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Autore: LittleGinGin    02/09/2016    2 recensioni
Poteva sentire le schegge penetrargli lentamente nella carne nuda delle spalle mentre cercava di farsi piccola tra le ombre della notte.
Trattenne il fiato.
Tremante, si premeva contro l'imponente porta di legno, i muscoli tesi, le unghie conficcate nei palmi serrati.
Non doveva essere lí.
Era sbagliato.
Era un errore. Lo sapeva bene.
[...]
Non doveva essere lì.
Non doveva essere nella camera di Jon.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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E anche settembre è arrivato, portando con sè tanta angoscia e compiti delle vacanze da finire, esami da fare, e i soliti, soffocanti problemi.
Ma non stiamo a parlare di questo - altrimenti vado in ansia -. Buone anime, se avete aperto questa storella, e state leggendo queste mie cavolate, vi ringrazio con tutto il cuore.
Non perdiamo troppo tempo, (non sono mai stata un asso con queste specie di introduzioni) e vi lascio alla lettura - speriamo almeno decente - di questa fanfiction scritta durante l'estate, insieme ad altre che pubblicherò poi.
Quindi, un grazie gigantesco a tutti coloro che la leggeranno, sia chi in maniera silenziosa sia chi lasciando un pensierino.
Un bacione dalla pazza Gin




 


 

Sleeping At Last North


 
 
 





 
 
Poteva sentire le schegge penetrargli lentamente nella carne nuda delle spalle mentre cercava di farsi piccola tra le ombre della notte.

Trattenne il fiato.

Tremante, si premeva contro l'imponente porta di legno, i muscoli tesi, le unghie conficcate nei palmi serrati.

Non doveva essere lí.

Era sbagliato.

Era un errore. Lo sapeva bene.

Eppure, mentre il cuore le galoppava incessante nelle orecchie, non riusciva ad andarsene.

Ascoltò il silenzio della notte abbattersi sul Castello Nero, fischiava il vento trasportando la neve che tanto aveva sognato quando era prigioniera di Jeoffry.

Il cuore batteva impetuoso nel petto, troppo veloce, troppo agitato – forse l'avrebbe scoperta per questo –. I capelli le ricadevano scomposti sul viso
spaventato.

Non doveva essere lì.

Non doveva essere nella camera di Jon.
 

Si era svegliata nel cuore della notte, annaspando, il corpo bagnato di sudore, i resti di quell'incubo ancora vividi dietro le palpebre. Come ogni notte.
Soffocata dalle tenebre, andava alla deriva, senza più respiro, persa in quel mare di ombre e spettri che lentamente la divoravano dall’interno.
Da quando aveva ritrovato Jon, però, si sfilava lentamente dalle pesanti coperte, indossava un mantello e, attenta a non farsi vedere,  percorreva i lunghi corridoi di quell’estranea fortezza fino a raggiungere le stanze del Lord Comandante. Poi rimaneva lì, d'avanti alla porta, le dita a sfiorare il legno rovinato dal tempo. 
Ascoltava il silenzio accerchiarla, e il cuore che lentamente riprendeva a battere meno spaventato. Era al sicuro. E quando il freddo le penetrava le carni, intorpidendole le dita e arrossandole le guance, come svegliatasi da un profondo sonno, correva via verso la sua stanza, chiudendosi dentro spaventata, gli occhi fissi in un punto oscuro, e l'eco dei suoi pensieri e di qualcosa di profondamente sbagliato nel corpo.
 

Questa volta, invece, era entrata.

Era stata svegliata da un incubo più violento del solito: Inginocchiata sulle pietre fredde di Grande Inverno, Ramsey la guardava dal trono con un sorriso sadico, sporco, trionfante dipinto sul volto. Poi tutto accadde rapido: le sue mani strette attorno al suo collo, - un singhiozzo -, i polpastrelli che le comprimevano la trachea, - un rantolo -, il peso del suo corpo sopra il suo, il pavimento freddo, le proprie lacrime, la sua risata, il rumore delle vesti strappate, occhi, quell’intrusione forzata, e quel brillante e meraviglioso rosso che le imbrattava il corpo nudo e pallido. Ramsey rideva, rideva sopra di lei, accanto le carcasse fredde e decomposte dei propri fratelli.

Senza neanche afferrare una coperta, era corsa disperata per i corridoi, le lacrime a bagnargli il volto scarno e, prima anche solo di rendersene conto, aveva aperto la porta, ed era entrata.
 

Spettro le annusò teneramente una mano, lasciandosi coccolare da quel suo tocco gentile, poi, tranquillo, zampettò fino al suo cantuccio, rimettendosi a dormire.

La giovane Lady di Grande Inverno rimase immobile, la paura di esser scoperta che le pulsava nella tempia destra.

Era sbagliato. Era tutto cosi sbagliato.

Non doveva trovarsi lì. Non doveva starsene nella camera di Jon, con addosso nient'altro che una camicia da notte e il desiderio - folle - di lanciarsi verso di lui e abbracciarlo e sentirlo vivo, il cuore palpitante sottopelle, la carne rosea e i suoi occhi, profondi come le notti più buie, fissi su di lei, rassicuranti, mentre le sue mani, grandi e callose, la stringevano a sé mormorando protezione e sicurezza, promettendole una casa.

Si strinse le mani al petto, scivolando verso il pavimento, gli occhi ricolmi di lacrime.

Non voleva più stare sola, non voleva più sopportare quell'atroce agonia in solitudine.

Senza che potesse impedirlo, si lscio travolgere dalle lacrime, prendendo a singhiozzare– una mano premuta sulla bocca nel disperato tentativo di coprirne i suoni che la scuotevano, violenti.

"Sansa?"

Si bloccò di colpo.

Rimase in silenzio, gli occhi sgranati nascosti dalla chioma vermiglia cadente sul volto, il fiato stretto in gola. Non poteva aver sentito bene, doveva aver associato il rumore del vento o la voce di una qualche vedetta al proprio nome, visto quanto era spaventata.

Non doveva essere–

"Sansa"

Si sentì richiamare, con voce più ferma, decisa. Reale.

Strinse gli occhi mentre le lacrime cominciavano nuovamente a solcarle il viso e, colpevole, alzò lo sguardo incontrando, tra i veli della notte, quello di Jon, confuso e allarmato.

Non disse nulla nel disperato tentativo di trattenere i singhiozzi.

Come avrebbe spiegato quell'intrusione? Come avrebbe spiegato l'irrefrenabile desiderio di buttarsi tra le sue braccia e baciare quella pelle dilaniata dal tradimento dei propri compagni?
Un moto di disgusto la travolse facendola rannicchiare ancor di più tra le ginocchia.

Jon le corse incontro prendendola per le spalle e scrutandola spaventato.

"Cosa sta succedendo? Ei… Perché piangi?"

Sansa si lasciò crollare tra le sue braccia, le lacrime che avevano preso a uscire furiose, a ricacciar fuori quel dolore troppo a lungo represso.

E si sentiva così al sicuro, tra le sue braccia, si sentiva nuovamente a casa, stretta al suo petto.

Jon le circondò la vita in un abbraccio, lasciandola sfogare contro il proprio corpo.
Non capiva il motivo della presenza della sorella nella sua stanza, ma a questo avrebbe pensato dopo. Vederla così fragile, scossa dai singhiozzi, tremante, lo distruggeva.

"Va tutto bene"

Sussurrò al suo orecchio mentre il suo odore gli invadeva le narici. Dopo alcuni ultimi singulti, Sansa si calmò, rimanendo immobile, nascosta tra le braccia di suo fratello – la sua famiglia.

Era così bello, sentirsi salve, a casa, amata. Non sentirsi più sole.

Sansa non lo era più. Jon sarebbe rimasto al suo fianco, bello, forte, un guerriero dall'animo nobile.

Affondò il volto nell'incavo della spalla, premendo contro la pelle nuda le proprie labbra.
Lo sentì fremere – non sapeva se per il disgusto di un tale gesto affrontato o altro –.

Lo Snow l'afferrò per le braccia, costringendola ad alzare lo sguardo quel tanto che bastava da incontrare il proprio.

Aveva bisogno di vederla in faccia, per ricordarsi chi fosse:
Sansa Stark, Lady di Grande Inverno, secondogenita di Eddard Stark e Catelyn Tully, mia sorella–
sorellastra, lo corresse una voce quasi ringhiando.

Inghiottì a vuoto, il fiato stretto in gola, mentre sotto il suo tocco la pelle della Stark si tramutava in lava bollente, e si faceva più calda, più rossa, più ansante.
Un ultimo sguardo, pieno di desiderio, alla ricerca di un qualche indizio, un consenso. Poi furono labbra contro labbra, bocca contro bocca, le lingue perse in una danza afrodisiaca che sapeva di loro.
Jon premette la bocca contro la sua, in un bacio lungo e rinfrescante, prima di afferrarla per la vita sottile e stringerla al proprio corpo.
Sansa intrecciò le gambe ai fianchi di Jon premendosi contro l'erezione tesa nei pantaloni, le mani affondate in quella nube di riccioli.

Non si dissero nulla.

Niente ripensamenti, niente rimorsi, neanche un pensiero.

Adesso, tutto quello che contava, tutto quello di cui avevano bisogno, era di sentirsi, di toccarsi, e sapere che l’altro era lì, vivo, al suo fianco, e con lui.

Niente di più.
   
 
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