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Autore: imaginarykat    02/09/2016    4 recensioni
Anakin è consapevole di cosa dicono i polsi di Obi-Wan.
Su quello sinistro è scritto
Anakin Skywalker con lettere chiare e taglienti, la grafia elegante di Obi-Wan.
Su quello destro è scritto
Darth Vader, scempiato e quasi indecifrabile, i caratteri affilati ed estranei, circondati da quelle che somigliano a delle bruciature.
{ Obi-Wan/Anakin | One shot | 5311 parole | Soulbond!AU | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Obi-Wan Kenobi
Note: AU, Soulmate!AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): non c’è niente che mi faccia cadere le braccia come vedere che su EFP ci sono pochissime Obikin. I miei cuccioli non ricevono abbastanza amore. *li abbraccia*
 Piccola precisazione prima di cominciare a leggere: questa storia è ambientata in una soulbond!AU, ovvero in un universo in cui tutte le persone sono destinate a trovare l’anima gemella che il destino ha scelto per loro. Questa in particolare è collocata in una realtà in cui ogni individuo ha dei tatuaggi sui polsi, uno in cui è indicato il nome della propria anima gemella e l’altro in cui è scritto quello del proprio acerrimo nemico. Il titolo, inoltre, è tratto dalla canzone Various Storms & Saints dei Florence + The Machine.
 Il link alla versione originale è qui, ma in generale vi consiglio di leggere tutte le fanfiction di quest’autrice. Sul serio, credo che sia la mia fanwriter preferita per quanto riguarda questa ship. Comunque sia, buona lettura!










you sing it out loud, “who made us this way?”
di imaginarykat




i. Obi Wan

La prima volta che Qui-Gon lo informa che porteranno con loro il bambino di Tatooine, Obi-Wan ruota gli occhi.

 «Il Consiglio non lo apprezzerà» dice al suo Maestro. «Non lo apprezzerà per niente».

 L’occhiata che Qui-Gon gli scocca da sopra la spalla, sebbene breve, è carica del parere che ha dell’opinione del Consiglio in proposito. Obi-Wan sospira, ma non ribatte: è impossibile cercare di convincere Qui-Gon del contrario quando si fissa su qualcosa.

 Quando il bambino entra nella nave, Obi-Wan gli si avvicina attraverso la Forza con cautela, curioso di scoprire quello che ha percepito Qui-Gon in lui. Nota immediatamente che, dentro di sé, il bambino ha del potere, ma anche… qualcos’altro, una strana sfumatura di intimità che Obi-Wan non sa come interpretare.

 Scrolla le spalle e si ritira. Lo chiederà a Qui-Gon. Più tardi.

 Per adesso, si piazza di fronte al bambino, le presentazioni d’obbligo. Si appoggia contro il muro e si schiarisce la gola. Il bambino solleva il mento e lo scruta con uno sguardo audace e Obi-Wan sorride.

 «Allora, tu chi sei?» gli domanda.

 «Mi chiamo Anakin Skywalker».

 Il sorriso svanisce dal viso di Obi-Wan e, per un momento, ha paura che svanirà anche lui: è come se il suolo gli fosse scomparso da sotto i piedi. La voce del bambino gli rimbomba nelle orecchie come un’eco e si fa burla di lui. Anakin Skywalker. Un nome che ha visto talmente tante volte da diventargli familiare, un nome al centro della sua attenzione sin dall’infanzia, un nome che ha sempre fatto parte di lui, che lo marchia sul lato interno del polso sinistro con affusolate lettere nere.

 Obi-Wan si inginocchia lentamente, affinché le sue iridi siano allo stesso livello di quelle di Anakin. Spera che l’espressione che ha assunto abbia almeno la parvenza di affabilità e non somigli piuttosto a una smorfia leggermente turbata.

 «Piacere di conoscerti, Anakin Skywalker. Io sono Obi-Wan Kenobi» si introduce e attende, attende, ma il bambino non ha alcuna reazione, neanche il più piccolo barlume di identificazione.

 «Che nome buffo» commenta Anakin con tutta l’innocenza di un bambino ignaro.

Non ha idea di chi io sia si rende conto Obi-Wan, un peso che gli si annida nelle ossa. D’un tratto si sente assurdamente vecchio, la sabbia sotto le palpebre, il nome del bambino inciso nella pelle.

 Obi-Wan non esamina i polsi di Anakin. Invece lo sollecita a parlare delle corse degli sgusci, della vita su Tatooine, di sua madre, e fa del suo meglio per respingere la delusione e rinchiuderla a chiave in un angolo della memoria.




ii. Obi-Wan

Quando Qui-Gon comunica al Consiglio che intende prendere il bambino come suo Padawan, Obi-Wan non lo contraddice.

 Avanza di un passo e dichiara di essere pronto, perché è ciò che tutti si aspettano da lui, perché è la cosa giusta da fare, ma quando Qui-Gon si volta nella sua direzione con un’aria grata, Obi-Wan non riesce a sopprimere l’amara impressione di essere stato tradito.

 Sa che loro sono dei Jedi. Che non dovrebbero essere emotivi. Che non dovrebbero affezionarsi. Che non dovrebbero serbare rancore. Sa che non può restare eternamente un Padawan. Ciò non cambia il fatto che quella situazione lo ferisca, in modo semplice e tagliente.

 Ed eccoli lì.

 Il suo Maestro: colui che gli è sempre stato accanto ed è saggio e gli è costantemente d’aiuto, sebbene mantenendo le distanze.

 La sua anima gemella, in apparenza: un bambino che non lo ha mai udito nominare prima d’ora.

 E lui: il cuore dolorante e la mente confusa, bloccato nel mezzo eppure d’un tratto tagliato via da entrambi per colpa della decisione di Qui-Gon, dalla persona a cui vuole bene e dalla persona a cui ne vorrà, se Obi-Wan compirà il percorso tracciatogli dal fato.

 Quando escono dalla sala del Consiglio, afferra per il braccio il suo Maestro, china il capo in segno di rispetto ma ha ancora le fiamme nelle iridi. La sua bocca caccia delle parole di rabbia prima di riuscire a riflettervi sopra, prima di riuscire a fermarsi.

 «Sei uno stupido per disobbedire al Consiglio».

 «Padawan». C’è una chiara nota di avvertimento nella voce di Qui-Gon, ma Obi-Wan ha già espresso la sua opinione e non può ritrarla, non adesso, non così, non con la testa talmente ricolma di interrogativi che ha l’impressione che stia per scoppiare da un momento all’altro.

 Si arrotola febbrilmente le maniche della toga, indica i tatuaggi sui polsi.

 «Perché li abbiamo se ci è vietato avere dei legami?» chiede, la voce sul punto di incrinarsi.

 Qualunque cosa sia quella che Qui-Gon scorge nei suoi occhi lo fa sospirare e distogliere lo sguardo, ma, una volta giratosi nuovamente verso Obi-Wan, l’espressione dell’anziano Jedi è in un certo senso più delicata, piena di una strana melanconia che Obi-Wan ha intravisto di rado in tutti gli anni trascorsi insieme come Maestro e Padawan.

 «Persino il Codice dei Jedi non ha una risposta a tutto, mio giovane allievo» replica Qui-Gon con un sorriso. «E il Consiglio non ha sempre ragione».




iii. Obi-Wan

Meditare gli dà pace. È seduto a gambe incrociate sul pavimento, la schiena dritta e il mento in su, schiudendo se stesso alla Forza e attendendo di essere inondato da essa.

 Non arresta il fiume di idee che gli scorre nella mente, è un mero osservatore che dà al flusso il permesso di sgorgare.

 Pensa ad Anakin: rammenta di aver sorriso al bambino che ha preso come Padawan, rammenta il loro primo incontro e le molteplici cose che sono cambiate da allora e quanto poco sia veramente cambiato.

 Pensa a Qui-Gon: rammenta di aver assistito al crollo del suo Maestro al suolo, colpito da una spada laser, rammenta di aver compreso in quell’istante il significato del termine “nemico”, forse per la prima volta in vita sua.

 Pensa a Darth Maul: rammenta di essere stato sicuro che colui che ha combattuto e sconfitto si trattasse del misterioso Darth Vader, rammenta di essersi sentito vuoto quando ha scoperto che le sue convinzioni erano errate.

 Gli sembra che tali memorie appartengano a un tempo lontano e ad adesso al contempo, e respira e respira, calmo, distaccato ma conciliante con le sue emozioni, carpendo le realtà dell’universo e di se stesso. Attraverso la Forza avverte qualcun altro, la scintilla familiare che riconoscerebbe ovunque. Gli angoli delle sue labbra si incurvano in un sorriso quando capisce che Anakin si sta avvicinando, ode i suoi passi, sommessi ma non irrilevabili, sebbene stia imparando con rapidità a muoversi silenziosamente.

 Il ragazzino gli casca accanto e comincia a tirargli la manica.

 «Maestro».

 «Non dovresti essere a letto, Anakin?»

 «Ho un dubbio». Gli tira ancora la manica, questa volta con più energia.

 Obi-Wan alza le palpebre e si gira verso Anakin. «Be’, ti ascolto».

 «È vero che le persone… sui loro polsi, hanno dei tatuaggi con su sopra scritti dei nomi? Oggi al Tempio ho origliato qualcuno che l’ha menzionato e… credevo che fosse solo una leggenda di Tatooine». Guarda Obi-Wan con un’aria lievemente confusa e spaventata.

 Obi-Wan alza le sopracciglia, ha di nuovo come la sensazione di avere un prurito ai marchi sui polsi. «Che intendi con è vero? Tu… non ce li hai?»

 L’espressione di Anakin si illumina per la curiosità. «Tu

 «Ma è naturale, ogni… Anakin» si interrompe Obi-Wan, e attraverso la Forza coglie il nervosismo del suo Padawan, l’impulso di scappare, di nascondersi, di non toccare più l’argomento. «Mostrami i tuoi polsi» dice, fissando l’altro negli occhi e chiedendogli tacitamente il permesso.

 Anakin distoglie lo sguardo, ma allunga ubbidientemente le braccia, i palmi schiusi, i polsi in su, e ha un visetto così triste che Obi-Wan non sa come reagire. Stringe tra le mani quelle di Anakin con quanta più delicatezza può, non esattamente certo di che aspettarsi.

 Paiono essere stati… bruciati, per mancanza di un vocabolo migliore: delle cicatrici scure e frastagliate al posto dei nomi.

 «Su Tatooine» spiega Anakin prima che Obi-Wan abbia la possibilità di domandarlo, suonando incomprensibilmente più vecchio della sua età, «è così che sono contrassegnati gli schiavi. Ogni schiavo viene marchiato da bambino, all’interno della pelle è immesso un chip che provoca delle cicatrici su entrambi i polsi dall’esterno. Pensavamo fosse solo…» Scrolla le spalle e le sue parole si affievoliscono.

 È da parecchio tempo che Obi-Wan non concede a se stesso il diritto di provare rabbia, ma essa cresce dentro il suo essere, un’ira gelida, e intorno a lui vortica e vibra la Forza, che crepita per la collera trattenuta a stento.

 Anakin deve averlo percepito, perché i suoi occhi tornano a guizzare in direzione del volto di Obi-Wan, l’ansia stampatagli in faccia.

 «Anakin» lo chiama Obi-Wan, e il piccolo e attento cenno che Anakin gli indirizza è sufficiente perché la tempesta che infuria nella sua mente si plachi. «Mi… mi dispiace. Non ne avevo idea. Non me ne hai mai parlato».

 Anakin scrolla ancora le spalle. Non gli piace raccontare della vita che ha condotto come schiavo. D’altronde, a chi piacerebbe?

 «Quindi tu ce li hai?» mormora Anakin dopo una pausa, timido ma comunque affascinato.

 «Sì».

 «Posso vederli?»

 Obi-Wan esita, il polso sinistro che brucia di uno strano dolore che sa che non esiste davvero. Non riesce a immaginare la reazione di Anakin.

 «Per favore?»

 Non ha il coraggio di mantenerlo segreto, di rifiutare al suo Padawan la soddisfazione di appagare la propria curiosità. Obi-Wan gli sorride e porge i suoi polsi nelle mani di Anakin.




iv. Anakin

Anakin è consapevole di cosa dicono i polsi di Obi-Wan.

 Su quello sinistro è scritto Anakin Skywalker con lettere chiare e taglienti, la grafia elegante di Obi-Wan.

 Su quello destro è scritto Darth Vader, scempiato e quasi indecifrabile, i caratteri affilati ed estranei, circondati da quelle che somigliano a delle bruciature.

 Si chiede che aspetto avrebbero i suoi tatuaggi.

 Agli schiavi non è concesso il privilegio, il lusso di avere un’anima gemella: adesso lo sa. Non conserva alcun ricordo del momento in cui gli sono stati rimossi i marchi. Probabilmente è accaduto molto tempo fa, quando era ancora piccolo. Un promemoria di come la vita non gli appartenesse.

 Non è più un bambino, né uno schiavo. Ha tuttavia ancora l’impressione di non avere una vita sua.

 A volte discute con Obi-Wan, minaccia di abbandonare l’Ordine, cerca conforto tra le braccia amorevoli di Padmé. Lei lo ascolta incessantemente, lo capisce, lo persuade a lasciar perdere le idee avventate e lo aiuta a prendere le giuste decisioni: quando è con lei, ogni cosa ha senso.

 Lui l’ama: è l’unica cosa di cui è pienamente sicuro. Lei è radiante e bellissima, è come le stelle calorose e scintillanti della galassia, i fiori di un prato illuminato dal sole, ciò che rimane di buono al mondo. Farebbe di tutto per lei, per proteggerla. Gli è impossibile immaginare una vita senza Padmé, senza il suo sorriso, la sua risata, le sue mani delicate che gli carezzano il viso come se Anakin fosse la cosa più preziosa di sempre.

 Ma lui ama anche Obi-Wan.

 Obi-Wan, che gli bacia le vecchie cicatrici sui polsi, le iridi grigie-blu che lo scrutano con un amore così puro, così gentile, così assoluto da obbligarlo a distogliere lo sguardo. Obi-Wan, che gli è eternamente accanto, non importa quanto litighino e non vadano d’accordo, non importa quanto si arrabbino con l’altro. Anakin continua a tornare da lui a fine giornata, si scusa, scorge i polsi di Obi-Wan e si sente mortificato.

 Quale onore è essere amato da un essere così splendente e celestiale, di una bontà tale da rendere quasi doloroso ogni tentativo di guardarlo direttamente.

 Anakin stringe i pugni quando, con il passare dei giorni, sorprende se stesso nell’atto di scandagliare dei nomi che non ci sono, scandagliare una certezza: qualsiasi cosa sarebbe meglio di questa ignoranza, della conoscenza che gli spetta ma che gli è stata strappata via. L’universo però toglie e toglie, a quanto pare, e non restituisce alcunché in cambio.

 «Non fa niente, Anakin» gli sussurra all’orecchio la voce dolce di Obi-Wan, «e va tutto bene. Non mi devi nulla». E Anakin seppellisce la faccia nella spalla di Obi-Wan, piange, piange finché non gli si asciugano gli occhi e gli si svuota il cuore. Obi-Wan lo bacia sulla sommità del capo.

 «È un dono, Anakin. Il fato ti ha permesso di scegliere».




v. Obi-Wan

Con la guerra in corso non gli è concesso dormire granché.

 La galassia ha bisogno di loro, ha bisogno della protezione e dei consigli che forniscono, e talvolta Obi-Wan ha la sensazione di non riposare affatto per settimane intere, il tempo diviso tra le lotte, le negoziazioni, i dibattiti sulle strategie militari e le preoccupazioni sul futuro.

 Percepisce sempre la presenza di Anakin, però, non importa quanto distante sia, non importa cosa succeda. Attraverso la Forza, attraverso la loro connessione, anche se non sono insieme, è conscio che Anakin è là fuori, vivo, e di tanto in tanto si tratta dell’unica cognizione che gli consente di superare le giornate estenuanti.

 Ma ci sono anche dei momenti di calma. Be’, calma.

 A sera tarda si dimenticano di quanto possa essere crudele il mondo. Sono distesi insieme, le gambe intrecciate, le dita tra i capelli e le mani che vagano sulla schiena dell’altro, stringendosi come se le loro vite ne dipendessero, e forse è vero.

 Anakin ansima nel suo orecchio e inarca la schiena, si muove contro il suo corpo nell’oscurità, e c’è una tinta di disperazione nei loro gesti, ma non fanno alcun cenno al riguardo.

 A volte Anakin si porta i polsi di Obi-Wan alla bocca e li bacia, bacia il proprio nome mentre sorregge lo sguardo gentile di Obi-Wan, bacia l’altro polso con ferocia, i denti che sfiorano la pelle.

 «Non gli permetterò di farti del male» promette a Obi-Wan e, sebbene siano entrambi al corrente di quanto infantili e ingenue sembrano quelle parole, non fanno alcun cenno nemmeno a questo.

 Obi-Wan ha un sorriso triste in volto, abbraccia Anakin che dorme con la testa posata sul suo petto. Fissa il suo polso destro e riflette. Ha conosciuto la pace, ora conosce la guerra, ha visto cose che non aveva mai creduto gli sarebbe toccato vedere, ma di una cosa è certo: l’unica persona che può davvero definire sua nemica è qualcuno che ferirebbe Anakin. Pertanto, se quel nome si trova lì, arriverà il momento in cui… Scaccia via quella considerazione.

 Chi è lui per mettere in dubbio il futuro quando ha tra le braccia Anakin assopito, il respiro cadenzato che regola il battito del suo stesso cuore?

 L’unica cosa che desidera è che Anakin sia felice. Farebbe ogni cosa, qualsiasi cosa perché questo accada, senza neanche esitare, e non domanderebbe nulla in cambio. Anakin che lo osserva con un’espressione di soffice affetto e che sussurra ciò che prova nelle orecchie di Obi-Wan è un onore di una bellezza senza paragoni.

 Obi-Wan non agogna altro.




vi. Anakin

Quando cade in ginocchio di fronte a Palpatine, ha l’impressione di essere sconfitto.

 Il vento soffia dalla finestra rotta e Anakin si dice che è solo a causa dell’aria fresca se sta tremando. I suoi pugni sono talmente serrati da fargli male e lui piange, le lacrime che cadono silenziosamente dagli occhi e che si seccano sulle guance.

 Ricorda a se stesso che lo sta facendo per Padmé. Lo sta facendo per lei, l’unica persona che ha mai amato con tanta intensità.

E Obi-Wan? si chiede e al solo pensiero rischia di cadere a terra, recupera l’equilibrio a stento.

 Sa di essere forte, che si riprenderà e che ne emergerà vittorioso e che farà di tutto per salvarla. Resteranno insieme, al sicuro, e non controbatterà se la galassia imploderà nel suo tentativo di farla sopravvivere.

 E Obi-Wan… Obi-Wan capirà. Ne sarà furioso, ma capirà: gli ci vuole del tempo per comprendere le cose ma, alla fine, ci riesce sempre. Anakin gli spiegherà le sue motivazioni e tutto andrà bene.

 «D’ora in poi sarai chiamato con il nome di Darth Vader» dichiara Palpatine e Anakin scopre un’altra emozione che non avrebbe mai dovuto percepire: la disperazione.

 È come se il suo corpo stesse crollando su se stesso, vuoto e freddo, l’impotenza e l’esterrefazione che gli strappano il cuore a metà.

 Guarda Palpatine, gli occhi che implorano perché e no e mai.

Darth Vader. L’altro nome sul polso di Obi-Wan, quello che ha baciato migliaia di volte, quello contro il quale ha promesso a Obi-Wan di lottare per proteggerlo.

 E in quel momento si rende conto che Obi-Wan non capirà, non lo perdonerà per ciò che sta per fare, non gli lascerà mai chiarire le sue ragioni e, se anche lo facesse, non avrà alcuna importanza. L’universo li ha incastrati perfettamente e Anakin riderebbe, se non fosse per il buco incavato che ha nel petto, proprio all’altezza del cuore.

 Almeno potrà salvare Padmé.

 «Va’ al Tempio dei Jedi» gli ordina Palpatine. Anakin si morde la lingua con tanta forza da sanguinare e ascolta.




vii. Obi-Wan

Mentre cammina tra gli anditi del Tempio dei Jedi, ipotizza che sia questa la sensazione che si prova quando si muore.

 Si inginocchia tra i Jedi massacrati, Maestri e Cavalieri e Padawan. Persino i bambini non sono stati risparmiati. Si raddrizza, si appoggia contro una delle colonne perché non è certo che le sue gambe siano in grado di sostenerlo. Assassinati, tutti loro, con noncuranza, senza un briciolo di compassione o un perché valido, un male così inesplicabile che non crederebbe ai suoi occhi se non fosse per ciò che sente nel cuore, nell’anima, la Forza che canta sommessamente per compiangere gli innumerevoli caduti.

 «Chi può averlo fatto?» chiede, il tono di voce appena più alto di un sussurro, ma non vuole udire la risposta. «Perché?»

 L’aria è silenziosa in una maniera terrificante, i passi lenti di Yoda sono l’unico suono che echeggia nei corridoi vuoti. Obi-Wan abbassa le palpebre, emette un unico singhiozzo soffocato mentre si copre la bocca con una mano.

 Muoversi gli sembra la cosa più difficile che sia mai stato costretto a fare. Che senso ha? Come fai a continuare ad andare avanti quando non sei stato capace di impedire l’omicidio di tutti i tuoi cari?

 Non tutti, si dice tra sé e sé. Se Anakin fosse morto, lo saprebbe. Anakin è ancora là fuori e Obi-Wan lo raggiunge, dischiude se stesso, cerca freneticamente la sua anima gemella per controllare che stia bene. La presenza di Anakin è annebbiata e stranamente distante, ma c’è, e dalla nozione Obi-Wan raccoglie le forze per ricomporsi e seguire Yoda all’interno del Tempio.

 Anakin è ancora vivo da qualche parte. C’è ancora speranza.

 Quando accende l’oloproiettore, è sicuro che si troverà davanti lo sfuggente Signore dei Sith che ha crudelmente orchestrato la guerra e le loro sofferenze. Non afferra perché Yoda lo avverte: ha già visto quello che è accaduto al Tempio. La prospettiva che il suo dolore possa accrescere gli pare impossibile.

 Il video si avvia, mostra il viso di Anakin, e il cuore di Obi-Wan smette di battere.

 È come se gli stessero bruciando le viscere: il volto in lacrime ma impassibile di Anakin mentre colpisce i Jedi con cui si è allenato, con cui ha chiacchierato, con cui ha riso. Li ammazza tutti, senza pietà, senza esitazione.

 È come se Obi-Wan stesse assistendo allo spettacolo della sua stessa vita che finisce.

 Anni fa era convinto che la morte del suo Maestro fosse la cosa peggiore che gli potesse capitare. Mentre Anakin si prostra ai piedi del Signore dei Sith e lo chiama Maestro, tremando e piangendo, Obi-Wan realizza di non aver mai conosciuto prima d’ora il vero significato della parola “dolore”.

 D’ora in poi sarai chiamato con il nome di Darth Vader, recita la registrazione, e Obi-Wan incespica all’indietro. Il suo polso destro è in fiamme e lui ha l’impulso di bruciare il marchio, mozzare la mano intera per non essere costretto a guardare quel nome, per non essere obbligato a ricordarlo, pensarlo e affrontare la realtà. La sua schiena sbatte contro il muro, mentre lui piange lacrime di esterrefazione e mormora, la voce tremula e rotta: «No, no, vi prego, no, tutto, tutti tranne lui, vi prego…»

 Ma non c’è nessuno che possa ascoltare le sue suppliche e le mani gli vacillano talmente che spegne l’oloproiettore a fatica.

 «Vi prego» dice implorando Yoda, il cuore penoso in una maniera che non credeva fosse possibile, «mandatemi a uccidere quel Maestro, quel Signore dei Sith. Vi prego, non Anakin, non lui, non ne sarei mai capace. Non posso… Non potrei… vi prego».

 Yoda scuote la testa. «Sconfitto tu sarai. Troppo forte il Maestro è».

Non m’importa si rende conto Obi-Wan. Non m’importa. Preferirei morire piuttosto che uccidere Anakin.

 «Il ragazzo che hai addestrato non esiste più. Fermato il Sith deve essere».

 Obi-Wan sa che non è vero. Può ancora percepire la presenza di Anakin, distante e spaventata, ma inconfondibilmente sua. Tuttavia sa anche che Yoda non è nel torto.

 Lui è un Jedi. La sua devozione va all’Ordine.

 Cerca di rassicurarsi ribadendo che ne parlerà con Anakin. Lo persuaderà ad arrendersi. Non sa come riuscirà a perdonare i suoi crimini. Ma ci proverà.

 Quando si esamina i polsi, gli viene quasi da ridere, una risata amara e arrabbiata.

 Le leggende sostenevano che i nomi sui polsi delle persone fossero quelli dell’anima gemella e dell’acerrimo nemico.

 Nessuna storia accennava al fatto che si riferissero a colui a cui Obi-Wan ha affidato il suo cuore e a colui che gliel’ha infranto in tanti frammenti, inferendogli dei tagli profondi che sa che non guariranno mai.

 Nessun racconto fa allusione all’eventualità che un’anima gemella e il nemico più mortale siano la stessa persona.




viii. Obi-Wan

Quando arriva su Mustafar, una parte di lui sa, con una certezza straziante, che non lascerà il pianeta vivo. Lo sa, come sa che affronterà Anakin.

Darth Vader deve ripetere a se stesso.

 Ma è cosciente che questa distinzione forzata non sussiste davvero. Sa che affronterà Anakin: lo squadrerà dritto in faccia e pretenderà le ragioni che lo hanno spinto ad agire così.

 Urla quell’interrogativo e, quando Anakin si gira verso di lui, freddo e disperato e molto, molto in collera, Obi-Wan si accorge di conoscere quella persona. «Che ti è successo?» domanda, la delicatezza nel timbro che è estranea persino a lui.

 Non esprime ad alta voce gli altri dilemmi che lo assillano. Perché non me lo hai rivelato, non ne hai discusso con me? Ti avrei aiutato, Anakin. Avrei fatto di tutto per soccorrerti, se me lo avessi permesso. Non eri costretto a farlo. La situazione avrebbe potuto svolgersi diversamente.

 Anakin gli dice che i Jedi si sbagliano e Obi-Wan rammenta che, anni fa, Qui-Gon gli disse la stessa cosa. Anakin gli spiega che lo sta facendo per Padmé e Obi-Wan quasi simpatizza con le sue motivazioni. Ma non ha scordato le facce dei Jedi massacrati al Tempio: è come se adesso lo osservassero e lo stessero pregando di fare loro giustizia. Il Sith deve essere fermato. Obi-Wan ne è consapevole.

  È consapevole di ciò in cui Anakin si è trasformato, lo può vedere nei suoi occhi. Ma in essi scorge qualcos’altro, paura e indecisione, e non vorrebbe sperare ma lo fa, spera invano che Anakin possa essere salvato, convinto ad abbandonare la propria battaglia.

 Nel momento in cui le loro spade laser si scontrano l’una contro l’altra, fatali e scintillanti, sa di aver fallito.

 Tu puoi scegliere, ha detto Obi-Wan ad Anakin. È solo che non ha mai pensato che la sua anima gemella, il suo miglior amico, il suo Anakin, potesse scegliere di intraprendere un cammino che avrebbe portato alla distruzione di entrambi.

 La loro lotta è un crudele riverbero dei loro anni trascorsi insieme, i loro allenamenti, le loro meditazioni, le loro discussioni, la presenza con cui hanno costantemente attorniato l’altro come se fosse la cosa più naturale al mondo. Nessuno conosce Obi-Wan meglio di Anakin. E lui avrebbe voluto che anche l’opposto fosse vero, ma, mentre devia a stento l’ennesimo colpo, riflette che si è sbagliato e che anche l’universo era in errore. È così che dovevano andare le cose? Non ha mai amato nessuno nemmeno la metà di quanto ha amato Anakin.

 Gli sembra che sia passata una vita da quando l’uomo di fronte a sé gli ha promesso di proteggerlo da Darth Vader.

 Anakin lo attacca e Obi-Wan perde terreno, para, schiva, blocca, salta, rotea a lato e rimanda l’inevitabile: mantiene il suo avversario a distanza, non ha il coraggio di usare la spada laser per nient’altro se non la difesa.

 Ma ne è forzato, alla fine, e, mentre la lama trafigge Anakin, si chiede come sia possibile che il nome sul suo polso destro non sia scomparso, tanto è il disgusto che prova verso se stesso per ciò che ha appena fatto.

 È a questo, allora, che lui era destinato a compiere per tutta la vita, e l’amore che nutre per Anakin non conta.

 «Ti odio!» grida lo sconfitto, adirato e sofferente e tradito, e Obi-Wan vorrebbe cadere sulle sue ginocchia, cullare Anakin tra le braccia e piangere, piangere e scusarsi per non essere stato in grado di impedire che succedesse tutto questo.

 «Ti amavo» replica, puro e semplice, così com’è sempre stato. Non c’è collera in quella frase, nessuna colpa, solo il rimpianto, mentre fronteggia l’odio di Anakin e non è capace di ribattere con null’altro se non con l’amore. «Ti amavo, ma non ti ho salvato».

 Anakin lo scruta, agguantando il nulla con disperazione, cercando di non finire nella lava, senza cambiare espressione.

 «Perdonami» sussurra Obi-Wan voltandosi. Non ha il fegato di assistere a ciò che avverrà.

 Lui è forte, ma non ce la fa.

 La voce di Yoda gli eccheggia nella testa. Fermato il Sith deve essere.

Io non ucciderò Anakin.

 Gli vengono in mente i tempi in cui interrogava continuamente la Forza su cosa gli riservasse il futuro. Una tristezza infinita, gli rispondeva essa con delicatezza. Lui non aveva mai capito genuinamente il significato di quelle parole.

 Adesso sì.




ix. Obi-Wan

Non ricorda più cosa sia la pace.

 Quando guarda Luke, sorride, sebbene la gioia non raggiunga mai i suoi occhi. Riflette che, se Padmé fosse viva, sarebbe fierissima dei suoi figli, gentile e coraggiosa com’era incessantemente stata.

 Anche Anakin sarebbe orgoglioso di loro, ma Obi-Wan non vuole pensare a lui.

 Deve farlo, però. È conscio di quello che deve fare.

 Quando entrano nella Morte Nera, dischiude se stesso, raggiunge quel legame che non è ancora reciso, per qualche ragione, e chiama Anakin, sommessamente ma abbastanza forte perché lui senta, e attende. Rabbrividisce quando lo sfiora attraverso la Forza: Darth Vader gli è freddo e sconosciuto, ma Obi-Wan sa che ha bisogno di affrontarlo di nuovo. Per consentire a Luke di scappare. E perché lui trovi la pace.

 Quando Anakin gli si avvicina, la spada laser – così rossa, così sbagliata – già estratta, nel petto di Obi-Wan torna il dolore sbiadito, la ferita di anni prima si riapre, e non è pienamente sicuro di avere la forza per farcela. Ma deve farlo. Il senso di colpa gli invade la mente, si insedia all’interno del suo corpo, il fardello più pesante che ha mai sopportato.

 Gli attacchi di Anakin sono feroci e ostinati come su Mustafar e la difesa di Obi-Wan gli è pari in termini di potenza, ma entrambi sono già consapevoli di come andranno le cose. È come se fossero destinate a finire così.

 Permette ad Anakin di assassinarlo.

 Ma Anakin non assassinerà Obi-Wan: Obi-Wan era già morto su Mustafar. E assieme a lui era morto anche Anakin.

 «Sei diventato vecchio e debole» dice Darth Vader; la voce è aspra e maciullata come il nome sul polso di Obi-Wan.

Non è niente in confronto a ciò che sei diventato medita Obi-Wan, ma non esprime la considerazione ad alta voce. Invece si accosta la spada laser al viso, un antico segno di rispetto, cala le palpebre e assume uno stanco, triste sorriso.

 Vader lo colpisce.

 Quando abbassa la spada laser al proprio fianco, Obi-Wan non c’è più.




x. Anakin

Luke lo aiuta a togliersi la maschera, quella macchina odiosa che lo teneva in vita quando non aveva nient’altro per cui vivere.

 Anakin è sorpreso di accorgersi che non sta ponderando su come sarebbero potute andare le cose. Non sta ponderando neanche i suoi errori passati. Non può tornare indietro nel tempo.

 Niente è perdonato, niente è dimenticato, ma in lui c’è ancora del buono, alla fine, e sorride a Luke. Ha salvato la vita a suo figlio, e in cambio suo figlio ha salvato lui. Un finale bellissimo, se uno vi riflette sopra.

 Dice a Luke di lasciarlo, si rende conto che la scintilla della sua vita sta affievolendo, e a lui sta bene.

 Tutto ha un termine.

 Quando percepisce una presenza familiare, una che credeva che non gli fosse più concesso sentire, è convinto che si tratti di un sogno. C’è il tocco fantasma di un paio di labbra sulla sua fronte ed è conscio, per quanto impossibile sembri, di non star sognando.

 «Ci sei riuscito» sussurra il Fantasma di Forza di Obi-Wan, e il cuore di Anakin si apre e canta, come se l’unica cosa di cui ha bisogno sia udire nuovamente quella voce, scorgere ancora quel sorriso affettuoso. «Sono così orgoglioso di te».

Mi dispiace pensa Anakin, le lacrime che gli scorrono lungo le guance. Mi dispiace tantissimo, mio amico, mio vecchio, carissimo amico. Perdonami.

 Obi-Wan allunga un braccio nella sua direzione e sorride, luminoso e fiero. «Consentimi di mostrarti la via».

 Anakin afferra la mano e il mondo gira intorno a lui.

 Quello che prova in quel momento non è come se l’è immaginato. Lui è dappertutto e da nessuna parte allo stesso tempo, come se stesse scomparendo. I suoi arti divengono dei pianeti e il suo cuore si trasforma in una stella, ma qualcosa lo sta trattenendo. È difficile capire cosa gli stia accadendo, ma è consapevole di quello che deve fare, per cui ascolta la Forza ma non si perde in essa, e la Forza lo abbraccia e lo saluta come una vecchia amica.

 Lui è sospeso tra il tempo e lo spazio, è l’essenza dei pianeti e delle stelle e delle galassie, ma è anche Anakin Skywalker, e la Forza lo purifica fino a quando non ridiscerne se stesso.

 Avverte l’esistenza di qualcun altro da lontano, ma la figura che dalla luce e dalla polvere di stelle si materializza lentamente di fronte a lui indossa un sorriso felice e lui sa, lo conosce, lo riconoscerebbe ovunque, in ogni vita, in ogni universo.

 Batte le palpebre ed eccoli: Obi-Wan e Anakin, insieme, che si osservano.

 «È bello rivederti» gli dice Obi-Wan, l’espressione delicata e amorevole e, tra tutti i peccati che Anakin ha compiuto, quello che più rimpiange è aver ferito Obi-Wan.

 Lui era di una bontà troppo immensa per meritare di soffrire.

 Ma adesso è lì, raggiante, caldo e accogliente, e Anakin si butta tra le sue braccia, lo stringe forte a sé, e non sono più fatti di carne e sangue ma la Forza è loro amica e concede ai due un momento.

 Anakin si stacca, prende tra le mani il volto di Obi-Wan, gli occhi che incontrano gli occhi e il cuore che incontra il cuore, e vorrebbe dirgli tante di quelle cose che non sa da dove cominciare.

 Obi-Wan è ancora radioso. «Lo so, Anakin. Lo so. Va tutto bene».

 Sono tutt’uno con la Forza e con l’altro, e hanno finalmente la sensazione che sia tutto a posto.

 Anakin si ricorda improvvisamente di una cosa. Lo sguardo ricade sui polsi e li squadra, curioso: la Forza ha ripristinato i loro corpi e finalmente ne avrà la certezza. Ma su di essi non vi è alcun nome, solo le bruciature che rimembra vividamente. Obi-Wan avvolge le sue mani tra le proprie e, quando Anakin lo guarda nelle iridi, disorientato, lui gli sorride.

 E in quel sorriso, infine, Anakin trova la verità che ha cercato.

   
 
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