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Autore: charliespoems    02/09/2016    5 recensioni
Sin dall’inizio dei tempi, i quattro elementi girovagavano per la Terra indisturbati, consci del fatto che, prima o poi, qualcuno sarebbe riuscito ad utilizzarli. Da quando l’umanità era apparsa nel pianeta, si è sempre creduto che terra, acqua, aria e fuoco fossero penetrati nella mente e nel corpo dei prescelti, guidandoli e facendosi guidare, addomesticandoli e facendosi addomesticare. Nessuno ancora lo sapeva, ma gli uomini e gli elementi avrebbero condiviso molto insieme.
[...]
Tooru e Hajime erano cresciuti insieme. Nonostante il primo fosse di un anno più grande – e contava molto, nella tribù – ci teneva particolarmente alla compagnia del più piccolo, mostrandogli di tanto in tanto tecniche e posti nuovi.
«Uff, baka-Iwa-chan! Proprio oggi che devo sostenere l’esame. E io che non vedevo l’ora di fargli vedere il mio drago d’acqua!»
[...]
«Tooru… Tooru parteciperà alle Olimpiadi, giusto? Quando avrà diciassette anni. Lo manderete in quel posto orribile,
vero?»
[...]
Oikawa non seppe mai cosa successe quel giorno.
O forse sì.
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Ripeto di non essere una cima con le trame, ma spero che questa AU possa avervi incuriosito.
[Iwaoi/Kuroken/BokuAka]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo uno:
La verità e l'addio.

In molti non sono a crederci,
ma si dice che sia l’uomo a scegliere
che elemento utilizzare,
e non vice versa.
 
   Sin dall’inizio dei tempi, i quattro elementi girovagavano per la Terra indisturbati, consci del fatto che, prima o poi, qualcuno sarebbe riuscito ad utilizzarli, a plasmarli, ad adoperarli come meglio credeva. Da quando l’umanità era apparsa nel pianeta, si è sempre creduto che terra, acqua, aria e fuoco fossero penetrati nella mente e nel corpo dei prescelti, guidandoli e facendosi guidare, addomesticandoli e facendosi addomesticare. Nessuno ancora lo sapeva, ma gli uomini e gli elementi avrebbero condiviso molto insieme: non solo le giornate, i mesi, gli anni; non solo la loro vita. Avrebbero trascorso un cammino lungo ed inesorabile, avrebbero condiviso avventure e miriadi di esistenze, decadi di combattimenti e sangue. Avrebbero condiviso guerre, sventure, gioie e vittorie. Ma, soprattutto, avrebbero condiviso leggende.

   Le quattro Nazioni, anche dopo la pace, erano rimaste in combutta tra loro. Certo, si erano giurate fedeltà eterna, ma il sottile strato di rivalità non poteva non mancare. Dopo la Prima Grande Guerra, le morti erano state così tante da decimare la popolazione, arrivando così poi a stipulare un accordo per far cessare quello sterminio. Le azioni positive, però, c’erano. Infatti i bambini delle varie nazioni crescevano cercando di non attaccarsi l’uno con l’altro, senza far prevalere inutili pregiudizi inculcati dai più anziani. I genitori dovevano stare molto attenti, in quel frangente. La cosa più importante che ciascun popolo rispettava era l’addestramento dei più piccoli, poiché loro sarebbero stati il futuro, l’orgoglio di ciascuna nazione, e come tali dovevano ricevere un insegnamento esemplare. Questo era sempre diverso, si passava da estremamente rigido quale quello della Nazione del Fuoco a quello meno pesante – per quanto meno pesante si possa intendere, ovviamente – ovvero quello dei Nomadi dell’Aria. Il credo popolare, comunque, era quello che fosse l’elemento a scegliere l’individuo. E se quell’individuo nasceva nella Tribù dell’acqua, voleva dire che la sua discendenza era predestinata alla Tribù dell’acqua. In questo modo non si verificarono mai miscugli fra elementi. Chi era della terra si accoppiava con chi era altrettanto della terra e così via. L’orgoglio era esagerato da quel punto di vista.

   Comunque, dopo la pace, tutta la popolazione cercava di dare il proprio contributo per salvaguardare il mondo e rendere in equilibrio i quattro Elementi, in modo da evitare che si ripetessero tragedie simili. Della Prima Guerra non era rimasto molto, in realtà, se non il dolore delle perdite, le toppe dei vestiti sgualciti, pochissimi diari di viaggio e qualche quadro che cercava di rappresentare le tipologie degli scontri. Si cercava sempre di capire e di studiare i metodi di combattimento in modo tale da insegnare ai più giovani più tecniche possibili. Agli stessi giovani, prima di infilarsi nel proprio futon e entrare in un sonno profondo, venivano raccontate le avventure straordinarie che i loro antenati avevano vissuto proprio durante quella guerra. Per loro era un qualcosa di strabiliante, sentir parlare così della propria famiglia, dei propri poteri. Quelle storie aiutavano i loro cuori a battere più velocemente, a far scorrere l’adrenalina nelle vene, mentre la mente viaggiava per meandri colmi di potere e avventura.

   Per Oikawa ed Iwaizumi era sempre stato così. Si sedevano composti insieme ai loro fratelli, ciascuno raccolto nel proprio futon, e ascoltavano ciò che l’Obaa-chan aveva da dire. Ogni notte era una storia diversa. Che poi la nonna – così come doveva essere chiamata dai più piccoli poiché più anziana e più saggia – inventasse qualche racconto era palese, ma le espressioni gioiose ed emozionate nel volto di quei piccoli valeva qualsiasi prezzo.
Tooru e Hajime erano da sempre cresciuti insieme. Nonostante il primo fosse di un anno più grande – e contava molto, nella tribù – ci teneva particolarmente alla compagnia del più piccolo, mostrandogli di tanto in tanto tecniche e posti nuovi. Non che al Polo Sud, nella Tribù dell’Acqua per l’appunto, si potesse girovagare in lungo e in largo, ma scoprire nuovi ghiacciai sapeva essere molto divertente. I due passavano per la maggior parte del tempo le giornate insieme, a scribacchiare su sogni e creature mistiche, su viaggi da intraprendere alla ricerca di persone da sfidare e un bagaglio culturale da aumentare. Si dividevano solamente durante il periodo dell’addestramento. Tooru, essendo un anno più grande, veniva addestrato in modo diverso con esercizi e difficoltà leggermente più elevate. Quando terminava, zompettava tutto sudato ma contento verso il suo amico, mostrandogli i frutti del suo lavoro. A quel tempo non si chiese mai perché invece Hajime non utilizzava i suoi poteri. Non di fronte a lui, almeno. O questo era quello che pensava.

   La Tribù dell’Acqua era divisa in due parti, una sostava al Polo Nord ed una al Polo Sud. Vivere in posti del genere era un po’ difficoltoso per quanto riguardava le provviste, poiché tutto dipendeva dagli oceani, ma grazie agli orsi, alle alghe commestibili e alle prugne di mare, la popolazione sapeva vivere in tranquillità. La Tribù del Sud differiva da quella del Nord in quanto nella prima il governo era strettamente patriarcale, mentre nella seconda vi era una monarchia e leggi più rigide. Difatti, nella Tribù del Nord, era impensabile veder combattere una donna, poiché il suo lavoro era strettamente casalingo e tale doveva essere. Ma è anche vero che la Tribù del Settentrione non aveva sofferto la Prima Guerra quanto quella del Meridione, quando la Nazione del Fuoco aveva sterminato quasi tutti e quindi anche le signore erano state costrette ad armarsi.

   Tooru era contento di vivere nella Tribù del Sud. Contava solamente venticinque abitanti di cui dodici erano bambini e quattro ragazzi più grandi. Erano pochi ma stavano bene tra loro, si conoscevano quasi tutti e anche gli allenamenti sembravano molto più semplici da affrontare. Tooru passava molto tempo a pensare vicino al piccolo ruscello nascosto da una piccola discesa di ghiaccio accanto alla sua tenda. Sostava lì, le ginocchia al petto e lo sguardo fisso sull’acqua che scorreva. L’acqua. Più la guardava e più sentiva come se potesse innamorarsene. Quello era l’elemento della benevolenza, dell’adattabilità. Le persone che avevano l’onore di manipolarla si dicevano essere ricche di emozioni, di vita pura che scorreva nelle vene. Lui ne era sempre rimasto affascinato, perché in qualche modo – mentre con l’indice faceva un movimento circolare verso il cielo e subito dopo una minuscola scia d’acqua lo seguiva – si sentiva invincibile, pieno di sé stesso e delle sue abilità. A cena avrebbe chiesto ad Iwa-chan, il suo ormai fidato compagno di avventure e – ormai lo sapeva, lo sperava – di vita, cosa ne pensava lui, dell’Acqua.

   «Non ci penso molto» rispose il ragazzino, spiazzandolo. «Ma come Iwa-chan, l’acqua è la nostra essenza! Come puoi non pensarci?» sbuffò l’altro, mettendo le braccia e le mani conserte contemporaneamente. Iwaizumi sbuffò rumorosamente al broncio dell’altro.  «Non ci penso Oikawa, e basta. Non sono mica un fanatico come te» per poi sbuffare un sorriso alla smorfia con tanto di linguaccia del più grande. «Se non ti piace basta dirlo sai?» continuò l’altro, come se non avesse ascoltato una parola. «Non mi piace essere predestinato» Iwaizumi con quelle parole finì, lasciando un Tooru senza parole e con la bocca dello stomaco in subbuglio dalla delusione.
«Okaa-chan, dov’è Iwa-chan?» chiese Oikawa, saltellando da una parte all’altra della cucina. Ormai aveva tredici anni e doveva compiere l’esame per assicurarsi di poter proseguire i suoi studi. «Non lo so amore, non l’ho visto stamattina» «Uff, baka-Iwa-chan! Proprio oggi che devo sostenere l’esame. E io che non vedevo l’ora di fargli vedere il mio drago d’acqua!» sbuffò pestando i piedi, chiedendosi mentalmente dove l’amico si potesse essere cacciato. Uscì di corsa fuori casa, per poi andare a sbattere proprio contro la testona di quel cattivone del suo amico. Lo guardò furioso per un paio di secondi a causa della preoccupazione, ma si sciolse subito dopo in un sorriso, cercando di stritolarlo con un abbraccio. «Iwa-chan, allora sei arrivato!» L’altro cercò di scansarsi inutilmente, finendo poi per appoggiare la fronte sulla spalla dell’altro. «Oggi ti sei arreso presto» rise Tooru, riferendosi all’abbraccio. Strano. «Muoviti, il tuo esame non inizia tra molto» gli rispose Iwaizumi, invitandolo a prepararsi.

   Subito dopo, il più piccolo raggiunse la madre di Oikawa, tremendamente in imbarazzo. «Hajime-chan! Come stai? Tooru ti cercava poco fa» «S-sì, mi ha trovato. E-em, ecco, io vorrei chiedere una cosa» strinse forte i pugni, Iwaizumi, perché non sapeva se avrebbe trovato il coraggio per dire quelle parole. «Dì pure, Hajime-chan» «Tooru… Tooru parteciperà alle Olimpiadi, giusto? Quando avrà diciassette anni. Lo manderete in quel posto orribile, vero?» chiese, il tono fermo e lo sguardo rivolto dritto verso gli occhi della signora Oikawa. Le Olimpiadi si tenevano ogni quattro anni in uno spiazzo del pianeta che non faceva parte di nessuna Nazione. Non era mai stato utilizzato se non per quell’evento così importante. Durante le Olimpiadi, ragazzi e ragazze di tutte le Nazioni gareggiavano elemento contro elemento per classificare chi fosse il più forte. Tutto secondo la legge, ovviamente, e monitorato in modo che nessuno si facesse male veramente. Certo, questo era ciò che tutti dicevano, ma Hajime lo sapeva – lui lo sapeva – che non poteva essere in quel modo. Non era possibile perché la rivalità tra i popoli regnava sovrana e mai nessuno si sarebbe accontentato di arrivare secondo anziché primo. Hajime odiava quel mondo, odiava gli Anziani, odiava i Re e chiunque governasse ciascuna Nazione. I suoi genitori non erano morti per caso, dopo aver partecipato a quelle dannate Olimpiadi, e poi- «Okay, sono prontoo! Andiamo, Iwa-chan? Mi raccomando, fa’ tifo per me, altrimenti mi arrabbio!»

   L’esame di Oikawa era andato a gonfie vele, riuscendo a mantenere la calma nel modo giusto e calibrando la forza con l’essenza che appartiene al suo elemento – e in fondo anche a lui stesso – era riuscito a stupire Obaa-chan, che gli fece addirittura un applauso. Il suo drago d’acqua aveva fatto ben due giri della morte e, anche se era stracolmo di sudore e vedeva doppio per lo sforzo, si riteneva assolutamente soddisfatto. L’unica cosa che gli fece rovinare il sorriso, però, fu girarsi di spalle e vedere che il suo migliore amico non c’era. E ancora non sapeva che da lì a pochi minuti tutto sarebbe caduto in miseria.

   Quando andò a cercarlo nella sua tenda sentì delle urla in lontananza, Iwaizumi circondato da adulti – sua madre compresa – con espressioni che non trasmettevano nulla di buono. «Perché negate?» sentì urlare il suo amico, mentre pestava i piedi a terra dall’indignazione. Non si aspettava di certo questo, ad esame terminato. Ancora tutto grondante, cercò di avvicinarsi senza dare troppo nell’occhio. «I Giochi, le Olimpiadi, non sono altro che un suicidio. Lui stravede per quelle gare e voi volete solo mandarlo a morire!» «Hajime cosa diavolo-» «Questo ragazzino è imperdonabile!» «A dodici anni come ti permetti di dire certe cose a degli adulti? Sei un ingrato» «I MIEI GENITORI SONO MORTI A CAUSA VOSTRA. CHI SAREBBE L’INGRATO?» gridò, inginocchiandosi per terra e sferrando pugni sul freddo strato di ghiaccio che giaceva nel pavimento. Oikawa giurò di sentire qualcosa rompersi dentro di sé a vedere il suo Iwa-chan in quello stato. Non lo avrebbe mai voluto, non per lui. Sapeva quanto soffrisse per la morte dei suoi genitori – era l’unico bambino rimasto orfano, il che poteva essere intesa sia come una fortuna che come una disgrazia – ma Iwaizumi era tipo da lasciar perdere quel tipo di cose, di lasciar scorrere i problemi e di andare avanti a testa alta. Lui era quello che rassicurava, non che si faceva rassicurare.

   Quando vide una massa d’acqua bollente e sentì il grido spacca orecchie del suo migliore amico, le gambe gli cedettero. Obaa-chan lo aveva ormai superato, mentre controllava l’acqua sopra la sua testa e Hajime restava inerme, a tremare, sentendosi un verme, mentre l’acqua gli ustionava un fianco. «Disonore» sussurrò l’anziana, guardandolo. «B-Brava, uccidimi p-proprio come ha-hai fat-to con m-mamma e pa-ah-pà» lo vide raggomitolarsi un po’ più su se stesso, coprendo con più parti di corpo possibili la porzione da carne ormai ustionata dall’acqua. «Pentiti, Hajime» disse l’Anziana, guardandolo fisso negli occhi. «Chiedi scusa e va’ a letto immediatamente. Non ci posso credere. È per questo che ti rifiuti di usare i tuoi poteri?» se possibile, Oikawa rimase ancora più privo di parole. Lui... Lui non li aveva mai usati? Non era una questione di vergogna o di orgoglio. Lui si.. rifiutava? Lo vide alzarsi, gemendo dal dolore. Si chiese come potesse sopportare una ferita così straziante. «A-avanti, uccidimi» lo sentì sussurrare, la testa affossata nelle spalle e lo sguardo rivolto verso il terreno.

   «NO!» Le sue gambe si mossero prima che potesse fare qualcosa per bloccarle. Si piazzò davanti ad Hajime, prendendolo per le spalle e scuotendole continuamente, come se potesse risvegliarlo da chissà quale ipnosi. «Iwa-chan» sussurrò. «Iwa-chan, cosa diavolo dici?» continuò. «Levati» gli diede uno spintone, cercando di superarlo, ma Tooru lo prese per un braccio – dolorante, dalla smorfia che il compagno fece – e lo tenne stretto a sé. «Piantala di dire scemenze» provò a convincerlo. «TU NON SAI NIENTE!» gridò forte, Iwaizumi, tanto da farlo sussultare. Perdeva le staffe con lui, sì, ma tanto da dargli qualche colpetto nelle braccia, qualche scappellotto o battergli il dito medio sulla fronte. Non aveva... mai… alzato la voce. «Ed è giusto così, perché le cose cambieranno» sussurrò poi.  «Io vi odio. E non mi pentirò mai» si rivolse alla vecchia, allora, guardandola come se potesse ucciderla con il solo potere di uno sguardo. «Iwaizumi Hajime» si voltò di spalle, lasciando tutti con il fiato sospeso. «Raggiungerai la mia sede immediatamente. Sei Diseredato»

   Oikawa aveva fatto di tutto per entrare anche lui nella sede e vedere in che schifo di modo lo stavano trattando, perché quelle grida erano inumane e nessuno poteva trattare Iwa-chan così. Lui non se lo meritava, doveva stare con lui, dovevano proteggersi a vicenda, non poteva lasciarlo solo. Era un anno più piccolo di lui e avrebbe davvero voluto proteggerlo. Invece… Invece! Si mise a gridare pestando la porta, graffiandola con le unghie e versando quantità infinite di lacrime, dando pugni e calci sino a ritrovarsi i polpastrelli pieni di acqua salata e sangue, molto sangue. «IWA-CHAN!» urlò con tutte le sue forze, Oikawa. Inutilmente. Si fermò solamente quando le sue gambe non lo ressero più in piedi, sentendo due braccia che lo avvolgevano e addormentandosi su un futon fin troppo comodo, sentendo qualcuno chiamarlo in lontananza.
Oikawa non seppe mai cosa successe quel giorno, ma lo sognava ogni notte, avvertendo in sé un senso di vuoto e di solitudine.
Oikawa non avrebbe mai saputo.
O forse sì.







 
Angolo autrice:
Io non so da che cosa è uscito fuori tutto... questo.
Mi sono solo immaginata i pargoli in un universo simile a quello che vediamo in Avatar - la leggenda di Aaang/Korra e, bé, ho cominciato a scrivere e... bé... non mi sono più fermata.
Spero che tutto sia abbastanza comprensibile per ora, se ci fossero dei dubbi non esitate a chiedere. Se notate che i personaggi siano troppo OOC, non esitate a sottolinearlo. Se pensato che sia un minestrone di troppe cose e che risulta troppo pesante, non esitate a farmelo sapere.
In caso non lo sappiate, "Obaa-chan" vuol dire letteralmente "nonna" in giapponese, così come "Okaa-chan" per "mamma".
Essendo un primo capitolo ho lasciato trasparire un po' di cose che approfondiremo più avanti, come ad esempio spezzoni di vita su Iwa e Tooru, per non parlare del fatto che poi ci saranno nuovi personaggi e così via.
Ci terrei veramente tanto a sapere cosa ne pensate, in modo tale da capire se continuare o meno.
Un bacione,
Charlie;
   
 
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