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Autore: Kodamy    01/05/2009    9 recensioni
E fu così che, dopo essersi chiesto più volte cosa si provasse a morire del tutto, Yu Kanda concluse che essere morti fa veramente schifo.
[LaviKanda] [LaviLenalee] [con sprazzi di MarieMiranda] [spoiler fino alla 186esima notte]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lenalee Lee, Miranda Lotto, Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Prologo

{And death goes on}


Prologo:

“ Yu Kanda non l’aveva presa bene ”

 

Come sono caduti i potenti […] !

(Samuele, I, 25)

 

 

Yu Kanda era morto, suo malgrado, nel più patetico dei modi possibili: sdraiato nel suo letto, aveva semplicemente sprecato il suo ultimo mese di vita spegnendosi. Tutto qui.
Giorno dopo giorno, la candela della sua esistenza si era consumata un po’ di più, un po’ di più – quand’è che ti decidi a spegnerti? - un modo orribilmente lento, orribilmente inesorabile di morire.

Attendere, ecco cosa aveva potuto fare. Il giapponese aveva solo dovuto attendere.

 

Yu Kanda non l’aveva presa bene.

 

Una morte così patetica era stata un durissimo colpo al suo orgoglio – un orgoglio troppo nutrito da anni di guerra e sopravvivenza ad oltranza: ridotto ad una mera ombra di sé stesso, aveva rifiutato l’assistenza della matrona in Infermeria e si era chiuso nella sua stanza, richiedendo causticamente che almeno “lo lasciassero fottutamente morire in pace”.


Come prevedibile, tuttavia, il suo capezzale non era mai rimasto perpetuamente dimenticato come il giovane asiatico aveva richiesto. Spesso Lavi si era invitato nella sua camera per completare qualche documento o per immergersi nelle sue letture-da-imparare-a-memoria. La prima volta l’allievo di Bookman si era seduto sul bordo del letto sfatto, ed aveva poggiato la mano sporca d’inchiostro sulla sua guancia calda di febbre. Kanda lo aveva spinto via senza troppi complimenti, in maniera così istintiva e debole e patetica, che si ritrovò a vergognarsene subito dopo averlo fatto. Lavi ebbe tuttavia l’accortezza di fingere di perdere ugualmente l’equilibrio, e scostarsi lasciandosi cadere per terra. Si erano guardati per un po’.

“Non prendermi per il culo,” aveva sussurrato, quindi, Kanda. “Non prendermi per il culo.”
Aveva smesso di cercare di cacciarlo via, dopo quell’episodio – era diventato troppo debole, e Lavi troppo abituato a scansare tutto ciò che il giapponese poteva ritrovarsi a portata di mano e, pertanto, lanciargli contro. Non ne valeva la pena, né tantomeno l’umiliazione.


Marie, che presto sarebbe diventato l’ultimo superstite nella vecchia guardia degli allievi di Tiedoll, aveva offerto la sua silenziosa compagnia: l’unica veramente apprezzata, in fondo, da Kanda. Erano sempre andati d’accordo, avevano sempre lavorato bene insieme. Ma le visite furono gradite per un motivo molto più venale: perché Marie era cieco, e Marie non avrebbe potuto vedere il suo corpo sciupato deteriorarsi sempre di più, e le membra deboli non riuscire a sollevare il bicchiere dell’acqua, e gli occhi stanchi, acquosi, iniettati di sangue che sfuggivano troppo facilmente allo sguardo altrui.


Nel dormiveglia, Komui aveva cercato fino all’ultimo di farlo ridere, o sorridere, o ottenere una qualsiasi reazione. Lo aveva fatto con una dedizione quasi malsana, quasi ossessiva. La stessa dedizione con cui si ostinava a fare l’idiota per far sorridere Lenalee. Per far sembrare tutto un gioco.
Non ci era riuscito.
Una volta, insieme a Komui, era tornato anche il caposezione della Sede Asia, Bak-Chan. Voleva scusarsi, l’idiota. Kanda si era ritrovato a ripetergli malamente di piantarla, che non ce n’era bisogno.


Il Generale Tiedoll si era presentato, per un po’, ad ogni occasione possibile. Con qualcosa di simile a nostalgia, aveva sferruzzato febbrilmente qualche lavoro a maglia. Quasi fosse stato preso in una corsa contro il tempo, quasi avesse voluto offrire qualunque cose stesse facendo al suo allievo, a suo figlio, prima che questi abbandonasse del tutto la vita.  Dopo la quarta visita, Kanda lo aveva cacciato senza troppi complimenti: le sue lacrime ed i suoi piagnistei erano del tutto insopportabili, e sicuramente l’ultima cosa di cui avesse bisogno.


La mammoletta, dal canto suo, ebbe l’opportunità di presentare la sua faccia bianchiccia una sola volta: ma non gli fu concesso neppure di varcare la soglia. In un momento di lucidità, infatti, Kanda si era reso conto che non avrebbe mai sopportato di farsi vedere così da lui. Non dall’ingenuo piccolo martire. Era stato così facile immaginare l’espressione di pietà quasi commossa, e le parole vuote e prive di senso: il piccolo vassoio da letto da dove aveva consumato la sua soba impattò rumorosamente contro la superficie lignea della porta, frettolosamente chiusa a mò di scudo. Si ritrovò ad ignorare le proteste di Allen, che sembrarono sfociare in lacrime di frustrazione. Arrabbiate. Perché devi essere così?

Era stato costretto a chiedere a Lavi, quando era arrivato, di recuperargli il vassoio, grazie.

 

Anche Lenalee si era presentata spesso, offrendosi di meditare con lui. Aveva sempre indossato quel sorriso stanco e consunto dal troppo uso, dall’abuso scorretto. La sua voce era sempre stata bassa e sommessa, quasi Kanda fosse già ridotto ad una salma, un cadavere in procinto di essere cremato, e la ragazza stesse parlando alla sua urna di ceneri. Con gli occhi lucidi, e tono infranto e colmo di cose non dette.
Stava cercando di essere forte.
Stava cadendo a pezzi.

Per lui? Non ne valeva proprio la pena.

 

Poi, Lenalee aveva smesso di andare a trovarlo.

 
Più tardi, Kanda scoprì che il Conte era stato sconfitto.

E che Allen era morto.

 

Da eroe. Da martire.

 

Che cosa tipica della mammoletta, morire salvando il mondo con quel corpicino secco secco e ripieno d’amore umanitario. Che cosa tipica.
Non hai nulla di importante al mondo, tu?
Kanda aveva voglia di gridare. Di vivere e gridare.
Era troppo debole, e non lo fece.

Lavi si era rifiutato di parlarne, mentre a labbra strette e occhio lucido trascriveva la storia sulle pagine bianche degli annali. Seduto accanto al suo letto, al suo capezzale.
Marie si era commosso, nel raccontare il sacrificio del Distruttore del Tempo.

Morto da un paio di giorni, e già diventato leggenda. Oh, il secondo Redentore! Offerto in sacrificio per voi.
Che amarezza.
Kanda, per un po’, non riuscì a provare altro che invidia. Scosso da violenti colpi di tosse, se l’era presa con Dio. La mammoletta era morta da eroe. Da martire. Da Salvatore. Sulla sua fronte, immaginò, c’erano probabilmente anche i segni della corona di spine.
Noah.
Quattordicesimo.
Allen.
I suoi pensieri cominciarono a divenire sempre meno coerenti. Meno coesi.
Martire, eroe, salvatore, redentore.

E lui dov’era, oh, Signore, Dio mio, lui dov’era?

Circondato da bellissimi fiori di loto, intrappolato nella sua stessa illusione, trascinandosi pateticamente, respiro dopo respiro, verso la fine della sua vita. Ecco dov’era. In quei giorni, il suo sguardo si spostò più spesso sulla clessidra dove, innocuo, l’ultimo petalo si aggrappava strenuamente alla vita.

Se solo si potesse farlo cadere per pura forza di volontà, si ritrovò a pensare. Sarebbe tutto più semplice.
Ma non si poteva.

Quello fu uno degli ultimi pensieri lucidi ad essere formulato dalla mente di Yu Kanda, diciannove-quasi-venti anni, esorcista.

La febbre lo colse il giorno dopo. La fiamma più violenta consumò ben più velocemente il resto della candela.
Il giardino. Il giardino lo soffocava. Passò il tempo a far la spola fra coscienza e incoscienza, delirio e lucidità.

 

Poi, nel sonno – nel sonno, come gli anziani, e i malati, e i deboli – nel sonno si spense.
Senza un rumore. Semplicemente, il suo corpo aveva smesso di funzionare. Smise di esistere, come uno di quegli stupidissimi Komurin a cui si erano scaricate le batterie.

 

Le sue ultime parole erano state “fottiti”.

Le aveva rivolte a Lavi, in un momento di lucidità, in un impeto di frustrazione. Non voleva che Lavi lo vedesse così, probabilmente – con il senno di poi, Lavi questo riusciva a capirlo. Ripensandoci, l’allievo di Bookman rigurgitava ogni volta un sorriso amareggiato. Orribilmente divertito.

Che cosa tipica di Yu-chan, quelle ultime parole.

Le rivelò soltanto a Lenalee, durante la piccola cerimonia che avrebbe preceduto la cremazione. Lei non diede segno di averlo sentito: stringeva in pugni troppo stretti i lembi della gonna, e il suo respiro arrancava per abbandonare le labbra.
Era probabilmente vicina ad un attacco di panico, concluse Lavi: prima Allen, il suo primo amore. Poi, Kanda: il riluttante migliore amico.
Casa, famiglia. Il suo mondo le stava crollando sotto i piedi. Avrebbe tentato qualcosa di stupido? Le infermiere l’avrebbero riempita di medicinali. Routine, sonnacchiosa routine. Nulla che non si fosse già visto, da quelle parti.

Fu una cerimonia piuttosto fredda: erano in pochi ad essere veramente dispiaciuti. Yu-chan, pensò Lavi, ne sarebbe stato contento. Si era impegnato tanto, per ottenere quel risultato. Avrebbe ghignato soddisfatto al suo capolavoro ultimato. Il funerale più freddo degli ultimi trent’anni o giù di lì, nell’Ordine. Soprattutto se paragonato a quello di Allen, di neppure una settimana prima.
I singhiozzi di Lenalee e quelli del Generale Tiedoll furono l’unico rumore di cordoglio che riecheggiò fra le alte mura. Le parole infrante di Komui fecero da mero accompagnamento, mentre Miranda nascondeva il viso contro il petto di Marie, che l’abbracciò distrattamente. Poi, un po’ più forte. Un’ancora di salvezza. Rimasero così per un po’, anche dopo che la sala fu svuotata.

Rimasero soli.

Lavi li lasciò in pace – lasciò in pace anche Tiedoll, rintanato in un angolo a disegnare con i suoi pastelli – e seguì Lenalee fuori. All’aperto.

Era una bellissima giornata, ed il cielo era talmente azzurro che sembrava possibile annegarci dentro.

Una sola nuvola. Piccola, bianca. Batuffolo di zucchero filato.

Piacevole venticello.

Era una bellissima giornata.

Lenalee si sedette su uno dei gradini, e scoppiò di nuovo a piangere. Lavi le si sedette accanto, incerto su cosa provare. Cosa fare. Il suo non-cuore era ormai evidentemente difettoso, e lo confondeva, sì, lo confondeva con i suoi messaggi contrastanti, i suoi significati subliminali, i suoi ragionamenti contorti.

 

“Lenalee…” aveva esordito, con una voce non sua. La voce del funerale di Allen. E ripensò ad Allen – inchiostro su carta – ripensò a Kanda.
Pensò che non avrebbe dovuto aver voglia di piangere, e tuttavia non riuscì a fare a meno di pensare anche che sarebbe stato bello, poter farlo. Lasciar scorrere via tutto, come la cinese al suo fianco. “Lenalee…” ripetè, ancora una volta. Occhio verde troppo vivido.

“Saranno sempre insieme a noi,” mormorò lei, con mezz’ora di ritardo, come risposta. Una volta esaurite le lacrime, ma non i singhiozzi secchi che ne scuotevano ancora il corpicino dimagrito dal lutto del primo amore. Occhi arrossati, voce vagamente affannata e nasale e affatto carina, visino contratto dal dolore. Dall’illusione di un mondo tutto personale, un mondo eterno, infranta due volte nel giro di una settimana. Stranamente, Lenalee non rientrava tra quelle poche elette persone che riescono a singhiozzare carinamente. Lavi, con una morsa al non-cuore, pensò ad Allen, e a Yu, e a Lenalee mentre la guardava tirar su col naso.

“Allen-kun e Kanda. Saranno sempre qui. Con noi,” perseverò lei, con quella voce infranta. Una sottile vena di disperazione annacquava le sue parole. “Non è vero? Qui. Con noi,” ripetè, portando la mano sul seno – no, sul cuore.

Lavi voleva dirle che non poteva portarli con sé, lì, perché quel non sarebbe neanche dovuto esistere. Ma guardando gli occhi di lei, braccati – occhi infestati, infestati di fantasmi – non ebbe il cuore di contraddirla.

“Sì,” mormorò, scostando lo sguardo nonostante l’abitudine al mentire. “Allen sarà sempre qui con noi.”

Piccola pausa.

“… Kanda sarà sempre qui con noi,” concluse, abbassando appena la fascia che teneva indietro la zazzera di capelli rossi. Stupido cuore. Stupido cuore che faceva male. Difettoso, come sempre.
Lenalee annuì, vacua. Sguardo perso nel cielo troppo azzurro, troppo banale.

Era una bellissima giornata.

“Sempre qui.”

 

A Yu Kanda, in vita, era sempre piaciuto prendersela con qualcuno.
Chiunque gli andava bene, se la cosa riusciva ad aiutarlo a non prendersela con sé stesso.

 

Non è pertanto difficile comprendere il motivo per cui - quando riprese coscienza di sé stesso in un angolino impolverato della sua stanza tetra e sfatta e buia - il fantasma di Yu Kanda seppe perfettamente su chi scaricare la colpa per la sua nuova – ed incresciosamente indesiderata - condizione.

 

Perché, sia ben chiaro.
… ‘per sempre’ è una cosa veramente orribile da dire.

 

 

Fine Prologo

 

 

 

A/N: non penso sarà molto lunga, ma mi stavo rileggendo i capitoli degli zombie, e mi sono resa conto che i fantasmi sono CANON in D.Gray-Man =D Allora dovevo scriverci su qualcosa. E dato che amo Kanda, e sono frustrata per la pausa di Hoshino… è solo naturale che la vittima prescelta fosse lui.  Ù_ù

Ho cercato di ripescare il vecchio stile che adoravo – sperando non sembri un po’ troppo rugginoso. Ci ho messo del mio meglio – è quasi un anno che non scrivo ç_ç ero in astinenza da scrittura ç_ç”

Il più presto possibile arriverà il primo capitolo u.u Spero che questo piccolo pezzo di follia possa essere di gradimento a qualcuno <3

  
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