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Autore: pyrophane    06/09/2016    0 recensioni
[Pokémon Go]
La familiarità non è intimità. Blanche guarda Spark che guarda Candela, e si chiede chi di loro tre sarà il primo a crollare.
{ Blanche/Candela/Spark | One shot | 3166 parole | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Blanche, Candela, Spark
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'knocking me down with the palm of your eye'
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Note della traduttrice (Hiraeth): sequel di i won’t say it, anche se può essere letto come una one shot a sé stante. Il titolo è tratto dalla canzone Peach, Plum, Pear di Joanna Newson, e il link alla storia originale si trova qui. Buona lettura!










the dimming divide
di pyrophane




Quando Blanche aveva otto anni, si ruppe il braccio sinistro capitolando da un albero. Era autunno, l’odore delle foglie bagnate che si diffondeva nell’aria frizzante come la ruggine. Stava cercando di soccorrere un Nidoran che, in qualche modo, era rimasto intrappolato nel fogliame, ma il suo piede era scivolato sulla superficie sdrucciolosa della corteccia e lei era ruzzolata giù dal ramo. Con il senno di poi, in generale era stata un’idea pessima, ma alla vista del Nidoran arenato Candela si era subito tolta la giacca, il che aveva significato, ovviamente, che Blanche doveva arrivarci per prima.

 Inizialmente lo shock della caduta la lasciò senza respiro, disorientata. Distesa a pancia in su, fu solo leggermente conscia del tono di voce basso e concitato di Candela nell’orecchio, Blanche, mi senti, mi senti? Vado… Spark, resta con lei, vado… chiamo aiuto… solo…

 Era atterrata male. Una fitta debole e ronzante le infilzava il braccio. Lei non piangeva, ma Spark sì. Lui si scioglieva in lacrime per un nonnulla, gli occhi che diventavano lucidi alla minima provocazione: le matite colorate messe nell’ordine sbagliato, il minulo che sbatteva contro un angolo, la vista di un cucciolo di Growlithe. Le afferrò le dita con una mano e si strofinò gli occhi con l’altra. «Blanche, Blanche, starai bene, è tutto a posto» ripeté tra i singhiozzi, nonostante Blanche non avesse mai suggerito il contrario.

 «Sto bene» lo rassicurò, Spark che continuava a stringerle la mano. «Sto bene, credo… credo di essermi rotta il braccio. Non fa tanto male». Non era vero, però: aveva l’impressione che si fosse spaccato a metà, che fosse stato torto via dalla spalla. «Non… non piangere, non mi fa male».

 «Piango p-perché poi tu non sia costretta a farlo» ribatté Spark, tirando su con il naso.

 «Non… Spark, non è così che funzionano le cose, è comunque…»

 Ma Spark era fatto così. Il cuore eternamente aperto. Che si addossava con una semplicità immensa il dolore altrui, come se condividendolo potesse alleviarlo, come se gli avanzasse un’infinita quantità d’amore e la spartisse incondizionatamente con chiunque ne avesse bisogno. Come se lui non avesse mai avuto a che fare con un malessere tedioso e rantolante, indice di una rottura sotto la facciata delle sue apparenze: un’afflizione impercettibile, che poi diveniva talmente incommensurabile da non serbare spazio per altro, da non lasciar germogliare niente.

 Adesso Spark non piange più con la stessa facilità, ma talvolta Blanche lo coglie nell’atto di squadrarla con lo stesso cipiglio indifeso, tendente sin troppo alla compassione perché le sia di conforto. Quando pensa di non essere osservato, Spark scruta anche Candela e ha un’espressione che Blanche non sa come decifrare, malgrado si conoscano da sempre.

 La familiarità non è intimità. Blanche guarda Spark che guarda Candela, e si chiede chi di loro tre sarà il primo a crollare. Non di certo lei. Perlomeno è sicura di questo.




Candela la telefona proprio quando termina le decontaminazioni della giornata, la voce stridente e crepitante per colpa degli disturbi elettrici dell’apparecchio. Probabilmente è di nuovo a correre in giro per i boschi o è nel bel mezzo di un’escursione in montagna, dato che, quando si tratta di Pokémon, alcune futilità come la prudenza e un’agevolata navigazione geografica non contano affatto. «Ehi! Come sta la mia palla al piede preferita?»

 «Fino a due secondi fa, sguazzava in dati inconsistenti ed era immersa nella secrezione di Grimer» replica Blanche, il cellulare tenuto in bilico tra la spalla e l’orecchio mentre appende il camice da laboratorio. «Mi piace il lavoro sporco da biologa. Perché mi hai chiamata?»

 «Una ragazza non può fare ogni tanto uno squillo alla propria migliore rivale?»

 «Ah ah, Candela, molto spiritoso».

 Uno scoppio brillante di risa. «Volevo solo avvertirti che stasera tornerò tardi per allenarmi con il mio Vulpix, non restare in piedi per me, anche se non dormirai lo stesso, vero? Oh, e Spark andrà a un corso serale di uncinetto dopo aver finito con il Prof, mi ha domandato di avvisarti. Ti lascio alla tua melma di Grimer o quel che è, divertiti!»

 Candela riaggancia prima ancora di permetterle di cominciare a formulare una risposta. Lei tende a comportarsi così. Sfreccia in avanti, un uragano di intenzioni cangianti e di movimenti cocenti, spazzando via tutti gli altri al suo passaggio. È pericoloso trascorrere troppo tempo in sua compagnia. La sua avventatezza è infettiva. Se Blanche non fa attenzione, finirà per illudersi e per avere delle aspettative, il che è la cosa peggiore che le possa capitare quando ha a che fare con un individuo come Candela, un incendio incontrollato dai margini affilati e fumanti.

 Candela è una forza della natura, e Blanche è consapevole di quello che accade a coloro che inseguono le tempeste.




Blanche fa a pezzi le cose sin da quando ne ha memoria. Il processo della decostruzione è il metodo più affidabile per elaborare ciò che la circonda, e a Blanche piace la categorizzazione, il contenimento, il metodico procedimento graduale della comprensione tramite il disassemblaggio degli oggetti fino al loro livello più semplice, seguito poi dal riassemblaggio: svitare le radio e le macchinine giocattolo telecomandate, disfare i nodi. Le divisioni complicate, le statistiche, i composti chimici. Non puoi sperare di creare qualcosa senza capire la sua struttura, e non puoi sperare di capire la sua struttura senza avere analizzato i suoi elementi.

 Pertanto Blanche scandaglia gli altri. Ci sono la gentilezza senza riserve e a palmo aperto di Spark, la ferocia istintiva e il calore scintillante di Candela. Lei è sempre stata talmente sfolgorante e Spark è così sincero che a Blanche fa male guardarli, l’intimità che hanno con le loro squadre, dirigendosi in avanti senza alcuna esitazione, come se il domani promettesse loro un futuro senza paure. Impugnano i loro cuori con le braccia alzate perché il mondo li possa vedere, e Blanche riflette che lei non sarà mai in grado di agire in una maniera simile, non importa quante volte demolisca se stessa e discerna i suoi meccanismi interni per cercare di ricostruirli.

 È conscia che glielo insegnerebbero lei se lo chiedesse, ma non lo farà. È troppo tardi. Gli anni in cui avrebbe messo da parte l’orgoglio per avanzare quei primi passi sperimentali verso quei due sono ormai passati. Lei non è come loro. E non le bastano, ma ha imparato a convivere con i vari “la seconda migliore” e i “quasi perfetto”. È un corollario della persona che è: pretende da se stessa più di quanto riesce a ottenere, i risultati conseguiti nelle lotte, i punteggi delle palestre, i voti a scuola, e accontentarsi di poco le lascia l’amaro in bocca, ma per sopravvivere è necessario giungere a compromessi. È questa la natura degli uomini. Ciò che Blanche carpisce è semmai la pura verità al cuore delle cose.

 Nel suo cuore, c’è l’inadeguatezza. E non può decostruire quella.




È buio fuori quando Blanche torna a casa, le ombre che si riuniscono negli angoli, la via tranquilla e grigia come inchiostro lavato. L’appartamento le sembra stranamente vuoto, nonostante sia passata solo una settimana da quando gli altri si sono trasferiti e non sia possibile che, in una così breve spanna di tempo, lei sia già divenuta avvezza a coabitare. «Be’» esclama, interrompendo il silenzio per il gusto di farlo.

 Si fa la doccia, decide di non riporre via il raccoglitore, preparandosi a una lunga nottata di calcoli complessi. Sulla scrivania c’è una bottiglia d’acqua da un litro che non era presente quella mattina. Vi è attaccato un post-it color giallo acceso con su scritto “RESTA IDRATATA!! :D”. Blanche l’occhieggia con aria dubbia mentre sistema il portatile, reprime quello che, ovviamente, non è un sorriso riluttante.

 Tutti i suoi Pokémon riposano dopo un gravoso pomeriggio trascorso a ridurre il numero di palestre, ma ha tenuto il suo Ditto lontano dall’azione per farlo riprendere da un attacco di qualche giorno prima da parte di un Machop particolarmente maligno. Adesso Ditto si trasforma in un Arcanine e le balza in grembo. Lei seppellisce le dita tra i peli della criniera sulla sua collottola. «Non sono sola» dice. «Sono abituata a stare per conto mio». Ditto poggia il muso sul palmo di Blanche e lei sospira. «Apprezzo la compagnia, ma non devi essere qualcun altro se non vuoi. Non c’è nessuno in casa. Ti sarò grata in ogni caso».

 Ditto ringhia e si metamorfosa nella sua forma originale, la pelliccia che diventa una fresca levigatezza. Blanche si concede qualche minuto per godere della semplicità del conforto. «Grazie» asserisce. Ditto sorride, ma d’altronde Ditto sorride sempre. «Va’ a riposarti, ho molto lavoro da sbrigare. Ti farò uscire domani, d’accordo? E insieme batteremo il Vulpix di Candela».




In realtà, malgrado la stravagante rivalità che si era sviluppata tra lei e Candela nel corso degli anni, avevano litigato seriamente solo una volta. Quel litigio era avvenuto a un certo punto della loro adolescenza. Ai tempi era Blanche la più alta tra le due, ma Candela aveva appena avuto una crescita improvvisa, gli arti che non si piegavano proprio correttamente, nonostante lei proseguisse a muoversi con una grazia impertinente e rassicurante che la ricopriva come una seconda pelle.

 Quel ricordo non è completo. Blanche non rimembra il motivo per cui discussero: poteva essersi trattato di una ragione qualsiasi, scelta a caso dall’impressionante gamma di divergenze sparute che si erano accumulate l’una sopra l’altra come tanti sassolini, lo stesso dolore ghiaioso e accennato a malapena che costituisce le fondamenta della rovina. Forse quella lite nacque per colpa di Candela. Blanche senza dubbio la inasprì.

 «Perché continui a sabotare te stessa?» urlò Candela, le mani strette a pugni sui fianchi. Presumibilmente si riferiva al futuro. Parlava sempre come se fosse scontato che si sarebbero spartite gli oceani e avrebbero conquistato il mondo, ma l’unica cosa che Blanche vedeva era la schiena di Candela che si allontanava sempre più, mentre lei rimaneva impotente e immobile, intrappolata nel passato.

 «Tu non capisci» replicò Blanche. «Tu… tu sei sempre stata così, non sai com’è per… per le persone che non lo sono».

 Alla fine era questo che le differenziava. Candela era capace di avere una fede infinita e indiscriminata. A Blanche non bastava. Conosceva la somma di se stessa, le matrici d’acqua e di carbonio: aveva accettato i suoi limiti pratici, tutto ciò che a lei non veniva naturale come invece veniva ad altri. Quel grado di separazione sarebbe per sempre esistito, indipendentemente da come si comportava per diminuirlo: un divario, per quanto infinitesimale, tra l’intento e l’atto.

 «Sei tu quella che non capisce» ribatté Candela, e la sua voce suonò bizzarramente e ingiustamente triste. Aveva gli occhi luminosi. «Tu reputi di sapere come funzionano le cose, ma hai torto. Hai una scelta. La situazione può cambiare».

 L’esaustione crollante privò Blanche della sua rabbia residua. Inspiegabilmente voleva avvicinarsi a Candela, eliminare la distanza che c’era tra loro due. Non lo fece. Si scrutarono a vicenda, frementi, guardinghe, inerti. Candela si voltò per prima. Ma Blanche non ebbe la sensazione di aver vinto.




Blanche sobbalza e raddrizza la schiena al suono della chiave nella serratura. Per un momento, l’adrenalina la defrauda del respiro, prima di rammentarsi delle tortuosità della sua attuale convivenza. Ha il torcicollo. Batte le ciglia alla vista dei numeri in fronte a sé, la grafia macchiata e illeggibile. Deve essersi assopita nel bel mezzo dei calcoli. Il suo Ditto è in un angolo, disteso sul cuscino del letto, probabilmente immerso in un sonno profondo.

 «Ehi, sono io» esclama Spark, comparendo alla porta. «Candela ti ha avvisato che sarei tornato tardi, vero?»

 «Sì» risponde Blanche, soffocando uno sbadiglio. «Qualcosa che ha a che fare con un corso di uncinetto».

 «Un corso di lavoro a maglia, non di uncinetto, non sono per niente la stessa cosa ed è da maleducati sostenerlo, ho detto a Candela… va be’. Comunque, hai un aspetto… non magnifico. Chiudiamo qui la serata?»

 Blanche gli scocca l’occhiataccia più minacciosa che è in grado di assumere. «Ma tu mi conosci? Questi numeri non si organizzeranno da sé in set di dati. E perché frequenti delle lezioni di lavoro a maglia?»

 Spark sfoggia quello che è o un maglione enorme e mezzo finito o la scultura in lana di un Porygon. «Il mio Snorlax prende freddo molto facilmente» spiega. «Ho intenzione di ideare, tipo, un’intera serie di roba a maglia per i miei piccoli: sciarpe, berretti, statuette…»

 «Davvero?» Un’onda di letargia assale Blanche. La sua testa casca sulla scrivania, le braccia usate come cuscini. Tenere gli occhi aperti le pare uno spreco di energie, per cui li chiude.

 «Sicura di stare bene?» Spark sembra divertito. «Non addormentarti sul raccoglitore».

 «L’ho già messo via» mormora Blanche, degli sprazzi di sole rosso che le lampeggiano dietro le palpebre. «Ma sai una cosa? Sono stanca di ipotizzare. Perché osservi Candela in quel modo?»

 «Che intendi? “In quel modo” come?»

 «Come la osservi sempre quando pensi che non ti stia guardando». Blanche volta la testa verso Spark, solleva una palpebra, assiste alla sorpresa che balugina nella sua espressione come la luce di una lampada. «Non rivolgi quello sguardo a nessun altro».

 «Perché le voglio bene» replica Spark, come se fosse un dato di fatto. «Perché è la mia migliore amica e le voglio bene».

 In un punto sotto lo sterno di Blanche pulsa una fitta tenue e ansimante che non le importa di esaminare. «Naturale» conclude. È dall’infanzia che orbita intorno a Candela, lei che era attirata dall’intensità esplosiva e riflettente dell’altra persino mentre agitava le braccia per disperdere il proprio fulgore. Quanto è tipico, quanto è poco lungimirante da parte sua supporre di essere la sola.

 È faticoso cercare di comprendere quello che vuole e chi vuole diventare. Medita che, una volta realizzatolo, gestire la situazione diverrà più facile. Categorizzazione, contenimento. Ci riproverà la mattina dopo, lontana da Spark e dalla sua onestà disinvolta.

 «Ti sbagli, però». La voce di Spark è dolce. Blanche è solo ancorata per metà alla veglia, troppo stanca per riaprire gli occhi, ma percepisce il sorriso sulle labbra del suo interlocutore. Il cuore esposto, come sempre, perché possa essere ammirato dal resto del mondo. «Non osservo Candela solo quando non mi guarda». Uno sfioramento di dita sul polso di Blanche, così gentile che non è certa di non starselo immaginando. «E non è solo Candela che osservo».




«È lo shock» si giustificò in seguito Blanche, messa a sedere con l’aiuto di Spark, quando Candela arrivò con un’insegnante al traino, scoccandole una rapida occhiata e proclamando tremi, ti fa tanto male? «Ho detto che non fa male. Mi passerà. È soltanto… lo shock, le… catecolamine fisiologiche, è così che funzionano».

 Candela la squadrò. Una solennità cristallina e spietata. In quel momento, Blanche avrebbe creduto a qualsiasi cosa avrebbe detto. «Non esiste niente che sia “soltanto” qualcosa» asserì Candela.




Il primo dato che Blanche registra dopo essersi risvegliata è il fatto di trovarsi sul divano, con addosso una coperta decorata con un Charizard, invece che la scrivania dove, è convinta, si è coricata. Il secondo è la presenza di qualcuno che le siede accanto.

 «La bella addormentata si è svegliata» canticchia Candela. Ha i capelli bagnati, le ciocche sparate in su come se avesse iniziato ad asciugarsele con un panno, prima di perdere interesse a metà processo. Profuma come il sapone di Blanche. Non è un incendio incontrollato, solo una ragazza rumorosa e sghignazzante in pigiama, dopotutto.

 «Ugh» commenta Blanche, con sentimento.

 «Aspetta, Candela, avevi chiesto le uova o…» Spark si blocca alla porta con in mano un bicchiere d’acqua, e indirizza a Blanche un largo sorriso. «Ehi, sei sveglia! Abbiamo immaginato che la scrivania fosse un po’ scomoda, per cui Candela ti ha spostata sul divano».

 L’imbarazzo, affilato come un osso rotto, le invade il corpo. Raddrizza la schiena. La notte scorsa ha parlato troppo. Spark è molto più perspicace di quanto la gente non presupponga e Blanche è sicura che sa

 «Allora, uhm, dovremmo… discuterne, direi» dichiara lui, porgendole il bicchiere. Blanche avvolge le sue dita attorno al vetro, ammirando la maestria del prodotto creato da mani altrui, e inghiottisce l’acqua in un singolo sorso.

 «Di che dovremmo discutere?» domanda Blanche.

 Spark e Candela si scambiano un’occhiata. «Be’, abbiamo alcune questioni da appianare» comincia a enunciare. «Spark e io…»

 «Se è per annunciarmi che state insieme, l’avevo già intuito». Blanche fissa il bicchiere vuoto. Vuole, vuole diventare. Non è più in grado di distinguere la differenza: forse non ce n’è nessuna, non per lei. È la peggior situazione che le sia mai capitata. Nel suo stomaco risiede un fardello che pesa come tante pietre.

 «Non interrompermi! L’ho mai menzionato?»

 «Ne avete ancora per molto?» sbotta Blanche. «Ho del lavoro da finire…»

 «Sì!» Candela la punzecchia alla spalla con un dito. «Sono del parere che siamo tutti vittime di un terribile equivoco!»

 «E sarebbe?»

 Candela ruota gli occhi, agguanta il colletto della camicia di Blanche e la bacia. Lei emette un verso sconvolto e inarticolato nella bocca dell’altra, che si approfitta dell’occasione donatale per approfondire il bacio, prima di ritrarsi con un’aria trionfante. Blanche adesso è decisamente sveglia. «Uhm» mugugna. Rivolge uno sguardo disperato a Spark. «Pensavo…»

 Spark avanza un passo e preme le proprie labbra contro l’angolo della bocca di Blanche. Le sorride un po’ mesto.

 «Be’, se è così che se lo ficca nella zucca» borbotta Candela, e allunga il braccio per infilare le dita tra i capelli di Spark e reclinargli la testa e baciare anche lui. Poi guarda Blanche con una faccia accusatoria. «Ora capisci? Tu piaci a entrambi! Vogliamo entrambi uscire con te, giusto per chiarire la faccenda e far sì che non ricapiti il garbuglio intitolato “abbiamo-convissuto-insieme-per-mesi-e-non-te-ne-sei-resa-conto”. Non fissarmi in quella maniera, è in virtù di come, e questo è ormai assodato, quando si tratta di cose del genere, tu non sei la persona con il più grande spirito d’osservazione. Allora, hai qualche obiezione?»

 Blanche apre la bocca, poi la richiude. Ci sono mille modi con cui potrebbe fare a pezzi le circostanze, ma per una volta non ha l’esigenza di farlo. Eppure è un’abitudine difficile da scrollarsi di dosso. «Non… Non sono brava in questo tipo di dinamiche, non… non sarò capace di…»

 «Ti conosciamo» risponde Spark. «Non pretenderemo niente che tu non sia disposta a offrire».

 «Anche noi dobbiamo ancora imparare» aggiunge Candela, «per cui perché non impariamo tutti assieme..?»

 Blanche le lancia un cuscino addosso. Candela scoppia in una risata acuta e si avvinghia all’altra, nascondendo il viso nella curva del collo di Blanche. Spark si unisce alla risata, circondando entrambe con le braccia. «Hai i capelli bagnati» protesta Blanche tra il groviglio di arti, «che schifo, togliti di dosso…»

 «Sì, sì» la canzona Candela, e nelle orecchie di Blanche batte un trio di cuori, non familiare e benvenuto ma che le basta, e nulla le viene e le è mai venuto naturale, ma questa – la cadenza precisa della risata di Spark, la sottile curva della bocca di Candela, dettagli di cui lei è consapevole nel suo subconscio ma mai come adesso, imperfettamente allineati, incastrati nonostante tutto – è una lezione che è disposta ad apprendere.

   
 
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