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Autore: Rosebud_secret    01/09/2016    6 recensioni
- Non ti ha abbandonato.
Al solo sentirlo pronunciare queste poche parole Sherlock si scosta, indolente.
- E’ quel che TU ti ripeti per non affrontare la realtà!- Lo accusa. - Ma fuggire la colpa non serve a niente!-
Mycroft prende un respiro profondo e inclina il capo senza fastidio.
- Mi sto smarrendo. Di chi stiamo parlando? Di Redbeard o di John Watson?
E’ una domanda legittima, ma Sherlock ne è troppo scosso per rispondere. Nasconde il viso tra le mani.
- Mi sento come un concerto senza orchestra! Sono un violino che non riempie il silenzio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ di nuovo un bambino.
Niente più che un bambino che gioca sul prato.
Certo, in molti potrebbero rimanere sconcertati dalla natura dei suoi passatempi, ma la campagna inglese è vasta. I suoi genitori, ben avvezzi ad altri tipi di stranezze, non se ne curano più.
Eppure c’è qualcosa di diverso, Sherlock ricorda bene quel giorno e vorrebbe non farlo. Non ha il controllo della sua mente adesso, quindi il far sparire il giardino con uno schiocco di dita non è nelle sue facoltà. Con il peso dello sgomento a gravargli sul cuore si rialza, quasi dimenticando il modellino della casa degli Holland che stava costruendo per confermare che proprio nessun ladro era entrato nella loro villetta e la loro era una scusa per farsi risarcire dall’assicurazione gioielli che erano ancora lì, da qualche parte. 
Con passi incerti si avvicina all’ampia quercia, sfiora la corteccia con i polpastrelli mentre la supera per sbirciare al di là, ma oltre allo steccato non c’è nulla, se non l’erba alta sferzata sullo sfondo di un cielo plumbeo.
- Non dovresti.
La voce di Mycroft lo getta in un torbido smarrimento. E' sgradito come l’araldo dell’esercito avversario che giunge in visita prima della battaglia.
Si gira, lo guarda, ed è più giovane di come è abituato a vederlo, ma la sua saccente arroganza è sempre lì, tra la punta del naso e il labbro superiore arricciato.
- Faccio quello che voglio.
Gli risponde, nella speranza che l’impudenza possa farlo andare via.
Ma non lo fa.
Mycroft è sempre lì e c’è una luce, nel suo sguardo, che tradisce ogni pretesa di disapprovazione. E’ preoccupazione, la sua, un sentimento in grado di farlo infuriare ben più della presunta superiorità intellettuale con cui lo sminuisce. Sherlock sbuffa e assottiglia gli occhi come lame aguzze.
Non poteva essere che Mycroft, in fin dei conti...
- Va’ via, tu non mi servi.
Sa che saranno parole vane, ma ci prova lo stesso.
Il senso di colpa è un sentimento meschino e ha sempre la faccia di suo fratello, anche quando non c'entra. Anche quando la colpa non c'è. Forse è per questo che vuole vederlo il meno possibile: a livello inconscio, gli ricorda troppe cose. Troppe cose brutte che vorrebbe restassero chiuse in quel fortino inglese del tardo ottocento, sorvegliato da soldatini di latta in alta uniforme.
- Non dovresti.- Riprende Mycroft, ben guardandosi dall’avanzare. - Non è stata colpa tua.
Sherlock alza il mento, le labbra strette per respingere un vergognoso pianto.
- Perché nulla è per sempre? Nulla tranne te.- Gli domanda.
L’altro distoglie lo sguardo, si concentra su una farfalla che, maldestra, viene trascinata dal vorticare di quel vento autunnale.
- Sono tuo fratello. Questo non cambia.
Una risposta laconica che lo fa infuriare.
- Sai bene quanto me che non è vero!
Mycroft piega le labbra in un sorriso di derisione.
- Davvero?- Domanda, superfluo. - Con chi è che vuoi litigare, Sherlock? Io non sono davvero qui. Non sarebbe più semplice che tu esternassi il problema per cui mi sfrutti?-
Sherlock gli da le spalle e serra le braccia al petto, cocciuto e capriccioso come un tempo era stato. Com’era ancora, forse.
- E’ privo di senso sprecare tempo ed energie nella risoluzione di qualcosa di irrisolvibile.
Mycroft annuisce, anche se non può vederlo, Sherlock sa che lo sta facendo. La sua risposta è prevedibile:
- Ma parlarne può risolvere i problemi che derivano da quello principale.
Un groppo gli cresce in gola, deglutisce per scacciarlo, ma è sempre lì a raschiare le sue tonsille per arrochirgli la voce.
- Non c’è soluzione per l’abbandono. E’ ingiusto e il senso di perdita è un difetto non correggibile. Non si può colmare il cielo con il mare.
Mycroft, finalmente, lo accosta e gli posa una mano sulla spalla per mormorare:
- La morte non è mai un abbandono, solo una condizione inevitabile della natura sensibile. Questo lo sai.
Due lacrime sfuggono al controllo di Sherlock, andando a screziare di luce quel suo fanciullesco volto.
- Non c’è solo quella.
Suo fratello annuisce ancora, negli occhi un senso di dolente comprensione. La stessa della complicità in un crimine.
- Non ti ha abbandonato.
Al solo sentirlo pronunciare queste poche parole il ragazzino si scosta, indolente.
- E’ quel che
tu ti ripeti per non affrontare la realtà!- Lo accusa. - Ma fuggire la colpa non serve a niente!-
Mycroft prende un respiro profondo e inclina il capo senza fastidio.
- Mi sto smarrendo. Di chi stiamo parlando? Di Redbeard o di John Watson?
E’ una domanda legittima, ma Sherlock ne è troppo scosso per rispondere. Nasconde il viso tra le mani.
- Mi sento come un concerto senza orchestra! Sono un violino che non riempie il silenzio!
E’ un grido disperato, il suo, che prorompe e lo lascia privo di fiato.
Mycroft è ancor più dolente, tanto da apparire un tutt’uno col paesaggio. Le pennellate sono impressioni di colori slavati dalle intemperie, di cui non resta che un confuso alone. Il violino solo dell’Inverno di Vivaldi serpeggia nell’aria, malinconico e privo di leggiadria.
- Anche con l’orchestra, lo strumento solista è, per sua natura,
solo, Sherlock. Si libra al di sopra della mediocrità, padrone di un altrove che non può esser sfiorato che da lui. E’ ciò che siamo: tanto superiori da mal accompagnarci persino tra noi.
- Non voglio!
Suo fratello si china su di lui, lo guarda negli occhi.
- Quel che vuoi non conta. Un leone non brucherà soltanto perché ti addolora vederlo sbranare l’agnello.
- Basta!
Sherlock corre via.
Un balzo e lo steccato è alle sue spalle, ma la mossa è stata imprudente: al suo piccolo scossone quel traballante castello di carte precipita. Fiumi di colori si mescolano a volti, suoni e composizioni che lo travolgono come i flutti di un torrente di montagna. Una mano lo afferra prima che finisca con l’affogarci dentro, lo solleva, trascinandolo in salvo su di un’isola circondata da tinte dodecafoniche.
Affannato solleva lo sguardo e John Watson gli sorride, derisorio ma accudente.
- Sono sempre qui.- Gli dice, prima che ogni cosa collassi.


Sherlock si sveglia di soprassalto. Le lenzuola sono madide di sudore.
Il silenzio regna al 221B di Baker Street. La grigia luce del primo mattino illumina la camera con un fascio spettrale. Si stropiccia il volto, come se ricollegarsi alla realtà possa, in qualche modo, placare l’emicrania che è sul punto di fargli esplodere le tempie.
Posa i piedi a terra e poi scende da basso.
John non è in salotto.
Non è lì.
E’ a casa sua, con Mary e neppure immagina il suo smarrimento. Si preoccupa di altro, povero sciocco: della sua tossicodipendenza...
La soluzione è proprio sotto il suo naso e non la coglie: la droga più potente per Sherlock era la sua presenza.
E l’astinenza è una condizione terribile.
Le tende sono tirate come in una camera morturaria, e l’unica luce viene dal televisore acceso. Il filmato di Moriarty in loop lo scruta dal monitor in tutta la sua strafottenza.
- Miss me?
Sherlock lo guarda, sconfitto.
- Mi accontento.


N.d.A.: E’ l’una di notte (e tutto va beeeeene! cit.), domani ho un esame e... that just sort of happened.
L’unico modo in cui riesco a shippare Johnlock è lo one-sided pov Sherlock, sono una bestiaccia.
Non so se la storia abbia senso compiuto, ma ringrazio chi l’ha letta e chi la recensirà. Incrociate le dita per il mio esame e, se vi va, lasciate un commentino! *Universitaria in crisi*
Baciotti,
Ros.
 
   
 
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