento non passò indifferente allo spadaccino; Perona invece sembrò non farci caso: aveva ripreso a camminare strusciando la punta del suo ombrellino, chiuso perché era smesso di piovere, lo faceva oscillare sulla terra umida, lasciando tracce sinuose simili all’impronta segnata dal passaggio di un serpente.
No, oltre le stramberie di Perona, non poteva esserci nessuna minaccia nel bosco. Zoro aveva sconfitto tutti gli Humandrillus presenti sull’isola durante il tentativo di fuggire da questa per raggiungere il suo disperato Capitano. Poteva però trattarsi di sopravvissuti che non avevano imparato la lezione, e si stavano nascondendo tra gli alberi per attaccare nell’attimo propizio; peggio per loro, perché lo spadaccino era pronto a massacrarli a mani nude. Sì, non era il caso di allarmarsi.
«Ragazzina, ti sei fatta finalmente silenziosa» per rompere la quiete, lo spadaccino iniziò a schernirla.
Perona non voleva dargli corda, ma ignorarlo completamente, come s’era promessa di fare neanche dieci minuti prima, le era impossibile.
«Evita di chiamarmi ragazzina»
«Perché, non lo sei? Non sei una ragazzina?» e Zoro stava scoprendo il piacere di prenderla in giro.
«La ragazzina si è presa cura di te e tra poco ti riporterà al castello»
«Brava, ma non prima di avermi consegnato le spade»
Perona alzò gli occhi al cielo, quelle non erano più spade ma un'ossessione per lui e un incubo per lei. Seguitò a camminare senza badare alla conformazione del sentiero; e fatto un passo, la terra franò proprio sotto i suoi piedi.
Non ebbe nemmeno il tempo di gridare.
Cadde giù.
Si sarebbe fracassata il grazioso
visetto su una grossa pietra, magari battendo il naso o la fronte,
oppure si sarebbe rotta qualche osso, di certo sarebbe stata una caduta
dolorosa se Zoro non l’avesse tempestivamente afferrata e
spinta su. Perona teneva gli occhi chiusi, in attesa dello schianto a
terra, schianto che stranamente tardava ad arrivare e che, nella sua
coscienza, andava a sovrapporre il concetto di caduta con quello di
tepore: precipitare non era male, ci si sentiva insolitamente bene, era
qualcosa di avvolgente, simile ad un abbraccio, uno di quelli che lei
dava ai peluche che le erano stati negati a tradimento e di cui aveva
estremamente bisogno.
Quando decise di riaprirli, la ragazza si trovò con la
guancia appiccicata al petto scoperto di Zoro, su quella pelle
abbronzata che la camicia non copriva perché era stata
sbottonata strada facendo dallo spadaccino, il quale mal sopportava
bottoni o zip, e che aveva costantemente caldo…
No, sbagliato, era stata lei, prima, quando lo aveva strattonato gli
aveva fatto saltare via una fila di bottoni, quelli che
avrebbero dovuto chiudere quel punto così attraente.
Sapevano di buono il corpo e le braccia forti che la stavano tenendo
stretta, Perona ci aveva già fatto attentamente caso durante
tutte le occasioni in cui lo aveva medicato, toccandolo anche; ma mai
le era capitato di sfiorarlo col con le labbra, lasciandogli un
involontario bacio lì, sul petto.
E non era finita: si era aggrappata alla schiena di Zoro, intensamente,
come quando stringeva il suo orsacchiotto preferito,
nonché servitore fidato, Kumacy.
Lo spadaccino infatti avvertiva un leggero fastidio, provocato dalle
unghie della ragazza che lo stavano praticamente arpionando. Oltre
questo, Zoro non si sentiva scosso dalla situazione, o almeno mai
quanto Perona.
Per la sua integrità
mentale, se era rimasta, la ragazza
capì di doverlo allontanare immediatamente, e ricorrendo ai
suoi Hallow.
Si concentrò per evocarne alcuni, ma non comparvero, non
riusciva a rilasciarli. Era bloccata dalle catene di quel l'abbraccio
che pareva aver interrotto non solo il suo battito cardiaco ma anche il
tempo.
«Chi è che doveva prendersi cura di me? A momenti
fai un volo di due metri! Guarda avanti quando cammini…
Ragazzina» la redarguì Zoro, rimproverandola una
seconda volta.
Perona andò nel panico, i suoi poteri sembravano essere
inaspettatamente spariti. Si scostò in malo modo da lui,
dandogli una spinta. Zoro la lasciò andare, non
aveva alcun motivo per continuare a starle appiccicato, l'aveva messa
in salvo. Bastava.
«Sei tu che mi fai distrarre con le tue chiacchiere inutili!
E comunque avrei potuto evitare di cadere anche da sola!»
rispose lei, sulla difensiva. Per non guardare in faccia lo spadaccino
e farsi scoprire in difficoltà,Perona andò a
raccogliere l’ombrellino che nel frattempo le era caduto.
«A proposito – disse Zoro, buttando lo sguardo
verso la profonda voragine che per poco non li aveva inghiottiti
– là in fondo ci sono parecchi… crani?!
E sembrerebbero tutti appartenenti ad esseri umani… In che
razza di posto mi stai portando? Eh, strega?»
Ora che la fastidiosa caligine – alzatasi a causa della terra che era
franata – si era diradata, era possibile vedere
distintamente la profondità di quel burrone.
«Non chiamarmi neanche strega!»
«D’accordo, ma vieni a dare
un’occhiata»
Perona si avvicinò circospetta, e non per quello che era
lì seppellito, ma per calcolare le distanze che dovevano
mantenersi tra lei e lo spadaccino.
Si sporse di poco, verso quell’orrore.
«È Una fossa
comune – sentenziò – Allora siamo
vicini, guardati intorno, questo è un cimitero»
Con attenzione Zoro scrutò
l’ambiente: erano circondati da pietre. Non ci aveva fatto
caso finora, perché erano tutte coperte dalla vegetazione
che le mimetizzava bene col resto della natura.
Zoro ne aveva una proprio accanto a sé, il ragazzo
strappò via foglie e radici per vedere meglio di che si
trattava: anche se poco leggibili, poiché logorate dal
tempo, delle incisioni marcavano la pietra con date, nomi ed epitaffi.
«Sembrerebbero delle lapidi. Un cimitero tra gli
alberi… è strano» osservò
Zoro.
«Potrebbero non aver avuto più spazio dove
seppellire i morti, ti ricordo che quest’isola è
stata colpita da una guerra che ha sterminato l’intera
popolazione»
«Potevano liberarsene bruciandoli…»
disse lo spadaccino, lui era un miscredente convinto.
«Probabilmente non era usanza di questo regno. Pensa, per
anni gli alberi si sono nutriti dei corpi che sono stati qui inumati, e
sai… ora che stiamo calpestando questa terra, riesco a
sentire la loro anima penarsi»
Ad accompagnare le parole di Perona, una gelida folata
s’alzò intonando un delicato frusciare di foglie;
il vento raggiunse entrambi, girandogli attorno in un vortice che per
un attimo sembrò riavvicinarli, come
nell’abbraccio non voluto che si erano dati.
Un unico soffio di vento raggelante, niente altro.
Perona s’aggiustò un codino che minacciava di
sciogliersi, era tranquilla e per nulla turbata se si escludeva la
tachicardia post salvataggio e le labbra che si leccava credendo
così di poter sentire il sapore della pelle dello
spadaccino. Quest'ultimo, accanto a lei, riprese a camminare come se
nulla fosse.
«Siamo arrivati, guarda! Guarda laggiù!»
annunciò la ragazza, indicando un punto dove gli alberi si
diradavano e lasciavano intravedere una zona sgombra e aperta, con al
centro un edificio in rovina.
Di fronte a loro, una struttura si ergeva con fatica e sulla sua
sommità si elevava una croce.
Era una chiesa.
«Tu hai messo le mie spade là dentro?»
chiese scettico Zoro, continuando ad osservare schifato
l’architettura morente di uomini da tempo ormai morti.
«Certo, non lo trovi un luogo graziosamente oscuro e sicuro?!
Prima che tu arrivassi, venivo qui a rilassarmi e cantavo per le anime
dannate» gli rispose Perona, distendendo le labbra rosse e
scoprendo due file di denti bianchissimi, in una mossa simile ad un
sorriso, e facendo una sorta di piroetta su se stessa come se danzasse.
«Sì, da perfetto fantasma del castello…
» la canzonò il pirata, era una fissa quella delle
anime.
«Che cosa hai detto?!»
«Che questa catapecchia potrebbe crollare da un momento
all’altro e tu… – Zoro si concesse un
secondo di riflessione: no, non c’era tempo per arrabbiarsi
ancora, l’avrebbe fatto dopo; le spade avevano
l’assoluta priorità – cerchiamo di
sbrigarci e andiamocene via»
«Perché? Hai paura di loro?»
«Loro chi?»
«Come, non li senti? I fantasmi! Loro ci osservano, e lo
stanno facendo proprio ora»
«Non dire fesserie, è che non voglio perdere altro
tempo» le rispose lo spadaccino, ma con una mezza
verità. Perché a preoccuparlo c’era
davvero qualcosa adesso, e non erano di certo i fantasmi: da quando
avevano raggiunto il cimitero ed era calata quella calma eccessiva,
Zoro aveva alzato la guardia, e a parte Perona e i suoi maledetti
spettri, sentiva che in quel luogo c’era qualcun altro, ed
era vivo. La sua non era stata solo una sensazione, non erano
completamente soli.
Si avvicinarono alla struttura, davanti a loro un nartece, o quel che
ne era rimasto, era costituito da quattro colonne unite da archi a
tutto sesto; foglie di edera salivano tortili arrampicandosi su ogni
pilastro, erano foglie di un verde tendente al petrolio e, in alcuni
tratti, contrastavano vistosamente col poco del marmo rimasto bianco e
immacolato – il resto delle colonne s’era ingrigito
e portava ancora i segni di una sanguinosa battaglia – e il
tetto, che avrebbe dovuto chiudere il portico, era riverso in pezzi sul
vestibolo.
Entrarono direttamente all’interno della chiesa, passando
dall’ingresso sfondato. Anche il soffitto della navata
centrale era in parte crollato e le finestre ad ogiva, presenti su
entrambi i lati della chiesa, avevano tutte le vetrate infrante,
assumevano la forma di bocche urlanti dai denti rotti. Al rosone era
stato riservato lo stesso destino: era spoglio, privo d'ogni fregio, e
appariva come un semplice buco in una parete.
L' architettura era in gran parte pericolante, bisognava stare attenti
passando tra le travi che pendevano dal soffitto, il
quale doveva aver avuto una volta a capriate.
«Dobbiamo sorpassare il transetto ed entrare in quella porta
sotto l’abside, fortunatamente non è crollato
nulla altrimenti sarebbe stato impossibile recuperarle»
rivelò Perona, ricevendo in risposta un grugnito di
disapprovazione da parte di Zoro.
La porta cigolò, stanca di esistere e pronta a collassare
come il resto di quel luogo fatiscente. Lo spazio in cui i due si
infilarono era profondo e rettangolare, col soffitto inclinato e aperto
con finestre a forma di losanga, dalle quali poteva inoltrarsi la
flebile luce del giorno ormai vicino al suo decesso.
Addossati sulla sinistra, a corredare quella
che sembrava una cripta, stavano in fila una decina di sarcofagi: erano
tutti sigillati, tranne uno col coperchio in frantumi sul pavimento: la
salma, che di sicuro il sarcofago aveva ospitato, non c’era
più.
In quel luogo angusto l'aria era irrespirabile, densa, da graffiare la
gola.
«Lì dentro», la ragazza fantasma
indicò il terzo della fila, Zoro ci si fiondò
come uno squalo su un grosso e sanguinolento pezzo di
carne. Guardò incredulo l’interno della
cassa, fino a quando non strinse tra le mani le spade che sembravano
non voler più far ritorno dal loro padrone. Le
afferrò delicatamente, come un padre affettuoso prenderebbe
in braccio i propri bambini dalla culla. E le controllò una
per una, prima la Shuusui, la spada nera, new
entry presa direttamente dalle putrefatte mani del samurai Ryuma, ma
dopo averlo sconfitto; successivamente, esaminò la spada
maledetta Kitetsu, con l’hamon di tipo Hitatsura; ed infine,
passò alla spada bianca: la Wado Ichimonji di Kuina, la sua
spada, la loro spada, quella che non l’aveva mai abbandonato
in nessun combattimento.
«Contento adesso?» domandò Perona, che
si aspettava di essere ringraziata.
Ma il ragazzo non la degnò della minima attenzione, quella
era rivolta completamente alle katana.
Il modo col quale Zoro trattava le spade attirò la
curiosità della ragazza, che guardò lo spadaccino
con molto interesse. Ella osservò bene come le
riponeva attento nel fodero e s'accorse degli occhi adoranti che il
ragazzo riservava loro, occhi di un innamorato. Occhi che Perona
scoprì desiderare, avere solo per lei.
Divenne gelosa, invidiosa di quelle attenzioni riservate interamente
alle spade e niente a lei.
«Oh! Ora sì che mi sento più sicuro,
adesso possiamo fare ritorno al castello!»
annunciò soddisfatto lui, con di nuovo le sue fidate lame
legate alla vita. Aveva ritrovato l'equilibrio, già sentiva
di stare meglio, era scomparsa pure la stanchezza.
I due uscirono dalla cripta maleodorante, ed attraversarono con
attenzione l’interno della chiesa che minacciava di
sgretolarsi sulle loro teste.
«Merda! Non ce la faremo mai a tornare prima che diventi buio
pesto!»
Esclamò Zoro, guardando il cielo che gravava su di loro come
una calotta pronta a crollare, alla pari delle le rovine alle loro
spalle; l’orizzonte aveva assunto le peculiari tinte
rossastre della notte.
Di luce ce n’era poca, uno degli aspetti sfavorevoli
dell'isola era proprio l'arrivo dell'oscurità: accadeva come
se non vi fosse un tramonto, si passava dal giorno alla sera
all'improvviso.
«Io non voglio passare la notte qui, andiamo via lo
stesso!» disse la ragazza, avendo già intuito
l’andazzo.
«Non avevi detto che ti rilassava questo posto?»
«Sì, ma non per dormirci! Io voglio un letto
comodo!»
«Fattene una ragione, non possiamo tornare indietro.
Cerchiamo un riparo dentro, anche se qui rischia di crollarci
tutto addosso sarà certamente un riparo
sufficiente»
«E perché? Hai paura di dormire
all’aperto tra i fantasmi che ci circondano?»
«Basta con questa storia dei fantasmi, e poi qui
l’unico fantasma sei tu»
«Ah ah, divertente! Ti ricordo che posso assumere
l’aspetto di un fantasma quando voglio, ma adesso sono una
ragazza in carne ed ossa a tutti gli effetti, non uno
spettro!»
Si era infuriata, piuttosto, pareva che fosse rimasta offesa dalle
parole di Zoro, il quale restò a fissarla: lo spadaccino non
capiva che bisogno c’era di spiegargli le modalità
e i poteri che le aveva donato il frutto Horo Horo, tanto per lui
restava comunque una strega.
«Sì, come vuoi» accorciò
Zoro, era un’altra la sua preoccupazione, qualcuno li stava
osservando e offrirsi al nemico non rientrava nel suo codice di
comportamento. L'intuito gli suggeriva di non muoversi durante le ore
di buio.
Passando per la navata laterale di destra, rimasta quasi
intatta, i due trovarono uno stretto
corridoio che portava alle scale per raggiungere il campanile; stare in
un punto alto, secondo Zoro poteva rivelarsi essere una buona
postazione strategica.
Le scale sembravano ancora robuste, lo spadaccino e la ragazza fantasma
salirono seguendo la spirale, gradino dopo gradino.
«Ma tu guarda dove mi tocca dormire, su queste assi di legno
marcio!» esclamò Perona, appena arrivata in cima e
dopo aver sondato l’ambiente. Davanti a lei c’era
un’area quadrata col pavimento in
legno logoro, un parapetto che correva lungo tutto il perimetro del
campanile e delle corde che pendevano dall’alto, quelle delle
campane.
«Paura di strapparti le calze?»
«Smettila! Mi prude il naso, c’è tanta
polvere, qui è tutto così sudicio!»
«E dimentichi i topi, i
ragni… o gli scarafaggi che ti cammineranno addosso
appena siederai a terra!» la avvisò maligno lo
spadaccino.
«Sta’ zitto! Non è divertente!»
La ragazza si sentì svenire, gli scarafaggi le ricordarono
un brutto episodio, accaduto con un altro elemento della ciurma di
Cappello di Paglia, un certo naso lungo. Ancora tremava al pensiero di
quello che le era riuscito a combinare. Era quasi morta di crepacuore,
e con scarafaggi finti. Figuriamoci se ne avesse visto uno vivo!
«Io mi metterò qui - annunciò Zoro,
scegliendo un angolo dei quattro disponibili – tu mettiti
dove ti pare»
«Come se ci fossero posti in cui dormire!»
osservò Perona, sdegnata.
«Non ti agitare, è colpa tua se ci troviamo in
questa situazione, non ho scelto io di nascondere le spade dentro un
sarcofago… Adesso fammi riposare, se ci ripenso
m’arrabbio, grazie a te ho perso un giorno di
addestramento».
La ragazza s’arrese e, avvilita, andò a sedersi
dalla parte opposta rispetto allo spadaccino.
Inutile negarlo: anche se con qualche difficoltà, lei
avrebbe potuto attraversare il bosco da sola e tornare al castello,
dove la attendeva sicuramente un
morbido letto e un pasto caldo.
Eppure, l’idea di allontanarsi da lui la agitava: lo
spadaccino aveva di nuovo le sue spade, fine del gioco; per questo
Perona non voleva andarsene, a costo di affrontare insetti e acari,
voleva ancora bearsi della sua compagnia.
E c’era anche un’altra
questione in sospeso: la ragazza non riusciva a capire per quale motivo
i suoi poteri avevano fatto cilecca, stentava a credere che fosse solo
colpa della presenza dello spadaccino, cioè, del suo
abbraccio. Ma pur sapendo che la pratica l'avrebbe mandata in paranoia,
stranamente, voleva essere nuovamente
stretta. Perché aveva scoperto che fare lei la parte
dell’orsacchiotto non era niente male.
In preda alle riflessioni, Perona tentò di trovare una
posizione che le desse la parvenza di stare comoda.
Provare a sdraiarsi? Neanche morta, aveva il terrore che i suoi
lunghissimi capelli divenissero luogo di escursione per insetti e punto
d’approdo di tutta quella polvere che sentiva andarle nei
polmoni ad ogni respiro.
«Niente letto, mi fa male la
schiena… Uffa, io non ce la faccio a stare così,
e ho anche freddo!»
«Ohi, non iniziare a lamentarti. Dobbiamo solo attendere che
torni un po’ di luce, non c’è bisogno di
disperarsi» come sempre, Zoro aveva poca voglia di sentirla
frignare.
«Come fai ad essere così tranquillo? Quasi ti
invidio»
Ma lo spadaccino non lo era, sapeva che quella cosa avrebbe
approfittato dell’oscurità per attaccarli.
Passarono trenta minuti di
farfugliamenti insopportabili, mixati da sospiri e brontolii di uno
stomaco affamato. L’origine di quella discoteca era Perona.
«Di’ un po’, come
hai scoperto questo posto? Credevo non ci fosse nient’altro
rimasto in piedi oltre al castello» le chiese lo spadaccino,
pensando che conversare normalmente potesse essere un diversivo per
distrarla.
«Te l’avevo già detto, ma tu non mi stai
mai a sentire, lo scoprii quando ero sola, e non avendo nulla da fare
me ne andavo in giro per l’isola»
«Davvero? E non avevi paura di essere attaccata da quelle
scimmie selvagge?»
«No, usavo il mio spirito per muovermi e quando sono un
fantasma divento intangibile.»
«Ah, giusto… Però, sei proprio strana,
una mocciosa mezza fantasma…»
«Guarda che adesso sono una ragazza! – in quel
momento a Perona balenò per la testa di farsi testare dallo
spadaccino, lei era tutta tangibile, ma ricacciò subito a
calci l’idea, che oscenità le era saltata per la
testa? – Comunque, lo strano sei tu: fossi in te, non sarei
contenta se avessi capelli come i tuoi, non sono per nulla carini,
sembri un muschio»
«Non ti piacciono i miei capelli? E io che credevo ne andassi
pazza!»
Zoro sorrise, quello che gli aveva appena detto la ragazza sembrava
uscito direttamente dalla bocca di un cuoco idiota di sua conoscenza.
«Illuso, non ci trovo niente di bello in te: sei sgraziato,
maleducato e anche ottuso. No, non mi saresti utile nemmeno come
servo» la ragazza abbellì tutto con una
linguaccia; che lo spadaccino non vide.
In verità, Perona gli aveva detto parecchie bugie: tra le
tante voglie e curiosità che provava nei confronti di Zoro,
c’era anche quella di infilare le dita tra quei suoi insoliti
capelli verdi, per verificare se fossero veramente morbidi come la
stoffa di un peluche.
«Quindi non mi vuoi… »
«No, non ti voglio!»
«Be’ora che ci penso, devo ritenermi fortunato,
perché io non potrei mai stare insieme ad una ragazzina
piagnona e viziata come te!»
Perona credé di aver udito il rumore di un oggetto molto
pesante rovinare a terra. D’istinto guardò se il
pavimento su cui era scomodamente adagiata fosse ancora sotto di lei;
ed era lì, il suo sedere glielo confermava dolente.
Però, faceva fatica a ricordare, non capiva, cosa era
accaduto?
Tentò di riavvolgere il nastro, rewind: dunque, lo
spadaccino aveva ripreso le odiose sciabolacce… No, troppo
indietro, doveva essere successo dopo. Ah, ecco: aveva
detto allo spadaccino che non gli piacevano i suoi capelli, il suo
comportamento e che non lo avrebbe mai voluto nemmeno per usarlo come
schiavetto.
Sotto l’aria tetra e il carattere insolente, Perona in
verità era tenera come spezzatino. Le parole di Zoro
l’avevano ferita terribilmente.
I cani potevano anche mordere, e lei stava sanguinando.
Non pensò che forse Zoro aveva semplicemente ricambiato gli
stessi complimenti che lei non si era risparmiata di
rifilargli; purtroppo, in quelle parole, la ragazza ci sentiva del
vero.
Lei era una ragazzina, piangeva e faceva i capricci. E a lui non
piaceva.
Era finita.
Non sentendola più, lo
spadaccino pensò che quel diavolo di ragazza fosse crollata
dal sonno.
“'Til
the riegn of sleep again
Without sight we wander through the haze of this dark land
To the fields and seas again
Without sight she wanders through the haze of this lost land”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Dopo secoli, riprendo in mano questa
storia lasciata in sospeso; specifico che questo e i prossimi capitoli
erano già stati abbozzati almeno tre anni fa, ma mai
corretti, mai sistemati. Finiti nell’archivio del mio pc. Le
cause sono state molteplici, e non starò a giustificarmi.
Chiedo solo scusa a tutti i lettori e recensori che in passato
manifestarono interesse nei confronti del racconto, e spero che questo
quarto capitolo, forse troppo lungo, ma necessario, non li abbia delusi
e che abbiano ancora voglia di seguirmi.
Ringrazio ovviamente i nuovi che leggeranno la storia, spero avrete
tempo e piacere di recensirla.
Due paroline per Perona: io sono convinta che lei abbia la propensione
al melodramma. E farla soffrire mi diverte. ^_^
La canzone scelta per questo capitolo appartiene ai Bella Morte
– The Quiet da ascoltare qui se vi va: LINK
L’illustrazione ad inizio capitolo l’ho fatta io, a
proposito, se vi servisse qualcuno che faccia un’immagine per
la vostra storia, qualora vi piacesse il mio chiamiamolo stile, provate
a contattarmi, se non sono impegnata magari potrebbe nascere una
qualche collaborazione proficua, e io potrei anche divertirmi.
Questa è fresca e in corso, siamo solo al primo capitolo:
Loverman…
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto
scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più
piccola mancanza di volontà verso se stessi è
ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria
natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata:
15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
LEGGI
Sanji ha un impellente problema.
Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione
alle note.
E a voi la lettura.
Pubblicata:
03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
LEGGI
Ultime
previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law)
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo
della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si
incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però
spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata:
20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
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