Il letto del fiume
È
tardi quando entrano nelle docce del dojo, il locale è pieno
di vapore e il pavimento è lucido fino alla zona delle
panche.
Genma è timido, eppure per qualche ragione non ha
mai avuto problemi a spogliarsi in pubblico e di certo non ha mai
pensato che essere gay cambiasse qualcosa negli spogliatoi. Insomma,
se vuole sbirciare lo farà, vestiti o meno, se parla con
qualcuno la nudità non cambierà la direzione della
conversazione o del suo sguardo. Senza contare che a lui piacciono
gli uomini, ma mica tutti.
Alcuni non la pensano così.
Inoichi
Yamanaka è una brava persona, un buon padre, un ottimo ninja e
un buon amico. Di contro è un conservatore, tradizionalista e
bigotto. E, forse per via del fatto che nel suo team il cervello ce
l'aveva già qualcun altro per tutti e tre - per tutti gli
altri team, volendo - le cose per cui brilla sono altre. Non è
stupido, solo che a volte si perde in uno stupido bicchiere
d'acqua.
“Tu fai la doccia qui?”
Genma si blocca a
metà movimento con la maglia sulle spalle, le braccia sopra la
testa e la faccia coperta per metà. I suoi occhi sorridono e
si sente lo sbuffo divertito, però non risponde, finisce anzi
di spogliarsi e poi entra in doccia.
Shikaku sta cercando
l'asciugamano per la testa nella borsa e ha paura di esserselo
dimenticato a casa, sbuffa e si siede per ripercorrere la serie di
azioni che hanno portato quella borsa ad avere un asciugamano in
meno. Dopo poco riapre gli occhi e li alza su Chouza; apre anche la
bocca per chiedere se per caso abbia un asciugamano in più, ma
la chiude subito e aggrotta la fronte, spostando l'attenzione su
Inoichi, in piedi accanto a loro che lo fissa.
“Che
c'è?”
Anche Chouza lo sta guardando, con la
differenza che lui ha uno sguardo neutro e l'aura di stranezza è
dovuta al fatto che non ha pacchetti di cibo in mano.
“A te
sta bene?” chiede Inoichi.
Shikaku deve pensarci per
ricollegarsi all'argomento, poi socchiude gli occhi e sbuffa, prima
di voltarsi verso Chouza.
“Non è che per caso hai un
asciugamano in più?” Lui annuisce e la fronte di Nara si
spiana. “Perfetto.”
Yamanaka emette un verso
frustrato, poi porta le mani a palmo aperto rivolte verso l'alto in
un gesto esasperato.
“Shikaku,” dice con un tono
normale, prima di bisbigliare il resto, indicando le cabine con il
pollice, “è gay!”
Genma ride, insaponandosi il
sedere di proposito, anche se da lì non possono
vederlo.
“Dimmi che non te ne sei accorto solo adesso,”
risponde Nara, ottenendo una mezza risata da Akimichi.
Si spoglia,
sospirando quando incrocia quasi per sbaglio lo sguardo di Inoichi, e
un po' per dispetto, ma principalmente perché è la
doccia più vicina, entra nel box accanto a quello in cui si
sta lavando il tokujo. Per istinto si volta verso di lui e lo trova
con gli occhi chiusi e i capelli buttati indietro dal getto
dell'acqua.
Shikaku è un altro di quelli che non si era
accorto di dover provare fastidio per una cosa del genere; di ninja
gay ce ne sono sempre stati e né lui né - è
pronto a giurare - Inoichi sono mai andati in giro per le docce del
dojo a chiedere se qualcuno lo fosse. Non è mai stato un
problema prima, di certo non credeva possibile che potesse esserlo
con Genma, tra tutte le persone, ed è pure dura definirlo un
problema quando ne vivi tutti i giorni di veri come crescere un
bambino da solo. Forse è ingenuo lui che non riesce a vedere
la gravità della situazione o forse il vero ostacolo è
nella testa di Inoichi, probabilmente un po' tutti e due,
probabilmente la verità sta nel mezzo. È con questa
vaghezza che si libera della faccenda, com'è spesso propenso a
fare quando non gliene frega un cazzo di venirne a capo.
In ogni
caso Genma è Genma, se avesse pensato che ci fosse qualcosa di
deviato in lui, non lo avrebbe mai fatto avvicinare tanto a suo
figlio, per cominciare.
“Io non lo trovo giusto!”
Entrambi
si voltano verso l'uomo che sta vestito nella zona docce, con le
braccia incrociate al petto e l'espressione di uno che caga come una
capra da una settimana.
In quel momento, Chouza gli passa davanti
tutto nudo, grosso e rosa, con l'accappatoio su un braccio e un paio
di flaconi nell'altra mano.
Genma emette un suono che nasconde
frettolosamente con un colpo di tosse, per non dare il via a una
fragorosa risata, Shikaku invece fa in tempo ad alzare entrambe le
sopracciglia e a spruzzarsi in mano un po' di sapone, prima che
Inoichi riprenda.
“Insomma,” dice, gesticolando nella
direzione del tokujo, “lui ha una cotta per te!”
conclude, rivolgendosi al compagno di team; poi però pare
ripensarci e si lancia in un discorso che già dalle prime
parole sembra lungo e concitato. “Non trovo giusto che
tu...”
“Ti sbagli.”
Genma si sta insaponando
i capelli, ha gli occhi chiusi e metà faccia piena di
schiuma.
Nara stava per chiedere al compagno perché si
sentisse in dovere di indignarsi al posto suo, ma la risposta di
Shiranui gli ha stroncato le parole sul nascere. Si volta verso di
lui proprio mentre quello si sciacqua il viso e, dopo che si è
pulito gli occhi dalle ultime gocce, lo guarda.
“Io sono
innamorato di lui.”
E non lo aveva mai detto.
Shikaku
osserva i suoi occhi chiudersi lentamente mentre lui riporta la testa
sotto il getto d'acqua.
“Be', questo aggrava la
situazione!”
Lui lo ha sospettato, lo ha visto e poi lo ha
avvertito. È strano, strano forte, ritrovarsi a sentire
l'amore di un altro uomo. Se glielo avessero detto vent'anni prima
non avrebbe riso, poiché già allora la sapeva lunga
abbastanza da non dire il famoso mai, però avrebbe sicuramente
trovato bizzarra la probabile congiunzione astrale che si sarebbe
evidentemente impegnata molto per ottenere quel risultato.
“E
come? Se fossi tua moglie mi farei un paio di domande.”
Non
è neanche questione di uomo o donna, lo sa bene, quello che
lui ha sentito era amore e basta perché Genma non ha mai
chiesto niente in cambio. Che differenza ci possa essere tra l'uno e
l'altro lo ignora e, anche se Inoichi sembra tracciare una linea
netta a separarli, Chouza pare confuso quanto lui. O forse è
solo fame, la sua.
“Non ti permettere...”
Ci sono
stati momenti, che fossero regali di compleanno su misura per lui o
silenzi e ciarle proprio quando c'era bisogno di loro, in cui si è
chiesto come Genma sapesse certe cose. C'è stato più di
un momento in cui si è trovato a ricevere aiuto, un aiuto
reale, senza nemmeno averlo chiesto. C'è stato un lungo
momento, quando è rientrato e ha trovato Shikamaru
addormentato sulla pancia del tokujo, in cui si è domandato
come avesse fatto prima, senza quel sostegno.
“E tu, puoi
permetterti?”
“Non sono io quello che lo sbircia
nudo!” dice Inoichi, indicando Shikaku.
Ma tutto quello fa
poca differenza perché lo ha sospettato, visto, avvertito,
eppure ancora non lo aveva mai udito.
“Ah, quindi tu credi
che mi serva nudo, per guardargli il culo?”
“Ecco,
vedi? sei un-”
“Sono un uomo. E tu sei un ipocrita!”
E
non è che proprio non significhi niente perché le cose
dette a voce alta si affermano.
Genma poi lo ha detto parlando con
Inoichi, ma guardando lui negli occhi come se nonostante tutto ci
fossero solo loro, lo ha detto con la voce un po' roca perché
bassa, non era una cosa da urlare, andava detta piano, e non dovevano
sentirla così tante persone. Sembrava che ci fosse una folla,
quand'è uscita, e invece sarebbe dovuta essere solo per lui.
Era importante e l'unica cosa che doveva seguire era il silenzio.
“Ma
ti senti quando parli? Che scusa sarebbe...”
“Se non
devi fare la doccia, non serve che tu stia qui.”
Shikaku lo
dice senza rabbia, ma con immenso fastidio. Genma interrompe uno
sbuffo a metà, facendosi gonfiare le guance invece di
espellere l'aria, un po' per la sorpresa, un po' per non disturbare
l'improvviso silenzio, Shikaku lo vede con la coda dell'occhio,
mentre davanti a sé ha quelli spalancati del compagno di
squadra. Lui alza i suoi al cielo, sicuro di sapere cosa stia
passando in quella testa bionda, e la conferma arriva in
un'occhiataccia rivolta al tokubetsu jounin.
Genma è seduto
sulla panca, ha i pantaloni e sta aprendo l'orlo della maglia per
tuffarci la testa dentro e Chouza si sta rimettendo i sandali, quando
Inoichi storma fuori con un borbottio cupo che parla di contagio. Lui
esce dalla doccia con un sospiro, prima di iniziare subito a
frizionarsi i capelli.
Nonostante
la consapevolezza sia sempre dietro l'angolo, a volte capita anche ai
Nara di rimanere spiazzati.
Shikaku ha capito di voler bene a
Genma in modo diverso, lo sa perché ci si è trovato in
mezzo e, invece di sentirsi soffocato, ha fatto due giri sul posto e
si è acciambellato lì, comodo e soddisfatto. Non lo
infastidisce voler bene a un uomo, e se non lo dice ai suoi compagni
è solo perché nessuno dei due glielo ha chiesto. Non sa
cosa sia di preciso, non assomiglia né all'affetto per i suoi
compagni o parenti, né a quello che prova per Yoshino. Perché
lui ama ancora Yoshino, dopo tutti quegli anni, e si ricorda del suo
odore, della sua voce, dei suoi capelli neri sul cuscino, mentre
dormiva rannicchiata contro di lui. E quello che sente per Genma è
una strana piccola brillante cosa, dolce e platonica, che a volte
minaccia di diventare qualcosa di più. La maggior parte del
tempo se ne sta lì, calda e innocua, familiare, scontata. È
così fino a quando un giorno non si accorge che è già
qualcosa di più, ma non è quello a spiazzarlo, bensì
il fatto che, quando si ferma a pensarci, si accorge che è già
così da tempo e non sa da quanto.
D'estate si trovano a
turno in uno dei loro dojo, l'aria è calda e andare a casa
sudati non crea problemi, mentre d'inverno usano sempre uno di quelli
pubblici, in periferia, la sera quando non c'è ressa.
A
quell'ora dovrebbe aver già chiuso, in teoria, ma loro ci
vanno da un centinaio d'anni e il padrone li ha visti tutti in
pannolino, perciò non hanno fretta. Da quando si è
unito Genma, qualche mese prima, l'allenamento ha assunto nuove forme
di sfida: il tokujo ha una mira e una velocità invidiabili,
inoltre essendo più giovane e più operativo sul campo,
quando loro ponzano con la lingua di fuori, lui gli saltella intorno,
spronandoli a continuare. Spronandoli e irritandoli, poiché
Chouza raccoglie tutte le sfide, Shikaku qualcuna e Inoichi si alza
solo per cercare di strozzarlo.
Le docce sono sempre vuote, quando
arrivano; la sera rimangono solo loro, perciò possono urlare e
cantare e dire quante cagate vogliono perché tanto nessuno li
sentirà.
“Senti, Genma,” dice Inoichi
all'improvviso.
Genma si sporge prima dal suo box, poi esce del
tutto e finisce di insaponarsi i capelli davanti a lui. Inoichi
storce il naso, ma ormai si è abituato alle sue provocazioni e
finge di non essere irritato per non dargli soddisfazione; senza
sapere, peraltro, che è proprio quello che vuole il
tokujo.
“Ho sentito dire una cosa strana e mi chiedevo se,
mh, tu ne sapessi qualcosa, ecco,” quasi balbetta l'uomo, un
po' imbarazzato dall'argomento.
“Cosa hai sentito di così
sconcio da farti balbettare?” ride Chouza, affacciandosi dal
suo box.
“Sarà una parolaccia,” celia Shikaku
dal suo.
Inoichi li ignora, così come ignora la risata di
Genma, che scalpiccia nuovamente sotto il getto d'acqua per
sciacquarsi. Si schiarisce la gola, invece, e si dirige anche lui
verso le docce, ora che è completamente nudo. Entra in quella
prima di Shikaku, che ha capito ormai di dovergliene lasciare una
poiché entrava sempre nella prima, il tokujo prendeva quella
dopo e alla fine Inoichi rimaneva ad aspettare che Genma se ne
andasse, per non passargli davanti.
“Non è una
parolaccia,” borbotta, indispettito, “è
Shibi.”
“Chi?”
Il faccione di Chouza spunta
oltre il box di Genma e non è che non sappia chi sia Shibi,
solo Inoichi non ha usato un volume tale da essere udito sopra lo
scroscio dell'acqua.
“Ha detto Shibi.”
Shikaku
sta guardando Chouza, ma quando la testa di Genma si tira su di
scatto e guarda oltre, verso il suo compagno di team, la sua
attenzione non può che spostarsi sui suoi occhi larghi. Genma
se ne pente subito, ché la seconda insaponata gli è
andata all'interno del cranio passando per il nervo ottico,
lasciandogli le meningi lustre; digrigna i denti e impreca a mezza
voce, sotto il getto, dove almeno si crea del tempo per riflettere.
Appena riapre gli occhi ne ha altre tre paia addosso.
“Che
c'è?” sbuffa nel vedere l'espressione esterrefatta di
Inoichi e rotea gli occhi sul soffitto, prima di continuare,
“Frequenta uno dei locali che frequento io, e allora? Non è
gay, è... be', sarà bisessuale, che ne so, avrà
una mentalità aperta e magari non gliene frega così
tanto,” dice cauto, muovendo la mano in un gesto vago e lento,
come per aiutarsi a pensare. Poi sbuffa forte e chiude il getto
d'acqua, giacché il suo era l'unico ancora in funzione. “Non
è come pensi tu, Inoichi, non è solo questione di sesso
per gli uomini gay,” scimmiotta, “così come non lo
è per quelli etero, però è vero che sia più
facile trovare da passare una notte con un uomo, senza strascichi e
senza pagare,” specifica, rallentando, “piuttosto
che con una donna. E certo!” quasi urla, interrompendo
qualsiasi cosa Inoichi stesse per dire, “siamo d'accordo sul
fatto che devi essere aperto a quel genere di esperienze, per farlo,
ma un uomo che non ha problemi ad avere rapporti con altri uomini,
non è necessariamente gay.”
Chouza è già
sulla panca, quando lui esce dal box, Shikaku lo segue e Inoichi
riapre l'acqua per finire di lavarsi. Quando esce, tutto rintanato
nell'accappatoio, allarga un braccio e si rivolge ancora al
tokujo.
“E che cosa sarebbe?”
“Uno che ha
voglia di scopare! O di non stare solo. Non è mica detto che
tu esca di lì con qualcuno, puoi anche solo frequentare quel
posto per bere con degli amici: è un locale, dopotutto, non un
bordello.” Si siede con un tonfo e gli punta un dito contro.
“Le persone che lo frequentano si sanno fare i cazzi loro
perché non c'è niente di deprecabile in quel che fanno,
infatti scommetto che te lo ha detto qualche curioso che c'è
andato per la prima volta!”
Poi si infila la maglia
lentamente perché si è reso conto di essersela presa un
po' troppo a cuore e il silenzio che si è creato lo
infastidisce.
“Perché te la prendi tanto?” gli
chiede infatti Chouza, tamponandosi la criniera.
Genma vorrebbe
avere una via d'uscita a portata di mano, facile e indolore, e non
perché abbia fatto qualcosa di male, ma ci sono volte in cui
la malignità di Inoichi non lo tocca e altre in cui gli fa
domandare che cosa ne pensi Shikaku. Non alza gli occhi dai
pantaloni, ma lo sa che lo sta guardando e non ha voglia nemmeno di
immaginarsi cosa ci potrebbe essere, in quello sguardo. Eppure lo sa
che Nara ha un gran cazzo di cervello e sa come usarlo, perciò
non dovrebbe avere queste preoccupazioni ed è convinto che se
solo fosse più sicuro di sé riuscirebbe a fregarsene.
A
un tratto si ferma, rimane immobile con i pantaloni a metà
coscia e alza gli occhi su Yamanaka.
“Questa non è
una storiellina che puoi raccontare in giro, Inoichi, se ne sento
parlare giuro che ti vengo a cercare e sai benissimo che ti
troverò.”
Sente Chouza voltarsi verso di lui e
Shikaku smette di frizionarsi i capelli, l'altro rimane immobile con
gli occhi spalancati, interdetto.
“Diciamo che,”
continua lui, abbassando lo sguardo e riprendendo a vestirsi, “siamo
usciti da quel locale insieme, un paio di volte.” Poi alza la
testa di scatto, “E non sempre per fare quello che pensi
tu!”
Inoichi alza le mani in aria, prima di iniziare
finalmente a vestirsi, in silenzio.
Genma arrischia una sbirciata,
ma quando fissa quegli occhi neri non riesce a sostenere lo sguardo e
si mette ad armeggiare con le bende intorno alle caviglie.
Stringe
i denti per non far uscire le imprecazioni che sente premere sul
palato, anche se continua a non capire perché si sente come se
avesse fatto qualcosa di sbagliato.
Shikaku vorrebbe fare delle
domande e il non poterle fare lo irrita. Se fosse qualcun
altro potrebbe anche infischiarsene dell'atmosfera, potrebbe ficcare
il naso dove non dovrebbe, ma lui non solo ha lo stesso diritto degli
altri di sapere, ne ha ancora meno per via di quel delicato
equilibrio che c'è tra di loro. Istintivamente guarda Chouza
come per ispirargli quelle domande, in un secondo momento,
realizzando l'idiozia, strizza gli occhi e copre l'espressione
scocciata con l'asciugamano, riprendendo a frizionarsi i capelli. Non
ha il diritto neanche di scocciarsi, non sono affari suoi. Che
seccatura.
Appena
Genma esce, è Inoichi a stupirlo.
“E a te sta bene
che vada con altri?”
Scoprire la parte gay e liberale di
Konoha - la sua tradizionalista e perbenista Konoha - ha un po'
scioccato Inoichi, che però è anche un uomo che si
adatta, che comprende, perché è ottuso, ma non
stupido.
Shikaku si è chiesto in un paio di occasioni cosa
si vedesse da fuori, cosa che ha reputato del tutto normale e di cui
si è dimenticato appena una mosca ha attraversato il suo
ufficio, però non si era mai davvero soffermato a preoccuparsi
del proprio team. È il suo team, dopotutto. Forse si aspettava
persino più resistenza da parte di Inoichi e ha ricevuto da
Chouza esattamente quel che credeva, perciò l'unica sua
preoccupazione è sempre stata Shikamaru e i compagni di scuola
che non fanno altro che ripetere le considerazioni dei genitori.
Per
questo motivo non si sarebbe mai, nemmeno in un milione di anni,
aspettato quella domanda da Inoichi, ma non aveva previsto neanche lo
sguardo lanciato da Chouza.
“Perché?” dice lui,
beccandosi due occhiate scettiche. “Genma è libero e può
fare quel che vuole. Anch'io, in effetti!” si difende,
sentendosi fastidiosamente poco preparato.
“Certo, è
per questo che non esci che con noi o con lui,” celia Chouza,
facendo spallucce. “È chiaro!”
“Senti, lo
sai come sono... fatto e, be', non è che non approvi, perché
poi non serve la mia approvazione...” ridacchia Inoichi, a
disagio, “Lo sai, no?”
“Lo sa, lo sa, vai
avanti,” ride Chouza.
“Sì, be', non cambierebbe
niente, mh, insomma... non cambierebbe le cose tra noi, dico...”
sbuffa e raddrizza la schiena, rilasciando un po' di tensione. “Tu
puoi stare con chi vuoi, nessuno ti giudica per questo.”
Shikaku
si accorge solo in quel momento di avere la bocca aperta, quasi
spalancata, subito si volta meccanicamente verso Chouza che
sorride.
“Oh Kami sama, c'è qualcosa che devo
sapere?”
“Ma vaffanculo,” brontola Inoichi,
sotto la risata grassa di Chouza.
L'atmosfera è più
leggera, ma Shikaku sente che quella leggerezza non riesce a
raggiungerlo dentro. Non è triste, non è stranito, né
indifferente: è geloso. Quella, la cosa che gli rende il cuore
agitato e lo stomaco pesante, quella è gelosia. Ha quasi
quarant'anni, la conosce.
Non è innamorato di Genma e non
crede che riuscirebbe ad andare a letto con un uomo, ma quella rimane
gelosia, da qualsiasi punto la guardi. E non è infastidito
dalla gelosia in sé perché ormai lo sa, è già
successo, Genma gli rivolge mille attenzioni e lui si sente sempre un
po' trascurato quando il tokujo si dedica a qualcun altro. A
infastidirlo è il sentore di comportarsi da bambino viziato,
di regredire a quelle emozioni che non aveva provato neanche con
Yoshino, così forti e indomabili, solo perché Genma
vive una vita tutta sua. Senza di lui. Con un altro uomo nella sua
stessa situazione. Shibi. Magari Shino gli dorme addosso, come fa
Shikamaru.
La voce di Chouza interrompe i suoi pensieri, le sue
parole lo distolgono completamente e lo fanno ridere.
“Sei
sicuro di non esserci stato tu, in quel locale?”
“A me
piacciono le donne!” strilla Yamanaka, per farsi sentire sopra
le risate.
“Lo diremo a tua moglie,” ride
Chouza.
L'atmosfera continua a essere leggera, ma ancora Shikaku
sente lo stomaco carico e l'agitazione rimane dov'è. Si
schiarisce la gola e tiene gli occhi sui suoi sandali, mentre si lega
le bende alla caviglia sinistra. Nonostante tutta la sua attenzione
sia di proposito rivolta sui piedi, può sentire con estrema
precisione l'attimo in cui entrambi i suoi compagni di team si
accorgono del suo disagio.
Torna seduto composto con un sospiro,
probabilmente la schiena è più rigida del normale, ma
siede un momento lì, senza alzare gli occhi, e poi lo dice. Lo
dice e basta.
“Sono geloso,” sbuffa, prima di
stropicciarsi la faccia, solo per rimanere altri due secondi con lo
sguardo basso. “Non-” Sospira. “Be', lo sono.”
Non
ha molto senso, lo sa, lo pensa ma non lo dice, lasciandolo
nell'aria, mentre alza la testa e lo sguardo sui compagni. Qualcosa
nelle loro espressioni, nello sguardo penetrante di Chouza e nel
gesto di assenso che fa Inoichi, annuendo, gli dice che hanno capito,
probabilmente in quel modo confuso e inspiegabile con cui lo
percepisce lui stesso.
È un po' fastidioso perché a
volte si sente frustrato da quest'incapacità di fare chiarezza
ed essere capiti pur senza farla è un sollievo inaspettato che
gli lascia l'amaro in bocca per quella voglia scalpitante di trovare
le parole giuste. Magari dare un nome a tutto.
“Ma non è
che.. insomma, non puoi dirgli cosa fare,” dice Inoichi,
muovendo una mano, insicuro.
Lui annuisce.
“Questo non
significa nemmeno che dovrebbe essere lui a fare quello che vuole
Shikaku.”
C'è una pausa confusa e il silenzio si fa
denso.
Molti si dimenticano che Chouza è stato il jounin
istruttore del team di Genma. A quel tempo la guerra ha interrotto
tutto, compresi gli apprendistato con gli insegnanti, molte
promozioni sono state fatte in fretta e dopo, a quel che è
rimasto dei team, è stata data l'opportunità di
avanzare. Gai era già chuunin a dieci anni, Ebisu non ci è
riuscito e, anzi, persino dopo che sono tornati a Konoha tutti
interi, ha aspettato di sentirsi pronto, Genma invece lo è
diventato a tredici anni passando il test nello scompiglio di un
villaggio che si preparava ad andare in guerra. Per questi stessi
motivi Gai non ha mai richiesto tutta l'attenzione di Chouza, Ebisu è
sbocciato tardi e, sebbene abbia passato più tempo sotto la
sua supervisione, con lui non è stata la maratona estenuante
che è stata con Genma.
Senza contare che tra i tre il
tokujo è sempre stato quello più problematico; Ebisu
aveva alle spalle una famiglia completa e supportiva, Gai cresceva
con lo stesso fuoco del padre nelle vene, mentre Genma aveva una
madre civile e un padre jounin violento.
Chouza è una
persona semplice, per lui non esistono solo nero o bianco, ma allo
stesso tempo non gli interessa spiegare quale sfumatura abbia la sua
opinione, è così e basta e agisce di conseguenza. Ed è
sempre stato protettivo nei confronti di quel ragazzino schivo,
rachitico e dolce che era il tokujo.
Shikaku, non di meno,
aggrotta la fronte alla discussione che si è appena
aperta.
“Non sto dicendo che deve sacrificarsi, non dovrebbe
essere un sacrificio se davvero ne è innamorato,” dice
Inoichi, gesticolando nella sua direzione.
“Genma è
innamorato di Shikaku, non in debito con lui,” ribatte Chouza,
calmo ma incessante, “Se Shikaku non vuole uscirci, Genma non
deve rimanere celibe solo perché si è confessato.”
“Se
Shikaku non è interessato a lui in quel senso non è una
colpa, come non lo è volergli bene, e Genma non dovrebbe
punirlo perché non ha quello che vuole.”
“Punirlo?
Genma non sa nemmeno che sia un problema eppure esce con altri senza
sventolarglielo in faccia,” dice Chouza di spalle, rovistando
nella borsa, “sei stato tu a tirare fuori l'argomento
Shibi.”
Nara socchiude gli occhi e inclina la testa di lato
incapace di identificare cosa lo diverta di preciso nel fatto che
Aburame sia diventato improvvisamente un argomento da discutere con
tanto fervore.
“No, be', ma Shikaku è comunque
infastidito e se Genma ci tiene così tanto allora dovrebbe
infastidirlo... infastidirlo.”
Inoichi storce il naso al
povero tentativo di costruzione di una frase che suonava come un
concetto semplice, nella sua testa.
“Shikaku-”
“Shikaku
va a casa perché è pronto e perché gli state
facendo venire mal di testa,” brontola lui, dirigendosi
all'uscita.
La
zona della periferia dov'è situato il dojo non è nella
parte del villaggio dedicata ai possedimenti dei clan più
numerosi, per questo motivo la discussione dura ancora molto, dopo
che sono usciti in strada, chiusi nel cappotto e con la borsa in
spalla.
Shikaku un po' si stupisce di Chouza. Generalmente quello
che dà voce alle sue opinioni è Inoichi, Chouza spesso
non è d'accordo con lui, ma solitamente non lo contraddice, un
po' perché conosce l'altro, sa che dietro le sue parole non
c'è della vera malignità bensì solo una sorta di
disapprovazione idealistica, e un po' perché è nel suo
carattere. E nonostante occasionalmente ancora Shiranui tiri fuori il
padre protettivo che c'è in lui, gli Akimichi sono di base
piuttosto miti e propensi a lasciar correre. Pare invece che
quell'argomento - argomento Shibi, Shikaku emette uno sbuffo
divertito - ingaggi l'interesse e la lingua del grosso jounin.
Non
è che ci siano mai state vere discussioni tra di loro, sono
stati invece piuttosto fortunati e i loro caratteri già
compatibili dall'inizio si sono armonizzati con il tempo; considerata
la tesa e scostante presa di posizione del team di Fugaku e la
spensierata attitudine all'uccidere del team di Minato, la loro
noiosa abilità di sviscerare argomenti idioti per il gusto di
sborsare opinioni - e concedere a Inoichi la possibilità di
essere in disaccordo - è più che tollerabile.
Shikaku
alza la testa in direzione dell'appartamento di Genma e non per la
prima volta si chiede come mai il tokujo abbia scambiato il suo
appartamento al secondo piano con uno dell'ultimo, dato che soffre di
vertigini. Poi, con una seccante chiarezza, si rende conto di
saperlo.
Tralasciando il motivo per cui sovrappensiero abbia
cercato con lo sguardo proprio quell'appartamento, Shikaku realizza
che da lì, come in numerosi altri posti che lui frequenta,
quali il dojo stesso, la torre dell'Hokage e casa sua, vede il piano
di Genma. Ne vede la finestra e la luce all'interno, o la mancanza di
quella, che funge da spia per indicargli la presenza del tokujo nel
villaggio dopo una missione. Ha un attimo di panico in cui i suoi
passi rallentano perché rimane follemente intrappolato tra la
voglia di andare ad abbracciare Genma e quella di razionalizzare in
fretta e andare avanti senza fare sciocchezze. Per un momento il suo
cervello corre veloce, troppo veloce, tra scenari in cui fa di corsa
otto rampe di scale e altri in cui rimane lì a camminare
placido mentre dietro di sé il resto della sua quadra parla
proprio di quanto sia premuroso e single Genma. Contempla l'opzione C
e sta per girarsi verso i compagni e dirgli di farla finita, giusto
per liberarsi di un po' di quell'energia violenta e improvvisa che
gli vortica dentro, quando cento metri più avanti scorge
Shibi.
Shikaku assottiglia lo sguardo, per un secondo dimentico di
tutta la cautela usata finora. Dietro di sé c'è ancora
la stessa conversazione, che adesso verte di più sui doveri di
Genma nei confronti di Shikamaru che nei suoi, e per non destare
sospetti lui continua a camminare. Poi si ferma. Sospetti di cosa? È
geloso e lo ha già detto. Quando riprende a camminare Inoichi
e Chouza sono un po' più vicini, probabilmente gli hanno
lanciato un'occhiata, ma la conversazione non ha avuto pause.
Aburame
ha continuato a camminare, Nara ne ha visto il profilo fin quando non
è sparito dietro alberi e case, ma appena ne ha l'opportunità
volta la testa e porta lo sguardo sulla sua schiena con quella sacca
attaccata direttamente all'impermeabile e, dopo un paio di secondi,
può verificare che la meta dell'altro jounin sia
effettivamente il complesso dove vive Genma.
Shikaku stringe la
mascella così forte da sentire i denti scricchiolare.
Non
vuole fare sesso con Genma. Questo lo fa incazzare durante un
processo per convenienza, piuttosto che per adeguatezza, dato che
sarebbe tutto più semplice, pure se... bizzarro. E invece è
in mezzo alla strada al freddo che si chiede se Shibi avrà
cura del tokujo, se lo terrà lontano o gli aprirà le
porte di casa sua come ha fatto lui. Poi sbuffa forte, l'aria sale in
nuvole di condensa che gli annebbiano la figura dello shinobi, poiché
non sa decidere se vorrebbe che Shibi gli desse quello che lui non
può dargli o se quell'ansia infida che gli tiene le
sopracciglia corrugate e la pancia contratta sia lì perché
in fondo spera che lo tenga lontano abbastanza da farlo rimanere
accanto a lui, accanto a Shikamaru.
Odia essere messo davanti a
quello che spende tempo ed energie nel tentativo di evitare. Odia che
lo costringano a decifrare quelle cose che normalmente pisolano,
dentro di lui.
Con il silenzio a schiacciargli le orecchie decide
di non voltarsi verso i compagni e di proseguire piuttosto verso
casa, che è tardi e lui ha bisogno di dormire una settimana.
Genma
si sentiva più a suo agio quando Shikaku non sapeva.
Shibi
non si toglie mai gli occhiali e parla poco, ma il modo in cui lo
accarezza piano mentre si lascia spogliare dice tante cose che a lui
piacciono. C'è qualcosa nel suo silenzio e la sua calma che
gli fa battere forte il cuore, quando gli si siede sul bacino e
scorre i palmi caldi sul petto, i muscoli degli addominali si muovono
e il contrasto con la pelle fredda gli fa venire i brividi. Genma si
muove piano, ma non è per rispettare i suoi ritmi, è
solo che l'intensità di Shibi gli entra meglio sotto pelle se
si prende il tempo necessario.
Nel sesso, se è lui a
ricevere, di solito preferisce essere preso, che l'altro sia attivo
fino in fondo, non gli piace troppa forza o essere manovrato senza
riguardo, ma lo intriga sentirsi reclamato. Quando invece è
lui a dare, cerca sempre di intuire cosa può mettere più
a suo agio il partner e agisce di conseguenza, ma propende per un
approccio simile in cui i ruoli sono definiti e la parte veramente
attiva è quella che dà.
Con Shibi è tutto
capovolto e ha scoperto che gli piace molto anche così. L'uomo
non spinge, ma tira. E lui dirige mentre riceve. È uno strano
equilibrio che lo lascia sazio, nondimeno.
Shibi gli ricorda
Shikaku, in qualche modo. I silenzi pregni, lo sguardo che nonostante
gli occhiali si sente addosso, la fine intelligenza dietro ogni
piccolo gesto. Shibi però ha tutta una sua passione che non ha
niente a che vedere con quella di Shikaku, sebbene ne abbia la stessa
intensità. Tutte queste similitudini non bastano a
confonderli, li accomunano su un alto livello ma su tutto un altro
tipo di scala che li lascia lontani e distinti e Genma geme sempre il
nome giusto.
Ma c'è qualcos'altro che lo costringe a terra,
lo lega e gli impedisce di andare oltre, buca incessantemente come un
sassolino nel sandalo e per quanto lo scuota non vuole andarsene.
I
tempi di Shibi sono lunghi come quelli di Shikaku, ma quello che fa
durante è diverso: Shibi vive molto nella sua testa. Genma è
troppo insicuro per sopravvivere a questo.
Così lo tiene
vicino abbastanza, ma non troppo. Lo tiene vicino quanto l'altro gli
permette perché si sono detti tutto quello che c'era da dire e
Shibi è davvero intelligente e percettivo come sembra, ogni
volta che si vedono Genma sente che non gli è sfuggita una
sola parola, anche di quelle non dette. Non ne sente la calcolata
cautela, ma avverte la calma con cui si avvicina il necessario e gli
toglie il respiro lo stesso. A volte lui vorrebbe spingerlo a
sorpassare quella linea, a volte lo fa, solo per godersi il rispetto
con cui torna da solo nei confini che si sono dati. Quando quel
rispetto diventerà restrizione e Shibi dovrà
costringersi a rendergli i suoi spazzi, pensa Genma, allora sarà
finita. Ma Shibi sa che lo pensa e si guarda bene dal mostrare
cambiamenti.
Genma fa finta di niente, lo fa sdraiare con un
cuscino dietro la testa affinché riesca a vedere senza sforzo,
punta i piedi sul materasso e fa altrettanto con le mani dietro di
sé, a gambe aperte davanti al suo volto, poi gli dice di
sbatterlo. Shibi lo fa, lo aiuta a stare fermo tenendogli i fianchi e
gli dà ogni centimetro che chiede.
Shikaku sa e Genma non
ha modo di nascondersi o nascondere questa voglia di nascondersi. Non
ha fatto niente di male, non è colpa sua, non ci sono colpe; e
allora perché sente il bisogno di nascondersi? Tuttavia non lo
fa, stringe i pugni e continua per la sua routine. Shikamaru lo
guarda in modo strano, lancia occhiate furtive a suo padre e tra loro
c'è sempre troppo silenzio, ma è lui, è colpa
sua, quel silenzio è colpa della sua voglia di nascondersi.
Eppure quando vede Shibi è sicuro che ne valga la pena. Shibi
non lo rende nervoso.
Una volta si incontrano nel corridoio del
palazzo dell'Hokage, svoltano l'angolo e sbam.
“Ehi!”
sputa, preso alla sprovvista. Sorride ma è teso.
Shikaku ha
le spalle rigide e, appena gli ha risposto con un eco di “Ehi”,
i suoi occhi scivolano su Shibi, accanto a lui.
“Shikaku
san.”
Lui annuisce e saluta.
“Shibi san.”
Genma
sposta il peso da una gamba all'altra, stringe i pugni e alla fine
comincia a camminare, allontanandosi da quel disastro nel mezzo del
corridoio. Shibi lo segue poco dopo e lui non si volta a vedere
l'espressione di Shikaku.
Poi se lo trova la sera sul
pianerottolo. Non dice niente ma lo fa entrare lo stesso.
“Si
può sapere che hai?”
Genma gira su se stesso così
velocemente che quasi si frusta la faccia con i propri capelli.
“Io?”
grida, arrabbiato e frustrato. “Sei tu che... Mmmh!” e si
passa una mano sulla faccia.
“Sono io che... ?”
Genma
non gli risponde subito. Lo scruta un momento, osserva le rughe sulla
sua fronte e la stanchezza negli occhi e si volta per tornare in
cucina, lì apre una bottiglia di sake e ne versa un po' in due
bicchieri. Shikaku lo accetta e tira la testa indietro per berlo d'un
sorso.
“Non lo so cosa ti passa per la testa ma...” si
ferma, si versa altro sake e lo beve, prima di riempire nuovamente
entrambi i bicchieri. “È come avere a che fare con
Inoichi!” ringhia, prima di bere ancora. E improvvisamente per
Shikaku è tutto chiaro.
Non è Genma a non volerlo
intorno: lui emana un'aura negativa e il tokujo gli sta alla larga
per colpa delle sue insicurezze. Gira intorno alla penisola, lo
abbraccia e glielo dice, sospirando tra i capelli castani.
Genma
poggia la testa sulla sua spalla ed è come se non fosse
successo niente.
Ma non smette di vedere Shibi.
Shibi
capisce, capisce sempre e in fretta e non ci sono cambiamenti sul suo
volto, quando lo fa. Si vedono meno, vorrebbe dire che non si
nascondono, ma la verità è che sono effettivamente più
attenti e riservati. E Genma scopre che non gli piace.
Quando
tocca, bacia, abbraccia Shibi ha tutto lo stesso sapore di quando
sono da soli in una stanza e parlano o si guardano o mangiano
insieme, c'è un'atmosfera intima, soffice e intensa, che lo
costringe a rimuginare. Il cuore gli batte troppo forte, pensa,
mentre fa finta che niente sia cambiato.
Una mattina bussano alla
sua porta e Genma non si aspetta di trovarci Inoichi.
“Vuoi
tè, caffé, sake?”
L'uomo aggrotta la fronte,
ma entra e lo segue.
“Il tè va bene.”
Genma
non dice più niente, armeggia in cucina e si lascia scavare un
tunnel nel cranio dallo sguardo dell'altro con una calma zen che non
sapeva di avere. Nonostante Inoichi abbia le sue idee, le sue
convinzioni, loro sono amici e vuole sentire cosa è venuto a
dirgli; perché non era mai stato in casa sua, quindi ci deve
essere un buon motivo.
Il jounin alza la tazza alle labbra e
assaggia il liquido ambrato. Ringrazia e complimenta insieme con un
gesto della testa e poi posa nuovamente la tazza sul tavolo.
I
componenti di un clan, specialmente se numeroso, sono persone
intriganti agli occhi di Genma, che non ha mai camminato in mezzo a
quell'ammasso di regole e cerimonie. A volte sono troppo chiusi, o
anche se non lo sono non possono fare altrimenti, legati da un intero
clan, ma in generale c'è del fascino nelle loro maniere, nel
loro modo di pensare e interagire. Alcune cose li accomunano, altre
cambiano drasticamente da clan a clan.
“Probabilmente credi
che non siano affari miei,” comincia Inoichi, interrompendo i
suoi pensieri. “Shikaku è mio amico, Genma. E anche tu
lo sei.”
Lui sorride e posa a sua volta la tazza sul
tavolo.
“Lo so,” dice, alzando gli occhi su di
lui.
“Ci sono sicuramente cose che sopporto meno di altre e
non sono sicuro di poterne capire alcune troppo lontane dal modo in
cui sono stato cresciuto, ma questo non significa-”
“Inoichi,”
lo interrompe piano, “lo so.”
L'uomo stira le labbra
in un tentativo di sorriso, ma rimane lì, non raggiunge il
resto del viso. Genma si porta nuovamente il tè alle labbra,
quando lui riprende a parlare.
“Non so quanto seria sia la
storia che hai con Shibi, quello che vorrei sapere è se ne
vale la pena...”
La sua voce prende una sfumatura di
indecisione sulla fine e sembra quasi che ci sia dell'altro, solo che
non lo dice.
Genma lo guarda negli occhi un momento e lo scopre
più nervoso di quanto credeva. Qualcosa in quel quieto
nervosismo, in quell'espressione attenta gli dice che, se ha mai
avuto intenzione di aprirsi con Inoichi, il momento è
arrivato. Qualcosa tra le righe brilla ed è importante e
richiede la sua partecipazione.
“Credo...” dice,
schiarendosi la voce, “che potrei innamorarmi di lui.”
Se
avessero più tempo per scoprirsi, se si perdessero un momento
per ritrovarsi da capo e parole come clan e guerra, dovere e
responsabilità, si fondessero in tutto quello che provano
quando sono insieme, allora cose come i silenzi di Shibi non
verrebbero più riempiti dalle sue paure. La strada è
lunga e ci vuole pazienza, l'altro lo fa sembrare facile, ma Genma sa
che Shibi ha molto più controllo sulle proprie emozioni di
quanto ne abbia lui sulle sue. Sa che deve stare attento perché
Shibi non è Shikaku e le sue priorità sono diverse, sa
anche che l'uomo non ha bisogno di un animale da compagnia e non lo
terrà intorno in ogni caso. E non ha intenzione di mettersi a
pensare se lo crede un aspetto positivo o no.
Nonostante questo,
Genma riesce a scorgere abbastanza in profondità per dire che,
sì, ne sarebbe capace, potrebbe innamorarsi di Shibi. O
semplicemente perdersi con lui ed essere comunque felice. Potrebbe,
principalmente, se tagliasse fuori Shikaku.
È con enorme
fastidio che capisce sia esattamente quello, il punto.
“Io e
Shikaku siamo amici, onestamente non credo che saremo mai qualcosa di
più.”
Forse non è riuscito a tenere fuori dal
tono tutto il risentimento che gli è esploso nello stomaco, ma
non si aspettava che l'espressione di Inoichi gli facesse capire con
precisione quanto ha fallito.
“Io...”
“Non
credo che non potremmo essere amici se dovessi trovare qualcuno
con... È questo quello che pensa? Ti ha detto questo?”
Adesso
si sente arrabbiato e piccolo, si sente stupido e può vedere
il nervosismo di Inoichi spostarsi in un'altra direzione. Avverte le
guance calde e il cervello continua a tornare sul tipo di parole che
Shikaku può aver usato.
“No!” dice l'altro,
portando le mani avanti come a frenare la potenziale valanga che ha
davanti. “Shikaku non mi ha detto niente, era... Sono
preoccupato, non riuscivo a darmi pace e- Genma, non voglio che vi
facciate male. Solo questo.”
Il tokujo si inclina sul tavolo
improvvisamente, poi si ferma e parla a voce bassa, fissando Inoichi
negli occhi mentre unisce e intreccia le dita.
“Shikaku è
etero, Inoichi,” dice, calmo e incazzato, “Io non gli
toglierei mai il saluto, né c'è la possibilità
che torniamo ad avere cinque anni e smettiamo di essere amichetti da
un giorno all'altro, quindi te lo chiedo una volta sola: cosa non mi
stai dicendo?”
Inoichi ha gli occhi larghi, l'espressione di
un cervo spaventato e deglutisce aria. Genma dovrebbe sentirsi offeso
e irritato perché è evidente che l'uomo non si
aspettava di essere smascherato, ma la pelle gli formicola ed è
già tanto incazzato che non crede di potersi incazzare di più.
Inoltre non è una novità per lui che Inoichi lo creda
stupido.
“Ah...” dice solo, il jounin.
Genma si
alza e lo lascia lì perché gli esplorerà la
testa se non parla con Shikaku.
Quando
gli apre trova già un'espressione attenta, sul suo volto, e il
tokujo capisce che il suo stesso chakra sta raccontando a tutti
quelli nelle vicinanze esattamente quanto è agitato in quel
momento.
“Vieni con me.”
Volta le spalle e comincia
a camminare, Shikaku inizia a seguirlo con qualche secondo di
ritardo.
Genma non vuole mettersi a discutere, magari urlare, in
casa sua, un po' per rispetto e un po' per sé, per sentirsi
libero di parlare, ma allo stesso tempo sente troppa confusione per
essere riguardoso, perciò preferisce andare a parlare in un
luogo familiare al jounin. Per questo entra nel bosco di sua
proprietà, sicuro oltretutto che non ci saranno interruzioni,
lì.
Si ferma in mezzo agli alberi perché non gli
importa davvero il dove, si volta e lo osserva.
“Parla.”
dice.
Shikaku sospira, passandosi una mano sulla faccia.
“Genma,”
dice, “sei tu che mi hai trascinato qui. Ho altro da fare,
sai?”
“Non me ne frega un cazzo.”
Ed è
con quel tono basso e quella freddezza che l'altro capisce la serietà
della cosa. Cambia gamba, redistribuendo il peso, e sospira.
“Devo
cercare di indovinare?”
“Inoichi è venuto da
me.”
Shikaku pensa che sia strano, ma non così strano
come l'espressione dell'altro dice che dovrebbe essere, si costringe
infatti a vedere la cosa da esterno e c'è più senso nel
fatto che vada a trovarlo Inoichi piuttosto di Gai, che pur essendo
stato nel suo team ha preso una strada diversa. Tuttavia, in qualche
modo, forse per la situazione o magari la tempistica, capisce che
possa essere un comportamento sospetto.
A prescindere dal motivo,
è contento quando quello zuccone del suo compagno si ingoia
l'orgoglio, perché è convinto che per la maggior parte
delle volte non si tratti d'altro e che ci sia ugualmente una sorta
di legame, tra i due.
Genma continua a fissarlo e lui apre
bocca.
“È venuto a chiedermi se ne vale la pena,”
lo interrompe il tokujo, “Perché non vuole che ci
facciamo male,” dice, facendo un gesto tra loro due.
Inoichi
è un cretino: ha sottovalutato l'intelligenza e la sensibilità
di Genma. E Shikaku sospira.
Arrampicarsi sugli specchi è
faticoso e infruttuoso, non ha intenzione di farlo, soprattutto
perché l'altro non se lo merita, ma niente gli impedisce di
pensare a delle ventose con amarezza.
“Genma...”
“Non...
usare quel tono!” dice lui, alzando il suo. “Se devi
dirmi qualcosa dillo. Noi siamo amici, giusto?” Shikaku
annuisce. “Gli amici non sono gelosi di un amante, perciò
spiegami come può ferirti il fatto che io frequenti
Shibi.”
Nara può vedere ora che parte di quella che è
mascherata come rabbia è invece confusione e se ha capito
qualcosa è che l'altro si è sentito in colpa per tutto
il tempo. Questo è molto dolce e stupido e così Genma
che un sorriso minaccia di stirargli le labbra.
“Non ho
nessun problema con Shibi,” dice, rimettendosi in
carreggiata.
“E ce l'hai con me?”
“Genma,”
soffia, scocciato, “fammi finire.” Poi aspetta un momento
affinché l'altro si costringa a calmarsi un po'. “È
vero che siamo amici, ma non è la stessa cosa che sento per
Chouza,” e lascia fuori Inoichi per non decentrare l'attenzione
di entrambi. È una cosa importante, deve dirla e dirla bene.
“Non abbraccio Chouza come abbraccio te, non mi preoccupo per
lui nella stessa misura e non provo la stessa tenerezza. Tu sei
importante per noi, Shikamaru è molto legato a te, e Shibi...”
sospira, passandosi una mano tra i capelli, “Shibi è un
padre single che può darti quello che io non posso. E sì,
questo mi infastidisce perché ti vorrei accanto a me.”
Genma
ha le spalle più rilassate, ma l'espressione rimane
accigliata.
“Non hai il diritto-”
“Non ce
l'ho. Così come non ce l'ha Inoichi.”
C'è
ancora tanta rabbia, Shikaku ne vede le spire nei suoi occhi, ne
immagina i confini e cosa c'è dopo. La confusione che ha
giocato un grosso ruolo pochi minuti prima è meno presente,
tuttavia è sicuro che ci sia della preoccupazione, l'ansia di
rovinare le cose tra loro, l'autocommiserazione, il disagio, ed è
dispiaciuto di essere stato la causa di quella tempesta.
“Shibi
mi piace,” dice Genma, spiazzandolo. È insicuro e rigido
e probabilmente si è costretto a dirlo. Lui sposta lo sguardo
a terra per un momento, nel tentativo di nascondere qualsiasi
emozione possa passargli nello sguardo, poi annuisce. “Ma non è
te.”
Shikaku non sa cosa dire perché quello che
vorrebbe dire non può dirlo e quello che può non vuole
perché non è un bugiardo e non comincerà a
esserlo oggi. Si trattiene anche dall'annuire, cosa sconveniente per
mille ragioni che servirebbe solo a riempire quel silenzio con
qualcosa di più vuoto.
Genma sospira, le sue spalle
cedono.
“Non lo so.”
“Cosa?”
“Non
so se ne vale la pena,” chiarisce, “voglio dire, non
ancora.”
“Ma vuoi scoprirlo.”
Genma
annuisce.
È giusto. Se lo ripete tre, quattro, cinque
volte, perché lo stomaco gli si attorciglia al cuore e lo sa
che il risentimento che provoca è sbagliato. Genma è
libero di fare quello che vuole, può stare con Shibi e con
Shino e passare le giornate a casa loro invece di seguire lui nella
sua cucina blaterando di cos'ha fatto Raido e poi lamentarsi di
caldo, freddo, umido, Kakashi, mentre gli prepara il tè in
attesa che torni Shikamaru. Ha diritto di fare le sue scelte, senza
peraltro sentirsi in colpa.
In quel momento, Rikumaru si affaccia
dalla foresta e con passi calmi e sicuri raggiunge le spalle del
tokujo, poi abbassa il muso e gli spinge delicatamente la mano.
Di
spalle, preso dalla discussione e fregato dal vento che fruscia tra
gli alberi tanto quanto dal fatto che il cervo non ha chakra bastante
per essere avvertito senza la dovuta attenzione, Genma sobbalza e si
volta. Il grosso animale lo osserva un momento e poi torna a puntare
la mano.
Genma rivolge al jounin uno sguardo confuso, ma Shikaku
sorride solo. Quando il cervo gli tocca di nuovo la mano, lui la
ritrae.
“Accarezzalo.”
“Ma-”
“Genma.
Accarezzalo.”
Rikumaru soffia aria dalle narici allargandole
un po', uno zoccolo si alza e si abbassa piantandosi nel terriccio,
ma il resto rimane immobile e i grandi occhi scuri vengono aperti e
chiusi a intervalli regolari, con lentezza. Il tokujo avvicina la
mano e, quando gli arriva a qualche centimetro dal pelo, è il
cervo a chiudere la distanza. Lui lo accarezza
delicatamente.
L'animale scuote un orecchio ed emette ancora
quello sbuffo dalle narici. Non è come accarezzare un gatto,
quello è un animale selvatico e il pelo è più
spesso, probabilmente meno pulito, ma maestoso e folto. Conserva un
suo ruvido calore e una strana morbidezza, la stessa che avvolge il
bosco.
Genma sorride.
“Ah!” esclama, poi, “non
ho cibo, addosso!”
“Non fa niente,” dice
Shikaku, “è venuto per te.”
“Cosa?”
“Ti
ha sentito agitato, è venuto a confortarti.”
Genma
osserva l'animale che ora ha abbassato la testa al suolo per annusare
qualcosa, dandogli una visione migliore del suo grande palco di
corna.
“Grazie,” mugugna, “suppongo.”
Shikaku
si avvicina di qualche passo e quando ha catturato la sua attenzione
lo abbraccia. Genma sospira e lui lo stringe tanto da sentirgli il
cuore correre più forte del suo.
Poi Rikumaru gli lecca
sopra l'orecchio e il tokujo sobbalza, “Oi!”, tra le sue
braccia, prima di cambiare lato.
“Queste confidenze...”
brontola, mentre Shikaku ridacchia e loda il cervo, accarezzandolo
sul muso.
Genma
è infastidito da qualcosa che aleggia nel retro della sua
mente da giorni. Cerca di ignorarlo con così tanto impegno che
non saprebbe dire con certezza quanto tempo sia, ma sa che deve fare
qualcosa o rimandare lo renderà solo più nervoso.
Shibi
ha avvertito un cambiamento. Il tokujo lo sa perché lo ha
sentito adattarsi a qualcosa a cui lui stesso non sa dare un
nome.
Quando si vedono gli sembra che la sua mente tenti di
distrarlo, è come uno spiffero durante una lezione e tutta la
concentrazione del mondo non basta a far tacere quella parte di sé
che vuole lui si copra il collo, prima di avere problemi alla
cervicale.
Poi, il fatto che abbia l'odore di un avvertimento, lo
costringe a uno stato di tensione sottile e quasi costante.
Shibi
non è davvero contrario a niente: se qualcosa gli viene
proposto e lui ha il tempo per valutarlo, allora c'è la seria
possibilità che gli stia bene. In qualche modo Genma già
lo sapeva, solo che spesso la sua percezione degli altri è
troppo astratta e confusa per fargli afferrare qualcosa in modo
cosciente.
È nel mezzo di un bacio, uno di quelli che
tolgono il fiato e lasciano la testa leggera, quando l'istinto è
più padrone, che si trova a prendere l'iniziativa in modo
diverso. Non è sorpreso che Shibi lo lasci fare.
Lo
disturba invece il pensiero che l'altro si sia lasciato andare perché
sentiva che qualcosa lo turbava e aveva bisogno di essere
assecondato.
Shibi lo stupisce invece quando gli monta a
cavalcioni, invertendo i ruoli in quel suo strano modo in cui si fa
prendere reggendo quelle stesse redini.
Genma rimane in bilico per
troppo tempo, quello spiffero gli batte sulla cervicale e Shibi è
un'intensa lezione che non vuole perdersi. Se c'è qualcosa che
gli impedisce di andare oltre, qualcosa che sta tra lui e l'uomo,
sarebbe giusto indagare, ma Genma si rende conto che se non lo fa è
proprio perché non vuole sapere. Se indugia è perché
ha paura di quel che potrebbe trovare in quello che ora è solo
un semplice spiffero.
Sospira, tirandosi a sedere. Il filo d'erba
che ha tra le labbra è come tutti quelli che ha d'intorno,
penzola da una parte; il senbon è invece dietro l'orecchio.
Il
bambino che ha davanti non si muove, i suoi abiti vengono mossi dal
vento, ma l'espressione e la postura rimangono immutati. Il suo
chakra è tutta un'altra cosa, è controllato per l'età
che ha, ma è un brulicare vivo che vibra, più che
pulsare.
“Shino...”
“Mio padre è
impegnato,” dice, “mi aiuteresti negli allenamenti, Genma
san?”
Questa è una mossa palese, Genma non se
l'aspettava da Shibi. Significa che lui è in ritardo, forse
l'altro si è sentito alle strette, forse è solo la
strategia che ha scelto, in ogni caso è arrivato il
momento.
Genma non sa ancora se sia più sbagliato lasciar
andare Shikaku perché non è ancora sicuro di dove stia
lui stesso di preciso o se sia peggio lasciarlo dov'è per lo
stesso motivo.
Ha scoperto, tuttavia, che ne vale la pena. Se solo
questo risolvesse le cose, invece di complicarle....
Sorride e
inclina la testa di lato perché quello è un ragazzino e
probabilmente capisce solo la meccanica di quel che gli sta
succedendo intorno. Per un momento è tutto troppo complicato e
ha voglia di scappare; qualunque cosa faccia deve farla prima di
tutto per sé, non solo per un giusto egoismo e spirito di
conservazione, soprattutto perché Shikamaru non lo
perdonerebbe mai.
Shikamaru.
Non gli sono mai piaciuti i giochi
di strategia, la sensazione di essere in scacco è quella che
gli fa venire voglia di scappare, eppure istiga in lui anche un fuoco
di indignazione: preferisce essere costretto da un nemico piuttosto
che da un compagno.
Se ci fosse un modo per tenersi quel che ha,
senza dover rinunciare a niente, potrebbe avere quello che vuole.
Qualcosa gli dice che si illude e minaccia di renderlo cieco, ma è
ormai troppo tardi e non riesce più a fingere di non sapere
cosa sia quel fastidio latente.
Forse ancora non sa cosa vuole, ma
è triste pensare di dover rinunciare a così tanto.
Ogni
volta che c'è uno scontro il cervello deve imporsi sul cuore e
l'istinto prima per parlare e poi per essere ascoltato. Ironico è
il fatto che sia il cervello stesso a voler ascoltare il cuore e che
tutto il suo impegno, la bellezza di quello che ha tra le mani e le
promesse che gli bisbiglia, non bastino a zittire quella voce nel
retro della sua mente che gli ricorda che Shibi non è
Shikaku.
Con un'angoscia primordiale, si chiede se sarà
sempre così.
Si alza, fa qualche passo e poi si abbassa al
livello del ragazzino.
“Non posso,” dice, “non
individualmente. Se vuoi puoi unirti al team di Shikamaru, quando si
allenano, con o senza di me.”
Shino rimane inespressivo per
un altro lungo momento, analizzando le informazioni che ha, poi alza
entrambe le sopracciglia, fa un breve inchino e si volta per
andarsene. Non ha modo di saperlo per certo, ma probabilmente ha
compreso molto più di quel che un bambino della sua età
dovrebbe essere in grado di fare. È intelligente e analitico,
estremamente percettivo, Genma ne sa qualcosa di bambini così.
Più
tardi, quando raggiunge Shibi, all'uomo basta vederlo lì per
capire che è finita.
Avrebbe
voluto essere un'altra persona. In quel momento, quando lui gli è
apparso davanti e le spalle di Shibi hanno ceduto, avrebbe voluto
essere un'altra persona. Qualcuno più semplice, forse più
complicato, magari solo diverso.
C'era una rassegnazione brutale
tra di loro, una di quelle sensazioni che ti invadono in seguito a
un'estenuante sconfitta. Ha aleggiato intorno tanto a lungo da
entrargli nelle ossa come l'umidità invernale. Per ore, dopo,
ha sentito male ovunque.
Genma dibatte se fermarsi per una
manciata di secondi, poi si versa altro sake e decide che smetterà
quando sembrerà tutto più sopportabile. È un
pensiero leggero, come se stesse decidendo se mettere o meno la salsa
sull'okonomiyaki, si rende conto di essere infantile e non gliene
frega niente. Vuole smettere di pensare, ma non ci riuscirà,
così come non riuscirà a smettere di provare cose
fastidiose. L'angoscia gli ha fatto versare il primo bicchiere, il
silenzio del suo appartamento lo ha convinto a berlo.
Vuole solo
una pausa, vuole smettere per un momento di sentire così tante
cose, di provarle, pensarle, ricordarle, vuole che tutto dentro di
lui stia zitto per un po' e lo lasci fluttuare in pace. Cercare di
risolvere le cose non è sempre possibile: contemplare questo
fino allo sfinimento non lo aiuterà a non impazzire. L'alcool
forse gli darà un po' più di tempo, ma neanche quello
sarà risolutivo. Lo sa. Ha solo bisogno di una pausa.
Non è
che non possa andare avanti a rimuginare e incasinarsi la vita
dall'indomani mattina, non ci saranno sconti, riprenderà tutto
da dove ha interrotto. Adesso però deve lasciar andare perché
è troppo e troppo odioso e finirà con
l'odiarsi.
Perdonare gli altri non ha niente a che vedere con
perdonare se stessi. Si possono confondere, ma è solo un
meccanismo di difesa.
Non è colpa di Shibi, né di
Shikaku, è di Yoshino ché, se fosse stata viva, lui non
si sarebbe mai avvicinato tanto a suo marito. Non è giusto
avercela con lei, dopo quello che gli ha lasciato, e non
rimpiangerebbe mai quello che ha con Shikaku, ma è meglio che
prendersela con se stesso. E allora beve e li confonde e più
beve meno ha importanza.
Shikaku
si è sorpreso di veder entrare Shibi nel suo ufficio. Si sono
guardati. C'era silenzio, uno di quelli immobili e densi, in attesa
che accada qualcosa.
“Sarebbe meglio se non rimanesse da
solo,” ha detto Shibi, poi ha inclinato il capo leggermente in
avanti, “Shikaku san,” porgendo i suoi saluti.
Subito
dopo è uscito e lui ha appena avuto il tempo di ringraziare,
prima che la porta si chiudesse, lo ha detto con il tono incerto, un
po' anche fuori luogo, di chi è troppo preso dal paesaggio
dietro a quelle poche parole.
Quella di lavorare fino a tardi era
una necessità, ma ha lasciato tutto lì, si è
chiuso l'ufficio dietro e si è diretto a casa di Genma.
Gli
Dei solo sanno cosa può combinare quello, ha pensato. E dietro
quel pensiero forte, si sono nascoste mille preoccupazioni per il suo
stato, mille idee e congetture e nuove paure per tutte quelle brutte
idee e inutili congetture. Shikaku ha fatto gli scalini due a due
come si era immaginato di fare qualche tempo prima e si è
ripromesso di abbracciarlo in ogni caso, questa volta.
Genma tende
un po' alla megalomania depressiva, questo non significa che i suoi
problemi lo feriscano meno o perdano importanza. La verità è
che se Genma fosse opportunista e calcolatore almeno la metà
di quanto piace insinuare a Inoichi, tutto sarebbe più
facile.
Shikaku si ferma davanti alla porta del tokujo, il
silenzio zittisce anche i suoi pensieri e in un attimo attira tutta
la sua attenzione.
Non c'è movimento, nessun chakra che si
muove o si agita, dietro quella porta, eppure l'energia di Genma
pulsa; gli occhi del jounin cadono sulla serratura.
La porta
accanto dista solo una decina di metri, lui fa qualche passo e poi
quella si apre, rivelando un Raido più sveglio di quanto
sarebbe logico a quell'ora. All'uomo basta uno sguardo per capire che
sa già tutto e appena l'altro gliela porge, lui accetta la
chiave.
L'appartamento di Genma è buio e silenzioso,
Shikaku fa qualche passo all'interno e lo scorge sul divano.
Non
accende luci, cerca di fare movimenti lenti, ovvi, di rimanere nel
possibile campo visivo del padrone di casa, di tenere le mani sempre
in vista. Si avvicina lentamente, senza lasciarsi sfuggire
particolari della scena. L'odore dell'alcool è forte,
probabilmente un po' del liquido è stato rovesciato sulla
tappezzeria; Genma regge ancora un bicchiere.
È solo quando
ormai gli è davanti che Shikaku si rende conto di quanto
l'altro sia lontano da lì. Lo chiama, lo scuote, lui mugola,
ma non apre gli occhi.
Un tempo aveva un rapporto diverso con
l'alcool, gli piaceva e ne faceva uso spesso, non sempre esagerava,
ma non era un problema se succedeva. Poi Yoshino lo ha costretto a
farne un tabù e forse l'attrattiva stava nel farlo alle sue
spalle, un suo piccolo segreto, un suo momento, un ritaglio di
orgoglio. La nascita di Shikamaru invece gli ha imposto priorità
diverse. In ogni caso, grazie al cielo, sa cosa sia un coma
etilico.
Genma pesa. Ha un fisico da nuotatore, poco scolpito,
snello e con una densità muscolare inaspettata. Le curve
morbide del suo corpo, seppur asciutte, ingannano fin quando non si è
dalla parte sbagliata del suo pugno; o lo si deve tirare su a peso
morto. Shikaku lo trascina in bagno con qualche difficoltà,
accende la luce con il fianco e calcia la porta affinché si
chiuda, per avere più spazio di manovra all'interno della
piccola stanza. Poggia Genma in terra, davanti al wc e gli si porta
dietro, quasi a cavalcioni sulle spalle, per avere l'equilibrio
necessario mentre usa una mano per tenergli su la testa e l'altra per
mettergli due dita in gola.
Il tokujo protesta debolmente, mugola
infastidito, ma alla fine vomita, afferra la tazza di porcellana e il
suo corpo convulsa a tempo con i conati. La carta igienica pulisce il
giusto per il momento e il jounin lascia che l'altro si appoggi alle
sue gambe, per sporgersi ad aprire l'acqua nella doccia alle loro
spalle.
Genma vomita ancora e ancora, fin quando non è
abbastanza in sé da tentare di alzarsi da solo.
Shikaku lo
strattona sotto la doccia e ce lo tiene a forza quando l'acqua fredda
si rivela non essere di suo gradimento. Spogliarlo è un po'
più difficile. Genma è abbastanza cosciente da averlo
riconosciuto ed è chiaro che non lo voglia lì, lo
spinge via, rifiuta il suo aiuto e gli dice di andarsene. Lui lo
ignora per la maggior parte, lo lascia fare con i suoi tempi quando
pare incline a seguire i tentativi di denudarlo dei vestiti fradici,
ma per il resto è una lotta impari che il jounin si prende la
libertà di vincere ogni volta che vuole costringerlo in una
direzione. Quando escono c'è acqua dappertutto, mezzo
colluttorio è finito su uno degli asciugamani, c'è
ancora del vomito nel wc e Genma trema, nudo come un verme. Shikaku
lo spinge malamente sul letto.
“Se volevi vedermi nudo...
bastava chiedere,” sospira lui, premendo la guancia sul
materasso.
L'altro gli dà le spalle e rovista in un
cassetto, Genma non riesce a vedere e tiene gli occhi socchiusi
perché la fioca luce della sua lampada da comodino lo ferisce
fin nel cervelletto. Poi avverte una mano sul piede, sulla caviglia,
la stoffa passa anche sull'altro lato e viene su accarezzandogli le
gambe, dietro il ginocchio, le cosce, istintivamente alza il bacino
quando la sente salire e presto i boxer sono al loro posto.
Quando
lo ha spogliato, per la sua privacy, Shikaku lo ha tenuto voltato e
lui gliene è stato molto grato perché non crede che
avrebbe potuto sentirsi più nudo di come si è sentito
quella sera. Una volta messo l'intimo, si volta supino e una maglia
gli viene ficcata rudemente in testa.
“Ehi-”
“Trovati
contento se non ti schiaffeggio, idiota.”
“Che
cazzo... Fallo! Vedi se me ne frega,” biascica.
Genma
sobbalza quando lo schiaffo arriva davvero, rimane con la faccia
voltata e ridacchia subito dopo, stupito.
L'uomo lo strattona per
tirar via le coperte da sotto di lui, lo sovrasta per tirarle e poi
gliele porta addosso. Lui si stupisce ancora quando invece di
andarsene, l'altro si toglie la giacca da jounin e la maglia per
infilarsi una tshirt presa in prestito dal suo comò.
Lo
guarda, respira piano e lo guarda finché non ha l'attenzione
di quegli occhi neri.
“Mi dispiace,” dice. Lo sussurra
perché gli bruciano gli occhi e la gola e ha ancora troppo
alcool in circolo per evitare che la sua voce si incrini.
Shikaku
sbuffa, i suoi movimenti si ammorbidiscono e lui si stende sul
materasso. Allunga un braccio per spegnere la luce e il tokujo
sospira di sollievo perché piangergli davanti è
l'ultima cosa che vuole fare.
Appoggia la fronte alla sua spalla
cercando il contatto, poi quella spalla si muove, Shikaku alza il
braccio e lo invita ad avvicinarsi. Genma poggia l'orecchio su di lui
e immediatamente gli rimbomba addosso il battito cardiaco. Il braccio
dietro la sua schiena è caldo, così come il corpo del
jounin, e per qualche motivo, il modo in cui lui si incastra bene lì
dov'è, lo fa sentire piccolo.
Nasconde il viso
praticamente sotto la sua ascella e piange.
Shikaku sospira.
Immagina che nonostante tutto ne valesse la pena e che faccia più
male della possibilità opposta anche perché stabilisce
un precedente.
Chouza
prende di mira Genma, il giorno dopo. Il dojo è quasi vuoto e
loro ancora rimbalzano l'uno sull'altro, a volte letteralmente,
poiché il tokujo non è al di sopra dell'usare a suo
vantaggio la panza dell'ex sensei.
Shikaku ha da prima ingaggiato
un corpo a corpo con Inoichi, poi si è reso conto di quanto
l'altro fosse distratto e ha colto la palla al balzo per pigreggiare
a bordo campo con qualche kata, mentre sbirciava a sua volta. A un
certo punto Inoichi ha pure smesso di pretendere e si è seduto
a osservare l'allenamento dei due.
Chouza ha ancora qualcosa da
insegnare, Genma ha chiaramente assorbito così tanto da così
tante fonti diverse da offrire uno scontro alla pari. Almeno per
quanto riguarda il taijutsu. Il loro stile è simile, il tokujo
lo ha fatto suo, lo ha sporcato e piegato alla sue esigenze, oltre
che alla sua stazza, ma c'è anche qualcos'altro.
“Il
modo in cui si muove... ha qualcosa di familiare,” celia
Inoichi.
Shikaku sbuffa una risata, ma risponde a tono,
piccoso.
“Sì, hanno uno stile simile.”
Inoichi
si volta per lanciargli un'occhiata eloquente.
“Intendevo
simile al tuo...”
Shikaku non ribatte, lo sa: Genma adotta
lo stile del clan Nara quando allena Shikamaru. Se avesse fatto
differenza glielo avrebbe detto di persona, invece a lui è
sempre importato ben altro, tipo che suo figlio sappia difendere se
stesso e i suoi compagni, che torni vivo dalle missioni e non
inciampi per le scale quando gli porta pile di documenti già
organizzati. Ma per il tokujo è difficile afferrare quanto e
quali cose siano importanti in un clan come il loro. A volte dà
più importanza a qualcosa che non ne ha, poi invece inciampa
in altro, potenzialmente molto offensivo, senza averne la minima
idea.
Tutto il suo vantaggio sta nel fatto che quello di Shikaku
non è il clan Hyuuga.
Suo figlio ha solo undici anni, il
suo stile è acerbo, i suoi allenamenti consistono nel
fortificare gli insegnamenti dell'accademia. Eppure è una cosa
carina, una gentilezza, da parte di Genma, cercare di non
imbastardire lo stile di Shikamaru in un'età in cui, in altri
clan, i bambini vengono supervisionati solo ed esclusivamente dai
componenti della famiglia. Senza contare implicazioni come il fatto
che il tokujo abbia speso tempo ed energie a replicare una base da
poter ripetere a quegli allenamenti, oppure quanto si sia impegnato a
mantenere un distacco, visibile in come mima lo stile Nara con
Shikamaru e come invece mantiene il suo - pur se inevitabilmente
macchiato - in tutte le altre occasioni.
In quel momento Chouza
spalma Genma sul muro del dojo, a una decina di metri da loro. Con un
gioco di piedi ed equilibrio, le posizioni si ribaltano per pochi
secondi, poi torna ad esserci un botta e risposta equo.
Inoichi
sospira.
“Sono proprio dei cazzoni.”
“Senti
chi parla,” brontola Shikaku.
“Gah!” urla,
nascondendo brevemente il volto tra le mani. “Non ero in forma,
lo ammetto... Ma guardali!” e li indica, “le persone
normali si siedono e parlano, loro invece sanno che qualcosa non va e
si pestano.”
“Genma è molto fisico e Chouza è
fatto così, ti dà quello che ti serve.”
In
quel momento, Akimichi afferra rapidamente i polsi di Shiranui,
impegnato a recuperare equilibrio dopo l'ultimo attacco, li trattiene
con una mano sola e con l'altra provvede ad abbassare il livello
tecnico dello scontro.
Inoichi emette un verso esasperato,
massaggiandosi una tempia, e Shikaku rotea gli occhi, mentre Genma
ride e si dimena.
“Quindi gli serviva il solletico?”
“Magari
sì.”
Appena Genma si concentra abbastanza da riuscire
a liberarsi si dirigono tutti alle docce.
“Ma come ti salta
in mente?”
“Stavi ancora pensando...”
“Col
cazzo!”
“Non saprei.”
“Senti, sai cosa
significa? Che adesso anche quella mammoletta di Inoichi sa che
soffro il solletico! Questa è una fuga di informazioni che non
dovevi permettere-”
“Scusa? Chi è la
mammoletta?”
“Oh, Mammoletta chan, non mi dirai che il
tuo è stato un allenamento intenso?”
“Brutto-”
Genma
scatta di lato e frappone Chouza tra loro, prima che Inoichi faccia
il giro e si rincorrano intorno al grosso jounin per un paio di
volte. Shikaku regge la porta delle docce aperta, così il
tokujo può fiondarcisi dentro e iniziare a spogliarsi, visto
che Inoichi non lo toccherebbe mai se fosse nudo.
Dentro l'aria è
umida per le mille docce precedenti, il pavimento è lucido
d'acqua nella zona docce e pesticciato nell'anticamera dove sono
loro.
“Come fa Shikaku a sopportarti?” abbaia
Inoichi.
Chouza ride, rimestando nella borsa, Genma alza le
spalle.
“Magari non lo fa.”
Il silenzio che segue
costringe tutti ad alzare gli occhi e l'espressione crucciata che
Inoichi rivolge a Genma cattura più di uno sguardo, poi
l'attenzione del compagno si sposta su Shikaku e l'espressione
diventa un misto di dubbio, dispiacere e rimprovero.
Qualcosa
lungo la strada ha modificato la visione di Inoichi, né lui né
Chouza sono così masochisti da infilarsi in quella
discussione, ma rimane il fatto che, per il jounin, Genma è
ormai parte del team e va difeso a katana tratta. Qualcosa si
riscalda, nel petto di Shikaku.
Il tokujo è troppo
percettivo per non essersi accorto della situazione e così
l'espressione di Yamanaka cambia ulteriormente quando quest'ultimo
gli schiocca un bacio sulla guancia. Persino Inoichi ne capirà
il significato, appena lo shock si sarà diradato abbastanza,
ma prima di quel momento c'è un acuto molto indignato e un
sandalo lanciato in direzione di Genma.
Chouza ride, Shikaku
scuote il capo e Genma si rifugia nel box doccia. Inoichi è
tutto rosso.
COSA?
…
Scusate, credevo fossero finite le patatine.
Comunque.
Aiuto qualcuno mi suggerisca cosa devo dire, perché non c'è
mai un gobbo quando serve? Il fatto è che è tutto
troppo complicato e moriremo tutti. Cioè. Non ho una proprietà
di linguaggio tale da permettermi di tirare fuori parole vere dalle
emozioni che ho provato nella mia vita e quindi uffa.
Perciò.
Ricapitolando. È tutto troppo complicato, la vita fa schifo e
poi si muore. Prendete appunti.
Il letto del fiume è uno solo. Quel fiume può straripare o andare in magra, ma rimane dov'è. Almeno che non lo si forzi altrove artificialmente.
Sfortunatamente i personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro. Meeeeh...