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Autore: slice    06/09/2016    0 recensioni
“Probabilmente credi che non siano affari miei,” comincia Inoichi, “Shikaku è mio amico, Genma. E anche tu lo sei.”
“Lo so,” dice, alzando gli occhi su di lui.
“Ci sono sicuramente cose che sopporto meno di altre e non sono sicuro di poterne capire alcune troppo lontane dal modo in cui sono stato cresciuto, ma questo non significa-”
“Inoichi,” lo interrompe piano, “lo so.”
“Non so quanto seria sia la storia che hai con Shibi, quello che vorrei sapere è se ne vale la pena...”
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Chouza Akimichi, Genma Shiranui, Inoichi Yamanaka, Shibi Aburame, Shikaku Nara
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'La peggior ingenua grossa stupida bugia'
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Il letto del fiume



È tardi quando entrano nelle docce del dojo, il locale è pieno di vapore e il pavimento è lucido fino alla zona delle panche.
Genma è timido, eppure per qualche ragione non ha mai avuto problemi a spogliarsi in pubblico e di certo non ha mai pensato che essere gay cambiasse qualcosa negli spogliatoi. Insomma, se vuole sbirciare lo farà, vestiti o meno, se parla con qualcuno la nudità non cambierà la direzione della conversazione o del suo sguardo. Senza contare che a lui piacciono gli uomini, ma mica tutti.
Alcuni non la pensano così.
Inoichi Yamanaka è una brava persona, un buon padre, un ottimo ninja e un buon amico. Di contro è un conservatore, tradizionalista e bigotto. E, forse per via del fatto che nel suo team il cervello ce l'aveva già qualcun altro per tutti e tre - per tutti gli altri team, volendo - le cose per cui brilla sono altre. Non è stupido, solo che a volte si perde in uno stupido bicchiere d'acqua.
“Tu fai la doccia qui?”
Genma si blocca a metà movimento con la maglia sulle spalle, le braccia sopra la testa e la faccia coperta per metà. I suoi occhi sorridono e si sente lo sbuffo divertito, però non risponde, finisce anzi di spogliarsi e poi entra in doccia.
Shikaku sta cercando l'asciugamano per la testa nella borsa e ha paura di esserselo dimenticato a casa, sbuffa e si siede per ripercorrere la serie di azioni che hanno portato quella borsa ad avere un asciugamano in meno. Dopo poco riapre gli occhi e li alza su Chouza; apre anche la bocca per chiedere se per caso abbia un asciugamano in più, ma la chiude subito e aggrotta la fronte, spostando l'attenzione su Inoichi, in piedi accanto a loro che lo fissa.
“Che c'è?”
Anche Chouza lo sta guardando, con la differenza che lui ha uno sguardo neutro e l'aura di stranezza è dovuta al fatto che non ha pacchetti di cibo in mano.
“A te sta bene?” chiede Inoichi.
Shikaku deve pensarci per ricollegarsi all'argomento, poi socchiude gli occhi e sbuffa, prima di voltarsi verso Chouza.
“Non è che per caso hai un asciugamano in più?” Lui annuisce e la fronte di Nara si spiana. “Perfetto.”
Yamanaka emette un verso frustrato, poi porta le mani a palmo aperto rivolte verso l'alto in un gesto esasperato.
“Shikaku,” dice con un tono normale, prima di bisbigliare il resto, indicando le cabine con il pollice, “è gay!”
Genma ride, insaponandosi il sedere di proposito, anche se da lì non possono vederlo.
“Dimmi che non te ne sei accorto solo adesso,” risponde Nara, ottenendo una mezza risata da Akimichi.
Si spoglia, sospirando quando incrocia quasi per sbaglio lo sguardo di Inoichi, e un po' per dispetto, ma principalmente perché è la doccia più vicina, entra nel box accanto a quello in cui si sta lavando il tokujo. Per istinto si volta verso di lui e lo trova con gli occhi chiusi e i capelli buttati indietro dal getto dell'acqua.
Shikaku è un altro di quelli che non si era accorto di dover provare fastidio per una cosa del genere; di ninja gay ce ne sono sempre stati e né lui né - è pronto a giurare - Inoichi sono mai andati in giro per le docce del dojo a chiedere se qualcuno lo fosse. Non è mai stato un problema prima, di certo non credeva possibile che potesse esserlo con Genma, tra tutte le persone, ed è pure dura definirlo un problema quando ne vivi tutti i giorni di veri come crescere un bambino da solo. Forse è ingenuo lui che non riesce a vedere la gravità della situazione o forse il vero ostacolo è nella testa di Inoichi, probabilmente un po' tutti e due, probabilmente la verità sta nel mezzo. È con questa vaghezza che si libera della faccenda, com'è spesso propenso a fare quando non gliene frega un cazzo di venirne a capo.
In ogni caso Genma è Genma, se avesse pensato che ci fosse qualcosa di deviato in lui, non lo avrebbe mai fatto avvicinare tanto a suo figlio, per cominciare.
“Io non lo trovo giusto!”
Entrambi si voltano verso l'uomo che sta vestito nella zona docce, con le braccia incrociate al petto e l'espressione di uno che caga come una capra da una settimana.
In quel momento, Chouza gli passa davanti tutto nudo, grosso e rosa, con l'accappatoio su un braccio e un paio di flaconi nell'altra mano.
Genma emette un suono che nasconde frettolosamente con un colpo di tosse, per non dare il via a una fragorosa risata, Shikaku invece fa in tempo ad alzare entrambe le sopracciglia e a spruzzarsi in mano un po' di sapone, prima che Inoichi riprenda.
“Insomma,” dice, gesticolando nella direzione del tokujo, “lui ha una cotta per te!” conclude, rivolgendosi al compagno di team; poi però pare ripensarci e si lancia in un discorso che già dalle prime parole sembra lungo e concitato. “Non trovo giusto che tu...”
“Ti sbagli.”
Genma si sta insaponando i capelli, ha gli occhi chiusi e metà faccia piena di schiuma.
Nara stava per chiedere al compagno perché si sentisse in dovere di indignarsi al posto suo, ma la risposta di Shiranui gli ha stroncato le parole sul nascere. Si volta verso di lui proprio mentre quello si sciacqua il viso e, dopo che si è pulito gli occhi dalle ultime gocce, lo guarda.
“Io sono innamorato di lui.”
E non lo aveva mai detto.
Shikaku osserva i suoi occhi chiudersi lentamente mentre lui riporta la testa sotto il getto d'acqua.
“Be', questo aggrava la situazione!”
Lui lo ha sospettato, lo ha visto e poi lo ha avvertito. È strano, strano forte, ritrovarsi a sentire l'amore di un altro uomo. Se glielo avessero detto vent'anni prima non avrebbe riso, poiché già allora la sapeva lunga abbastanza da non dire il famoso mai, però avrebbe sicuramente trovato bizzarra la probabile congiunzione astrale che si sarebbe evidentemente impegnata molto per ottenere quel risultato.
“E come? Se fossi tua moglie mi farei un paio di domande.”
Non è neanche questione di uomo o donna, lo sa bene, quello che lui ha sentito era amore e basta perché Genma non ha mai chiesto niente in cambio. Che differenza ci possa essere tra l'uno e l'altro lo ignora e, anche se Inoichi sembra tracciare una linea netta a separarli, Chouza pare confuso quanto lui. O forse è solo fame, la sua.
“Non ti permettere...”
Ci sono stati momenti, che fossero regali di compleanno su misura per lui o silenzi e ciarle proprio quando c'era bisogno di loro, in cui si è chiesto come Genma sapesse certe cose. C'è stato più di un momento in cui si è trovato a ricevere aiuto, un aiuto reale, senza nemmeno averlo chiesto. C'è stato un lungo momento, quando è rientrato e ha trovato Shikamaru addormentato sulla pancia del tokujo, in cui si è domandato come avesse fatto prima, senza quel sostegno.
“E tu, puoi permetterti?”
“Non sono io quello che lo sbircia nudo!” dice Inoichi, indicando Shikaku.
Ma tutto quello fa poca differenza perché lo ha sospettato, visto, avvertito, eppure ancora non lo aveva mai udito.
“Ah, quindi tu credi che mi serva nudo, per guardargli il culo?”
“Ecco, vedi? sei un-”
“Sono un uomo. E tu sei un ipocrita!”
E non è che proprio non significhi niente perché le cose dette a voce alta si affermano.
Genma poi lo ha detto parlando con Inoichi, ma guardando lui negli occhi come se nonostante tutto ci fossero solo loro, lo ha detto con la voce un po' roca perché bassa, non era una cosa da urlare, andava detta piano, e non dovevano sentirla così tante persone. Sembrava che ci fosse una folla, quand'è uscita, e invece sarebbe dovuta essere solo per lui. Era importante e l'unica cosa che doveva seguire era il silenzio.
“Ma ti senti quando parli? Che scusa sarebbe...”
“Se non devi fare la doccia, non serve che tu stia qui.”
Shikaku lo dice senza rabbia, ma con immenso fastidio. Genma interrompe uno sbuffo a metà, facendosi gonfiare le guance invece di espellere l'aria, un po' per la sorpresa, un po' per non disturbare l'improvviso silenzio, Shikaku lo vede con la coda dell'occhio, mentre davanti a sé ha quelli spalancati del compagno di squadra. Lui alza i suoi al cielo, sicuro di sapere cosa stia passando in quella testa bionda, e la conferma arriva in un'occhiataccia rivolta al tokubetsu jounin.
Genma è seduto sulla panca, ha i pantaloni e sta aprendo l'orlo della maglia per tuffarci la testa dentro e Chouza si sta rimettendo i sandali, quando Inoichi storma fuori con un borbottio cupo che parla di contagio. Lui esce dalla doccia con un sospiro, prima di iniziare subito a frizionarsi i capelli.



Nonostante la consapevolezza sia sempre dietro l'angolo, a volte capita anche ai Nara di rimanere spiazzati.
Shikaku ha capito di voler bene a Genma in modo diverso, lo sa perché ci si è trovato in mezzo e, invece di sentirsi soffocato, ha fatto due giri sul posto e si è acciambellato lì, comodo e soddisfatto. Non lo infastidisce voler bene a un uomo, e se non lo dice ai suoi compagni è solo perché nessuno dei due glielo ha chiesto. Non sa cosa sia di preciso, non assomiglia né all'affetto per i suoi compagni o parenti, né a quello che prova per Yoshino. Perché lui ama ancora Yoshino, dopo tutti quegli anni, e si ricorda del suo odore, della sua voce, dei suoi capelli neri sul cuscino, mentre dormiva rannicchiata contro di lui. E quello che sente per Genma è una strana piccola brillante cosa, dolce e platonica, che a volte minaccia di diventare qualcosa di più. La maggior parte del tempo se ne sta lì, calda e innocua, familiare, scontata. È così fino a quando un giorno non si accorge che è già qualcosa di più, ma non è quello a spiazzarlo, bensì il fatto che, quando si ferma a pensarci, si accorge che è già così da tempo e non sa da quanto.
D'estate si trovano a turno in uno dei loro dojo, l'aria è calda e andare a casa sudati non crea problemi, mentre d'inverno usano sempre uno di quelli pubblici, in periferia, la sera quando non c'è ressa.
A quell'ora dovrebbe aver già chiuso, in teoria, ma loro ci vanno da un centinaio d'anni e il padrone li ha visti tutti in pannolino, perciò non hanno fretta. Da quando si è unito Genma, qualche mese prima, l'allenamento ha assunto nuove forme di sfida: il tokujo ha una mira e una velocità invidiabili, inoltre essendo più giovane e più operativo sul campo, quando loro ponzano con la lingua di fuori, lui gli saltella intorno, spronandoli a continuare. Spronandoli e irritandoli, poiché Chouza raccoglie tutte le sfide, Shikaku qualcuna e Inoichi si alza solo per cercare di strozzarlo.
Le docce sono sempre vuote, quando arrivano; la sera rimangono solo loro, perciò possono urlare e cantare e dire quante cagate vogliono perché tanto nessuno li sentirà.
“Senti, Genma,” dice Inoichi all'improvviso.
Genma si sporge prima dal suo box, poi esce del tutto e finisce di insaponarsi i capelli davanti a lui. Inoichi storce il naso, ma ormai si è abituato alle sue provocazioni e finge di non essere irritato per non dargli soddisfazione; senza sapere, peraltro, che è proprio quello che vuole il tokujo.
“Ho sentito dire una cosa strana e mi chiedevo se, mh, tu ne sapessi qualcosa, ecco,” quasi balbetta l'uomo, un po' imbarazzato dall'argomento.
“Cosa hai sentito di così sconcio da farti balbettare?” ride Chouza, affacciandosi dal suo box.
“Sarà una parolaccia,” celia Shikaku dal suo.
Inoichi li ignora, così come ignora la risata di Genma, che scalpiccia nuovamente sotto il getto d'acqua per sciacquarsi. Si schiarisce la gola, invece, e si dirige anche lui verso le docce, ora che è completamente nudo. Entra in quella prima di Shikaku, che ha capito ormai di dovergliene lasciare una poiché entrava sempre nella prima, il tokujo prendeva quella dopo e alla fine Inoichi rimaneva ad aspettare che Genma se ne andasse, per non passargli davanti.
“Non è una parolaccia,” borbotta, indispettito, “è Shibi.”
“Chi?”
Il faccione di Chouza spunta oltre il box di Genma e non è che non sappia chi sia Shibi, solo Inoichi non ha usato un volume tale da essere udito sopra lo scroscio dell'acqua.
“Ha detto Shibi.”
Shikaku sta guardando Chouza, ma quando la testa di Genma si tira su di scatto e guarda oltre, verso il suo compagno di team, la sua attenzione non può che spostarsi sui suoi occhi larghi. Genma se ne pente subito, ché la seconda insaponata gli è andata all'interno del cranio passando per il nervo ottico, lasciandogli le meningi lustre; digrigna i denti e impreca a mezza voce, sotto il getto, dove almeno si crea del tempo per riflettere. Appena riapre gli occhi ne ha altre tre paia addosso.
“Che c'è?” sbuffa nel vedere l'espressione esterrefatta di Inoichi e rotea gli occhi sul soffitto, prima di continuare, “Frequenta uno dei locali che frequento io, e allora? Non è gay, è... be', sarà bisessuale, che ne so, avrà una mentalità aperta e magari non gliene frega così tanto,” dice cauto, muovendo la mano in un gesto vago e lento, come per aiutarsi a pensare. Poi sbuffa forte e chiude il getto d'acqua, giacché il suo era l'unico ancora in funzione. “Non è come pensi tu, Inoichi, non è solo questione di sesso per gli uomini gay,” scimmiotta, “così come non lo è per quelli etero, però è vero che sia più facile trovare da passare una notte con un uomo, senza strascichi e senza pagare,” specifica, rallentando, “piuttosto che con una donna. E certo!” quasi urla, interrompendo qualsiasi cosa Inoichi stesse per dire, “siamo d'accordo sul fatto che devi essere aperto a quel genere di esperienze, per farlo, ma un uomo che non ha problemi ad avere rapporti con altri uomini, non è necessariamente gay.”
Chouza è già sulla panca, quando lui esce dal box, Shikaku lo segue e Inoichi riapre l'acqua per finire di lavarsi. Quando esce, tutto rintanato nell'accappatoio, allarga un braccio e si rivolge ancora al tokujo.
“E che cosa sarebbe?”
“Uno che ha voglia di scopare! O di non stare solo. Non è mica detto che tu esca di lì con qualcuno, puoi anche solo frequentare quel posto per bere con degli amici: è un locale, dopotutto, non un bordello.” Si siede con un tonfo e gli punta un dito contro. “Le persone che lo frequentano si sanno fare i cazzi loro perché non c'è niente di deprecabile in quel che fanno, infatti scommetto che te lo ha detto qualche curioso che c'è andato per la prima volta!”
Poi si infila la maglia lentamente perché si è reso conto di essersela presa un po' troppo a cuore e il silenzio che si è creato lo infastidisce.
“Perché te la prendi tanto?” gli chiede infatti Chouza, tamponandosi la criniera.
Genma vorrebbe avere una via d'uscita a portata di mano, facile e indolore, e non perché abbia fatto qualcosa di male, ma ci sono volte in cui la malignità di Inoichi non lo tocca e altre in cui gli fa domandare che cosa ne pensi Shikaku. Non alza gli occhi dai pantaloni, ma lo sa che lo sta guardando e non ha voglia nemmeno di immaginarsi cosa ci potrebbe essere, in quello sguardo. Eppure lo sa che Nara ha un gran cazzo di cervello e sa come usarlo, perciò non dovrebbe avere queste preoccupazioni ed è convinto che se solo fosse più sicuro di sé riuscirebbe a fregarsene.
A un tratto si ferma, rimane immobile con i pantaloni a metà coscia e alza gli occhi su Yamanaka.
“Questa non è una storiellina che puoi raccontare in giro, Inoichi, se ne sento parlare giuro che ti vengo a cercare e sai benissimo che ti troverò.”
Sente Chouza voltarsi verso di lui e Shikaku smette di frizionarsi i capelli, l'altro rimane immobile con gli occhi spalancati, interdetto.
“Diciamo che,” continua lui, abbassando lo sguardo e riprendendo a vestirsi, “siamo usciti da quel locale insieme, un paio di volte.” Poi alza la testa di scatto, “E non sempre per fare quello che pensi tu!”
Inoichi alza le mani in aria, prima di iniziare finalmente a vestirsi, in silenzio.
Genma arrischia una sbirciata, ma quando fissa quegli occhi neri non riesce a sostenere lo sguardo e si mette ad armeggiare con le bende intorno alle caviglie.
Stringe i denti per non far uscire le imprecazioni che sente premere sul palato, anche se continua a non capire perché si sente come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
Shikaku vorrebbe fare delle domande e il non poterle fare lo irrita. Se fosse qualcun altro potrebbe anche infischiarsene dell'atmosfera, potrebbe ficcare il naso dove non dovrebbe, ma lui non solo ha lo stesso diritto degli altri di sapere, ne ha ancora meno per via di quel delicato equilibrio che c'è tra di loro. Istintivamente guarda Chouza come per ispirargli quelle domande, in un secondo momento, realizzando l'idiozia, strizza gli occhi e copre l'espressione scocciata con l'asciugamano, riprendendo a frizionarsi i capelli. Non ha il diritto neanche di scocciarsi, non sono affari suoi. Che seccatura.



Appena Genma esce, è Inoichi a stupirlo.
“E a te sta bene che vada con altri?”
Scoprire la parte gay e liberale di Konoha - la sua tradizionalista e perbenista Konoha - ha un po' scioccato Inoichi, che però è anche un uomo che si adatta, che comprende, perché è ottuso, ma non stupido.
Shikaku si è chiesto in un paio di occasioni cosa si vedesse da fuori, cosa che ha reputato del tutto normale e di cui si è dimenticato appena una mosca ha attraversato il suo ufficio, però non si era mai davvero soffermato a preoccuparsi del proprio team. È il suo team, dopotutto. Forse si aspettava persino più resistenza da parte di Inoichi e ha ricevuto da Chouza esattamente quel che credeva, perciò l'unica sua preoccupazione è sempre stata Shikamaru e i compagni di scuola che non fanno altro che ripetere le considerazioni dei genitori.
Per questo motivo non si sarebbe mai, nemmeno in un milione di anni, aspettato quella domanda da Inoichi, ma non aveva previsto neanche lo sguardo lanciato da Chouza.
“Perché?” dice lui, beccandosi due occhiate scettiche. “Genma è libero e può fare quel che vuole. Anch'io, in effetti!” si difende, sentendosi fastidiosamente poco preparato.
“Certo, è per questo che non esci che con noi o con lui,” celia Chouza, facendo spallucce. “È chiaro!”
“Senti, lo sai come sono... fatto e, be', non è che non approvi, perché poi non serve la mia approvazione...” ridacchia Inoichi, a disagio, “Lo sai, no?”
“Lo sa, lo sa, vai avanti,” ride Chouza.
“Sì, be', non cambierebbe niente, mh, insomma... non cambierebbe le cose tra noi, dico...” sbuffa e raddrizza la schiena, rilasciando un po' di tensione. “Tu puoi stare con chi vuoi, nessuno ti giudica per questo.”
Shikaku si accorge solo in quel momento di avere la bocca aperta, quasi spalancata, subito si volta meccanicamente verso Chouza che sorride.
“Oh Kami sama, c'è qualcosa che devo sapere?”
“Ma vaffanculo,” brontola Inoichi, sotto la risata grassa di Chouza.
L'atmosfera è più leggera, ma Shikaku sente che quella leggerezza non riesce a raggiungerlo dentro. Non è triste, non è stranito, né indifferente: è geloso. Quella, la cosa che gli rende il cuore agitato e lo stomaco pesante, quella è gelosia. Ha quasi quarant'anni, la conosce.
Non è innamorato di Genma e non crede che riuscirebbe ad andare a letto con un uomo, ma quella rimane gelosia, da qualsiasi punto la guardi. E non è infastidito dalla gelosia in sé perché ormai lo sa, è già successo, Genma gli rivolge mille attenzioni e lui si sente sempre un po' trascurato quando il tokujo si dedica a qualcun altro. A infastidirlo è il sentore di comportarsi da bambino viziato, di regredire a quelle emozioni che non aveva provato neanche con Yoshino, così forti e indomabili, solo perché Genma vive una vita tutta sua. Senza di lui. Con un altro uomo nella sua stessa situazione. Shibi. Magari Shino gli dorme addosso, come fa Shikamaru.
La voce di Chouza interrompe i suoi pensieri, le sue parole lo distolgono completamente e lo fanno ridere.
“Sei sicuro di non esserci stato tu, in quel locale?”
“A me piacciono le donne!” strilla Yamanaka, per farsi sentire sopra le risate.
“Lo diremo a tua moglie,” ride Chouza.
L'atmosfera continua a essere leggera, ma ancora Shikaku sente lo stomaco carico e l'agitazione rimane dov'è. Si schiarisce la gola e tiene gli occhi sui suoi sandali, mentre si lega le bende alla caviglia sinistra. Nonostante tutta la sua attenzione sia di proposito rivolta sui piedi, può sentire con estrema precisione l'attimo in cui entrambi i suoi compagni di team si accorgono del suo disagio.
Torna seduto composto con un sospiro, probabilmente la schiena è più rigida del normale, ma siede un momento lì, senza alzare gli occhi, e poi lo dice. Lo dice e basta.
“Sono geloso,” sbuffa, prima di stropicciarsi la faccia, solo per rimanere altri due secondi con lo sguardo basso. “Non-” Sospira. “Be', lo sono.”
Non ha molto senso, lo sa, lo pensa ma non lo dice, lasciandolo nell'aria, mentre alza la testa e lo sguardo sui compagni. Qualcosa nelle loro espressioni, nello sguardo penetrante di Chouza e nel gesto di assenso che fa Inoichi, annuendo, gli dice che hanno capito, probabilmente in quel modo confuso e inspiegabile con cui lo percepisce lui stesso.
È un po' fastidioso perché a volte si sente frustrato da quest'incapacità di fare chiarezza ed essere capiti pur senza farla è un sollievo inaspettato che gli lascia l'amaro in bocca per quella voglia scalpitante di trovare le parole giuste. Magari dare un nome a tutto.
“Ma non è che.. insomma, non puoi dirgli cosa fare,” dice Inoichi, muovendo una mano, insicuro.
Lui annuisce.
“Questo non significa nemmeno che dovrebbe essere lui a fare quello che vuole Shikaku.”
C'è una pausa confusa e il silenzio si fa denso.
Molti si dimenticano che Chouza è stato il jounin istruttore del team di Genma. A quel tempo la guerra ha interrotto tutto, compresi gli apprendistato con gli insegnanti, molte promozioni sono state fatte in fretta e dopo, a quel che è rimasto dei team, è stata data l'opportunità di avanzare. Gai era già chuunin a dieci anni, Ebisu non ci è riuscito e, anzi, persino dopo che sono tornati a Konoha tutti interi, ha aspettato di sentirsi pronto, Genma invece lo è diventato a tredici anni passando il test nello scompiglio di un villaggio che si preparava ad andare in guerra. Per questi stessi motivi Gai non ha mai richiesto tutta l'attenzione di Chouza, Ebisu è sbocciato tardi e, sebbene abbia passato più tempo sotto la sua supervisione, con lui non è stata la maratona estenuante che è stata con Genma.
Senza contare che tra i tre il tokujo è sempre stato quello più problematico; Ebisu aveva alle spalle una famiglia completa e supportiva, Gai cresceva con lo stesso fuoco del padre nelle vene, mentre Genma aveva una madre civile e un padre jounin violento.
Chouza è una persona semplice, per lui non esistono solo nero o bianco, ma allo stesso tempo non gli interessa spiegare quale sfumatura abbia la sua opinione, è così e basta e agisce di conseguenza. Ed è sempre stato protettivo nei confronti di quel ragazzino schivo, rachitico e dolce che era il tokujo.
Shikaku, non di meno, aggrotta la fronte alla discussione che si è appena aperta.
“Non sto dicendo che deve sacrificarsi, non dovrebbe essere un sacrificio se davvero ne è innamorato,” dice Inoichi, gesticolando nella sua direzione.
“Genma è innamorato di Shikaku, non in debito con lui,” ribatte Chouza, calmo ma incessante, “Se Shikaku non vuole uscirci, Genma non deve rimanere celibe solo perché si è confessato.”
“Se Shikaku non è interessato a lui in quel senso non è una colpa, come non lo è volergli bene, e Genma non dovrebbe punirlo perché non ha quello che vuole.”
“Punirlo? Genma non sa nemmeno che sia un problema eppure esce con altri senza sventolarglielo in faccia,” dice Chouza di spalle, rovistando nella borsa, “sei stato tu a tirare fuori l'argomento Shibi.”
Nara socchiude gli occhi e inclina la testa di lato incapace di identificare cosa lo diverta di preciso nel fatto che Aburame sia diventato improvvisamente un argomento da discutere con tanto fervore.
“No, be', ma Shikaku è comunque infastidito e se Genma ci tiene così tanto allora dovrebbe infastidirlo... infastidirlo.”
Inoichi storce il naso al povero tentativo di costruzione di una frase che suonava come un concetto semplice, nella sua testa.
“Shikaku-”
“Shikaku va a casa perché è pronto e perché gli state facendo venire mal di testa,” brontola lui, dirigendosi all'uscita.



La zona della periferia dov'è situato il dojo non è nella parte del villaggio dedicata ai possedimenti dei clan più numerosi, per questo motivo la discussione dura ancora molto, dopo che sono usciti in strada, chiusi nel cappotto e con la borsa in spalla.
Shikaku un po' si stupisce di Chouza. Generalmente quello che dà voce alle sue opinioni è Inoichi, Chouza spesso non è d'accordo con lui, ma solitamente non lo contraddice, un po' perché conosce l'altro, sa che dietro le sue parole non c'è della vera malignità bensì solo una sorta di disapprovazione idealistica, e un po' perché è nel suo carattere. E nonostante occasionalmente ancora Shiranui tiri fuori il padre protettivo che c'è in lui, gli Akimichi sono di base piuttosto miti e propensi a lasciar correre. Pare invece che quell'argomento - argomento Shibi, Shikaku emette uno sbuffo divertito - ingaggi l'interesse e la lingua del grosso jounin.
Non è che ci siano mai state vere discussioni tra di loro, sono stati invece piuttosto fortunati e i loro caratteri già compatibili dall'inizio si sono armonizzati con il tempo; considerata la tesa e scostante presa di posizione del team di Fugaku e la spensierata attitudine all'uccidere del team di Minato, la loro noiosa abilità di sviscerare argomenti idioti per il gusto di sborsare opinioni - e concedere a Inoichi la possibilità di essere in disaccordo - è più che tollerabile.
Shikaku alza la testa in direzione dell'appartamento di Genma e non per la prima volta si chiede come mai il tokujo abbia scambiato il suo appartamento al secondo piano con uno dell'ultimo, dato che soffre di vertigini. Poi, con una seccante chiarezza, si rende conto di saperlo.
Tralasciando il motivo per cui sovrappensiero abbia cercato con lo sguardo proprio quell'appartamento, Shikaku realizza che da lì, come in numerosi altri posti che lui frequenta, quali il dojo stesso, la torre dell'Hokage e casa sua, vede il piano di Genma. Ne vede la finestra e la luce all'interno, o la mancanza di quella, che funge da spia per indicargli la presenza del tokujo nel villaggio dopo una missione. Ha un attimo di panico in cui i suoi passi rallentano perché rimane follemente intrappolato tra la voglia di andare ad abbracciare Genma e quella di razionalizzare in fretta e andare avanti senza fare sciocchezze. Per un momento il suo cervello corre veloce, troppo veloce, tra scenari in cui fa di corsa otto rampe di scale e altri in cui rimane lì a camminare placido mentre dietro di sé il resto della sua quadra parla proprio di quanto sia premuroso e single Genma. Contempla l'opzione C e sta per girarsi verso i compagni e dirgli di farla finita, giusto per liberarsi di un po' di quell'energia violenta e improvvisa che gli vortica dentro, quando cento metri più avanti scorge Shibi.
Shikaku assottiglia lo sguardo, per un secondo dimentico di tutta la cautela usata finora. Dietro di sé c'è ancora la stessa conversazione, che adesso verte di più sui doveri di Genma nei confronti di Shikamaru che nei suoi, e per non destare sospetti lui continua a camminare. Poi si ferma. Sospetti di cosa? È geloso e lo ha già detto. Quando riprende a camminare Inoichi e Chouza sono un po' più vicini, probabilmente gli hanno lanciato un'occhiata, ma la conversazione non ha avuto pause.
Aburame ha continuato a camminare, Nara ne ha visto il profilo fin quando non è sparito dietro alberi e case, ma appena ne ha l'opportunità volta la testa e porta lo sguardo sulla sua schiena con quella sacca attaccata direttamente all'impermeabile e, dopo un paio di secondi, può verificare che la meta dell'altro jounin sia effettivamente il complesso dove vive Genma.
Shikaku stringe la mascella così forte da sentire i denti scricchiolare.
Non vuole fare sesso con Genma. Questo lo fa incazzare durante un processo per convenienza, piuttosto che per adeguatezza, dato che sarebbe tutto più semplice, pure se... bizzarro. E invece è in mezzo alla strada al freddo che si chiede se Shibi avrà cura del tokujo, se lo terrà lontano o gli aprirà le porte di casa sua come ha fatto lui. Poi sbuffa forte, l'aria sale in nuvole di condensa che gli annebbiano la figura dello shinobi, poiché non sa decidere se vorrebbe che Shibi gli desse quello che lui non può dargli o se quell'ansia infida che gli tiene le sopracciglia corrugate e la pancia contratta sia lì perché in fondo spera che lo tenga lontano abbastanza da farlo rimanere accanto a lui, accanto a Shikamaru.
Odia essere messo davanti a quello che spende tempo ed energie nel tentativo di evitare. Odia che lo costringano a decifrare quelle cose che normalmente pisolano, dentro di lui.
Con il silenzio a schiacciargli le orecchie decide di non voltarsi verso i compagni e di proseguire piuttosto verso casa, che è tardi e lui ha bisogno di dormire una settimana.



Genma si sentiva più a suo agio quando Shikaku non sapeva.
Shibi non si toglie mai gli occhiali e parla poco, ma il modo in cui lo accarezza piano mentre si lascia spogliare dice tante cose che a lui piacciono. C'è qualcosa nel suo silenzio e la sua calma che gli fa battere forte il cuore, quando gli si siede sul bacino e scorre i palmi caldi sul petto, i muscoli degli addominali si muovono e il contrasto con la pelle fredda gli fa venire i brividi. Genma si muove piano, ma non è per rispettare i suoi ritmi, è solo che l'intensità di Shibi gli entra meglio sotto pelle se si prende il tempo necessario.
Nel sesso, se è lui a ricevere, di solito preferisce essere preso, che l'altro sia attivo fino in fondo, non gli piace troppa forza o essere manovrato senza riguardo, ma lo intriga sentirsi reclamato. Quando invece è lui a dare, cerca sempre di intuire cosa può mettere più a suo agio il partner e agisce di conseguenza, ma propende per un approccio simile in cui i ruoli sono definiti e la parte veramente attiva è quella che dà.
Con Shibi è tutto capovolto e ha scoperto che gli piace molto anche così. L'uomo non spinge, ma tira. E lui dirige mentre riceve. È uno strano equilibrio che lo lascia sazio, nondimeno.
Shibi gli ricorda Shikaku, in qualche modo. I silenzi pregni, lo sguardo che nonostante gli occhiali si sente addosso, la fine intelligenza dietro ogni piccolo gesto. Shibi però ha tutta una sua passione che non ha niente a che vedere con quella di Shikaku, sebbene ne abbia la stessa intensità. Tutte queste similitudini non bastano a confonderli, li accomunano su un alto livello ma su tutto un altro tipo di scala che li lascia lontani e distinti e Genma geme sempre il nome giusto.
Ma c'è qualcos'altro che lo costringe a terra, lo lega e gli impedisce di andare oltre, buca incessantemente come un sassolino nel sandalo e per quanto lo scuota non vuole andarsene.
I tempi di Shibi sono lunghi come quelli di Shikaku, ma quello che fa durante è diverso: Shibi vive molto nella sua testa. Genma è troppo insicuro per sopravvivere a questo.
Così lo tiene vicino abbastanza, ma non troppo. Lo tiene vicino quanto l'altro gli permette perché si sono detti tutto quello che c'era da dire e Shibi è davvero intelligente e percettivo come sembra, ogni volta che si vedono Genma sente che non gli è sfuggita una sola parola, anche di quelle non dette. Non ne sente la calcolata cautela, ma avverte la calma con cui si avvicina il necessario e gli toglie il respiro lo stesso. A volte lui vorrebbe spingerlo a sorpassare quella linea, a volte lo fa, solo per godersi il rispetto con cui torna da solo nei confini che si sono dati. Quando quel rispetto diventerà restrizione e Shibi dovrà costringersi a rendergli i suoi spazzi, pensa Genma, allora sarà finita. Ma Shibi sa che lo pensa e si guarda bene dal mostrare cambiamenti.
Genma fa finta di niente, lo fa sdraiare con un cuscino dietro la testa affinché riesca a vedere senza sforzo, punta i piedi sul materasso e fa altrettanto con le mani dietro di sé, a gambe aperte davanti al suo volto, poi gli dice di sbatterlo. Shibi lo fa, lo aiuta a stare fermo tenendogli i fianchi e gli dà ogni centimetro che chiede.
Shikaku sa e Genma non ha modo di nascondersi o nascondere questa voglia di nascondersi. Non ha fatto niente di male, non è colpa sua, non ci sono colpe; e allora perché sente il bisogno di nascondersi? Tuttavia non lo fa, stringe i pugni e continua per la sua routine. Shikamaru lo guarda in modo strano, lancia occhiate furtive a suo padre e tra loro c'è sempre troppo silenzio, ma è lui, è colpa sua, quel silenzio è colpa della sua voglia di nascondersi. Eppure quando vede Shibi è sicuro che ne valga la pena. Shibi non lo rende nervoso.
Una volta si incontrano nel corridoio del palazzo dell'Hokage, svoltano l'angolo e sbam.
“Ehi!” sputa, preso alla sprovvista. Sorride ma è teso.
Shikaku ha le spalle rigide e, appena gli ha risposto con un eco di “Ehi”, i suoi occhi scivolano su Shibi, accanto a lui.
“Shikaku san.”
Lui annuisce e saluta.
“Shibi san.”
Genma sposta il peso da una gamba all'altra, stringe i pugni e alla fine comincia a camminare, allontanandosi da quel disastro nel mezzo del corridoio. Shibi lo segue poco dopo e lui non si volta a vedere l'espressione di Shikaku.
Poi se lo trova la sera sul pianerottolo. Non dice niente ma lo fa entrare lo stesso.
“Si può sapere che hai?”
Genma gira su se stesso così velocemente che quasi si frusta la faccia con i propri capelli.
“Io?” grida, arrabbiato e frustrato. “Sei tu che... Mmmh!” e si passa una mano sulla faccia.
“Sono io che... ?”
Genma non gli risponde subito. Lo scruta un momento, osserva le rughe sulla sua fronte e la stanchezza negli occhi e si volta per tornare in cucina, lì apre una bottiglia di sake e ne versa un po' in due bicchieri. Shikaku lo accetta e tira la testa indietro per berlo d'un sorso.
“Non lo so cosa ti passa per la testa ma...” si ferma, si versa altro sake e lo beve, prima di riempire nuovamente entrambi i bicchieri. “È come avere a che fare con Inoichi!” ringhia, prima di bere ancora. E improvvisamente per Shikaku è tutto chiaro.
Non è Genma a non volerlo intorno: lui emana un'aura negativa e il tokujo gli sta alla larga per colpa delle sue insicurezze. Gira intorno alla penisola, lo abbraccia e glielo dice, sospirando tra i capelli castani.
Genma poggia la testa sulla sua spalla ed è come se non fosse successo niente.
Ma non smette di vedere Shibi.



Shibi capisce, capisce sempre e in fretta e non ci sono cambiamenti sul suo volto, quando lo fa. Si vedono meno, vorrebbe dire che non si nascondono, ma la verità è che sono effettivamente più attenti e riservati. E Genma scopre che non gli piace.
Quando tocca, bacia, abbraccia Shibi ha tutto lo stesso sapore di quando sono da soli in una stanza e parlano o si guardano o mangiano insieme, c'è un'atmosfera intima, soffice e intensa, che lo costringe a rimuginare. Il cuore gli batte troppo forte, pensa, mentre fa finta che niente sia cambiato.
Una mattina bussano alla sua porta e Genma non si aspetta di trovarci Inoichi.
“Vuoi tè, caffé, sake?”
L'uomo aggrotta la fronte, ma entra e lo segue.
“Il tè va bene.”
Genma non dice più niente, armeggia in cucina e si lascia scavare un tunnel nel cranio dallo sguardo dell'altro con una calma zen che non sapeva di avere. Nonostante Inoichi abbia le sue idee, le sue convinzioni, loro sono amici e vuole sentire cosa è venuto a dirgli; perché non era mai stato in casa sua, quindi ci deve essere un buon motivo.
Il jounin alza la tazza alle labbra e assaggia il liquido ambrato. Ringrazia e complimenta insieme con un gesto della testa e poi posa nuovamente la tazza sul tavolo.
I componenti di un clan, specialmente se numeroso, sono persone intriganti agli occhi di Genma, che non ha mai camminato in mezzo a quell'ammasso di regole e cerimonie. A volte sono troppo chiusi, o anche se non lo sono non possono fare altrimenti, legati da un intero clan, ma in generale c'è del fascino nelle loro maniere, nel loro modo di pensare e interagire. Alcune cose li accomunano, altre cambiano drasticamente da clan a clan.
“Probabilmente credi che non siano affari miei,” comincia Inoichi, interrompendo i suoi pensieri. “Shikaku è mio amico, Genma. E anche tu lo sei.”
Lui sorride e posa a sua volta la tazza sul tavolo.
“Lo so,” dice, alzando gli occhi su di lui.
“Ci sono sicuramente cose che sopporto meno di altre e non sono sicuro di poterne capire alcune troppo lontane dal modo in cui sono stato cresciuto, ma questo non significa-”
“Inoichi,” lo interrompe piano, “lo so.”
L'uomo stira le labbra in un tentativo di sorriso, ma rimane lì, non raggiunge il resto del viso. Genma si porta nuovamente il tè alle labbra, quando lui riprende a parlare.
“Non so quanto seria sia la storia che hai con Shibi, quello che vorrei sapere è se ne vale la pena...”
La sua voce prende una sfumatura di indecisione sulla fine e sembra quasi che ci sia dell'altro, solo che non lo dice.
Genma lo guarda negli occhi un momento e lo scopre più nervoso di quanto credeva. Qualcosa in quel quieto nervosismo, in quell'espressione attenta gli dice che, se ha mai avuto intenzione di aprirsi con Inoichi, il momento è arrivato. Qualcosa tra le righe brilla ed è importante e richiede la sua partecipazione.
“Credo...” dice, schiarendosi la voce, “che potrei innamorarmi di lui.”
Se avessero più tempo per scoprirsi, se si perdessero un momento per ritrovarsi da capo e parole come clan e guerra, dovere e responsabilità, si fondessero in tutto quello che provano quando sono insieme, allora cose come i silenzi di Shibi non verrebbero più riempiti dalle sue paure. La strada è lunga e ci vuole pazienza, l'altro lo fa sembrare facile, ma Genma sa che Shibi ha molto più controllo sulle proprie emozioni di quanto ne abbia lui sulle sue. Sa che deve stare attento perché Shibi non è Shikaku e le sue priorità sono diverse, sa anche che l'uomo non ha bisogno di un animale da compagnia e non lo terrà intorno in ogni caso. E non ha intenzione di mettersi a pensare se lo crede un aspetto positivo o no.
Nonostante questo, Genma riesce a scorgere abbastanza in profondità per dire che, sì, ne sarebbe capace, potrebbe innamorarsi di Shibi. O semplicemente perdersi con lui ed essere comunque felice. Potrebbe, principalmente, se tagliasse fuori Shikaku.
È con enorme fastidio che capisce sia esattamente quello, il punto.
“Io e Shikaku siamo amici, onestamente non credo che saremo mai qualcosa di più.”
Forse non è riuscito a tenere fuori dal tono tutto il risentimento che gli è esploso nello stomaco, ma non si aspettava che l'espressione di Inoichi gli facesse capire con precisione quanto ha fallito.
“Io...”
“Non credo che non potremmo essere amici se dovessi trovare qualcuno con... È questo quello che pensa? Ti ha detto questo?”
Adesso si sente arrabbiato e piccolo, si sente stupido e può vedere il nervosismo di Inoichi spostarsi in un'altra direzione. Avverte le guance calde e il cervello continua a tornare sul tipo di parole che Shikaku può aver usato.
“No!” dice l'altro, portando le mani avanti come a frenare la potenziale valanga che ha davanti. “Shikaku non mi ha detto niente, era... Sono preoccupato, non riuscivo a darmi pace e- Genma, non voglio che vi facciate male. Solo questo.”
Il tokujo si inclina sul tavolo improvvisamente, poi si ferma e parla a voce bassa, fissando Inoichi negli occhi mentre unisce e intreccia le dita.
“Shikaku è etero, Inoichi,” dice, calmo e incazzato, “Io non gli toglierei mai il saluto, né c'è la possibilità che torniamo ad avere cinque anni e smettiamo di essere amichetti da un giorno all'altro, quindi te lo chiedo una volta sola: cosa non mi stai dicendo?”
Inoichi ha gli occhi larghi, l'espressione di un cervo spaventato e deglutisce aria. Genma dovrebbe sentirsi offeso e irritato perché è evidente che l'uomo non si aspettava di essere smascherato, ma la pelle gli formicola ed è già tanto incazzato che non crede di potersi incazzare di più. Inoltre non è una novità per lui che Inoichi lo creda stupido.
“Ah...” dice solo, il jounin.
Genma si alza e lo lascia lì perché gli esplorerà la testa se non parla con Shikaku.



Quando gli apre trova già un'espressione attenta, sul suo volto, e il tokujo capisce che il suo stesso chakra sta raccontando a tutti quelli nelle vicinanze esattamente quanto è agitato in quel momento.
“Vieni con me.”
Volta le spalle e comincia a camminare, Shikaku inizia a seguirlo con qualche secondo di ritardo.
Genma non vuole mettersi a discutere, magari urlare, in casa sua, un po' per rispetto e un po' per sé, per sentirsi libero di parlare, ma allo stesso tempo sente troppa confusione per essere riguardoso, perciò preferisce andare a parlare in un luogo familiare al jounin. Per questo entra nel bosco di sua proprietà, sicuro oltretutto che non ci saranno interruzioni, lì.
Si ferma in mezzo agli alberi perché non gli importa davvero il dove, si volta e lo osserva.
“Parla.” dice.
Shikaku sospira, passandosi una mano sulla faccia.
“Genma,” dice, “sei tu che mi hai trascinato qui. Ho altro da fare, sai?”
“Non me ne frega un cazzo.”
Ed è con quel tono basso e quella freddezza che l'altro capisce la serietà della cosa. Cambia gamba, redistribuendo il peso, e sospira.
“Devo cercare di indovinare?”
“Inoichi è venuto da me.”
Shikaku pensa che sia strano, ma non così strano come l'espressione dell'altro dice che dovrebbe essere, si costringe infatti a vedere la cosa da esterno e c'è più senso nel fatto che vada a trovarlo Inoichi piuttosto di Gai, che pur essendo stato nel suo team ha preso una strada diversa. Tuttavia, in qualche modo, forse per la situazione o magari la tempistica, capisce che possa essere un comportamento sospetto.
A prescindere dal motivo, è contento quando quello zuccone del suo compagno si ingoia l'orgoglio, perché è convinto che per la maggior parte delle volte non si tratti d'altro e che ci sia ugualmente una sorta di legame, tra i due.
Genma continua a fissarlo e lui apre bocca.
“È venuto a chiedermi se ne vale la pena,” lo interrompe il tokujo, “Perché non vuole che ci facciamo male,” dice, facendo un gesto tra loro due.
Inoichi è un cretino: ha sottovalutato l'intelligenza e la sensibilità di Genma. E Shikaku sospira.
Arrampicarsi sugli specchi è faticoso e infruttuoso, non ha intenzione di farlo, soprattutto perché l'altro non se lo merita, ma niente gli impedisce di pensare a delle ventose con amarezza.
“Genma...”
“Non... usare quel tono!” dice lui, alzando il suo. “Se devi dirmi qualcosa dillo. Noi siamo amici, giusto?” Shikaku annuisce. “Gli amici non sono gelosi di un amante, perciò spiegami come può ferirti il fatto che io frequenti Shibi.”
Nara può vedere ora che parte di quella che è mascherata come rabbia è invece confusione e se ha capito qualcosa è che l'altro si è sentito in colpa per tutto il tempo. Questo è molto dolce e stupido e così Genma che un sorriso minaccia di stirargli le labbra.
“Non ho nessun problema con Shibi,” dice, rimettendosi in carreggiata.
“E ce l'hai con me?”
“Genma,” soffia, scocciato, “fammi finire.” Poi aspetta un momento affinché l'altro si costringa a calmarsi un po'. “È vero che siamo amici, ma non è la stessa cosa che sento per Chouza,” e lascia fuori Inoichi per non decentrare l'attenzione di entrambi. È una cosa importante, deve dirla e dirla bene. “Non abbraccio Chouza come abbraccio te, non mi preoccupo per lui nella stessa misura e non provo la stessa tenerezza. Tu sei importante per noi, Shikamaru è molto legato a te, e Shibi...” sospira, passandosi una mano tra i capelli, “Shibi è un padre single che può darti quello che io non posso. E sì, questo mi infastidisce perché ti vorrei accanto a me.”
Genma ha le spalle più rilassate, ma l'espressione rimane accigliata.
“Non hai il diritto-”
“Non ce l'ho. Così come non ce l'ha Inoichi.”
C'è ancora tanta rabbia, Shikaku ne vede le spire nei suoi occhi, ne immagina i confini e cosa c'è dopo. La confusione che ha giocato un grosso ruolo pochi minuti prima è meno presente, tuttavia è sicuro che ci sia della preoccupazione, l'ansia di rovinare le cose tra loro, l'autocommiserazione, il disagio, ed è dispiaciuto di essere stato la causa di quella tempesta.
“Shibi mi piace,” dice Genma, spiazzandolo. È insicuro e rigido e probabilmente si è costretto a dirlo. Lui sposta lo sguardo a terra per un momento, nel tentativo di nascondere qualsiasi emozione possa passargli nello sguardo, poi annuisce. “Ma non è te.”
Shikaku non sa cosa dire perché quello che vorrebbe dire non può dirlo e quello che può non vuole perché non è un bugiardo e non comincerà a esserlo oggi. Si trattiene anche dall'annuire, cosa sconveniente per mille ragioni che servirebbe solo a riempire quel silenzio con qualcosa di più vuoto.
Genma sospira, le sue spalle cedono.
“Non lo so.”
“Cosa?”
“Non so se ne vale la pena,” chiarisce, “voglio dire, non ancora.”
“Ma vuoi scoprirlo.”
Genma annuisce.
È giusto. Se lo ripete tre, quattro, cinque volte, perché lo stomaco gli si attorciglia al cuore e lo sa che il risentimento che provoca è sbagliato. Genma è libero di fare quello che vuole, può stare con Shibi e con Shino e passare le giornate a casa loro invece di seguire lui nella sua cucina blaterando di cos'ha fatto Raido e poi lamentarsi di caldo, freddo, umido, Kakashi, mentre gli prepara il tè in attesa che torni Shikamaru. Ha diritto di fare le sue scelte, senza peraltro sentirsi in colpa.
In quel momento, Rikumaru si affaccia dalla foresta e con passi calmi e sicuri raggiunge le spalle del tokujo, poi abbassa il muso e gli spinge delicatamente la mano.
Di spalle, preso dalla discussione e fregato dal vento che fruscia tra gli alberi tanto quanto dal fatto che il cervo non ha chakra bastante per essere avvertito senza la dovuta attenzione, Genma sobbalza e si volta. Il grosso animale lo osserva un momento e poi torna a puntare la mano.
Genma rivolge al jounin uno sguardo confuso, ma Shikaku sorride solo. Quando il cervo gli tocca di nuovo la mano, lui la ritrae.
“Accarezzalo.”
“Ma-”
“Genma. Accarezzalo.”
Rikumaru soffia aria dalle narici allargandole un po', uno zoccolo si alza e si abbassa piantandosi nel terriccio, ma il resto rimane immobile e i grandi occhi scuri vengono aperti e chiusi a intervalli regolari, con lentezza. Il tokujo avvicina la mano e, quando gli arriva a qualche centimetro dal pelo, è il cervo a chiudere la distanza. Lui lo accarezza delicatamente.
L'animale scuote un orecchio ed emette ancora quello sbuffo dalle narici. Non è come accarezzare un gatto, quello è un animale selvatico e il pelo è più spesso, probabilmente meno pulito, ma maestoso e folto. Conserva un suo ruvido calore e una strana morbidezza, la stessa che avvolge il bosco.
Genma sorride.
“Ah!” esclama, poi, “non ho cibo, addosso!”
“Non fa niente,” dice Shikaku, “è venuto per te.”
“Cosa?”
“Ti ha sentito agitato, è venuto a confortarti.”
Genma osserva l'animale che ora ha abbassato la testa al suolo per annusare qualcosa, dandogli una visione migliore del suo grande palco di corna.
“Grazie,” mugugna, “suppongo.”
Shikaku si avvicina di qualche passo e quando ha catturato la sua attenzione lo abbraccia. Genma sospira e lui lo stringe tanto da sentirgli il cuore correre più forte del suo.
Poi Rikumaru gli lecca sopra l'orecchio e il tokujo sobbalza, “Oi!”, tra le sue braccia, prima di cambiare lato.
“Queste confidenze...” brontola, mentre Shikaku ridacchia e loda il cervo, accarezzandolo sul muso.



Genma è infastidito da qualcosa che aleggia nel retro della sua mente da giorni. Cerca di ignorarlo con così tanto impegno che non saprebbe dire con certezza quanto tempo sia, ma sa che deve fare qualcosa o rimandare lo renderà solo più nervoso.
Shibi ha avvertito un cambiamento. Il tokujo lo sa perché lo ha sentito adattarsi a qualcosa a cui lui stesso non sa dare un nome.
Quando si vedono gli sembra che la sua mente tenti di distrarlo, è come uno spiffero durante una lezione e tutta la concentrazione del mondo non basta a far tacere quella parte di sé che vuole lui si copra il collo, prima di avere problemi alla cervicale.
Poi, il fatto che abbia l'odore di un avvertimento, lo costringe a uno stato di tensione sottile e quasi costante.
Shibi non è davvero contrario a niente: se qualcosa gli viene proposto e lui ha il tempo per valutarlo, allora c'è la seria possibilità che gli stia bene. In qualche modo Genma già lo sapeva, solo che spesso la sua percezione degli altri è troppo astratta e confusa per fargli afferrare qualcosa in modo cosciente.
È nel mezzo di un bacio, uno di quelli che tolgono il fiato e lasciano la testa leggera, quando l'istinto è più padrone, che si trova a prendere l'iniziativa in modo diverso. Non è sorpreso che Shibi lo lasci fare.
Lo disturba invece il pensiero che l'altro si sia lasciato andare perché sentiva che qualcosa lo turbava e aveva bisogno di essere assecondato.
Shibi lo stupisce invece quando gli monta a cavalcioni, invertendo i ruoli in quel suo strano modo in cui si fa prendere reggendo quelle stesse redini.
Genma rimane in bilico per troppo tempo, quello spiffero gli batte sulla cervicale e Shibi è un'intensa lezione che non vuole perdersi. Se c'è qualcosa che gli impedisce di andare oltre, qualcosa che sta tra lui e l'uomo, sarebbe giusto indagare, ma Genma si rende conto che se non lo fa è proprio perché non vuole sapere. Se indugia è perché ha paura di quel che potrebbe trovare in quello che ora è solo un semplice spiffero.
Sospira, tirandosi a sedere. Il filo d'erba che ha tra le labbra è come tutti quelli che ha d'intorno, penzola da una parte; il senbon è invece dietro l'orecchio.
Il bambino che ha davanti non si muove, i suoi abiti vengono mossi dal vento, ma l'espressione e la postura rimangono immutati. Il suo chakra è tutta un'altra cosa, è controllato per l'età che ha, ma è un brulicare vivo che vibra, più che pulsare.
“Shino...”
“Mio padre è impegnato,” dice, “mi aiuteresti negli allenamenti, Genma san?”
Questa è una mossa palese, Genma non se l'aspettava da Shibi. Significa che lui è in ritardo, forse l'altro si è sentito alle strette, forse è solo la strategia che ha scelto, in ogni caso è arrivato il momento.
Genma non sa ancora se sia più sbagliato lasciar andare Shikaku perché non è ancora sicuro di dove stia lui stesso di preciso o se sia peggio lasciarlo dov'è per lo stesso motivo.
Ha scoperto, tuttavia, che ne vale la pena. Se solo questo risolvesse le cose, invece di complicarle....
Sorride e inclina la testa di lato perché quello è un ragazzino e probabilmente capisce solo la meccanica di quel che gli sta succedendo intorno. Per un momento è tutto troppo complicato e ha voglia di scappare; qualunque cosa faccia deve farla prima di tutto per sé, non solo per un giusto egoismo e spirito di conservazione, soprattutto perché Shikamaru non lo perdonerebbe mai.
Shikamaru.
Non gli sono mai piaciuti i giochi di strategia, la sensazione di essere in scacco è quella che gli fa venire voglia di scappare, eppure istiga in lui anche un fuoco di indignazione: preferisce essere costretto da un nemico piuttosto che da un compagno.
Se ci fosse un modo per tenersi quel che ha, senza dover rinunciare a niente, potrebbe avere quello che vuole. Qualcosa gli dice che si illude e minaccia di renderlo cieco, ma è ormai troppo tardi e non riesce più a fingere di non sapere cosa sia quel fastidio latente.
Forse ancora non sa cosa vuole, ma è triste pensare di dover rinunciare a così tanto.
Ogni volta che c'è uno scontro il cervello deve imporsi sul cuore e l'istinto prima per parlare e poi per essere ascoltato. Ironico è il fatto che sia il cervello stesso a voler ascoltare il cuore e che tutto il suo impegno, la bellezza di quello che ha tra le mani e le promesse che gli bisbiglia, non bastino a zittire quella voce nel retro della sua mente che gli ricorda che Shibi non è Shikaku.
Con un'angoscia primordiale, si chiede se sarà sempre così.
Si alza, fa qualche passo e poi si abbassa al livello del ragazzino.
“Non posso,” dice, “non individualmente. Se vuoi puoi unirti al team di Shikamaru, quando si allenano, con o senza di me.”
Shino rimane inespressivo per un altro lungo momento, analizzando le informazioni che ha, poi alza entrambe le sopracciglia, fa un breve inchino e si volta per andarsene. Non ha modo di saperlo per certo, ma probabilmente ha compreso molto più di quel che un bambino della sua età dovrebbe essere in grado di fare. È intelligente e analitico, estremamente percettivo, Genma ne sa qualcosa di bambini così.
Più tardi, quando raggiunge Shibi, all'uomo basta vederlo lì per capire che è finita.



Avrebbe voluto essere un'altra persona. In quel momento, quando lui gli è apparso davanti e le spalle di Shibi hanno ceduto, avrebbe voluto essere un'altra persona. Qualcuno più semplice, forse più complicato, magari solo diverso.
C'era una rassegnazione brutale tra di loro, una di quelle sensazioni che ti invadono in seguito a un'estenuante sconfitta. Ha aleggiato intorno tanto a lungo da entrargli nelle ossa come l'umidità invernale. Per ore, dopo, ha sentito male ovunque.
Genma dibatte se fermarsi per una manciata di secondi, poi si versa altro sake e decide che smetterà quando sembrerà tutto più sopportabile. È un pensiero leggero, come se stesse decidendo se mettere o meno la salsa sull'okonomiyaki, si rende conto di essere infantile e non gliene frega niente. Vuole smettere di pensare, ma non ci riuscirà, così come non riuscirà a smettere di provare cose fastidiose. L'angoscia gli ha fatto versare il primo bicchiere, il silenzio del suo appartamento lo ha convinto a berlo.
Vuole solo una pausa, vuole smettere per un momento di sentire così tante cose, di provarle, pensarle, ricordarle, vuole che tutto dentro di lui stia zitto per un po' e lo lasci fluttuare in pace. Cercare di risolvere le cose non è sempre possibile: contemplare questo fino allo sfinimento non lo aiuterà a non impazzire. L'alcool forse gli darà un po' più di tempo, ma neanche quello sarà risolutivo. Lo sa. Ha solo bisogno di una pausa.
Non è che non possa andare avanti a rimuginare e incasinarsi la vita dall'indomani mattina, non ci saranno sconti, riprenderà tutto da dove ha interrotto. Adesso però deve lasciar andare perché è troppo e troppo odioso e finirà con l'odiarsi.
Perdonare gli altri non ha niente a che vedere con perdonare se stessi. Si possono confondere, ma è solo un meccanismo di difesa.
Non è colpa di Shibi, né di Shikaku, è di Yoshino ché, se fosse stata viva, lui non si sarebbe mai avvicinato tanto a suo marito. Non è giusto avercela con lei, dopo quello che gli ha lasciato, e non rimpiangerebbe mai quello che ha con Shikaku, ma è meglio che prendersela con se stesso. E allora beve e li confonde e più beve meno ha importanza.



Shikaku si è sorpreso di veder entrare Shibi nel suo ufficio. Si sono guardati. C'era silenzio, uno di quelli immobili e densi, in attesa che accada qualcosa.
“Sarebbe meglio se non rimanesse da solo,” ha detto Shibi, poi ha inclinato il capo leggermente in avanti, “Shikaku san,” porgendo i suoi saluti.
Subito dopo è uscito e lui ha appena avuto il tempo di ringraziare, prima che la porta si chiudesse, lo ha detto con il tono incerto, un po' anche fuori luogo, di chi è troppo preso dal paesaggio dietro a quelle poche parole.
Quella di lavorare fino a tardi era una necessità, ma ha lasciato tutto lì, si è chiuso l'ufficio dietro e si è diretto a casa di Genma.
Gli Dei solo sanno cosa può combinare quello, ha pensato. E dietro quel pensiero forte, si sono nascoste mille preoccupazioni per il suo stato, mille idee e congetture e nuove paure per tutte quelle brutte idee e inutili congetture. Shikaku ha fatto gli scalini due a due come si era immaginato di fare qualche tempo prima e si è ripromesso di abbracciarlo in ogni caso, questa volta.
Genma tende un po' alla megalomania depressiva, questo non significa che i suoi problemi lo feriscano meno o perdano importanza. La verità è che se Genma fosse opportunista e calcolatore almeno la metà di quanto piace insinuare a Inoichi, tutto sarebbe più facile.
Shikaku si ferma davanti alla porta del tokujo, il silenzio zittisce anche i suoi pensieri e in un attimo attira tutta la sua attenzione.
Non c'è movimento, nessun chakra che si muove o si agita, dietro quella porta, eppure l'energia di Genma pulsa; gli occhi del jounin cadono sulla serratura.
La porta accanto dista solo una decina di metri, lui fa qualche passo e poi quella si apre, rivelando un Raido più sveglio di quanto sarebbe logico a quell'ora. All'uomo basta uno sguardo per capire che sa già tutto e appena l'altro gliela porge, lui accetta la chiave.
L'appartamento di Genma è buio e silenzioso, Shikaku fa qualche passo all'interno e lo scorge sul divano.
Non accende luci, cerca di fare movimenti lenti, ovvi, di rimanere nel possibile campo visivo del padrone di casa, di tenere le mani sempre in vista. Si avvicina lentamente, senza lasciarsi sfuggire particolari della scena. L'odore dell'alcool è forte, probabilmente un po' del liquido è stato rovesciato sulla tappezzeria; Genma regge ancora un bicchiere.
È solo quando ormai gli è davanti che Shikaku si rende conto di quanto l'altro sia lontano da lì. Lo chiama, lo scuote, lui mugola, ma non apre gli occhi.
Un tempo aveva un rapporto diverso con l'alcool, gli piaceva e ne faceva uso spesso, non sempre esagerava, ma non era un problema se succedeva. Poi Yoshino lo ha costretto a farne un tabù e forse l'attrattiva stava nel farlo alle sue spalle, un suo piccolo segreto, un suo momento, un ritaglio di orgoglio. La nascita di Shikamaru invece gli ha imposto priorità diverse. In ogni caso, grazie al cielo, sa cosa sia un coma etilico.
Genma pesa. Ha un fisico da nuotatore, poco scolpito, snello e con una densità muscolare inaspettata. Le curve morbide del suo corpo, seppur asciutte, ingannano fin quando non si è dalla parte sbagliata del suo pugno; o lo si deve tirare su a peso morto. Shikaku lo trascina in bagno con qualche difficoltà, accende la luce con il fianco e calcia la porta affinché si chiuda, per avere più spazio di manovra all'interno della piccola stanza. Poggia Genma in terra, davanti al wc e gli si porta dietro, quasi a cavalcioni sulle spalle, per avere l'equilibrio necessario mentre usa una mano per tenergli su la testa e l'altra per mettergli due dita in gola.
Il tokujo protesta debolmente, mugola infastidito, ma alla fine vomita, afferra la tazza di porcellana e il suo corpo convulsa a tempo con i conati. La carta igienica pulisce il giusto per il momento e il jounin lascia che l'altro si appoggi alle sue gambe, per sporgersi ad aprire l'acqua nella doccia alle loro spalle.
Genma vomita ancora e ancora, fin quando non è abbastanza in sé da tentare di alzarsi da solo.
Shikaku lo strattona sotto la doccia e ce lo tiene a forza quando l'acqua fredda si rivela non essere di suo gradimento. Spogliarlo è un po' più difficile. Genma è abbastanza cosciente da averlo riconosciuto ed è chiaro che non lo voglia lì, lo spinge via, rifiuta il suo aiuto e gli dice di andarsene. Lui lo ignora per la maggior parte, lo lascia fare con i suoi tempi quando pare incline a seguire i tentativi di denudarlo dei vestiti fradici, ma per il resto è una lotta impari che il jounin si prende la libertà di vincere ogni volta che vuole costringerlo in una direzione. Quando escono c'è acqua dappertutto, mezzo colluttorio è finito su uno degli asciugamani, c'è ancora del vomito nel wc e Genma trema, nudo come un verme. Shikaku lo spinge malamente sul letto.
“Se volevi vedermi nudo... bastava chiedere,” sospira lui, premendo la guancia sul materasso.
L'altro gli dà le spalle e rovista in un cassetto, Genma non riesce a vedere e tiene gli occhi socchiusi perché la fioca luce della sua lampada da comodino lo ferisce fin nel cervelletto. Poi avverte una mano sul piede, sulla caviglia, la stoffa passa anche sull'altro lato e viene su accarezzandogli le gambe, dietro il ginocchio, le cosce, istintivamente alza il bacino quando la sente salire e presto i boxer sono al loro posto.
Quando lo ha spogliato, per la sua privacy, Shikaku lo ha tenuto voltato e lui gliene è stato molto grato perché non crede che avrebbe potuto sentirsi più nudo di come si è sentito quella sera. Una volta messo l'intimo, si volta supino e una maglia gli viene ficcata rudemente in testa.
“Ehi-”
“Trovati contento se non ti schiaffeggio, idiota.”
“Che cazzo... Fallo! Vedi se me ne frega,” biascica.
Genma sobbalza quando lo schiaffo arriva davvero, rimane con la faccia voltata e ridacchia subito dopo, stupito.
L'uomo lo strattona per tirar via le coperte da sotto di lui, lo sovrasta per tirarle e poi gliele porta addosso. Lui si stupisce ancora quando invece di andarsene, l'altro si toglie la giacca da jounin e la maglia per infilarsi una tshirt presa in prestito dal suo comò.
Lo guarda, respira piano e lo guarda finché non ha l'attenzione di quegli occhi neri.
“Mi dispiace,” dice. Lo sussurra perché gli bruciano gli occhi e la gola e ha ancora troppo alcool in circolo per evitare che la sua voce si incrini.
Shikaku sbuffa, i suoi movimenti si ammorbidiscono e lui si stende sul materasso. Allunga un braccio per spegnere la luce e il tokujo sospira di sollievo perché piangergli davanti è l'ultima cosa che vuole fare.
Appoggia la fronte alla sua spalla cercando il contatto, poi quella spalla si muove, Shikaku alza il braccio e lo invita ad avvicinarsi. Genma poggia l'orecchio su di lui e immediatamente gli rimbomba addosso il battito cardiaco. Il braccio dietro la sua schiena è caldo, così come il corpo del jounin, e per qualche motivo, il modo in cui lui si incastra bene lì dov'è, lo fa sentire piccolo.
Nasconde il viso praticamente sotto la sua ascella e piange.
Shikaku sospira. Immagina che nonostante tutto ne valesse la pena e che faccia più male della possibilità opposta anche perché stabilisce un precedente.



Chouza prende di mira Genma, il giorno dopo. Il dojo è quasi vuoto e loro ancora rimbalzano l'uno sull'altro, a volte letteralmente, poiché il tokujo non è al di sopra dell'usare a suo vantaggio la panza dell'ex sensei.
Shikaku ha da prima ingaggiato un corpo a corpo con Inoichi, poi si è reso conto di quanto l'altro fosse distratto e ha colto la palla al balzo per pigreggiare a bordo campo con qualche kata, mentre sbirciava a sua volta. A un certo punto Inoichi ha pure smesso di pretendere e si è seduto a osservare l'allenamento dei due.
Chouza ha ancora qualcosa da insegnare, Genma ha chiaramente assorbito così tanto da così tante fonti diverse da offrire uno scontro alla pari. Almeno per quanto riguarda il taijutsu. Il loro stile è simile, il tokujo lo ha fatto suo, lo ha sporcato e piegato alla sue esigenze, oltre che alla sua stazza, ma c'è anche qualcos'altro.
“Il modo in cui si muove... ha qualcosa di familiare,” celia Inoichi.
Shikaku sbuffa una risata, ma risponde a tono, piccoso.
“Sì, hanno uno stile simile.”
Inoichi si volta per lanciargli un'occhiata eloquente.
“Intendevo simile al tuo...”
Shikaku non ribatte, lo sa: Genma adotta lo stile del clan Nara quando allena Shikamaru. Se avesse fatto differenza glielo avrebbe detto di persona, invece a lui è sempre importato ben altro, tipo che suo figlio sappia difendere se stesso e i suoi compagni, che torni vivo dalle missioni e non inciampi per le scale quando gli porta pile di documenti già organizzati. Ma per il tokujo è difficile afferrare quanto e quali cose siano importanti in un clan come il loro. A volte dà più importanza a qualcosa che non ne ha, poi invece inciampa in altro, potenzialmente molto offensivo, senza averne la minima idea.
Tutto il suo vantaggio sta nel fatto che quello di Shikaku non è il clan Hyuuga.
Suo figlio ha solo undici anni, il suo stile è acerbo, i suoi allenamenti consistono nel fortificare gli insegnamenti dell'accademia. Eppure è una cosa carina, una gentilezza, da parte di Genma, cercare di non imbastardire lo stile di Shikamaru in un'età in cui, in altri clan, i bambini vengono supervisionati solo ed esclusivamente dai componenti della famiglia. Senza contare implicazioni come il fatto che il tokujo abbia speso tempo ed energie a replicare una base da poter ripetere a quegli allenamenti, oppure quanto si sia impegnato a mantenere un distacco, visibile in come mima lo stile Nara con Shikamaru e come invece mantiene il suo - pur se inevitabilmente macchiato - in tutte le altre occasioni.
In quel momento Chouza spalma Genma sul muro del dojo, a una decina di metri da loro. Con un gioco di piedi ed equilibrio, le posizioni si ribaltano per pochi secondi, poi torna ad esserci un botta e risposta equo.
Inoichi sospira.
“Sono proprio dei cazzoni.”
“Senti chi parla,” brontola Shikaku.
“Gah!” urla, nascondendo brevemente il volto tra le mani. “Non ero in forma, lo ammetto... Ma guardali!” e li indica, “le persone normali si siedono e parlano, loro invece sanno che qualcosa non va e si pestano.”
“Genma è molto fisico e Chouza è fatto così, ti dà quello che ti serve.”
In quel momento, Akimichi afferra rapidamente i polsi di Shiranui, impegnato a recuperare equilibrio dopo l'ultimo attacco, li trattiene con una mano sola e con l'altra provvede ad abbassare il livello tecnico dello scontro.
Inoichi emette un verso esasperato, massaggiandosi una tempia, e Shikaku rotea gli occhi, mentre Genma ride e si dimena.
“Quindi gli serviva il solletico?”
“Magari sì.”
Appena Genma si concentra abbastanza da riuscire a liberarsi si dirigono tutti alle docce.
“Ma come ti salta in mente?”
“Stavi ancora pensando...”
“Col cazzo!”
“Non saprei.”
“Senti, sai cosa significa? Che adesso anche quella mammoletta di Inoichi sa che soffro il solletico! Questa è una fuga di informazioni che non dovevi permettere-”
“Scusa? Chi è la mammoletta?”
“Oh, Mammoletta chan, non mi dirai che il tuo è stato un allenamento intenso?”
“Brutto-”
Genma scatta di lato e frappone Chouza tra loro, prima che Inoichi faccia il giro e si rincorrano intorno al grosso jounin per un paio di volte. Shikaku regge la porta delle docce aperta, così il tokujo può fiondarcisi dentro e iniziare a spogliarsi, visto che Inoichi non lo toccherebbe mai se fosse nudo.
Dentro l'aria è umida per le mille docce precedenti, il pavimento è lucido d'acqua nella zona docce e pesticciato nell'anticamera dove sono loro.
“Come fa Shikaku a sopportarti?” abbaia Inoichi.
Chouza ride, rimestando nella borsa, Genma alza le spalle.
“Magari non lo fa.”
Il silenzio che segue costringe tutti ad alzare gli occhi e l'espressione crucciata che Inoichi rivolge a Genma cattura più di uno sguardo, poi l'attenzione del compagno si sposta su Shikaku e l'espressione diventa un misto di dubbio, dispiacere e rimprovero.
Qualcosa lungo la strada ha modificato la visione di Inoichi, né lui né Chouza sono così masochisti da infilarsi in quella discussione, ma rimane il fatto che, per il jounin, Genma è ormai parte del team e va difeso a katana tratta. Qualcosa si riscalda, nel petto di Shikaku.
Il tokujo è troppo percettivo per non essersi accorto della situazione e così l'espressione di Yamanaka cambia ulteriormente quando quest'ultimo gli schiocca un bacio sulla guancia. Persino Inoichi ne capirà il significato, appena lo shock si sarà diradato abbastanza, ma prima di quel momento c'è un acuto molto indignato e un sandalo lanciato in direzione di Genma.
Chouza ride, Shikaku scuote il capo e Genma si rifugia nel box doccia. Inoichi è tutto rosso.









COSA?
… Scusate, credevo fossero finite le patatine.

Comunque. Aiuto qualcuno mi suggerisca cosa devo dire, perché non c'è mai un gobbo quando serve? Il fatto è che è tutto troppo complicato e moriremo tutti. Cioè. Non ho una proprietà di linguaggio tale da permettermi di tirare fuori parole vere dalle emozioni che ho provato nella mia vita e quindi uffa.
Perciò. Ricapitolando. È tutto troppo complicato, la vita fa schifo e poi si muore. Prendete appunti.

Il letto del fiume è uno solo. Quel fiume può straripare o andare in magra, ma rimane dov'è. Almeno che non lo si forzi altrove artificialmente.

Sfortunatamente i personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro. Meeeeh...



  
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