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Autore: Ode To Joy    06/09/2016    8 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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25
Di scelte e bugie


 
 
 
Tsutomu lo aveva sognato.
Non gli aveva dato alcuna importanza.
Aveva attribuito quegli incubi all’esperienze a cui era sopravvissuto per miracolo e non ne aveva parlato con nessuno.
“Tsutomu…”
Forse, era stato un errore.
“Tsutomu, guardami…”
Il Principe dell’Aquila sollevò gli occhi chiari sul viso del Re. Non appena aveva ripreso conoscenza, aveva trovato suo padre accanto a lui ed il suo mantello violaceo addosso. Non aveva idea di dove fossero finiti i suoi vestiti ma non gliene importava. Aveva appoggiato la schiena al tronco di un albero vicino ed era rimasto lì, accovacciato, incapace di dire o di pensare qualsiasi cosa.
Nell’ultimo istante di lucidità che aveva avuto, Tsutomu aveva chiuso gli occhi e si era reso conto che avrebbe dovuto dare importanza a quegli incubi, avrebbe dovuto vedervi più di un riflesso inconscio delle sue paure.  
“Tsutomu,” lo chiamò suo padre ancora una volta stringendogli una spalla in un gesto rassicurante.
Il Principe dell’Aquila sbatté le palpebre un paio di volte, poi guardò il suo Re dritto negli occhi e Wakatoshi seppe che era di nuovo in sé. Tsutomu non disse nulla, si limitò a sollevare lo sguardo sull’enorme figura scura a pochi metri di distanza da loro. Erano crollate decine di alberi nello schianto ed era stato molto fortunato a non essere investito nel processo.
Tsutomu poteva vedere chiaramente l’ossatura delle ali sotto la pelle nera del mostro e le squame lucide della lunga coda inanimata. Era grande ma non così grande come gli era apparso nel buio.
“È morto,” lo rassicurò suo padre. “La freccia che ha colpito l’occhio buono è arrivata fino al cervello.”
Tsutomu continuò a guardare fisso di fronte a sé come se non lo avesse udito.
“È stato il Principe Demone a scoccarla, vero?”
“Sì…” Rispose Tsutomu con un filo di voce. Non aveva importanza quanto lo volesse, non riusciva proprio a distogliere lo sguardo da quel cadavere enorme. “Sono morto?”
“No,” Wakatoshi gli spettinò i capelli senza cambiare espressione. “Hai volato…”
Solo allora Tsutomu riuscì a guardare il genitore negli occhi per più di un istante. “Sei stato tu?” Domandò confuso.
“No,” Wakatoshi scosse la testa. “Non sono arrivato in tempo.”
“Sono stato io?” Gli occhi del Principe dell’Aquila si fecero grandi.
“Non lo so,” ammise suo padre alzandosi in piedi. “Devi dirmelo tu…”
Tsutomu sospirò, scosse la testa e poi l’appoggiò al tronco alle sue spalle. “Non mi ricordo niente,” ammise. “Niente di niente. L’ultima cosa che ho visto è stato il vuoto sotto di me dopo il crollo della torre.”
Wakatoshi lo guardò con attenzione. “C’era qualcun altro?”
Tsutomu sollevò lo sguardo. “Cosa?”
“C’era qualcun altro con te e Tobio su quella torre?”
Tsutomu non ebbe il tempo di rispondere.
“Wakatoshi!”
Il Re dell’Aquila voltò lo sguardo e sollevò il collo per scrutare tra gli alberi oltre il cadavere del drago.
Il Primo Cavaliere di Seijou emerse dagli alberi a passo spedito ma si bloccarono immediatamente come videro la bestia morta che c’era tra loro.
“È morto…” Notò Hajime.
“Un’altra impresa del tuo erede, Cavaliere.”
Gli occhi verdi si sollevarono su quelli scuri del sovrano di Shiratorizawa e solo allora notò il ragazzino avvolto nel mantello violaceo. Accorgendosi di quello sguardo, Tsutomu si alzò in piedi e fece aderire la schiena al tronco dell’albero alle sue spalle come se sperasse che lo inghiottisse. Hajime superò il Re dell’Aquila senza alcun rispetto. “Dov’è?” Quasi sibilò.
Tsutomu scosse la testa spaventato ed il Primo Cavaliere lo afferrò per le spalle. “Dov’è mio figlio, ragazzino?” Qualcuno lo afferrò per la tunica e lo tirò violentemente all’indietro. Wakatoshi si frappose fra lui ed il suo erede. “Capisco il tuo stato d’animo ma mio figlio non è responsabile per le scelte del tuo.”
Hajime strinse i pugni e digrignò i denti. “Ha salvato il culo tuo e del tuo fottuto erede,” gli ricordò. “Perdonami se sono un po’ sospettoso nel vedere che il tuo moccioso si regge sulle sue gambe, mentre mio figlio è disperso.”
“Il motivo giace morto alle tue spalle, Cavaliere,” gli fece notare Wakatoshi freddamente.
“Il vigliacco che spinge i nemici nel vuoto per non affrontarli ce l’ho davanti, però,” replicò Hajime.
Tsutomu inarcò le sopracciglia: non aveva la minima idea di che cosa stesse accadendo tra suo padre e quel Cavaliere ma, di colpo, desiderò non essere lì.
“Buono, buono, Hajime…”
Tsutomu sollevò lo sguardo e non seppe descrivere il sollievo che provò nel vedere Satori, Kenjirou, Reon e gli altri uscire dagli alberi ed affiancarsi a suo padre. Il primo mise una mano sulla spalla del Re guardando il Cavaliere dritto negli occhi. “I tuoi compari non sono particolarmente bravi con le situazioni d’emergenza, vero?” Domandò con sarcasmo. “Li abbiamo incrociati che giravano intorno come galline nell’aia. Non dovresti correre nella foresta e lasciarli da soli, Hajime.”
“Chiudi quella fottuta bocca, Satori.”
Hajime sentì una mano afferrargli il braccio e tirarlo indietro di un paio di passi. Tetsuro e Koutaro comparvero alla sua destra, Takahiro ed Issei alla sua sinistra.
Satori inarcò le sopracciglia. “Sembra di essere di nuovo nella sala del trono del Castello Nero come quindici anni fa. Mancano solo quelli di Karasuno!”
“Hajime! Hajime!” Daichi corse fuori dagli alberi seguito da due dei suoi Cavalieri e superò il cadavere del drago come se non l’avesse neanche visto.
“Parli del diavolo…” Borbottò Satori.
Il Primo Cavaliere andò incontro al Re dei Corvi. “Hai trovato qualcosa?”
Daichi si limitò a mostrargli la corona rossa che, poche ore prima, il suo Re aveva posato sulla testa del loro unico figlio. Le mani gli tremavano mentre Daichi gliela lasciava prendere. “Hai trovato…?”
Daichi scosse immediatamente la testa. “Questa e quella di Shouyou erano sotto il suo mantello a poca distanza da qui ma…” Il suo sguardo incontrò quello del Principe dell’Aquila. Tsutomu abbassò il viso immediatamente come se si vergognasse. “Lui sta bene…” Aggiunse il Re dei Corvi con espressione incredula.
“Appunto…” Sibilò Hajime superando la carcassa del drago ed inoltrandosi di nuovo tra gli alberi. “Tobio!” Riprese a chiamare a gran voce. “Tobio!”
Daichi prese la direzione opposta. “Shouyou!” Gridò. “Shouyou!”
Satori inarcò le sopracciglia. “Shouyou non è il nome del piccoletto di Karasuno?” Domandò.
“È un futuro Re per diritto di sangue,” gli ricordò Tetsuro con un ghigno.
Koutaro annuì. “Conviene essere rispettosi con i giovani sovrani delle future generazioni, non si sa mai quando l’equilibrio del potere possa ribaltarsi.”
Entrambi si voltarono e ripresero le ricerche insieme al resto dei Cavalieri.
Satori sbatté le palpebre allibito. “Mi hanno minacciato?”
Wakatoshi, però, era sempre stato sordo a qualsiasi provocazione di quel tipo. La sua attenzione era stata catturata da un dettaglio a cui nessuno sembrava porre particolare attenzione. “Il Principe dei Corvi era lì?” Domandò rivolgendosi a suo figlio.
Tsutomu aprì e chiuse la bocca per un paio di volte.
“Tsutomu,” il Re dell’Aquila si portò davanti a suo figlio, “il Principe dei Corvi era sulla torre con te ed il Principe Demone?”
Il ragazzino si umettò le labbra, poi annuì un paio di volte. “Era con Tobio… Sono io che ho trovato loro e li ho seguiti.”
“Per quello prenderai tanti calci in culo più tardi,” gli assicurò Satori puntandogli l’indice contro.
“Non essere volgare,” lo riprese Kenjirou con voce neutrale.
Satori lo guardò storto. “Fai il controllato perché sei in presenza del tuo adorato sovrano, ora?”
L’Arciere si voltò dalla parte opposta.
“E non ignorarmi!” Sbottò il Cavaliere
Wakatoshi fissò il suo Principe per ancora un lungo minuto di silenzio, poi si voltò. “Torniamo al Castello Nero,” ordinò.
“Non aiutiamo con le ricerche?” Domandò Reon.
“Non ce ne è alcun bisogno,” rispose il sovrano ed i suoi occhi incrociarono per un istante quelli di Kenjirou.
Satori alzò gli occhi al cielo, afferrò il braccio di Tsutomu e lo tirò verso Reon come se fosse un sacco di patate. “Se piange per essere preso in braccio, lascia che pianga,” ordinò.
Tsutomu lo guardò storto. Reon gli avvolse le spalle con un braccio con fare protettivo e prese a camminare.
Satori aspettò un istante. Rimase a fissare la schiena del suo Re riflettendo in silenzio, poi si portò in testa al gruppetto. “Che cosa è successo?” Domandò.
Wakatoshi non rispose.
“Oh…” Satori si voltò assicurandosi che Kenjirou non fosse a portata d’orecchio. “Quindi è davvero successo qualcosa…”
“C’è qualcosa di Tsutomu che non mi hai detto?” Domandò Wakatoshi continuando a guardare dritto di fronte a sé. “È successo qualcosa nelle settimane che avete passato al Nord?”
Satori inarcò le sopracciglia. “Venivi a cercarci per un rapporto dettagliato continuamente… Non mi sarei potuto scordare qualcosa riguardo al nostro moccioso neanche volendo.”
Wakatoshi si umettò le labbra e continuò a camminare come se stessero marciando su di un campo di battaglia.
“Ehi,” Satori gli tirò un poco la manica della tunica. “Di che diavolo stiamo parlando?”
Wakatoshi lanciò un’occhiata veloce al suo Principe. “Qualcuno si è trasformato…”
Il Cavaliere si fece rigido per un istante e si sforzò di non voltarsi per guardare il loro moccioso reale. “Pensi che Tsutomu…”
“Non lo so.”
“Lui che cosa ha detto?”
“Non ricorda niente…”
Satori storse la bocca. “Beh… Anche tu eri un po’ confuso le prime volte che ti capitava, no?”
Wakatoshi lo guardò. “Io credevo di sognare, Tsutomu non ricorda nulla…”
Il Cavaliere scrollò le spalle. “Qualcuno deve essere pur stato,” concluse con una scrollata di spalle. “Tsutomu è qui, dopotutto. A meno che non sia stato tu…”
“No…” Wakatoshi scosse la testa. “Non sono arrivato in tempo.”
“Quindi…” Satori si guardò intorno come se qualcosa potesse spuntare fuori dagli alberi della foresta ed aggredirli da un momento all’altro. “Chi è? Chi ha dei poteri segreti qui?”
Wakatoshi strinse le labbra. “Per capire che cosa è realmente successo ci servono gli altri due…”
 
 
***
 
 
 
Tobio dovette aprire la porta della cascina con un calcio.
Tra le sue braccia, Shouyou sobbalzò e sollevò lo sguardo. Due occhi blu incrociarono i suoi immediatamente. “Ti eri addormentato?” Domandò Tobio.
Shouyou mugugnò. “Mi gira la testa,” si lamentò. “Mi fa male tutto…”
Non era un bene. “Sei solo troppo delicato per la vita da uomo e… Ahi!” Tobio saltellò sulle assi di lagno del pavimento della cascina mentre l’improvviso dolore al petto sfumava come era arrivato: il piccolo scemo gli aveva dato un pizzicotto sul petto. “Tieni le mani a posto o ti lascio cadere e me ne vado!” Sbottò.
Shouyou si nascoste sotto l’orlo del mantello rosso ridacchiando.
“La forza di fare l’idiota ce l’hai ancora, però…” Commentò Tobio a bassa voce.
“Dove siamo?” Domandò Shouyou appoggiando la guancia contro la spalla del Principe Demone come se non riuscisse a reggere la testa.
“È una cascina di caccia,” rispose Tobio. “Se ti affacci dalle finestre del piano di sopra, riesci a vedere il Castello Nero in lontananza.”
“E perché ci fermiamo qui?” Domandò Shouyou.
“Perché tu non ce la fai più, stupido.”
Shouyou lo guardò dritto negli occhi anche se a stento riusciva a tenere aperti i suoi. “Ce la faccio…”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Ma stai zitto,” borbottò prendendo la via delle scale. Doveva esserci ancora il letto con il bagno al piano di sopra.
“Ce la faccio, ti dico,” disse Shouyou con più convinzione. “Sono un guerriero, diverrò un Cavaliere, un eroe e…”
“Senza ombra di dubbio sei qualcosa,” lo interruppe Tobio arrivando al piano superiore. “E sarà il centro di un lungo discorso che dovremo fare…”
Shouyou aprì la bocca.
“Non ora,” lo bloccò Tobio. “Ne parleremo ma non ora…”
Shouyou s’imbronciò. “Sto bene…”
“Stai peggio di me dopo la mia prima battaglia.”
“Sei stato ferito durante la tua prima battaglia?”
Tobio lo guardò per un lungo istante di silenzio. “No…”
Il letto era senza lenzuola ed il materasso era logoro ma era quanto di meglio avevano in quel momento e Tobio sapeva che il piccolo stupido tra le sue braccia non era tanto viziato da lamentarsi di simili cose. Lo depositò con cura e Shouyou non si sforzò nemmeno di mettersi seduto. Tobio l’osservò con attenzione: aveva perso nuovamente colore?
“Ascolta,” gli disse, “C’è un bagno dietro quella porta. Dentro c’è una specie di vasca… Sembra più un catino gigante ma contiene comunque acqua calda mentre ti c’immergi dentro.”
Disteso su di un fianco, con le mani appoggiate davanti al viso, Shouyou lo guardò stancamente. “Mi vuoi preparare un bagno?”
Tobio appoggiò un ginocchio sul materasso e posò una mano sulla guancia del Principe dei Corvi. “Stai sudando pur tremando. Devi avere la febbre alta.”
“Un bagno può aiutare?”
Tobio lo guardò confuso. “Perché? A te non aiutava?”
“Che vuoi dire?” Domandò Shouyou.
Il Principe Demone scrollò le spalle. “I miei genitori lo facevano,” spiegò. “Ho preso la febbre poche volte da bambino ma ogni volta era una maledizione. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e non riuscivo a dormire. Mio padre mi hanno detto che avevo tre anni la prima volta che successe e, puoi non credermi ma me lo ricordo nitidamente.”
Shouyou sorrise. “Ti hanno curato con un bagno?”
Tobio scrollò le spalle. “Sono stato meglio dopo…”
Rimasero in silenzio per un po’. Shouyou cercò di rimanere sveglio mentre Tobio scendeva e saliva quelle scale scricchiolanti con una pentola in mano. Shouyou non aveva la forza di chiedersi da dove venisse quella pentola o perché l’acqua al suo interno fumasse quando tornava al piano di sopra. Lo sentì imprecare un paio di volte perché si era scottato ma non ebbe abbastanza fiato per fare qualche battutina sarcastica o chiedergli se stava bene. Sì, avrebbe anche potuto chiedergli se stava bene dato che, pur col carattere terribile che aveva, Tobio stava cercando di prendersi cura di lui.
“Shouyou?”
Sentì una mano schiaffeggiargli la guancia gentilmente. Shouyou non sapeva quando si era addormentato ma aprire gli occhi non fu così facile come avrebbe dovuto essere.
“Ti aiuto a camminare,” si offrì Tobio afferrandogli le spalle. A Shouyou non piacque particolarmente la facilità con cui lo sollevò e dovette guidarlo fino al bordo della vasca da bagno. Vi appoggiò le mani e vide il suo riflesso tremulo sulla superficie dell’acqua: non aveva mai avuto un aspetto del genere e non era un buon segno.
“Prenditi il tuo tempo,” disse Tobio allontanandosi da lui.
Shouyou tentò di voltarsi ma non ci riuscì. “Il tuo mantello…”
“Gettalo pure a terra…”
“Tobio, aspetta…”
Il Principe Demone si fermò sulla porta e guardò la piccola figura dell’altro avvolta nel mantello degli eredi al trono di Seijou. “Che cosa c’è?”
Shouyou si umettò le labbra. “Puoi restare qui?”
Tobio ghignò. “Hai paura di restare da solo?”
“Sì…” Fu la risposta appena mormorata del Principe dei Corvi. Tobio non riuscì a credere alle sue orecchie di fronte a tanta sincerità e si sentì smarrito per pochi, imbarazzati istanti. “Devo aiutarti ad entrare nella vasca?”
“N-No…” Rispose Shouyou. “Faccio da solo. Tu resta lì e basta…” Una pausa. “Puoi voltarti mentre entro in acqua, per favore?”
Tobio alzò gli occhi al cielo, incrociò le braccia contro il petto ed appoggiò la spalla nuda all’architrave della porta. “Fatto,” disse annoiato. Rimase così fino a che non sentì il rumore dell’acqua ed anche allora dietro un’occhiata da sopra la sua spalla prima di voltarsi.
Shouyou si era seduto portandosi le ginocchia al petto. Sembrava che a stento riuscisse a tenere gli occhi aperti. No, decise Tobio, non era proprio il caso di lasciarlo da solo: l’unica cosa che non era ancora successa in quell’assurda storia era che qualcuno rischiasse di annegare dentro ad una vasca in cui nemmeno il Principe dei Corvi avrebbe mai avuto abbastanza spazio per distendere le gambe.
Tobio esaurì lentamente la distanza tra sé e quella sorta di tinello gigante, poi si sedette a gambe incrociate sulle assi del pavimento. Shouyou lo guardò confuso.
“Ti do fastidio?” Domandò il Principe Demone.
“No,” rispose il Principe dei Corvi. “Solo che fissarci senza dire nulla è un po’ stupido…”
“Non hai la faccia di qualcuno che può reggere un vero e proprio dialogo.”
Shouyou non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di dargli ragione e decise di proporre qualcosa. “Raccontami qualcosa, io ti ascolto…”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che cosa potrei mai raccontarti?”
Shouyou accennò un sorriso. “Sei stato in così tanti posti, hai fatto tante cose…”
“Non sono bravo a raccontare storie.” In generale, Tobio non era un grande amante dei lunghi dialoghi. Il suo Re era il genere di persona capace di chiacchierare per ore ed ore ma lui no. Da quel punto di vista, era più figlio di suo padre ma senza quella capacità di porsi come un leader da seguire per motivi che andassero oltre il titolo. Il Primo Cavaliere di Seijou, Generale Supremo dell’esercito del Re Demone, non era un nobile, non lo era mai stato e non aveva mai desiderato diventarlo ma almeno metà dei nobili Demoni del Castello Nero lo avrebbe seguito ad occhi chiusi in qualsiasi direzione.
Tobio era un erede al trono dal nome conosciuto in tutti i Regni liberi ma non poteva vantare un simile potere.
“Parlami della tua prima battaglia,” propose Shouyou di colpo.
Tobio sollevò gli occhi blu sui suoi.
“Hai detto di non essere stato ferito. Che cosa ti è successo di così brutto?”
Il Principe Demone strinse le labbra per un istante. “Ti ho già detto che non sopporto il modo epico in cui tutti raccontano delle guerre passate, comprese quelle dei nostri genitori.”
Shouyou annuì.
“Quella battaglia è uno dei motivi.”
“È stata una vittoria difficile?”
“No,” ammise Tobio. “Non come deve esserlo stato mettere in ginocchio Shiratorizawa per i nostri genitori. Erano degli invasori del nord. Poca strategia, preparazione militare blanda e nessun centro di potere a guidare l’impresa. Tsutomu si è recato a nord per quella nostra vittoria.”
“Hai protetto le tue terre, quindi?” Domandò Shouyou. “Erano invasori…”
Tobio annuì. “Da morti, però, erano comunque cadaveri,” disse fissando un punto qualunque del pavimento. “Hai idea di quanto tempo ci voglia per pulirsi il sangue di dosso? Dai vestiti, poi, non va via più. Non è come lo sporco di quando corri nella foresta e te lo lasci alle spalle dopo un bagno caldo. No… Alla fine di una battaglia, ti togli l’armatura e cerchi di toglierti tutto quel sangue di dosso ma finisci solo con lo sporcare tutto il resto: il panno con cui cerchi di lavarlo via, l’acqua in cui lo bagni… Tutto si colora di rosso e, alla fine, nonostante gli sforzi, tu hai ancora quel sangue addosso e hai imbrattato ogni cosa che è intorno a te.” Sollevò di nuovo lo sguardo e si accorse che gli occhi ambrati di Shouyou si erano fatti grandi. Fece una smorfia. “Per questo non sopporto le storie delle grandi imprese. La mia esperienza sul campo di battaglia è stata semplice. Come deve essere una vera guerra?”
Shouyou si umettò le labbra come se fosse imbarazzato. “Non ho mai sognato quel genere di avventure,” disse come per giustificarsi. “Sì, ascolto le storie sulle grandi guerre e mi piace sentire delle imprese di guerrieri che sono leggende viventi per la nostra generazione ma… Il mio concetto di conquista del mondo è un po’ diverso da quello di un qualunque Re.”
“Già…” Tobio annuì distrattamente. “Sono salito su di una nave per il genere di conquista di cui parli.”
Shouyou inarcò un sopracciglio confuso ma Tobio si stava già alzando in piedi. “Nell’armadio vicino al letto deve esserci qualche vecchio vestito lasciato qui dai miei genitori o, forse, da me,” disse. “Deve esserci anche qualche vecchio lenzuolo o qualcosa che possiamo usare per asciugarti.”
 
 
Alla fine, Shouyou si asciugò con la federa di un cuscino e Tobio trovò sul fondo dell’armadio una tunica che addosso al Principe dei Corvi sembrava più una camicia da notte.
Tobio lo riportò sul letto e tornò a coprirlo col suo mantello rosso. “Aspetta qui…” Mormorò appoggiando l’arco e la faretra accanto al materasso, in modo che Shouyou potesse afferrarli facilmente.
Quegli occhi d’ambra lo guardarono spaventati. “Dove vai?”
“Devo trovare aiuto per te, stupido,” rispose il Principe Demone. “Il Castello Nero è vicino, sarò di ritorno in un’ora.”
Shouyou si sollevò su di un gomito. “Allora portami con te…”
“Non ho alcuna intenzione di spostarti nelle tue condizioni,” replicò Tobio completamente serio. “Ci metterei il doppio del tempo ad arrivare portandoti in braccio e diverresti solo più debole. Porterò Kenma da te, lui saprà cosa fare.”
Shouyou gli afferrò il polso prima che potesse alzarsi. “Non sai se lo hai ucciso…” Mormorò debolmente. “Non puoi andare lì fuori disarmato.”
“E tu non puoi restare qui da solo disarmato.”
“Io non sono allo scoperto, Tobio.”
“Io mi reggo ancora sulle mie gambe.” Il Principe Demone prese la mano dell’altro e costrinse le piccole dita a stringere il legno dell’arco. “Aspetta qui,” disse col tono di chi non vuole sentire obbiezioni.
Shouyou sospirò stancamente: odiava quella debolezza ed odiava ancor di più che lo costringesse a concedere a Tobio l’ultima parola.
“Tornerò presto, lo prometto.”
 
 
***
 
 
Stava volando.
Non era una grande novità nel suo caso ma non sentiva il vento tra le piume.
Non erano le sue ali quelle che lo tenevano sollevato.
Aveva la guancia appoggiata su di una superficie calda, morbida ma incredibilmente solida. L’accarezzò con la punta delle dita e, per qualche strana ragione, seppe di essere al sicuro.  Seppe, con assoluta certezza, che nulla al mondo avrebbe mai avuto il potere di fargli del male.
Sollevò le palpebre e tutto quel che vide furono le nuvole e due enormi ali che volavano per lui.
Quelle ali erano la sua armatura ed il calore da cui si sentiva avvolto era quello che lo faceva sentire vivo.

 
 
Fu il rumore di una porta che sbatteva a svegliarlo ma Shouyou cercò di aprire gli occhi solo quando due mani calde gli afferrarono il viso ed una voce che conosceva da tutta la vita prese a chiamare il suo nome. “Shouyou! Shouyou!”
Impiegò qualche istante per realizzare di essere tra le braccia di suo padre.
“Papà…”
Daichi sorrise a suo figlio come se non credesse di poterlo di nuovo stringere a sé. “Sì, piccolo,” mormorò con voce rotta sollevando il suo Principe come se non pesasse nulla. “Sono qui, tesoro… Sono qui, va tutto bene.”
 
 
***
 
Tooru era senza ombra di dubbio il sovrano che più aveva reso onore al titolo di Re Demone. Non si poteva davvero discutere sulla sua intelligenza, sulla sua inspiegabile capacità di fare sua qualsiasi cosa volesse, anche ad un passo dalla sconfitta. Questo, però, non gli impediva in alcune occasioni di essere irrimediabilmente ed insopportabilmente stupido.
Hajime finì di raccontare gli eventi per l’ennesima volta da quando era entrato in quella camera da letto annunciando che il loro unico figlio e gli altri due Principi erano vivi e tutti interi ed aspettò che il suo sovrano facesse le sue conclusioni. Tooru, però, non fece niente di diverso da quello aveva fatto per l’ultima ora: sbatté le palpebre, guardò il suo Cavaliere con espressione smarrita e disse solo tre parole. “Non ho capito…”
Hajime emise un verso esasperato e si alzò dal bordo del materasso per fare qualche passo nervoso: lo avrebbe strozzato se lo avesse avuto a portata di mano, ne era certo!
Prese un respiro profondo, si costrinse a restare calmo e tornò a guardare negli occhi il suo Re. “Tobio sta bene,” concluse. “Così come Shouyou e Tsutomu.”
Tooru annuì. “Sì, questo l’ho capito. È per questo che siamo entrambi così tranquilli e non ci sono altri due Re disperati nei miei appartamenti, no?”
“Il drago è morto,” aggiunse Hajime.
“Ho capito anche questo,” replicò Tooru con voce notevolmente più seria. Avrebbe dovuto indagare sul come quell’evento si era verificato e a chi si dovesse una simile impresa ma solo uno dei tre ragazzi poteva fornirgli simili informazioni. “La sua carcassa è nella foresta?”
Hajime annuì. “Abbiamo trovato Tsutomu vicino alla carcassa,” raccontò. “O, meglio, lo ha trovato Wakatoshi… Noi siamo arrivati poco dopo. Come avrà fatto ad arrivare così lontano prima di noi?”
Tooru fece una smorfia ed evitò di dire qualsiasi cosa in proposito. “Era senza vestiti… Tsutomu, intendo.”
“Quando siamo arrivati, era avvolto nel mantello di suo padre ma, sì, non aveva i vestiti addosso e non aveva nemmeno alcuna idea di dove fossero finiti.”
“Tobio e Shouyou non erano con lui?”
“No. Tobio mi ha detto di non aver visto né Tsutomu né il drago quando ha ripreso conoscenza. È finito in un laghetto nel folto della foresta. Sono precipitati insieme ma anche poche decine di metri fanno la differenza sotto degli alberi così fitti.”
“Tobio e Shouyou sono riusciti a ritrovarti, mentre Tsutomu era distante… Con il drago morto.”
Hajime annuì felice che il Re stesse, finalmente, riuscendo a mettere insieme i pezzi di quell’assurda storia. “Esatto. Tobio ha preso Shouyou ed è tornato verso il Castello Nero. È stata la sfortuna a non farci incrociare. Ho visto nostro figli solo vicino alle mura della Capitale, nella zona di caccia… Dove c’è quella cascina, vicino al ruscello.”
Tooru si umettò le labbra. “Tobio ha portato Shouyou lì, gli ha preparato un bagno, lo ha messo a letto e, dopo essersi assicurato che fosse al sicuro, si è allontanato per cercare i soccorsi.”
Hajime annuì due volte. “E allora ha incontrato noi e li abbiamo riportati a casa.”
Il Re Demone fece una smorfia. “Quindi il fatto che Tsutomu fosse senza vestiti non è relazione al fatto che lo fosse anche Shouyou, ho capito bene?”
Hajime lo fissò per alcuni secondi di silenzio, poi si voltò e prese la via della porta senza dire nulla.
“Dove stai andando?” Domandò Tooru con voce stridula.
“Stai alludendo a qualche assurdità delle tue e ho saggiamente deciso di battere in ritirata prima che cominci a delirare!” Esclamò il Cavaliere irritato.
Il sovrano s’imbronciò. “Assurdità?” Ripeté. “Arrivi dicendomi di aver trovato i ragazzi mezzi nudi o completamente nudi nella foresta, nei pressi di un drago morto. Io che cosa dovrei pensare?”
“Hai ragione!” Esclamò Hajime con sarcasmo. “La prima cosa che mi è venuta pensata è che, nell’euforia dell’impresa appena compiuta, si siano dati tutti e tre ad atti di dubbia moralità.”
Tooru sbuffò. “Non fare lo spiritoso, non ti riesce bene,” una pausa. “In compenso, Tobio era l’unico coi pantaloni ancora addosso...”
Hajime lo guardò allibito.
“Che c’è?!” Esclamò Tooru. “Mi sta bene tutto! Mi stanno bene tutti ma mio figlio messo a…”
“Non dire volgarità, Tooru.”
“… Dal Principe dell’Aquila, assolutamente no!”
Suo malgrado, il Cavaliere per poco non rise. “Dovrebbe gelare l’inferno prima di una simile eventualità.”
Tooru incrociò le braccia contro il petto offeso ed appoggiò la schiena ai cuscini. “Il piccoletto?”
“Shouyou è negli appartamenti dei suoi genitori,” rispose Hajime tornando vicino al letto. “È debole, ha la febbre ma ho mandato Kenma. È in buone mani.”
“Tobio?”
“L’ho infilato dentro una vasca d’acqua calda e l’ho mandato a dormire,” disse il Cavaliere. “A stento è arrivato al Castello Nero sulle sue gambe.”
Tooru lo guardò dritto negli occhi. “Ma sta bene?”
“Sì,” Hajime sorrise. “È duro a morire…”
“Chissà da chi ha preso?” Si domandò Tooru sorridendo a sua volta. “Si è preso cura del principino di Daichi e Koushi, quindi?”
“Così ha detto Shouyou,” confermò Hajime. “Ha detto un sacco di cose tutte insieme, per dire la verità.”
Il Re Demone storse le labbra in un ghignetto soddisfatto. “L’ha portato di peso fino alla cascina di caccia. È andato avanti ed indietro dal ruscello per prendere l’acqua, gliel’ha riscaldata e, dopo un bel bagno caldo, lo ha messo a letto. L’ha lasciato solo dopo essersi assicurato che sarebbe stato al sicuro.”
“Ah, gli ha lasciato l’arco.”
“Eh?”
“Tobio non sapeva se il drago era ancora vivo o meno. Ha lasciato l’arco a Shouyou perché potesse difendersi da quello o da qualsiasi altra cosa potesse aggredirlo in sua assenza.”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Tobio non sapeva se il drago era ancora vivo e si è messo a camminare in mezzo alla foresta completamente disarmato?”
Hajime annuì.
Il Re Demone abbassò lo sguardo. “Interessante…”
Il Cavaliere sospirò. “Non raccontarti storie d’amore che non esistono, Tooru.”
“Oh, no!” Esclamò il sovrano con sarcasmo. “Perché dovrei? In fondo, ci fosse stato qualcun altro al posto di Shouyou, Tobio avrebbe reagito nella stessa identica maniera!”
“Non essere estremo!” Esclamò Hajime. “Tobio non avrebbe lasciato morire nessuno nella foresta in quel modo.”
“No,” Tooru annuì. “Si sarebbe assicurato che fosse vivo, gli avrebbe detto di non piagnucolare mentre andava a cercare aiuto e lo avrebbe lasciato lì!”
“Shouyou è piccolo!” Replicò Hajime. “Non è un gran problema trasportarlo… Immagina se si fosse trattato di Yuutaro! È più alto di Tobio!”
“Non mi serve immaginare,” disse il Re Demone. “Tsutomu era lì e nessuno lo ha raccolto.”
Hajime fece per ribattere, poi si bloccò e scosse la testa. “Su una cosa hai ragione, però,” ammise. “Qualcosa è successo tra Tobio e Shouyou…”
Tooru si voltò molto lentamente a guardarlo e dovette sforzarsi immensamente per trattenere il sorrisetto soddisfatto in cui si stavano piegando le sue labbra.
Hajime gli puntò l’indice contro. “Non ci provare!”
“A fare che?” Domandò il sovrano con aria innocente. “A far notare che dall’arrivo di Tobio alla cascina al vostro arrivo sono passate ore e che un bagno caldo può eliminare tracc… Ahi!” Il Cavaliere lo aveva colpito in testa. “Ma non la vedi la fasciatura?” Piagnucolò indicando le bende tra i suoi capelli.
Hajime scrollò le spalle. “Smettila con questa farsa e alzati da questo letto! Non sei tornato moribondo da una guerra…”
“Mi è caduta una torre addosso!”
“Tsutomu, il Principe dell’Aquila, ha fatto un volo di un centinaio di metri e quando lo abbiamo trovato strepitava come se non ci fosse un domani. Vuoi davvero perdere il confronto?” Il Cavaliere sapeva che per una questione di orgoglio, Tooru sarebbe stato anche capace di rendere inverosimile l’evidenza. Il Re Demone, di fatto, storse le labbra, diede un calcio alle coperte e si alzò in piedi come se nulla fosse.
“Ora, dimmi nei dettagli quello che pensi sia successo tra Tobio e Shouyou,” disse come un bambino sul punto di ricevere un regalo desiderato a lungo.
Hajime lo fissò, poi l’angolo della sua bocca si alzò un poco. “Chiedilo a Tobio quando si sveglierà.” Si voltò e si diresse verso la porta.
Tooru restò a fissarlo con gli occhi sgranati. “Come sarebbe a dire?”
“La mia è solo un’intuizione,” disse Hajime voltandosi a guardarlo un’ultima volta. “Per avere delle informazioni certe, Tobio è l’unica fonte a tua disposizione. Non ti conviene andare sa Shouyou: ho la netta sensazione che Daichi potrebbe sgozzare chiunque osi chiedere di suo figlio in questo frangente.”
“Fonte?!” Esclamò Tooru disperato. “Quel moccioso del nostro erede dovrebbe saper parlare come un essere umano normale per essere una fonte!”
Hajime rise. “Buona fortuna, Tooru!”
 
 
***
 
 
Natsu gli era saltata in braccio e non c’era stato modo di staccargliela di dosso. Alla fine, Shouyou si era limitato ad appoggiare la schiena ai cuscini del suo letto avvolgendo le braccia intorno a quella bambolina viva che era sua sorella. Koushi e Daichi chiesero scusa a Kenma in silenzio per quello.
Il Mago si limitò a sospirare, poi espose la sua diagnosi. “Hai la febbre alta.”
I due reali di Karasuno si guardarono allarmati.
“È qualcosa di grave?” Domandò Daichi avvolgendo un braccio intorno alle spalle del suo compagno.
Kenma scosse la testa e si alzò dal bordo del letto. “È quello che succede quando si pretende troppo da se stessi,” disse e sollevò lo sguardo sulla coppia di genitori. “Posso parlare liberamente?”
Anche Shouyou li guardò. “Che cosa significa?”
Koushi sorrise gentilmente e si sporse per posare una carezza tra i capelli del figlio. “Kenma è un nostro vecchio amico, tesoro,” spiegò. “Ha dei poteri molto potenti.”
Kenma scrollò le spalle. “Mai quanto i vostri, Principe dei Corvi.”
Shouyou guardò il Mago con espressione sorpresa ma non fece in tempo a chiedere nulla che Natsu riemerse dal suo petto e guardò tutti con fare sospettoso. “Di che cosa state parlando?” Domandò.
Daichi prese un respiro profondo e si avvicinò. “È il momento per te di andare a dormire, Principessa,” disse. “È stata una dura notte per tutti quanti e abbiamo bisogno di riposare. Vieni con papà, aspetteremo insieme la mamma nel letto grande, ti va?”
Natsu strinse tra i pugnetti la stoffa della camicia da notte del fratello. “Non voglio dormire con mamma e papà. Voglio dormire col mio fratellone!”
Suo malgrado, Kenma simulò un colpetto di tosse per non mettersi a ridere. Koushi, invece, dovette sforzarsi per rimanere serio e non dare a sua figlia l’impressione che parteggiasse per lei. Daichi, invece, rimase in silenzio per qualche istante, poi si limitò a sporgersi in avanti, sollevò Natsu con entrambe le mani con relativa facilità ed approfittò della confusione di lei per allontanarla dal fratello. “Ascolta,” mormorò prendendo la sua bambina tra le braccia, “tuo fratello ha bisogno di riposare, Natsu.”
Per tutta risposta, la Principessa s’imbronciò.
“Se non riposa non guarirà,” continuò Daichi. “E se non guarisce, non potrà più tornare a giocare con te.”
Natsu scosse immediatamente la testa. “Io starò bene, papà! Devo prendermi cura di Shouyou, altrimenti Tobio si sentirà solo senza di lui!”
Il sorriso paziente di Daichi sfumò in un battito di ciglia.
“Natsu!” Esclamò Shouyou tentando di sollevarsi sui gomiti ma la testa gli girava e a stento riusciva a tenere gli occhi aperti. Koushi se ne accorse e gli afferrò una spalla immediatamente. “Buono, Shouyou,” gli ordinò.
“Noi andiamo a dormire,” concluse Daichi rivolgendo a tutti un sorriso nervoso ed un’occhiata veloce al suo consorte. Koushi sospirò: ci sarebbe stato un lungo discorso più tardi, non appena tutti avrebbero ripreso un po’ di forze. “Buon riposo, amore mio,” disse alzandosi per posare un bacio sulla guancia della sua bambina. “Fai la brava con papà…”
Natsu posò la guancia sulla spalla di Daichi ed il Re presa la via della porta ma non prima di aver rivolto un ultimo sguardo dubbioso al suo Principe. Shouyou si lasciò cadere di nuovo tra i cuscini con aria esausta e si portò le mani al viso desiderando con tutto se stesso di poter divenire invisibile per qualche istante di pausa.
“Rilassati,” disse Koushi tornando a sedersi accanto a suo figlio. “I più pericolosi se ne sono appena andati.”
Kenma lo guardò con in faccia la sua personale versione di un’espressione inquietata. “Sta ricominciando?” Domandò. “Siamo di nuovo a quella stagione?”
Koushi scosse la testa. Shouyou, invece, riemerse dal suo nascondiglio di fortuna. “Che cosa vuol dire?” Domandò guardando il genitore.
Il consorte reale di Karasuno scosse la testa con un sorriso. “Parliamo della scorsa notte,” disse gentilmente. Gli occhi di Shouyou si fecero grandi e lucenti per un istante e guardò Kenma come se fosse una minaccia.
“Non avete nulla da temere, mio Principe,” disse il Mago con rispetto. “Conosco il vostro segreto. Lo conosco da prima che nasceste.”
Shouyou inarcò le sopracciglia e guardò il genitore in cerca di una risposta. Non aveva la forza di fare tutte le domande che avrebbe fatto in una situazione normale. Koushi gli accarezzò i capelli. “Kenma riesce a scorgere le trame del destino nei suoi sogni. Ha visto la nascita tua e di Tobio molto tempo prima che voi veniste concepiti.”
Shouyou riportò lo sguardo sorpreso sul piccolo uomo dai capelli biondi. Sembrava un ragazzino, poco più di un suo coetaneo. “Tu sai quello che sono?” Domandò con un filo di voce.
Kenma tornò a sedersi sul bordo del letto. “Solo voi lo sapete, mio Principe,” rispose. “Noi possiamo solo immaginarlo.”
Shouyou abbassò lo sguardo e si umettò le labbra. “È per il mio potere che sono così debole?”
Kenma annuì. “È probabile. Abbiamo bisogno che tu ci dica cosa è successo la notte scorsa, però.”
Shouyou continuò a tenere gli occhi fissi sulle sule mani e Koushi non si lasciò sfuggire il modo in cui quelle piccole dita torcevano le lenzuola. “Shouyou…” Mormorò dolcemente prendendo quelle mani nelle sue come faceva fin da quando era bambino. “È una cosa che sarai chiamato a raccontare più di una volta e non potrai sottrarti,” lo avvertì ma con gentilezza. “Qui puoi permetterti di essere sincero.”
Shouyou si morsicò le labbra. Sentiva un nodo stringergli la gola e sapeva che sarebbe scoppiato a piangere presto. “Pensavo di poter aiutare.”
Kenma inarcò le sopracciglia. “Avete fatto un volo di almeno cento metri dopo aver ucciso un drago,” gli disse. “Il fatto che siete tutti e tre vivi mi pare un buon risultato.”
“Sapevo di poterlo fare,” disse. “L’ho letto sui libri ma non l’ho mai fatto prima di ieri notte…”
Koushi guardò quelle manine strette tra le sue: erano ancora piccole ma non appartenevano più ad un bambino. “Come credevi di poter aiutare Tobio, tesoro?”
Shouyou inspirò profondamente dal naso. “Il Principe Corvo trasformava i suoi Cavalieri in corvi,” disse. “Pensavo di poter aiutare Tobio nello stesso modo.”
Koushi sgranò gli occhi. “Sei salito su quella torre perché credevi di poter trasformare Tobio in corvo in caso di pericolo?” La sua voce non era più così gentile.
Shouyou sollevò lo sguardo sul viso del genitore. “Ce l’ho fatta, però,” disse accennando un sorriso.
“Non ha importanza!” Esclamò Koushi lasciando andare le sue mani per prendergli il viso tra le mani. “Hai idea di quanto hai rischiato, Shouyou? Di quanto hai messo in pericolo anche Tobio?”
Kenma si chiese se Koushi non fosse a conoscenza del fatto che anche il Principe dell’Aquila era stato presente al momento del crollo della torre o lo stesse semplicemente ignorando. Ci pensò il piccolo erede al trono di Karasuno a togliere ogni dubbio. “Anche Tsutomu era lì,” disse. “Ho trasformato anche lui.”
L’espressione di Koushi si fece seriamente furibonda ma il Mago intervenne prima che potesse dare al figlio la strigliata che meritava. “Per questo siete così debole,” disse. “Non avete mai trasformato nessuno, oltre voi stesso, prima di oggi. Mutarne due contemporaneamente in una situazione pericolosa come quella deve essere stato uno sforzo eccessivo per il vostro corpo. Dopotutto, non riuscite ancora a trasformare voi stesso al massimo delle vostre capacità.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa significa?”
“È per i vestiti?” Domandò Koushi.
Kenma annuì. “Se fosse padrone del suo potere, non avrebbe questa difficoltà.”
“Non posso usare il mio potere,” confessò Shouyou tenendo di nuovo gli occhi bassi. “Lo uso di nascosto e basta.”
Koushi sentì tutta la rabbia scivolare via da lui per lasciare il posto al senso di colpa. Fu il suo turno di abbassare lo sguardo con vergogna. Kenma sospirò. “Avete avuto un ottimo controllo con Tobio, però.”
Shouyou lo guardò confuso. “Eh?”
“Aveva ancora tutti i vestiti addosso,” disse il Mago. “Volevate salvarlo proprio a tutti i costi, vero?”
Il Principe dei Corvi parve non capire. “Non lo so,” ammise. “Quando ho sentito il vuoto sotto i piedi, mi sono stretto a lui e ho pensato che gli avevo promesso che l’avrei aiutato, che lui si era fidato di me e che io… Io…” Shouyou strinse i pugni sulle lenzuola e le lacrime scesero a bagnargli le guance. “Avevo paura. Avevo tanta paura ma avevo promesso che lo avrei aiutato e Tobio si era fidato di me.”
Koushi avvolse le braccia intorno a suo figlio e lo strinse al petto. “Va tutto bene, tesoro. È tutto finito.”
Fu il turno di Kenma di essere confuso. Il Principe Demone non era il ragazzino più facile da leggere che conosceva ma aveva sicuramente più speranze di divenire un adulto autonomo di Lev ma c’era qualcosa che non aveva senso nel racconto di quel fanciullo. “Esattamente cosa avete detto a Tobio per spingerlo a fidarsi di voi, mio Principe?”
Koushi trattenne il respiro per un istante e sentì Shouyou irrigidirsi tra le sue braccia immediatamente.
Fu il Principe ad allontanarsi per primo da quell’abbraccio ma impiegò qualche istante di troppo a sollevare gli occhi d’ambra su quelli dorati del genitore.
“Shouyou…” Cominciò Koushi molto lentamente. “Che cosa hai fatto?”
Il Principe dei Corvi strinse le labbra e si ritrasse contro i cuscini come se volesse nascondervici in mezzo.
Kenma chiuse gli occhi con espressione esasperata e cominciò a desiderare ardente che qualcuno lo tirasse fuori da quella stanza prima che il dramma familiare cominciasse.
Non credette alle sue orecchie quando bussarono alla porta.
“Avanti,” disse Koushi senza staccare gli occhi irati di dosso a suo figlio.
Keiji si affacciò dalla porta senza mettere piede nella camera da letto. “Mi dispiace disturbare,” disse educatamente. “Chiedono urgentemente di Kenma in biblioteca.”
 
 
***
 
 
“Vo-Vostra Altezza…”
Tobio era rimasto steso sul suo letto per due lunghe ore insonni e, alla fine, aveva concluso che il caos dentro di lui non si sarebbe placato continuando a fissare i tendaggi del suo baldacchino.
“Che cosa c’è, Kaname?” Domandò il Principe Demone sollevando lo sguardo dal terzo libro che consultava in una sola ora. Il poveretto di fronte a lui aveva il viso più stanco di quanto lo avesse lui e lo fissava come se fossero ancora nel pieno dell’emergenza. O, meglio, con se l’emergenza fosse lui.
“Siete stanco,” disse Kaname gentilmente accennando un sorriso. “Siete appena ritornato a casa dopo aver rischiato la vita per tutti noi ed averci salvato. Dovreste riposare.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Grazie, ma sto bene qui.” Riportò gli occhi blu sulla pagina che stava leggendo.
Kaname sospirò e sollevò lo sguardo sul gruppo di Cavalieri che si erano radunato di fronte alla porta d’ingresso della biblioteca.
“C’erano buone probabilità che diventasse matto fin dal principio,” concluse Tetsuro con un sorrisetto divertito. “Solo non pensavo che la follia avrebbe preso la forma di un improvviso bisogno intellettuale.”
Dietro di lui, Koutaro allungò il collo per meglio vedere la scena. “Ma che libri sta leggendo?” Domandò. “Magari vuole estrarre il cuore del drago e conservarlo e sta cercando un libro per capire come fare.”
Tetsuro lo guardò con una smorfia disgustata. “Si può fare?”
Koutaro scrollò le spalle. “Nel Regno in cui è nato Keiji, i cacciatori erano pronti ad uccidere per un cuore di drago. Perché credi che Wakatoshi fosse a Fukurodani anni fa?”
Tetsuro alzò gli occhi al cielo. “Gli idioti che vivono per diventare più forti possono credere a qualsiasi tipo d’idiozia pur che riguardi il potere.”
“Non ha importanza quello che sta leggendo,” disse Takahiro con espressione addolorata. “Il semplice fatto che lo stia facendo di sua spontanea volontà da almeno un’ora è davvero un brutto segno.”
“Deve aver battuto la testa quando è caduto,” disse Issei incrociando le braccia contro il petto. “Un volo di cento metri da una torre abbattuta da un drago. Solo a dirlo ad alta voce mi sento idiota…”
“La vera cosa idiota è vederselo stare calmo e tranquillo dopo quello che ha fatto,” aggiunse Tetsuro. “Qualcuno lo ha informato che ha ucciso un drago?”
“Non gli è interessato,” replicò Koutaro. “Quando lo abbiamo trovato nella foresta non faceva che parlare di Shouyou e non si è calmato fino a che Daichi non è uscito da quella cascina di caccia con il piccoletto tra le braccia.”
Ci fu un istante di assoluto silenzio. I quattro Cavalieri cominciarono a guardarsi l’un con l’altro e seppero con assoluta certezza che tutti stavano avendo lo stesso pensiero.
“Oh…” Tetsuro sorrise divertito. “Allora è quel tipo di pazzia…”
Koutaro inarcò le sopracciglia poco convinto. “Lui?”
Issei scrollò le spalle. “Dopo quel ballo…”
“Già, il ballo!” Ricordò improvvisamente Takahiro. “Dobbiamo ricordarci di parlare dell’accaduto col Primo Cavaliere, ragazzi!” Aggiunse con un sorrisetto diabolico. Gli altri risero.
“Più tardi,” disse Tetsuro. “Ora, tocca al Principe…” Si fece avanti con passo sicuro. Kaname lo guardò e sospirò. Tetsuro alzò entrambi le mani come ad assicurargli che non aveva nessuna brutta intenzione ma l’altro non parve particolarmente convinto.
Dal canto suo, Tobio continuò a leggere come se fosse l’unico presente nella stanza.
“Ragazzo,” cominciò Tetsuro poggiando una mano sulla spalla del fanciullo con fare amichevole.
Gli occhi blu si sollevarono immediatamente ma Tobio non fece nulla per nascondere l’espressione annoiata sul suo viso.
Tetsuro rise. “Ti sto disturbando, ragazzo?” Domandò, mentre gli altri tre si allontanavano dalla porta e si avvicinavano a loro volta.
“Sì,” rispose Tobio con la sincerità che lo contraddistingueva.
Tetsuro ghignò. “Sempre diretto tu, eh?”
“Che leggi, Tobio?” Domandò Koutaro appoggiando i gomiti sul tavolo e dando un occhiato al libro aperto di fronte al Principe. Sgranò gli occhi. “Shiratorizawa?” Domandò allibito. “Stai leggendo le antiche storie del Regno di Shiratorizawa?”
Issei e Takahiro si sporsero sopra di lui per vedere a loro volta.
Tobio chiuse il libro di colpo e li guardò tutti storto. “Non avete niente di meglio da fare?”
“Il Generale dorme e noi siamo bambini troppo cattivi per andare buoni buoni nei nostri lettini,” disse Tetsuro con sarcasmo punzecchiando la guancia del fanciullo. Tobio allontanò immediatamente quella mano da sè in malo modo.
“Perché t’interessi alle aquile, Tobio-chan?” Domandò Takahiro afferrando un libro della torre che il Principe aveva messo insieme accanto a sé.
Tobio lo recuperò con una smorfia. “Non chiamarmi così.”
Issei alzò gli occhi al cielo. “Perché tu non sei a letto, Tobio-chan?”
“Non riesco a dormire,” rispose il Principe. “Ora, sparite…”
Tetsuro passò lo sguardo dal libro chiuso al viso del ragazzo. “Ti prego, dimmi che non sei interessato veramente alle aquile. Se devi perdere la testa fallo per qualcosa per cui ne valga la pena…”
Tobio lo guardò seriamente confuso. “Prego?”
I quattro Cavalieri sospirarono di sollievo in contemporanea. Kaname alzò gli occhi al cielo. “Se avete bisogno di qualche altro libro chiedete pure, mio Principe,” disse allontanandosi dal tavolo da lettura.
“Ti ringrazio, Kaname,” disse Tobio educatamente.
Koutaro indicò l’Arciere. “Perché lui lo tratti come si deve?”
“Perché non è uno scocciatore idiota!”
Issei e Takahiro si lanciarono un’occhiata complice. “Tobio-chan,” chiamò quest’ultimo, “come sta il Principe dei Corvi?”
Tobio divenne visibilmente rigido, i suoi occhi si fecero grandi e girò il viso di lato per cercare di nascondere quell’espressione agli uomini di suo padre. Takahiro sollevò la mano destra ed Issei gli diede il cinque. “Torturavamo psicologicamente tuo padre da molto prima che tu nascessi, Tobio,” disse Issei. “Non puoi sfuggire a noi, non importa dove ti nascondi!”
Tobio sbuffò e si alzò in piedi.
“Con calma, ragazzo!” Tetsuro gli afferrò una spalla e lo costrinse a sedersi di nuovo.
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, quello gelido di Tobio avrebbe provocato una strage.
“È ora che tu faccia una lunga chiacchierata con i tuoi zii!” Esclamò Koutaro sedendosi a capo del tavolo da lettura.
“Già,” Issei annuì. “Cos’è che ti tiene sveglio, esattamente?”
“Niente…” Sibilò Tobio fissando il vuoto.
“Magari qualcosa successo nella foresta?” Domandò Koutaro con un sorriso curioso.
“Già, qualcosa con i capelli color tramonto e gli occhi d’ambra,” aggiunse Tetsuro con un sorriso malizioso.
Tobio li guardò tutti come se fossero dei perfetti idioti. “Non so di che diavolo state parlando.”
“Vediamo… C’erano un bel po’ di vestiti mancanti sulla scena,” disse Takahiro.
“Sì,” Koutaro annuì. “Non è chiaro perché il Principe dei Polli sia stato coinvolto in questo ma non importa! Quello che importa è che il piccolo Shouyou era avvolto nel tuo mantello col tuo arco stretto tra le dita e ha delirato qualcosa sul fatto che gli avevi fatto un bagno lungo la strada verso casa.”
Tobio rimase in completo silenzio.
“Dicci un po’, piccolo Tobio,” disse Tetsuro con un gran sorriso. “Come avete festeggiato l’impresa tu ed il tuo principino?”
Il Principe Demone inarcò le sopracciglia. “Eh?”
I quattro Cavalieri sbuffarono esasperati.
“La tua innocenza è quasi disturbante,” disse Tetsuro.
“Tetsuro…”
Il ghignetto dell’uomo che era stato il Re di Nekoma sparì nel momento in cui si voltò verso la porta ed il suo silenzio bastò ad attirare l’attenzione degli altri. Koutaro scattò subito sull’attenti. “Keiji!” Esclamò con un sorriso solare. “Già sveglio? E la nostra Principessa?”
“Non sono mai andato a dormire,” rispose Keiji con tono incolore.
L’attenzione di Tetsuro, invece, era tutta per il piccoletto dai capelli biondi e lo sguardo annoiato che lo fissava in totale silenzio. Forzò un sorriso, diede un’altra pacca amichevole alla spalla del Principe e si allontanò dal tavolo da lettura. “È stato un piacere, Tobio!” Esclamò con allegria. “Adesso, noi togliamo il disturbo.”
Gli altri tre compresero il messaggio immediatamente.
“Buona lettura, Tobio-chan,” disse Takahiro.
“E vai a dormire, ragazzino,” aggiunse Issei spettinando i capelli corvini del fanciullo.
Tobio sospirò frustrato ed appoggiò la guancia al pugno chiuso aspettando che i grandi Re di Nekona e Fukurodani scappassero a gambe levate sotto gli sguardi minacciosi dei rispettivi compagni. Solo Koutaro si fermò a metà strada e tornò indietro con un gran sorriso. “Daichi ha dato ordine di non disturbare il piccoletto per nessuna ragione al mondo e tuo padre gli ha concesso la sua collaborazione ma, per quel che ne sappiamo, stanno tutti dormendo in questo momento.”
“Koutaro…” Lo richiamò Keiji.
Koutaro gli rivolse un sorrisetto complice ma Tobio non riuscì davvero a comprendere cosa stesse cercando di suggerirgli. Non aveva capito molto del discorso in generale, ad essere onesti. Era abituato al fatto che gli uomini di suo padre venissero ad importunarlo per i motivi più idioti ma da quando aveva Shouyou intorno quei motivi si erano fatti incomprensibili. Come se i piani del Re Demone per lui ed il piccolo stupido non fossero già una cosa abbastanza assurda ed ingombrante di per sé.
Non appena sentì la porta della biblioteca richiudersi, Tobio sospirò e riaprì il libro alla pagina a cui era arrivato prima che interrompessero la sua lettura. Un colpetto di tosse lo fece irrigidire. Sollevò gli occhi blu lentamente ed impiegò un intero istante per rendersi conto che Kenma era ancora lì e si era anche fatto più vicino.
Tobio si umettò le labbra. “Devi parlarmi?”
Il Mago lo fissò a lungo con quell’espressione enigmatica che rendeva impossibile capire a cosa stesse pensando. Tobio resse lo sguardo e, nonostante la confusione, rimase in silenzio. Kenma sospirò e allontanò gli occhi dai suoi. “Kaname,” chiamò a voce abbastanza alta perché l’altro potesse udirlo.
L’Arciere che era stato il Re di Dateko comparve da dietro uno scaffale vicino alla finestra. “Oh, Kenma!” Esclamò con un sorriso. Tobio dedusse che era felice di vederlo e, visto come Kenma aveva fatto fuggire Tetsuro ed i suoi alleati, comprendeva perfettamente quello stato d’animo.
Il Mago gli rivolse uno sguardo costernato. “Ti chiedo scusa per quello che hai dovuto sopportare.”
Kaname scosse la testa e sorrise gentilmente. “Non devi scusarti,” disse. “Li conosco, ormai. Mi dispiace solo che abbiano importunato il Principe.”
Tobio drizzò immediatamente le spalle. “Non c’è problema,” disse.
“Qui ci penso io,” aggiunse Kenma. “Vai a riposare. Non hai ancora dormito dopo gli eventi dell’ultima notte.”
Kaname annuì. “Ti ringrazio,” disse. “Buona giornata, mio Principe.”
Tobio lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla biblioteca. Non appena la porta si fu richiusa per la seconda volta, trovò gli occhi felini di Kenma fissi su di lui e seppe che non gli sarebbe sfuggito con la stessa facilità con cui si era liberato del suo compagno e degli altri. “Che cosa devi dirmi?” Chiese con espressione seria.
“Io non devo dirti niente,” ammise Kenma.
Tobio aggrottò la fronte.
Il Mago si allontanò dal tavolo da lettura e sparì tra gli alti scaffali pieni di libri per alcuni istanti. Quando tornò aveva  tra le mani un volume dalla copertina nera e le scritte dorate. “Questo è quello che stavi cercando,” disse. “Ti risparmio la fatica di leggere tutte le leggende dei Regni liberi.”
Tobio prese il libro tra le mani e la sua confusione non fece che aumentare. “Come fai a sapere cosa sto cercando?”
Kenma sospirò. “Ho fatto nascere sia te che lui, Tobio. Non sono un Re, non ho mai seduto alla tavola dei potenti ma quelli come me, che assistono ad ogni cosa in silenzio, sanno più cose di quelle che sarebbe sicuro sapere.”
Il Principe Demone sollevò gli occhi blu sul viso del Mago. “Tu sai che cos’è, non è vero?”
Kenma sospirò. “Non è con me che devi avere questa conversazione,” replicò. “Non dare retta a Koutaro. Non andare da Shouyou ora, peggiorerai solo le cose.”
“Che cose?”
“Ha rischiato molto più di te su quella torre,” disse il Mago. “Tu ci hai salvati tutti ma non saresti una leggenda tanto vivente se non fosse per lui.” Una pausa. “Questo, però, già lo sai.”
“Non sono sicuro di quello che so,” ammise Tobio.
Kenma annuì. “In quel libro c’è scritto ciò di cui hai bisogno per riposare. Ti aiuterà a fare le domande giuste quando sarai di nuovo faccia a faccia con Shouyou.”
Tobio annuì ma non distolse lo sguardo. “Lo avevi sognato?” Domandò. “Quello che è accaduto questa notte, lo avevi sognato?”
Kenma non esitò a rispondere. “No…”
 
 
***
 
 
“Vorrei essere arrabbiato con te…”
Shouyou singhiozzò e Koushi lo strinse di più a sé.
Erano entrambi stesi sul letto. Shouyou con gli occhi rivolti alla finestra ed il genitore dietro di lui.
“Dopo tutto quello che io e tuo padre abbiamo fatto per proteggerti,” aggiunse il consorte reale di Karasuno.
“Non voglio più essere protetto,” singhiozzò Shouyou.
Koushi sorrise con amarezza. “Non puoi chiedere una cosa del genere ad una madre ed un padre, tesoro…” Disse. “Hai fatto una cosa molto pericolosa dicendo a Tobio che avresti potuto salvarlo.”
“Sì, ma l’ho salvato…” Concluse Shouyou tirando su col naso.
Koushi fece una smorfia. “Non è stato molto furbo nemmeno lui a mettere la sua vita nelle tue mani senza sapere come lo avresti aiutato. Si è fidato e basta…”
Shouyou non gli disse che era quello che voleva. Non gli parlò della prova di fiducia che aveva preteso dal Principe Demone in cambio del segreto che custodiva tanto gelosamente. Era di gran lunga più facile dire che Tobio lo aveva visto e basta.
“Anche tu,” aggiunse sua madre, “anche tu gli dai fiducia e basta.”
Shouyou lo guardò da sopra la propria spalla. “Non dovrei?”
Koushi si mise a sedere e scrollò le spalle. “Non così… Non con tanta naturalezza.”
“Perché?” Domandò il Principe.
Il genitore esitò un poco prima di rispondere. “Pensaci, Shouyou. Da quanto tempo vi conoscete?”
“Fin da bambini…”
“No, dico per davvero,” chiarì Koushi con pazienza. “Siete stati insieme solo in queste poche settimane. Come puoi fidarti di lui in questo modo?”
Shouyou non si era mai davvero allontanato dal loro occhio vigile ed il consorte reale di Karasuno sapeva che questo poteva aver contribuito a renderlo più ingenuo rispetto ai suoi coetanei. Senza poi considerare il gran cuore che aveva per natura.
Shouyou tornò a guardare la finestra. “Non lo so,” ammise. “Mi fido e basta.”
Non era una risposta esauriente e Koushi non poteva farsela bastare. Tuttavia, era stata un notte terribile per tutti ed il viso pallido di suo figlio gli ricordò che ci sarebbe stato tempo per affrontare quella questione con più calma in seguito.
Si alzò da letto lentamente. “Cerca di riposare, Shouyou…”
 
 
***
 
 
La sala del trono era devastata.
Tobio era stato su di un campo di battaglia ed aveva assistito alla caduta del Regno di Dateko per mano dei suoi genitori ma non aveva mai visto tanta distruzione in una stanza. Nessuno sembrava avervi ancora messo piede dalla notte precedente, eppure Tobio credeva di udire ancora le urla della gente mentre scappava dalla porta che ora si ritrovava ad attraversare con passo lento. Conosceva quella sensazione e conosceva quel silenzio: erano entrambe cose che aveva trovato sul campo di battaglia dopo la sua prima vittoria al fianco di suo padre.
Non c’erano cadaveri su quel pavimento, solo frammenti di vetro, ciò che rimaneva dei tendaggi e degli stendardi andati in fiamme ed un sacco di cibo calpestato ma l’atmosfera era la stessa.
Si avvicinò alle finestre che davano sulla balconata, al punto in cui lui e Shouyou si erano trovati al momento dell’attacco. Notò un oggetto familiare sul pavimento ed affrettò il passo per assicurarsi che fosse proprio ciò che credeva. La spada dei Re di Seijou brillava come se non appartenesse affatto a quella scena. Tobio la raccolse e passò qualche istante ad osservare la sua immagine riflessa sulla lama lucida.
La notte prima, quando si era guardato allo specchio col suo costume da Principe addosso, si era sentito un perfetto idiota. Ora, non sapeva come definirsi ma qualcosa era cambiato senza ombra di dubbio.
“Oh, eccoti!”
Il Principe Demone si voltò e vide il suo Re attraversare la porta d’ingresso del salone per venirgli vicino. Era la prima volta che si vedevano da dopo l’attacco ed il sovrano sembrava essere stato toccato dall’evento più di lui a giudicare dalla fasciatura che aveva intorno alla testa.
“Stai bene?” Domandò Tobio.
“Oh, sì!” Rispose Tooru passando le dita sulle bende pulite. “Tuo padre mi ha già preso in giro per queste.”
“Non voleva essere una presa in giro,” disse immediatamente Tobio.
“Lo so, lo so…” Per un attimo, gli occhi di Tooru si spostarono sulla lama scintillante stretta nel pugno di suo figlio. “Tu, invece, hai fatto un salto nel vuoto e non hai neanche un graffio.”
Tobio strinse le labbra. “Dovrei andare a riposare…” Non voleva affrontare una discussione su quello che era successo la notte precedente, non con il Re e non prima di aver parlato con Shouyou.
Tooru alzò gli occhi al cielo. “So già tutto, Tobio-chan. Non hai ragione di evitarmi per paura di tradire il segreto del tuo piccolo corvo.”
Gli occhi blu di Tobio si fecero grandi e non seppe cosa dire per diversi istanti.
Tooru sorrise non proprio gentilmente. “Kenma ha saputo darci molte informazioni sui nostri piccoli molto prima che venissero concepiti,” spiegò.
“Il Re di Karasuno ed il suo consorte…”
“Sanno della mia consapevolezza,” rispose immediatamente il sovrano.
L’espressione di Tobio cambiò notevolmente ed i suoi occhi blu si tinsero di una scura sfumatura di accusa. “Sapevi tutto fin dal principio, vero?”
Tooru sospirò annoiato. “Non prendertela con me, adesso.”
“Ti ho chiesto di dirmi se Shouyou era qualcosa e mi hai mentito.”
“Quello che è Shouyou è un affare di Shouyou,” replicò il Re Demone con tono di rimprovero. “Ti ha detto la verità quando è stato suo desiderio farlo ed era un suo diritto, Tobio. Non mio. Pensi che sarebbe stato meglio per voi se Shouyou fosse venuto a sapere che avevi scoperto il suo segreto alle sue spalle?”
Tobio non rispose o avrebbe cominciato a parlare di prove di fiducia ed altre sciocchezze simili.
Tooru reclinò la testa da un lato. “Ti ha salvato lui, vero?”
Il Principe Demone abbassò lo sguardo. “Credo di sì…”
“E non dirlo con l’espressione di chi ha appena subito una sconfitta personale!” Esclamò Tooru incrociando le braccia contro il petto. “Che diavolo di piano era il tuo, eh?” Si stava tingendo di rabbia la sua voce.
Tobio storse le labbra e si voltò.
“Non darmi le spalle!” Sbottò il Re.
Il Principe si limitò a guardarlo di traverso.
“Non ci provare, moccioso,” lo avvertì Tooru. “Puoi anche essere un fottuto eroe per il resto del mondo ma questo non cambia che tu abbia agito d’impulso come un completo idiota. Hai la stessa consapevolezza della morte che hanno i bambini: pensi che tocchi tutti tranne te, maledizione!”
“Ti ha dato fastidio…” Sibilò Tobio.
“Che tu abbia quasi fatto una morte orribile? Sì!”
Tobio si voltò e guardò il Re Demone dritto negli occhi. “Ti ha dato fastidio che anche questa volta sia stato io e non tu.”
Gli occhi scuri di Tooru si fecero grandi e la sua espressione divenne una maschera di pietra.
Tobio appese la spada alla cintura come se stesse mettendo un punto, uno di quelli tra un prima ed un dopo. “Certo che vuoi che scelga Shouyou come consorte,” disse. “Ci sono leggende molto simili in tutti i Regni liberi ma quelle di Shiratorizawa e Karasuno sono troppo simili.”
Tooru strinse le labbra. “Non lo so cosa è il Re dell’Aquila ma tu, probabilmente, credi che Shouyou sia qualcosa di simile… Quel qualcosa che manca al Regno di Seijou.”
“Tobio…”
“Ma non accadrà…”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Che cosa non accadrà?”
“Qualunque cosa tu abbia in mente,” rispose Tobio freddamente. “Qualunque sia il tuo piano per superare Shiratorizawa una volta per tutte, non accadrà.”
Lo sguardo di Tooru si fece oscuro, gelido. “E cosa credi di fare, eh?” Domandò avvicinandosi di qualche passo. “Bravo, mi hai scoperto! Cosa pensi di poter fare a questo punto? Lo farai tornare a casa, dove chiunque potrebbe andare a prenderlo con la forza? Perché entrambi sappiamo che Karasuno non potrebbe resistere ad un attacco degno di questo nome.”
Tutta la sicurezza negli occhi di Tobio scivolò via.
“Oh!” Tooru sorrise diabolico. “Non ci avevi pensato, vero? Credevi che se avessi fatto l’idiota fino alla fine, invece d’interessarti a quella creaturina fragile dal bel faccino, mi sarei fatto da parte e avrei semplicemente lasciato che tornasse a casa?”
Tobio strinse i pugni con rabbia. “Certo che no, saresti pronto a vendere me e mio padre per avere il Re dell’Aquila ai tuoi piedi come tutti gli altri!”
Lo schiaffo fu fulminio, tanto violento che Tobio per poco non perse l’equilibrio. Impiegò qualche istante per capire quello che era veramente successo e si toccò la guancia allibito mentre sollevava lo sguardo.
Il Re Demone piangeva. Sì, piangeva anche se la sua espressione era rabbiosa.
“Non accusarmi come se tu non volessi la stessa identica cosa…” Sibilò velenoso. “Pensi di potermi sfidare, Tobio? Tolto Shouyou che cos’hai, eh? Niente. Assolutamente niente. Hai un grande nome, una grande eredità e nemmeno un uomo che sarebbe disposto a seguirti. Sei solo, Tobio. Sei sempre stato solo e c’è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo è un Re sconfitto in partenza. Vuoi giudicare i miei piani? Nei miei piani, almeno, non sei destinato a morire da solo.”
“Shouyou non ti appartiene,” gli ricordò Tobio.
“Non ho mai voluto che appartenesse a me,” Tooru ghignò. “Hai ragione, però. Allora sarà del Re dell’Aquila.”
Gli occhi blu di Tobio si fecero enormi.
“Tsutomu era lì con voi e qualcuno lo ha salvato. Quanto pensi che ci vorrà perché Wakatoshi arrivi a Shouyou, eh? Pensi che gli darà la possibilità di scegliere come ho fatto io con voi?”
Tobio non seppe come replicare e l’espressione di Tooru si addolcì un poco. Si asciugò il viso e prese un respiro profondo. “Non farlo tornare a casa, Tobio,” gli disse. “Non può più essere al sicuro a casa, non dopo la scorsa notte.”
“Gli ho chiesto di restare…” Confessò Tobio senza pensare. “Gliel’ho chiesto dopo aver danzato con lui.”
Tooru inarcò le sopracciglia: non si era aspettato tanta intraprendenza da parte del suo erede. “E lui?”
“Non ha avuto il tempo di rispondere.”
“Capisco…” Tooru l’osservò con attenzione. “Che cosa ti è successo, Tobio?”
Il Principe Demone fece una smorfia. “Una volta mi ha raccontato che mio padre ha detto di amarti per la prima volta solo dopo che tu lo avevi creduto morto in una battaglia contro il Re dell’Aquila.”
Suo malgrado, Tooru sorrise. “Tuo padre aveva creduto se stesso spacciato in quell’occasione,” disse. “Diceva che poi ogni sua paura sembrava essere divenuta stupida, compresa quella di dire ad alta voce che mi amava.”
“Anche io sono morto ieri notte.” Confessò Tobio. “Ho fatto un salto nel vuoto e ho chiuso gli occhi con la convinzione che non li avrei riaperti mai più.”
Il sorriso scomparve dal viso di Tooru.
“Nemmeno io ho più paura,” ammise il Principe Demone con tono gelido. “E mi sembra improvvisamente stupido avere paura di ammettere a me stesso che tu mi temi più di amarmi.”
Il Re Demone non aveva parole per replicare a quella confessione.
Tobio fece una smorfia. “Non provi nemmeno a negare…” Lo superò con pochi passi veloci e si fermò. “Stanno cercando un modo per scuoiare il drago o qualche altra cosa disgustosa del genere. Ho letto che il cuore di un drago non si decompone mai, che sia pregno di un potere quasi divino. Per diritto spetterebbe a me ma è tuo se lo vuoi.”
Tooru chiuse gli occhi e sospirò. “Tobio…” Avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno della sua pietà ma non voleva mostrarsi più debole di quanto non fosse: Tobio non era più così manovrabile con quella nuova consapevolezza di sé. Da quel momento in poi, avrebbe dovuto fare i conti con un suo pari.
“C’è anche un’altra cosa,” aggiunse Tobio. “Tsutomu…”
Tooru si voltò e fissò la schiena di suo figlio. “Che cosa centra il figlio di Wakatoshi?”
“Prima del ballo, mi ha confessato di aver sognato che il drago distruggeva questo castello,” raccontò Tobio. “Continuava a ripetere di poter sentire la voce della bestia nella sua testa.”
Tooru sgranò gli occhi ma non disse nulla.
“Non gli ho dato ascolto,” ammise Tobio. “Ma il suo secondo genitore era un Mago…”
Il Re Demone annuì. “Grazie per avermelo detto…” Avrebbe dovuto indagare meglio anche su quella faccenda.
Tobio annuì e fece per andarsene.
“E… Tobio?” Lo richiamò Tooru.
Il Principe Demone si fermò ma non si voltò.
“Perché hai chiesto a Shouyou di restare?”
“Non era quello che speravi che facessi?”
“Sì,” ammise il Re Demone. “Ma voglio sapere il perché.”
“Perché quell’idiota non può andarsene in giro senza saper controllare il suo potere e a Karasuno nessuno sembra avere intenzione di educarlo in tal senso.”
“Tu non hai quei poteri,” gli fece notare Tooru. “Come pensi di aiutarlo?”
Tobio non rispose.
Il Re Demone sorrise sommessamente ed annuì. “Non c’è nessun altro motivo?”
“No.” Fu la breve risposta di Tobio.
“Non puoi andare da lui adesso, Tobio-chan,” lo avvertì Tooru quasi divertito. “Daichi ha giurato che decapiterà con la sua spada chiunque provi a chiedere del suo Principe.”
“Non sto andando da lui!” Esclamò Tobio rabbioso.
Tooru non ebbe difficoltà a capire che mentiva.
 
 
***
 
 
Tooru provò a non andare da Shouyou per tutta la settimana seguente e non passava giorno in cui non andasse a cercare Kenma in biblioteca per chiedere delle sue condizioni. Ogni giorno, il Mago rispondeva sempre allo stesso modo. “Dice di stare male…”
A quel punto, Tobio inarcava le sopracciglia confuso. “Ma è in pericolo?”
“Non sta morendo,” lo rassicurava Kenma a quel punto.
Se il Mago fosse stato completamente onesto, avrebbe dovuto confessare al Principe Demone che Shouyou era tornato perfettamente in forze appena un giorno dopo l’uccisione del drago ma il suo paziente sembrava tenerci particolarmente a far sapere a tutti che stava male, che era debole e che non avvertiva nessun segno di miglioramento. Chi era lui per andare contro la sua volontà?
Per un po’ si era anche chiesto il motivo di una simile farsa e si era detto che almeno in quel modo non sarebbe stato costretto a vedere il Principe Demone. Poi, però, era stato Shouyou a cominciare a chiedere notizie di Tobio e Kenma aveva seriamente cercato di rimanere fuori da quella storia il più possibile e limitarsi a compiere il suo dovere di Mago e Curatore per una volta.
La stagione degli amori di Tooru e Koushi era stata un’esperienza abbastanza costruttiva per convincerlo che era cosa buona e giusta per la sua sanità mentale non divenire un alleato anche in quella dei loro figli.
 
 
***
 
 
Daichi ne era certo: Koushi sapeva molto di più di quello che dimostrava ed era una cosa che non gli piaceva proprio per niente.
“Tu mi nascondi qualcosa…” Mormorò sospettoso una notte, mentre entrambi erano a letto.
Koushi sollevò il viso dal suo petto e lo guardò con un finto sorrisetto scocciato. “Ci siamo concessi un’ora d’amore e dobbiamo tornare subito a preoccuparci?”
Daichi scrollò le spalle. “Siamo genitori…” Disse come se fosse una giustificazione.
Koushi sospirò e tornò ad accomodarsi contro il suo petto. “Non me lo ricordare adesso.”
Il Re dei Corvi inarcò le sopracciglia. “Ho passato quindici anni a credere che ti piacesse fare la mamma.”
Suo malgrado, Koushi sorrise. “Non saprei immaginare la nostra vita senza i nostri figli.”
“Ma?”
Il consorte reale di Karasuno rimase in silenzio: non voleva affrontare una discussione sul fatto che Shouyou stesse crescendo da un giorno all’altro e lo stesse facendo grazie ad un Principe dagli occhi blu senza che nemmeno se ne rendesse conto.
“Hajime mi ha detto che Tobio continua a chiedere di Shouyou,” disse Daichi.
Koushi fece una smorfia rassegnato.
“Tooru ti ha detto nulla in proposito?”
“Non vedo Tooru dal giorno dell’attacco,” ammise Koushi. “Credo che voglia stare un po’ per conto suo.”
Daichi annuì. “Metà della sua casa è stata distrutta, dopotutto.”
“Non credo si tratti solo di questo.” In realtà, Koushi era certo che quello fosse l’ultimo dei problemi del Re Demone. “Penso che sia più una questione di figli anche la sua.”
Daichi lo guardò. “Intendi Tobio e Shouyou?”
“Sì, ha a che fare con Tobio e Shouyou ma non è così semplice.”
“Va bene,” Daichi invertì le loro posizioni in modo che il consorte non potesse più evitare di guardarlo negli occhi. “Mi stai nascondendo qualcosa?”
“No,” non era la verità. “Ho la netta sensazione che Shouyou stia nascondendo qualcosa a noi, però.” Doveva essere successo qualcosa oltre al fatto che Tobio aveva scoperto il suo segreto, qualcosa che lo portava a fingere di stare male quando era evidente che non era così.
Daichi inarcò le sopracciglia. “Qualcosa di cui non siamo a conoscenza ma che ci induce a non preoccuparci a morte, nonostante lui dichiari di essere praticamente in fin di vita?”
Koushi sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
“Che cosa c’è da ridere?” Domandò il Re.
“Ti sei accorto che sta fingendo, quindi?”
“Ieri ha cominciando a lamentarsi come se stesse agonizzando,” commentò Daichi. “E lo fa solo in nostra presenza o quella di Kenma. Non sono stupido, Koushi.”
“Lo so, lo so…” Mormorò il consorte reale accarezzandogli i capelli corvini distrattamente. “È che non credevo lo avresti assecondato. Di solito, quello è un vizio mio.”
“È che non mi ricordo l’ultima volta che Shouyou ha finto di stare male.”
“Non lo ha mai fatto, Daichi,” disse Koushi. “Ha finto di stare bene, alle volte. Stare male significava stare fermi a letto, capisci?”
Il Re sorrise. “Quale tortura…”
Koushi ridacchiò. “Non lo so che cosa sta facendo Shouyou,” ammise. “È questo che mi preoccupa, capisci? Non posso chiederglielo e basta come un tempo… Questa volta temo che non mi direbbe la verità e, dopo, me ne accorgerei ma dovrei fare finta del contrario.”
Daichi soppesò quelle parole per un istante. “Si tratta di Tobio, vero?” Domandò con tono decisamente meno sereno.
Koushi sorrise. “Eccolo il padre protettivo,” mormorò intenerito. “Mi stavo chiedendo quando sarebbe saltato fuori…”
“Parlo sul serio, Koushi,” disse Daichi prendendo la mano del consorte nella sua. “C’è qualcosa che…?” Lasciò la domanda sospesa a metà.
Koushi si umettò le labbra. “Impedisci a Tobio di vedere Shouyou.”
“Lo sto facendo,” gli fece notare Daichi. “Ma non potrò farlo per sempre…”
“Ancora un po’…”
Il Re lo guardò sospettoso. “Si stanno cercando disperatamente ed altrettanto disperatamente lo stanno negando…” Rise. “Eravamo così stupidi alla loro età?”
Koushi scrollò le spalle. “Eravamo innamorati, ci va vicino…”
“Uno dei due crollerà, prima o poi…” Gli fece notare Daichi.
Koushi lo guardò con un sorrisetto furbetto. “Appunto…” Mormorò. “Ancora per un po’, Daichi… Ho bisogno di una prova di fiducia anche io, ora.”
 
 
***
 
 
Tobio fu il primo a scoppiare.
Accadde a dieci giorni di distanza dall’abbattimento del drago.
Il Re Demone aveva richiamato vecchi cacciatori da ogni angolo dei Regni liberi per poter recuperare da quella carcassa tutto ciò che potesse definirsi di valore ma il processo si era rivelato piuttosto lungo e non c’era nulla al Castello Nero che impegnasse l’attenzione di tutti più del Principe Demone che saliva e scendeva le scale che portavano agli appartamenti dei reali di Karasuno.
I Cavalieri del Re dei Corvi avevano anche smesso di presentarsi nel cortile interno del castello per evitare che il Principe li disturbasse insistentemente chiedendo informazioni sul loro erede al trono o pretendendo di essere scortato da lui anche senza il consenso del loro sovrano.
Se non fosse stato troppo occupato ad essere scocciato con il resto del mondo, Kei l’avrebbe anche trovato divertente. Lui non aveva nessun problema ad uscire allo scoperto e non aveva alcuna intenzione di rinchiudersi in una stanza dalle pareti di pietra con tutto quel caldo solo perché quell’idiota di Shouyou non la finiva di fingersi moribondo. Alla fine, anche Tadashi lo aveva seguito solo per evitare che fosse il Principe dei Corvi a tormentare lui perché aiutasse Tobio ad entrare nei suoi appartamenti senza che suo padre lo sapesse.
“Davvero te lo ha chiesto?” Domandò Kei appoggiando la schiena alla parete di pietra.
Seduto sulle scale che portavano alle mura, Tadashi annuì. “Prima ha tentato con Hitoka,” disse con un sorriso divertito. “Poverina, ha cercato di parlare con Tobio in corridoio ma ha cominciato a balbettare al punto che il Principe non ci ha capito più nulla ed è dovuto correre via per l’imbarazzo.”
Kei inarcò le sopracciglia: Shouyou non ne voleva sapere di uscire da quella camera da letto e stava giocando carte false per riuscirci ma vedere Tobio sembrava essere una faccenda altrettanto urgente. Quello che lo faceva pensare era che le due cose di escludevano a vicenda e questo il loro Principe, per quanto idiota, lo sapeva bene. Se non era per evitare il Principe Demone che continuava a fingersi malato, che cosa gli impediva di alzarsi da quel letto ed andare a cercarlo di persona?
Kei sospirò: se avesse cominciato a tentare seriamente di entrare nella testa di Shouyou ne sarebbe uscito completamente scemo a sua volta.
“Oggi ce ne andiamo tutti a caccia!” Esclamò il Primo Cavalieri di colpo.
Kei sollevò gli occhi e vide che si era spostato al centro del cortile stringendo il braccio del Principe Demone con una certa insistenza. “Mio figlio ha abbattuto un drago e non possiamo offrirgli la celebrazione che merita. Concediamoci qualche giorni di caccia in suo onore e, quando il Castello Nero sarà tornato quello di un tempo, mangeremo la cacciagione e brinderemo alla sua impresa.”
Molti Cavalieri alzarono il pugno esultando ma Kei non si lasciò sfuggire come i più giovani rimasero in silenzio, scuri in volto.
“Dobbiamo farlo per forza?” Domandò un ragazzo ancor più alto di lui.
Il suo amico, un piccoletto dall’espressione apatica sospirò visibilmente annoiato. “Non abbiamo altra scelta,” disse. “Vanno tutti…”
Kei li osservò per un po’ senza essere visto, poi li vide confondersi con i Cavalieri più anziani e riportò la sua attenzione al centro del cortile, sul Primo Cavaliere e su suo figlio.
“Non sembra molto amato…”
Abbassò lo sguardo. Tadashi stava osservando il Principe Demone con quella che sarebbe potuta essere pietà. “Dovrà essere il loro signore e non lo sopportano.”
Kei tornò a fissare Tobio. Gli occhi blu del Principe Demone erano rivolti verso l’alto ed il Cavaliere non ebbe bisogno di seguire la linea del suo sguardo per sapere che stava guardando le finestre degli appartamenti dei reali di Karasuno. Il Primo Cavaliere stringeva il suo braccio come se temesse che sarebbe corso di nuovo su per quelle scale se solo avesse lasciato la presa per un istante.
Sospirò: non erano affari suoi ma se fosse stato per quegli idioti sarebbero tutti rimasti sospesi in quella situazione in eterno. “Andiamo…” Ordinò.
Tadashi si alzò immediatamente. “Vuoi andare a caccia anche tu?”
“Questa corte comincia a divenire insopportabile,” disse Kei e, finalmente, gli occhi blu di Tobio incrociarono i suoi. “Qualcuno deve darci un taglio…”
 
 
Se fosse stato per Tobio, non avrebbe rivolto parola a quel Cavaliere nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo del Regno di Karasuno ancora in circolazione. Peccato che, in realtà, lo fosse. Tutti gli altri sembrava essersi dileguati nel nulla. Come se non bastasse, avrebbe potuto recitare il maledetto libro di Kenma a memoria, Shouyou non accennava a migliorare e nessuno sembrava convincersi a lasciarglielo vedere.
Inoltre, quel Cavaliere non sembrava del tutto contrario all’idea di parlare con lui.
“C’è qualcosa che devi dirmi?” Fu Tobio ad interrompere il silenzio per primo.
Si erano isolati rispetto agli altri. Non abbastanza perché non fossero in vista ma Tobio non l’aveva considerata una cosa casuale.
Kei fece una smorfia. “Mi piacerebbe che qualcosa me lo diceste voi.”
Tobio resse il suo sguardo alla perfezione, poi portò gli occhi sul viso dell’altro ragazzo, quello di cui non conosceva il nome. Questi arrossi ed abbassò lo sguardo immediatamente.
“Lui è Tadashi,” disse Kei. “Voi, però, dovete parlare con me.”
“A che proposito?” Domandò Tobio.
“Mi sembra ovvio…”
Certo che lo era. “Non ho nulla da dire al Cavaliere del Principe dei Corvi. È con lui che devo parlare, con nessun altro.”
Kei lo guardò divertito. “Questo lo ha capito tutta la corte, mio Principe.”
“E allora perché insistete a tenermi lontano?”
“Ordini,” rispose il Cavaliere. “Il nostro giovane signore non sta bene ed i suoi genitori non vogliono affaticarlo con visite inutili.” Tadashi gli lanciò subito un’occhiata e Kei ricambiò invitandolo a tacere senza usare le parole. Si portò in avanti, in modo che il Principe Demone non ponesse attenzione alle reazioni istintive del suo amico d’infanzia.
“Non ha chiesto di me?” Domandò Tobio affiancandosi al Cavaliere.
Kei poteva sentire lo sguardo insistente di Tadashi contro la nuca ma decise d’ignorarlo. “Nemmeno io ho avuto il permesso di passare molto tempo con il mio Principe in questi giorni.”
Tobio lo guardò un poco allarmato. “Le sue condizioni sono così gravi?”
Il Cavaliere scrollò le spalle. “Non sono un Curatore. Non posso rispondere con certezza.”
“Ehi!” Tobio lo afferrò per il colletto della tunica e lo guardò in cagnesco. “Mi pareva che fossimo qui per parlare e tu non stai dicendo niente.”
Alle loro spalle, Tadashi osservava la scena in silenzio, spaventato. Se il Principe Demone avesse fatto del male al suo amico, che cosa avrebbe potuto fare lui?
Kei, però, tornò a sorridere con fare sarcastico. “Credete davvero che intimidendo il nemico senza la reale intenzioni di fargli del male possiate ottenere qualcosa da esso?”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte e lo lasciò andare. “Allora smetti di parlare solo a metà.”
Kei riprese a camminare. “Posso sapere per quale motivo insistete tanto a voler parlare con il nostro Principe?”
“Ti ho già detto che non sono affari tuoi.”
“Adesso siete voi a parlare a metà, Altezza.”
Tobio si fermò e lo guardò dritto negli occhi. “Puoi portarmi da Shouyou o no?”
Domanda diretta, risposta diretta e Kei seppe di aver perso. “No…” Disse con una mezza smorfia.
Il Principe Demone annuì. “Allora non è mio interesse parlare con te.”
Si allontanò di alcuni passi, poi il rumore di una freccia che fendeva l’aria spezzò il silenzio seguita da un verso vittorioso.
“Oh, no!”
Kei si voltò e vide lo stesso ragazzo più alto di lui che aveva sentito lamentarsi nel cortile interno del castello. Il suo amico gli era accanto ed entrambi avevano lo sguardo rivolto a terra. Sembravano delusi.
“È un corvo,” disse il ragazzo con la faccia apatica. “Lo hai preso in pieno.”
“Sì,” disse il più alto con aria sconsolata. “I corvi, però, non sono così buoni da mangiare.”
Kei si sentì intimamente disgustato da quel discorso. Sospirò e portò lo sguardo altrove. Si accorse che Tobio era ancora un paio di metri davanti a lui. Non si muoveva, come se fosse congelato e la sua espressione era terribile, come se avesse appena assistito al peggiore dei crimini.
Inarcò le sopracciglia. “Vostra Altezza?” Chiamò. Tadashi arrivò al suo fianco ed il suo sguardo venne animato dalla stessa confusione. “Vi sentite poco bene?” Domandò a sua volta.
Tobio, però, sembrava completamente sordo alle loro parole. I suoi occhi erano fissi su quei due giovani Cavalieri come se non riuscisse a vedere niente altro. “Che cosa hai fatto?” Domandò a voce troppo bassa perché gli altri due potessero comprendere le sue parole.
Kei, però, le udì chiaramente.
“Che cosa hai fatto, bastardo?!” Sbottò lanciandosi in avanti.
Kei assistette alla scena da lontano. Il ragazzo più alto fu il primo ad alzare lo sguardo e quello che Tobio spintonò via per inginocchiarsi a terra. “Che succede?” Domandò ma il Principe Demone sembrava troppo occupato ad esaminare la creaturina colpita per porre attenzione a lui.
“È morto,” disse il ragazzino con l’espressione apatica. “La freccia gli ha trapassato il petto.”
Di fronte a quell’ovvietà, gli occhi blu del Principe Demone si sollevarono sul viso del ragazzo più alto e Kei sentì un brivido scendergli lungo la schiena di fronte a quell’espressione. Ora, sì, che avrebbe potuto convincerlo a temerlo.
“Che cosa hai fatto, maledetto?!” Tobio afferrò il proprio Cavaliere per il colletto della tunica e lo sbatté con violenza contro il tronco più vicino. “Hai idea di quello che hai appena fatto?!”
In un’altra occasione, Kei lo avrebbe creduto completamente pazzo. Per un attimo, lo fece ma poi un’intuizione molesta prese forma nella sua mente e gli spezzò il respiro prima ancora che prendesse completamente forma. Sentì la mano di Tadashi stringergli il braccio e, quando abbassò lo sguardo, vide negli occhi dell’amico d’infanzia lo stesso sgomento che provava lui.
“Lo sa…” Mormorò Tadashi e non era una domanda.
Non c’era spazio per le domande di fronte ad una reazione tanto violenta per un corvo morto.
“Tobio! Tobio!” Servì l’intervento del Primo Cavaliere per allontanare il Principe Demone dalla gola dello sventurato Cavaliere. “Che cosa ti prende, maledizione?!”
Il fanciullo dai capelli corvini era a metà tra il rabbioso ed il disperato. “Non puoi capire, padre! Non puoi capire! Nessuno può!”
Il Primo Cavaliere fissò suo figlio con sincera preoccupazione. “Tobio, che cosa ti succede?” Domandò prendendo il viso del giovane tra le mani.
Il Principe Demone tremava e non fu capace di rispondere in alcun modo. “Devo andare…” Disse allontanandosi dal padre. “Devo andare!”
Prese a correre tra gli alberi sotto gli sguardi sbigottiti di tutti.
Kei digrignò i denti. “Merda…”
 
 
***
 
 
Tobio non volle sentir ragioni.
Irruppe negli appartamenti dei reali di Karasuno come un folle. Fu un ingresso talmente violento che alcune donne gridarono. Molte voci lo intimarono di fermarsi e qualcuno provò anche a mettergli le mani addosso. Tobio non guardò in faccia nessuno. Si fece strada con le unghie e con i denti e non si fermò fino a che non ebbe spalancato la porta in fondo al corridoio.
“Shouyou!” Urlò.
La prima cosa che mise a fuoco come recuperò il senno fu la figurina in camicia da notte di un fanciullo dai capelli dal colore impossibile. Era seduto sul bordo del suo letto e lo fissava a metà tra l’atterrito ed il confuso. Di fronte a lui vi erano i suoi genitori ma Tobio non diede loro particolare attenzione. Non per mancanza di rispetto ma perché, di colpo, si rese conto di essere senza fiato.
“Tobio!” Esclamò Shouyou alzandosi dal letto ed andandogli vicino.
Il Principe Demone lo guardò come se fosse un fantasma. “Stai bene…” Non era una domanda e, di colpo, si sentì tanto idiota per essere corso fino a lì come se si trattasse di una questione di vita o di morte.
“Sì,” disse il Principe dei Corvi col suo solito sorriso luminoso. “Perché non dovrei stare bene?”
Alle loro spalle, il sovrano di Karasuno incrociò le braccia contro il petto. “Oh… Ora stai bene?”
Shouyou sobbalzò come se qualcuno avesse urlato e si voltò molto lentamente a guardare i suoi genitori con aria costernata.
“Daichi… “ Mormorò dolorante quello che Tobio riconobbe come il Primo Cavalieri mentre si alzava dal pavimento. Il Principe Demone non credette ai suoi occhi quando vide che ce ne erano altri due a terra.
Koushi scosse la testa. “Asahi, Yuu, Ryuu, va tutto bene,” li rassicurò con un sorriso gentile.
Yuu si sollevò immediatamente sulle ginocchia. “Questo pazzo è entrato come se dovesse compiere una strage!”
Tobio sentì le guance farsi calde e decise di non dire niente per giustificarsi, non ancora.
“Nessuno sconfigge il grande Ryuu senza ricevere una lezione in cambio!” Esclamò Ryuu rabbioso.
“Ragazzi,” disse Koushi con voce più ferma. “Va tutto bene, potete andare.” Era un ordine perentorio ed i tre Cavalieri non tardarono un istante di più a rimettersi in piedi e a togliere il disturbo. Il rumore della porta che veniva richiusa sembrò quasi un colpo di cannone.
“Davvero sei corso qui come un pazzo?” Domandò Shouyou.
Tobio si mordicchiò le labbra. “Hanno ucciso un corvo, giù… Alla foresta…”
“Oh…” Gli occhi di Shouyou si fecero grandi.
“E mi sono span… Spat…”
“Spaventato?”
Provò Shouyou con un timido sorriso. “Credevi che fossi io?”
Dapprima, Daichi non comprese, poi le cose cominciarono ad assumere lentamente un senso e, ricollegandosi agli eventi degli ultimi giorni, finì per guardare il suo consorte con espressione sinceramente scioccata. Koushi si premette l’indice contro le labbra: avrebbe affrontato quelle conseguenze più tardi, ora che il Principe Demone era scoppiato non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione di capire finalmente tutta la storia.
Tobio impiegò un istante a ritornare il solito, rabbioso se stesso. “Se stai bene per quale motivo non hai voluto vedermi?”
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Cosa?” Domandò. “Sono io che ho continuato a chiedere di te a tutti e tu non ti sei mai presentato!”
“Dicevano che eri moribondo!”
“E tu hai creduto che fossi là fuori nella foresta trasformato se eri convinto fossi moribondo?”
“Non ho pensato in quel momento! Ho agito d’istinto!”
“E non potevi agire d’istinto prima e venire da me?”
“M’impedivano di venire da te!”
“Eh?” Shouyou si voltò verso i due genitori. Daichi era ancora completamente sconvolto ma Koushi resse il suo sguardo alla perfezione. “Io… Io…”
“Andiamo, Daichi,” disse Koushi con voce stranamente atona e tanto bastò ad attirare l’attenzione del suo compagno. “Lasciamoli da soli.”
Il Re di Karasuno indicò i due con occhi sgranati e bocca spalancata. “Ma… Ma…” Prese a balbettare. Koushi lo zittì afferrandogli una mano ed incrociando le loro dita. Daichi si calmò come sentì quanto forte il suo compagno lo strinse.
“Andiamo…” Ripeté Koushi guardandolo negli occhi ed il Re non seppe spiegarsi la ragione di tutta la tristezza che vide riflessa in quelle iriti dorate.
Shouyou tenne lo sguardo basso per evitare d’incrociare quello dei suoi genitori mentre superavano lui e Tobio ed uscivano dalla stanza. Solo quando sentì la porta richiudersi cercò di nuovo gli occhi blu del Principe Demone e li trovò lì, davanti a lui, ad attenderlo. “Davvero ti hanno impedito di vedermi?” Domandò.
Tobio annuì. “Dicevano che per le tue condizioni non potevi ricevere visite.”
“Fingevo…” Confessò Shouyou con un filo di voce. “Pensavo lo avessero capito ma continuavano a stare tutti al gioco.”
“Penso lo facessero perché in questo modo era più facile tenermi lontano.”
“Sì ma… Perché?”
Tobio scrollò le spalle. “Sono i tuoi genitori,” rispose. “Per me è già abbastanza difficile comprendere gli intrighi dei miei.”
Shouyou si umettò le labbra e si sedette in fondo al suo letto. “Dovevo fingere.”
“Perché?” Domandò Tobio. “Ho pensato che mi stessi evitando.”
“No,” Shouyou scosse la testa. “Era esattamente il contrario: avevo bisogno di tempo per parlare con te.”
“E perché non l’hai piantata con questa farsa e non mi sei venuto a cercare, invece di aspettare che io venissi da te?”
“Perché se mi fossi sentito meglio, sarei dovuto tornare a casa,” confessò Shouyou, alla fine. “L’unica cosa a tenere i miei genitori ancora qui, al Castello Nero, erano le mie condizioni.”
Tobio lo guardò in silenzio per alcuni istante, poi inarcò le sopracciglia. “Non vuoi tornare a casa?”
“No…” Shouyou si morse il labbro inferiore. “Non lo so…”
“Non lo so non è una risposta.”
“È che ho ripensato alla tua proposta,” disse Shouyou. “Non riesco a smettere di pensarci e dopo quello che è successo, io…”
“Tu cosa?” Domandò Tobio. “Non ti bloccare sempre a metà.”
“Io…” Shouyou si mordicchiò le labbra e poi prese un respiro profondo. “Non voglio far soffrire nessuno, capisci?”
“No…”
Il Principe dei Corvi sospirò esasperato. “Non hai mai avuto paura di deludere i tuoi genitori?” Domandò. “Di far loro del male in qualche modo con le tue scelte?”
Tobio ripensò all’ultima volta che aveva parlato con il Re Demone, alle lacrime rabbiose che erano scese sulle sue guance dopo che lo aveva accusato di vivere solo per il potere. Ripensò a come gli aveva sbattuto in faccia di aver capito che la gelosia che provava nei suoi confronti fosse più forte e viva di qualsiasi amore genitoriale. Tobio ripensò anche a tutto ciò che era accaduto da quella prima caccia al drago in poi, di come si era sentito disperato in più di un’occasione perché non riusciva più a vedere quella luce negli occhi del Re quando lo guardava, non aveva importanza quanto fosse bravo in quello che faceva. Per anni aveva reagito a quella freddezza dando il meglio più di quanto già non facesse. Si era accorto troppo tardi che proprio quel suo continuo diventare più forte era la ragione per cui il Re Demone aveva cominciato a vederlo come un rivale. No, una minaccia.
Guardare la morte in faccia gli aveva solo dato la forza di accettare quell’ovvietà.
Sarebbe stato il più forte per se stesso e nessun altro, anche se questo significava far soffrire chi lo aveva messo al mondo.
Shouyou, però, non aveva bisogno di sapere tutto quello.
“No,” rispose alla fine. Il numero di volte che gli aveva mentito in quel modo era quasi superiore a quello delle volte che gli aveva chiesto di condividere il suo segreto con lui. Non gli importò. Non c’era alcuna buona ragione per cui Shouyou dovesse venire a conoscenza di quel che detestava di se stesso. Non sarebbe servito a nessuno.
Gli occhi di Shouyou erano grandi e spaventati in quel momento ma non era la stessa paura che li aveva animati sulla cima di quella torre, con un drago di fronte a loro ed un salto nel vuoto alle loro spalle.
“Io so che spezzerei loro il cuore se non tornassi a casa,” disse artigliando la stoffa della camicia da notte.
“Ma tu vuoi tornare a casa?” Domandò Tobio.
Shouyou scosse la testa. “Non è così semplice.”
“Invece, lo è,” replicò il Principe Demone. “Smetti di pensare a quello che gli altri vogliono da te, stupido. Mi pareva che avessimo già fatto questo discorso. Se vuoi ottenere quello che desideri, non puoi scappare da quello che sei, lo devi affrontare.”
“E come affronto il fatto di far del male alle persone che amo di più al mondo?” Domandò Shouyou con le lacrime agli occhi. “Come posso accettare di seguire i miei desideri quando so che darò un dolore a chi mi ha dato tutto, compresa la mia vita?”
Gli occhi di Tobio rimasero di un blu limpido per tutto il tempo, senza che nessuna ombra d’irritazione o rabbia li rovinasse. “Il fatto che ti abbiano dato la vita non significa che appartenga a loro.”
Shouyou sentì il respiro venire meno per un istante. Gli occhi d’ambra si persero in quelli blu del Principe Demone per un lungo momento di silenzio. Fu Tobio a spezzarlo. “Te lo chiedo un’ultima volta,” disse facendosi più vicino. “Tu vuoi restare?” Domandò. “Vuoi restare qui?”
Shouyou sentì le unghie conficcarsi nei palmi delle mani tanto stava stringendo i pugni. Se fosse tornato, anche se lo avesse fatto per non far del male a chi amava, casa gli sarebbe sembrata solo una gabbia e non lo avrebbe sopportato.
“Sì,” rispose con sicurezza. “Sì, io voglio restare.”
 
 
Nel corridoio, sia Daichi che Koushi se ne stavano con la schiena premuta contro la superficie di legno della porta chiusa. Il Re vi aveva appoggiato la nuca, gli occhi rivolti al soffitto, mentre il suo consorte fissava il pavimento di pietra con le braccia incrociate contro il petto.
“Che cosa facciamo?” Domandò Daichi con tono stanco, quasi rassegnato.
Conosceva già la risposta. La conoscevano entrambi.
“Non c’è niente da fare,” rispose Koushi staccandosi dalla porta. “La sua vita non ci appartiene e ha fatto la sua scelta. Da qui in poi, possiamo solo decidere se essere dei genitori o dei tiranni.” Si voltò e sparì all’interno della loro camera prima che Daichi avesse modo di guardarlo in faccia.
Tuttavia, il Re dei Corvi non aveva bisogno di farlo per sapere che stava piangendo.
 
 
 
 
   
 
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