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Autore: Lady Moonlight    01/09/2016    7 recensioni
Ehorin, la stirpe degli uomini-draghi.
Dhana è l'ultima discendente di una dinastia che ha visto sorgere e finire l'Era dei Draghi, l'unica sopravvissuta alla caduta di Menfhis. Per cinque anni è stata costretta a nascondersi e fuggire, celando un segreto che potrebbe salvarla o condannarla a morte.
Sfuggita alle insidie della Valle del Crepuscolo, Dhana cerca rifugio nelle miniere di damantis, lavorandovi come schiava. È lì che incontra Caleb, secondogenito del Marah e fratello dell'uomo che ha ucciso la sua famiglia.
Portata a Valantia viene obbligata a prendere parte ad una competizione e se vincerà potrà diventare cavaliere dell'ultimo drago vivente rimasto nel continente.
Tuttavia, dopo secoli di silenzio e oblio, in cui la magia e le creature nate da essa si credevano ormai perdute, qualcosa si agita sotto l’apparente superficie delle cose. Le leggende prendono vita e Gideon Ned'deq sembrerebbe essere l’unico alleato di Dhana, malgrado sia stato proprio lui a decretare la fine dei draghi e della sua famiglia.
Mentre segreti andati perduti nel tempo rischiano di far sprofondare il continente nel caos, Dhana scoprirà che, forse, la minaccia più grande è proprio se stessa.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Trama completa:
Ehorin, la stirpe degli uomini-draghi.
Dhana è l'ultima discendente di una dinastia che ha visto sorgere e finire l'Era dei Draghi, l'unica sopravvissuta alla caduta di Menfhis. Per cinque anni è stata costretta a nascondersi e fuggire, celando un segreto che potrebbe salvarla o condannarla a morte.
Sfuggita alle insidie della Valle del Crepuscolo, Dhana cerca rifugio nelle miniere di damantis, lavorandovi come schiava. È lì che incontra Caleb, secondogenito del Marah e fratello dell'uomo che ha ucciso la sua famiglia.
Portata a Valantia viene obbligata a prendere parte ad una competizione e se vincerà potrà diventare cavaliere dell'ultimo drago vivente rimasto nel continente.
Tuttavia, dopo secoli di silenzio e oblio, in cui la magia e le creature nate da essa si credevano ormai perdute, qualcosa si agita sotto l’apparente superficie delle cose. Le leggende prendono vita e Gideon Ned'deq sembrerebbe essere l’unico alleato di Dhana, malgrado sia stato proprio lui a decretare la fine dei draghi e della sua famiglia.
Mentre segreti andati perduti nel tempo rischiano di far sprofondare il continente nel caos, Dhana scoprirà che, forse, la minaccia più grande è proprio se stessa.
Nel contempo la giovane Aisha si risveglia in una terra a lei ignota, incapace perfino di comprendere la lingua parlata dagli abitanti. La sua missione: trovare gli Ehorin e chiedere il loro aiuto. Salvata da Sif, guerriera al servizio del Marah, dovrà però fare i conti con una realtà che non aveva previsto: gli Ehorin sono morti e così i loro draghi.



 
 
 
 
 

Il ricordo delle cose passate
non è necessariamente il ricordo di come siano state.
{ Marcel Proust }
 
 
 
01: Le miniere di damantis
≈*≈*≈*≈*≈*≈
 
 
 
 
 
Dhana si asciugò il sudore dalla fronte e riprese a riempire i secchi di detriti. Quel giorno il lavoro in miniera non le aveva fruttato nulla, nemmeno il più piccolo dei cristalli di damantis e quel fallimento le sarebbe costato la cena. O quella che in quel posto definivano tale.
Tossì un paio di volte e quando si sollevò trovò solo il ghigno infastidito di una guardia che la fissava con aria assorta.
“Ma guarda, guarda... Questo è il terzo giorno che non trovi nulla. Al quarto ti spetteranno dieci frustrate!”
Dhana non rispose e chiuse gli occhi. Dentro di sé avvertiva lo spirito dell'ultimo drago irrequieto e affamato quanto lo era lei. Lo chiamò per nome e Lazhar le rivolse il saluto emettendo un basso ruggito.
Il tatuaggio draki era comparso sul suo corpo cinque anni prima e da allora condivideva ogni pensiero con lui. Lo sentì muoversi sulla pelle, sotto gli abiti stracciati, e tirò un sospiro di sollievo quando infine si fermò. Per quella sera il drago avrebbe ripreso a dormire.
Il suono della campana annunciò la fine del turno di lavoro e il soldato s’affrettò ad afferrarla per le ascelle. La sollevò con ben poca delicatezza e le intimò di camminare verso i tunnel d'uscita. Lei prese ad avanzare, con i sassi e i ciottoli che scivolavano sotto i suoi piedi, avvolti da stracci. I detriti della miniera le ferivano la pelle, ma Dhana proseguì fino alla galleria centrale che scendeva verso la baraccopoli degli schiavi.
Alla sua discesa si unirono uomini e donne con secchi contenenti il damantis, il viso sporco di terra e le mani sanguinanti. La maggior parte di loro aveva il viso smunto, i capelli pieni di nodi e occhiaie scure attorno agli occhi. A capo chino, trasportavano le pietre che avrebbero reso la città di Valantia ancora più ricca di quanto già non fosse.
I menestrelli e gli uomini del nord la definivano come la città delle possibilità.
Da schiavo potevi diventare mercante ma da consigliere del Marah potevi anche diventare carne per corvi.
Eretta trecento anni prima, Valantia era prosperata grazie al commercio marittimo e alle miniere di damantis. Questo era un materiale plasmabile che veniva estratto come pietra, ma poteva venire fuso per ottenere una lega molto resistente. Pochi potevano permetterselo, ma quelli che ne erano in grado tenevano a quegli oggetti più della loro stessa vita.
Da bambina suo padre le aveva regalato la statua di un cigno, nero come l'ossidiana, ma era andata distrutta insieme alla sua casa e alla sua famiglia.
Erano trascorsi cinque anni dal giorno in cui aveva perso i suoi cari e il trono che le sarebbe spettato per diritto. Aveva detto addio ad ogni cosa, compreso il suo nome. Solo il tatuaggio draki dipinto sulla schiena la teneva legata ad un passato perduto e a un futuro ignoto.
Dalle miniere, Valantia era solo un insieme di puntini luminosi nella notte, difficile credere che fosse stata capace di spazzare via la dinastia degli Ehorin.
Eppure era accaduto.
Dhana tremò di freddo e si rannicchiò meglio sotto la coperta del vecchio Karl, morto due giorni prima. L'uomo gliela aveva lasciata insieme alla ciotola di rame che usava per i pasti e Dhana aveva pianto quando l'aveva sentito esalare l'ultimo respiro. C'era stato un periodo, dopo la caduta di Menfhis che si era chiesta se sarebbe mai più stata in grado di piangere e aveva scoperto che la disperazione era sempre un passo avanti a lei.
Prima che morisse, Karl aveva afferrato la sua mano pregandola di restare con lui. Le aveva parlato dei figli e della moglie poi si era zittito e la dea Herana era calata sulla sua anima, portandolo con sé nel regno dei morti. Le guardie avevano trascinato via il cadavere e lei aveva preferito non sapere cosa ne avrebbero fatto. Alcuni dei prigionieri giuravano che i morti fossero dati in pasto alle viverne del Marah, ma Dhana sospettava che fosse solo un altro modo per seminare paura tra schiavi e minatori.
Fu colta da una fitta allo stomaco e deglutì con fatica. Lazhar emise un lamento e Dhana gli sussurrò parole di conforto.
Doveva andarsene da quelle maledette miniere, malgrado non avesse idea di come sarebbe sopravvissuta una volta giunta a Valantia.
Non si sarebbe arresa.
Anche se il suo popolo la credeva morta e la sua casa era stata distrutta, sarebbe andata avanti per la sua famiglia, per le ossa dei draghi che erano state lasciate a marcire lungo le strade di Menfhis, come il simbolo di un'era ormai finita.
Continuo a credere che sia una pessima idea. Ci uccideranno” l'avvertì Lazhar.
Era molto probabile, inutile che lei tentasse di negarlo.
Dirigersi a Valantia era follia.
 
 
 
Quella mattina l'incidente era giunto all’improvviso. Una galleria era crollata innalzando una nube di polvere e la terra aveva tremato.
Dhana si era aggrappata ad una parete di roccia e si era imposta di mantenere la calma. La paura però l'aveva attanagliata, subdola, e non l'aveva lasciata.
Morire lì, in quel luogo, sotto metri e metri di roccia.
Non aveva fatto tutta quella strada per fare quella fine.
Chiuse gli occhi, ascoltando i battiti rapidi del suo cuore. Doveva solo sopportare tutto quello per altri due giorni e poi...
Alte piccole scosse seguirono la prima. “Muoviti!” ordinò una guardia. “Dobbiamo scendere a valle e attendere che la situazione si calmi.” L'uomo si era portato una mano alla bocca nel tentativo di respirare meglio, ma sembrava sul punto di svenire.
“Gli altri-”
“Se non sono morti per i detriti moriranno presto d'asfissia” sbraitò quello, schiaffeggiandola al volto. “Comincia a camminare” concluse minaccioso, spostando la mano sulla daga legata al fianco.
Lei non si mosse. Giù, dalla cava, proveniva il suono di zoccoli in avvicinamento e quando un gruppo di cavalieri giungeva a cavallo in un posto così sperduto non era mai un buon segno.
“Il sovrintendente?” s'interrogò.
Poi strinse i pugni. Se così fosse stato la sua comparsa avrebbe messo a rischio i suoi piani.
Un nuovo cedimento scosse le pareti della miniera. Dhana barcollò in avanti, tremando insieme alla terra. Prima che potesse cadere in uno dei pozzi d'estrazione la guardia l'afferrò malamente, strattonandola con rabbia.
“Il Marah ha perso abbastanza manodopera per oggi” sibilò, liberando la frusta sul terreno. Alzò il braccio e sferrò un colpo alla sua caviglia.
Dhana gridò e la gamba le cedette facendola zoppicare fino al punto in cui la galleria svoltava a sinistra. Si morse la lingua fino a farla sanguinare ed eseguì il precedente comando in modo remissivo.
Potresti ucciderlo” gli fece notare la voce profonda del drago. “O potrei farlo io.”
Dhana roteò gli occhi al soffitto. “Detesti il sapore della carne umana” gli rispose mentalmente.
Non ho detto che poi lo mangerei.
Lei visualizzò il corpo di Lazhar: le scaglie vermiglie dalle cupe sfumature nere, gli occhi dalle iridi gialle come quelle di un gatto, le ali dalla punta arpionata e gli affilati denti bianchi che potevano maciullare un cavallo in pochi minuti.
Era l'ultimo dei draghi ed era splendido e terribile nella sua forma reale.
Così ci ritroveremo un cadavere in piena vista che segnalerà la nostra posizione a tutti i cacciatori di taglie del continente.
Questo perché non hai voluto che uccidessi occhi dolci e presto tutti sapranno che c'è ancora un erede vivente di sangue Ehorin.” Il drago ruggì, ricordandole tutto il suo disappunto.
Odiava quando Lazhar le ricordava le sue debolezze. Occhi dolci, come lo chiamava lui per prenderla in giro, era un giovane cacciatore elfico che avevano incrociato sul loro cammino un paio di settimane prima e che aveva tentato di catturarli. Ci erano voluti tre giorni per riuscire a fargli perdere le loro tracce.
Prima o poi lo scopriranno comunque.”
Dhana si sporse su un'apertura laterale e guardò in basso, verso il deposito di damantis, dove si erano radunati una cinquantina di cavalli con appresso lo stendardo del Marah: una viverna nera su sfondo stellato.
A causa dei forti rumori di estrazione e della nube provocata dal crollo gli animali scalpitavano e nitrivano agitati. Gli sforzi dei cavalieri nel tentativo di calmarli sembravano inutili.
Non le capitava di vedere tanti soldati riuniti in un unico posto da quando Menfhis era caduta. Indossavano tutti l’uniforme standard dell’esercito di Pars: turbante bianco, camicia di stoffa grezza, un mantello e stivaletti di pelle marrone. Li osservò spostarsi verso le tende scarlatte, di solito destinate agli attendenti delle miniere, e prendere posizione di guardia. 
“Muoviti!” la richiamò il soldato. “O giuro che ti trapasserò con la mia spada da parte a parte!”
 
 
 
La baraccopoli era piena di donne in lacrime e di giovani sdraiati su giacigli improvvisati. Erano i fortunati che non avevano perso la vita nel crollo, ma per alcuni di loro quell'incidente avrebbe comunque lasciato segni indelebili. Alcuni avevano perso gli arti, ad altri erano stati amputati, e le grida di quella sofferenza erano difficili da sopportare.
Dhana si chinò su un ragazzo di quattordici anni e lo aiutò a bere, mormorandogli qualche parola di conforto. Aveva una scheggia di legno nell'occhio sinistro ed era chiaro che avrebbe perso la vista. Lui rimase immobile tutto il tempo e presto Dhana lo affidò alle cure di persone più capaci.
Il sangue era ovunque si girasse e si costrinse a fare del suo meglio per allontanare da sé il desiderio di Lazhar di affondare i denti nella carne di quegli schiavi. Il drago poteva affermare di detestare la carne umana, ma la verità era che come tutti quelli della sua razza non riusciva a controllarsi quando ne avvertiva l'odore in modo così intenso.
Mi farai venire la nausea” lo accusò, mentre detergeva il sudore dalla fronte di una donna.
Ho fame” ribatté Lazhar.
Non era il solo ad averne e si impose di non indugiare troppo su quel pensiero.
Ogni muscolo del suo corpo gridava di dolore e stanchezza, ma rimase comunque al fianco di mutilati e moribondi. Puliva il loro corpo con un vecchio straccio impregnato d'acqua, pregando lo spirito di Zah affinché li concedesse salvezza. Non c'erano erbe o alcolici da poter usare per ottenebrare i sensi dei feriti perché i soldati del Marah non concedevano nulla più dello stretto necessario agli schiavi.
Si chinò su una bacinella e strizzò la pezza, lasciando che il sangue scivolasse via. Un tempo sarebbe rimasta inorridita, considerò, mentre le gocce scarlatte si mischiavano all'acqua.
Si riscosse in tempo per scorgere il corpo massiccio di Graf occupare la sua visuale: un abitante del nord, dalle spalle larghe e la mascella squadrata.
Gli schiavi più vecchi raccontavano che Graf fosse giunto lì dieci anni prima, durante la rivolta dei namoo. Benché provenisse da luoghi freddi, la sua pelle era scura, bruciata dal sole della miniera.
Dhana sobbalzò nel trovarselo di fronte. Era molto più alto e grosso di lei e le dicerie sul suo conto mettevano i brividi persino alle guardie che lo sorvegliavano.
Gli occhi neri di Graf la scrutarono a lungo, poi scivolarono lontani verso gli uomini del Marah, i cui volti persero immediatamente colore. Solo una settimana prima Graf aveva strangolato una sentinella e spezzato il braccio ad un'altra. Nessuno era particolarmente incline ad avvicinarlo.
Tremerebbe di fronte a me” commentò Lazhar e Dhana non ebbe nulla da ridire. Chiunque sarebbe rimasto terrorizzato se il drago avesse preso le sue vere sembianze.
Ma il tempo in cui i draghi solcavano i cieli come signori indiscussi di ogni cosa si era ormai concluso.
Dhana scosse la testa e tornò a piegarsi su un nuovo ferito, quando all'improvviso udì un suono strozzato seguito da un grugnito e i suoi sensi la misero in allarme.
Più in là, Graf aveva tagliato la gola ad un soldato e il sangue era schizzato ovunque. Il compagno dell'uomo morto aveva tentato di gridare e lo schiavo lo aveva zittito spezzandogli il collo, così la testa ciondolava in modo scomposto sulla spalla.
Nella tenda scese un silenzio surreale, persino i feriti sgranarono gli occhi e trattennero il fiato.
Dhana si concentrò su di lui. I lineamenti di Graf erano mutati in qualcosa di più selvaggio, meno umani e più bestiali. I muscoli delle braccia si erano gonfiati, facendolo sembrare ancora più grosso e lei lo fissò mentre correva fuori dalla tenda. Per qualche ragione le ricordò un orso, come quelli che aveva visto sulle montagne intorno Menfhis. Gli aveva trovati spaventosi con la pelliccia nera e gli artigli affilati come lame che affondavano nell'acqua del torrente per catturare i pesci, ma le era bastato alzare lo sguardo verso il drago di suo padre per sapere che la sua paura era ridicola.
Si riscosse alle urla dei feriti. “Dobbiamo chiamare qualcuno! Quella bestia selvaggia ci farà uccidere tutti!”
“Le guardie... presto... presto!” strillò un altro, mentre Dhana tentava di frenare il tremito alle mani.
Graf se ne era andato senza dire una parola, con il viso imbrattato di sangue e una furia nell'animo che lei conosceva molto bene. Abbassò gli occhi sul cadavere di un ragazzino denutrito, gettato in un angolo come spazzatura e ricordò che era solito stare insieme a Graf. L'aveva visto lavorare con lui nella miniera e condividere gli stessi pasti.
Quegli occhi aperti e ormai velati da una patina bianca le riportarono alla luce altri ricordi di morte e distruzione. Dhana tentò di calmare il battito del cuore che le martellava furioso nel petto e di scacciare dalla mente le immagini della caduta di Menfhis.
Le colonne del tempio di Zah erano state le prime a crollare, poi era toccato al teatro, al palazzo della giustizia, alla biblioteca pubblica...
Ripensandoci, non riusciva a capire perché lei fosse stata risparmiata mentre James, il dolcissimo James, che sognava di visitare il reame degli elfi e amava la marmellata di fragole fosse dovuto morire insieme al resto della sua famiglia.
Tra tutti, era stata lei quella condannata a vivere per vedere ogni cosa cara agli Ehorin venire cancellata dal mondo.
“Ci uccideranno tutti!” gridò una donna, afferrando un ferito e tentando di metterlo in piedi.
Dall'esterno si udivano i soldati pronunciare ordini secchi e coincisi, mentre a loro si univa il clangore delle armi. Il suono si fece più vicino e Dhana indietreggiò, spintonata dagli schiavi che tentavano di uscire quanto prima dal tendone.
Quell'umano e la sua voglia di ribellione... Stupido e sciocco. Le sue azioni porteranno alla rovina” proruppe Lazhar. Era agitato anche lui e Dhana lo sentì muoversi irrequieto sul suo corpo, fino ad adagiarsi sullo stomaco.
La luna era alta nel cielo quando Dhana uscì sulla piana di pietra e sabbia, accolta da una richiesta di aiuto.
“Pietà!” gridò una donna riparandosi il volto con le mani. Era inginocchiata poco più avanti, accanto ad un enorme masso, e un soldato le stava di fronte.
“Non ho fatto nulla, mio signore!”
L'uomo l'aveva picchiata facendola cadere e ora guardava verso Dhana con sguardo famelico.
A sinistra!” ordinò Lazhar e lei si trovò ad eseguire il comando, scattando di lato. Subito dopo un cavallo la superò al galoppo, travolgendo il soldato che era in procinto di seguirla. Quello non si rialzò e la donna si unì alla fuga precipitosa di altre persone.
Rialzandosi, Dhana si accorse che molti schiavi stavano correndo nelle miniere per tentare di far perdere le tracce agli inseguitori, ma quella strategia poteva rivelarsi una lama a doppio taglio.
La folata d'aria improvvisa e anomala che la investì la mise in allerta. Portò un braccio sopra gli occhi per ripararsi dal vento mentre i lamenti acuti e stridenti delle viverne ingoiavano ogni altro rumore, facendole gelare il sangue.
Se la morte avesse avuto una voce, sarebbe stata quella.
Lazhar la spronò a muoversi e lei si affrettò a seguire il consiglio. Si riprese velocemente dalla sorpresa, memore del tempo in cui era rimasta impotente al suono di quei versi e la sua amata città era andata distrutta.
Un bruciore al ginocchio le fece abbassare lo sguardo. La ferita non era nulla di grave, ma strappò ugualmente una fascia di stoffa per fermare il flusso di sangue. Le viverne erano dieci volte migliori dei cani nel seguire le tracce e l'ultima cosa che le serviva era venir braccata da quelle creature.
Attorno a lei le persone fuggivano in ogni direzione e nessun soldato diede segno di prestarle particolare attenzione. Una delle tende prese fuoco e si consumò in pochi minuti.
Dhana afferrò un ramo appuntito e lo tenne stretto a sé, sebbene sapesse che sarebbe apparsa ridicola agli occhi di chiunque. Qualcuno la spintonò facendola cadere e rialzandosi si accorse ancora una volta di Graf. Era in piedi, poco più in là, accerchiato da una decina di uomini del Marah e se uno sguardo avrebbe potuto uccidere quello sarebbe stato il suo.
Graf sferrò dei pugni e alcuni soldati caddero a terra, poi emise un grido rabbioso. Era impolverato, sporco di sangue e la sua mole si stagliava contro la luce della luna.
Fu in quel momento, mentre si chiedeva se lo schiavo si sarebbe salvato, che Dhana la vide.
La viverna scese dal cielo portando con sé un cavaliere. Era piccola, poco più grande di un cavallo da tiro, e le sue ali si agitavano lente e silenziose.
Lazhar emise un grido roco e graffiante che sapeva di dolore.
Le scaglie erano di un pallido marrone e il corpo flessuoso ricordava quello di un serpente. La coda ciondolava da una parte all'altra. Gli artigli, neri come pietra lavica, brillavano minacciosi e Dhana sapeva bene quanto potessero essere letali a causa del veleno.
Presa dal panico corse nella direzione opposta. Correva senza curarsi di nulla, né della fatica che le bruciava i polmoni né delle grida vittoriose degli uomini del Marah che probabilmente avevano finalmente fermato Graf. Inciampò più volte e rialzandosi si costringeva ad avanzare, perché nulla la terrorizzava più di diventare il pasto di quelle creature.
In lontananza la viverna emise un verso di compiacimento, ma lei non si voltò.
Si assicurò solo di avere il ginocchio ben fasciato e proseguì fino all'estremità più a sud della miniera. Il cancello in quel momento non era sorvegliato e Dhana riuscì a sgusciare nella fessura tra i due portoni. Altri schiavi avevano avuto la stessa idea, ma lei non li seguì.
Le gambe le tremavano e benché non avesse più la forza di fare nulla si impose di continuare a camminare. Si inerpicò sul versante della montagna, mentre ciottoli di pietra scivolavano di sotto. I piedi la imploravano di fermarsi e la gola supplicava per avere dell’acqua, ma Dhana si morse la lingua e scalò la parete cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lei e le viverne.
Alla fine trovò una piccola rientranza e si rannicchiò al suo interno. Faceva freddo e persino da quell'altezza riusciva a sentire le grida disperate degli schiavi che chiedevano clemenza alle guardie. Ansimò così a lungo che si chiese come non facessero a sentire il suono del suo respiro giù alle miniere.
Lazhar si agitò sulla sua pelle e lei gli sfiorò il muso, facendosi cullare dal mormorio consolatorio del drago. Aveva paura, era quella l’unica verità. La maggior parte della sua vita l'aveva trascorso in un palazzo pieno di effigi di draghi, circondata da servitori e soldati che sarebbero morti per lei. Ed era stato proprio quello il loro destino alla fine.
Era cresciuta con la convinzione che gli Ehorin e i loro draghi non potessero essere sconfitti, ma in una notte quella convinzione era stata spazzata via. Le viverne avevano cancellato Menfhis dalla mappa geografica e con essa...
Si avvolse con le braccia e pregò che nessuno la scovasse. Era salita sulla montagna nella speranza di confondere eventuali inseguitori e non dubitava che i soldati avrebbero ispezionato ogni strada e villaggio vicino.
Si appisolò sognando immagini di distruzione, affiancate a scene di morte. Si svegliò a più riprese, ma alla fine la sua mente cedette e si addormentò definitivamente.
 
 

Un attimo prima di aprire gli occhi, Dhana capì di essere perduta. Aveva avvertito il freddo di una lama poggiata sul collo e il fiato di uno sconosciuto alitarle sul volto.
“Ti sei svegliata, dunque” esordì spazientito.
Era un ragazzo dagli occhi scuri, i capelli castani legati in una coda e lo sguardo compiaciuto di chi ha portato a termine ciò che si era prefissato.
Aveva con sé ogni tipo di arma: una spada, dei pugnali e una frusta. Indossava un'armatura d'argento e guanti neri con ricamato sopra lo stemma del Marah.
Dhana aveva conosciuto solo un'altra persona che portava quel tipo di riconoscimento e capì che il suo viaggio si sarebbe concluso lì in una grotta dell’Impero di Pars.
Lei non rispose e chinò il capo perché lì, nel posto più improbabile che potesse esserci, aveva incontrato il figlio secondogenito del Marah.
Caleb, era quello il suo nome. L'aveva imparato all'età di dieci anni, insieme al nome del fratello maggiore, Gideon, colui che sarebbe dovuto diventare suo marito se il Marah non avesse deciso di spezzare il patto stipulato con gli Ehorin .
A differenza di Gideon, Caleb somigliava in modo impressionante all'uomo che aveva causato la sua rovina. Aveva gli zigomi alti e dei lineamenti marcati che gli conferivano un'aria cupa.
Il principe inarcò un sopracciglio e alzò un braccio. Di riflesso Dhana si portò le mani alla testa, certa che l'avrebbe colpita.
Quando il colpo non arrivò si arrischiò a guardarlo di nuovo.
“Sei stata astuta a nasconderti quassù. Gli altri schiavi che hanno tentato la fuga sono stati trovati nascosti lungo la strada principale e riportati alla miniera dopo poche ore.”
Dhana rimase in silenzio.
Caleb si allungò in avanti e le afferrò il mento, studiandola con fare assorto. “Una scelta curiosa. Nessuno ti avrebbe mai trovato se Karo non avesse fiutato il tuo sangue.” All'esterno risuonò il ruggito della viverna che aveva visto in precedenza.
“Sei muta forse?” la interrogò infastidito. “Qual è il tuo nome?”
Lei strinse i pugni e socchiuse le labbra. “Dhana” rispose.
Lazhar emise dei sibili bassi e continui, pregandola di liberarlo, ma se lo avesse ascoltato e lui fosse riuscito a uccidere il figlio del Marah non ci sarebbe stato modo di giungere nella capitale nemica. L'esercito di Valantia le avrebbe dato la caccia in ogni angolo del continente e nessuno si sarebbe schierato in suo aiuto. Le vecchie alleanze si erano sciolte con la caduta di Menfhis.
“Puzzi... e sei sporca” commentò Caleb con una naturalezza che fece infuriare Dhana.
“Attendevo che tu venissi a salvarmi” replicò beffarda.
Caleb spalancò gli occhi e incredibilmente scoppiò a ridere mentre il sole illuminava di riflessi ramati i suoi capelli. La viverna si avvicinò, ma il figlio del Marah la allontanò con un gesto.
“Sei intelligente” riprese e lei non capì come interpretare quella frase. “Per essere una schiava” chiarì subito dopo.
Viscido bastardo! Ti strapperei la testa se-” inveì il drago.
Zitto Lazhar!” gli ordinò lei. “La viverna potrebbe percepire la tua presenza!”
Caleb srotolò la frusta e con uno schiocco la avvolse attorno al polso di Dhana, tirandola verso di sé con la forza. “Potresti essere anche carina sotto quel cumulo di sporcizia. Verrai con me” decretò, lasciandola spaesata.
“Lasciami!” gridò lei, tentando invano di liberarsi.
Lui si voltò di scatto. Il suo sguardo era feroce, quello di un principe abituato ad ottenere tutto. “Sono io a dare gli ordini” dichiarò lapidario. Furono raggiunti dalla viverna che spalancò la bocca e mostrò la lingua biforcuta.
L’alito puzzolente investì Dhana che ebbe un conato di vomito.
Caleb sogghignò e la spintonò verso Karo che piegò il muso per fiutarla meglio. I suoi occhi rossi si muovevano da una direzione all'altra, sospettosi.
Dhana fu issata con forza sul dorso della creatura e inutili furono i suoi tentativi di resistenza.
Sotto di lei sentiva i muscoli della viverna contrarsi e rilassarsi. Le squame erano lisce e scivolose, non dure e grezze come quelle dei draghi. Era una sensazione che la metteva a disagio.
Una volta al mercato di Denguls aveva osservato un fachiro ammansire un serpente con il flauto e poi carezzarlo come fosse stato un cane o un gatto. Alla conclusione dell'esibizione era andata da lui per parlargli, ma non aveva trovato il coraggio di toccare il rettile. Aveva sempre avuto un'avversione per le creature che strisciavano sul terreno, dalle innocue lumache e vermi fino ai serpenti. Più volte, si era chiesta se quella repulsione fosse dovuta all’eredità Ehorin.
Karo spalancò le ali, le zampe si staccarono dal terreno, e loro si trovarono sospesi nel cielo blu terso. La viverna sfruttò alcune correnti ascensionali e salì in alto. Dhana si lasciò sfuggire un urlo quando la creatura virò bruscamente a destra, dandole così modo di vedere il campo schiavi delle miniere.
I sopravvissuti alla notte precedente erano stati radunati davanti all'ingresso di una galleria e in piedi procedevano uno dietro l'altra con in mano un secchio di legno ciascuno.
I morti erano stati accatastati in una fossa comune, insieme ai cadaveri dei soldati e qualcuno vi stava spargendo sopra dell'olio. Al cenno di un segnale prestabilito una torcia fu gettata a terra e le fiamme avvolsero i corpi senza vita. Un fumo nero e acre si levò in cielo, facendola tossire.
Era quella la fine che sarebbe toccata a lei?
Nemmeno Lazhar aveva risposta per quella domanda e mentre il fumo diventava più denso i suoi occhi scorsero Graf, seviziato dai soldati del Marah. Lo schiavo era stato fatto inginocchiare al centro del piazzale dove solitamente venivano caricati i carri di damantis. Gli uomini gli sputavano addosso, colpendolo talvolta con dei bastoni. Il viso di Graf era una maschera di sangue e il suo corpo tremava nel tentativo di resistere a quelle percosse.
Una folata di vento più forte delle altre rischiò di farle perdere la presa e Dhana ringraziò Zha per non averla fatta precipitare.
“Piccola ribelle” si appellò il principe rivolgendosi a lei. “Credevi di fuggire e sei finita tra le braccia del cacciatore” proseguì insolente.
“Tu sei una schiava e io il tuo padrone. Ormai appartieni a me e farai ciò che comanderò.”
Dhana fece una smorfia, grata che lui non potesse vederla. Un tempo era stata portata a credere che il primato di arroganza dovesse per forza di cose appartenere al principe ereditario, ma Caleb Ned’deq poteva facilmente tenere il passo del fratello.
Karo virò a destra, lontano dal miasma fetido e Dhana si arrischiò a prendere una boccata d’aria per allentare la tensione dei muscoli.
“Perfino in questo angolo sperduto di Pars il mio nome è noto a chiunque. La prossima volta che ci vedremo tu ti inchinerai, piccola ribelle.”
Dhana ebbe uno spasmo alla mano nel sentirlo usare nuovamente quel soprannome.  “Sentiti onorata di trovarti al mio fianco. Io sono Caleb, di Valantia, principe dell’Impero parsiano.” si presentò il figlio del Marah, che in volo era perfettamente a suo agio. Lei gli avrebbe sputato in faccia se non avesse rischiato di morire.
Poi lui afferrò le briglie della viverna e Karo, rispondendo ai suoi comandi, scese lentamente di quota. Sembrava quasi che galleggiasse nell’aria.
“Rallegrati” le suggerì infine in modo pacato. “Tu sei stata scelta. L’ultima di sette.”
E cosa vorrebbe dire?” intervenne Lazhar.
Dhana avrebbe voluto fare domande, ma quando finalmente atterrarono Caleb la fece scendere con uno strattone e le indicò Graf, più in là, che la fissava ma senza guardarla davvero. Gli leggeva la colpa negli occhi, il dubbio di chi crede essere la causa degli eventi.
A differenza sua, però, Dhana era certa di una cosa: se qualcuno era colpevole quello non poteva che essere il Marah.
 
 
 
 
 
 

Informazioni: È passato moltissimo tempo da quando ho postato un’originale su EFP e in verità questa sarebbe dovuta essere una storia lampo, 4-5 capitoli al massimo, ma la cosa mi è sfuggita di mano!
Si tratta di una storia fantasy di stampo classico, alla "Sword and Sorcery". Quando l'ho ideata non pensavo che mi avrebbe portato al punto in cui è adesso.
Ed è così è nata una storia di draghi, stirpi spezzate e regni dimenticati. La storia spazia in luoghi tra loro molto diversi: tra foreste verdeggianti, cupe miniere e deserti infiniti. Spero che vorrete intraprendere con me questa nuova avventura! :)
Ringraziamento speciale a: Harmony394 che ha letto in anteprima la storia e mi ha dato preziosi consigli!
 


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