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Autore: Roxar    07/09/2016    6 recensioni
"Pare che io sia destinato a doverti salvare, ancora e ancora e ancora."
Brienne ha trenta giorni per cercare di saldare un debito che rischia di portarle via tutto e zero voglia di chiedere aiuto a Jaime.
Eppure, di punto in bianco, eccolo a Tarth.
[Mini-long | Jaime/Brienne]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: ripubblico l'ultimo capitolo, andato perso a causa del disallineamento dei server di EFP. Con la speranza che non svanisca di nuovo nell'etere, vi ringrazio moltissimo per essere arrivati fin qui e spero che la storia vi sia piaciuta!

 

 

 

3. La scelta

 

Brienne esitò ancora e una goccia di inchiostro cadde sul tavolo, mancando di poco la pergamena compilata in bella grafia.

In piedi alle sue spalle, Jaime si lasciò sfuggire un sospiro irritato.

“Sto per strapparti quella maledetta penna di mano e firmare per te,” la minacciò e non c’era una sola nota di scherzo nelle sue parole. Brienne sapeva che l'avrebbe fatto, esattamente come, senza troppe remore, l'aveva praticamente costretta a sedere a quella scrivania e scrivere a Noho Dimittis per il saldo del debito. La donna – e non per la prima volta – adocchiò il piccolo forziere accostato al muro, fissandolo con estrema cautela, come se quello avesse potuto farsi crescere delle zampe per raggiungerla e delle zanne per dilaniarla. Si morse il labbro, intingendo nuovamente la penna nel calamaio; la sua mano, notò, tremava impercettibilmente.

I dubbi continuarono a pungolarla dolorosamente anche mentre abbassava la mano per poggiarla sul foglio, anche mentre il polso si muoveva per vergare le lettere del proprio nome, anche e soprattutto dopo aver tracciato l’ultimo svolazzo e sollevato la penna per riporla nel suo piccolissimo alloggio.

Poggiando la schiena contro la sedia, si sentì sollevata e spacciata al tempo stesso, un sentimento non poi così insolito se relazionato a Jaime. Matteck e Yuran si scambiarono un sorriso vagamente trionfante mentre il vecchio maestro si avvicinava a Jaime per mormorargli qualcosa. L’attendente le sedette accanto, battendole qualche piccola pacca sul gomito.

“Mia lady, questo prestito è quanto di meglio avresti potuto sperare. Lord Jaime ha agito così da garantirti il massimo vantaggio e poco alla volta riuscirai a rendergli l’intera somma. E, non meno importante, Tarth non ti verrà sottratta. Dovresti allestire un banchetto, mia signora, festeggiare.”

Brienne scosse bruscamente la testa, scoccandogli un’occhiata severa.

“Tarth è indebitata con i Lannister per i prossimi decenni a venire. Non c’è nulla da festeggiare,” disse cupamente, alzandosi e abbandonando il solarium senza aggiungere altro. Noho Dimittis sarebbe arrivato a breve e non desiderava altro che essergli il più possibile lontana; Matteck avrebbe parlato e consegnato il denaro in sua vece, come si competeva ad un attendente.

Percorse frettolosamente il dedalo di corridoi che conducevano alla sua camera da letto, afferrando il battente della porta per sbatterlo violentemente dietro di sé, ma, contrariamente alle sue previsioni, il tonfo dell’impatto non fu cupo e rumoroso, piuttosto acuto come uno schiaffo. Voltandosi vide la mano di Jaime ancora allungata e la maschera di scherno sul suo viso. Per un attimo rivide il Kingslayer, il Jaime Lannister che era stato prima dell’amputazione, irriverente, irrispettoso e tormentato. Il Jaime Lannister che aveva odiato con tutto il proprio cuore, con ogni fibra del proprio essere.

“Contieniti, donzella, o la gente finirà per domandarsi perché tu sia così euforica.”

“Brienne,” lo corresse in un ringhio, sentendo la rabbia montare nel sangue, inacidendolo, contaminandolo.

Donzella. Non è Brienne chi mi sta davanti, adesso. È la persona che credevo fosse scomparsa per sempre.”

“Vogliamo parlare di te?” ribatté mentre il sangue affluiva alle guance e al collo, arrossandoli.

“Perché no?” replicò, prendendo posto su una seggiola e accavallando le gambe, sventolando poi la mano per invitarla a continuare. “Di quali crimini sono accusato? Di aver salvato un’amica? Di averle prestato del denaro per permetterle di tenersi stretta quest’isoletta deliziosa?”

Lord Tyrion mi ha prestato del denaro e tu mi hai costretta ad accettare sotto minaccia. Questo non è comportarsi da amico. Un amico rispetta le scelte, non ci passa sopra senza alcun riguardo.”

Jaime scattò in piedi, fronteggiandola. I loro nasi erano così vicini da sfiorarsi e nei suoi occhi verdi c’era una luce insolita, singolare. Pericolosa.

Io ti ho prestato del denaro e tu hai insistito affinché fosse un prestito e non un regalo. E la mia non era una minaccia; le minacce implicano una scelta e io ho deciso di privartene perché tu sei così accecata dal tuo dannato, orgoglioso onore che avresti finito solo per fare quella sbagliata.”

Brienne sussultò come se l’avesse schiaffeggiata e i loro nasi sfregarono con maggior decisione. Quelle sue parole le sembrarono così crudelmente ingiuste che una patina leggerissima di lacrime offuscò i suoi occhi azzurri, ostinatamente piantati nei suoi. E probabilmente questo ebbe un effetto decisivo su Jaime, il quale corresse il tiro e quando parlò nuovamente la sua voce suonò più morbida, più indulgente.

“Tyrion non ti ha prestato alcunché. Quei soldi non erano che una piccola parte di quelli che ho preteso per cedergli il mio diritto di nascita su Casterly Rock, un’offerta che lui ha avanzato molto tempo fa e alla quale non ho mai risposto apertamente. Fino ad una settimana fa. Mi serviva il pretesto giusto,” aggiunse, sollevando la mano sinistra come per carezzarle la spalla, salvo poi indugiare e lasciarla ricadere sul fianco. Brienne sgranò gli occhi, incredula.

“Tu hai rinunciato alla tua casa per salvare la mia?”

“Anche. Ognuno ci ha guadagnato; io ho denaro sufficiente per questa e le prossime tre vite, Tyrion ha il suo agognato castello e tu potrai restare qui, nel mezzo del nulla, a crogiolarti nelle famose acque di zaffiro di Tarth.”

Brienne scosse freneticamente la testa, cogliendo i catastrofici risvolti di quella faccenda. Non solo aveva privato Jaime di una parte della sua eredità, ma lo aveva addirittura spronato a cedere Casterly Rock a Tyrion. Era un debito che mai avrebbe potuto pagare. Passò le dita tra i capelli e quando tornò a fronteggiarlo i suoi occhi erano pieni di lacrime, l’azzurro delle iridi liquido e lucido e impressionante.

“Perché, Jaime? Perché hai fatto tutto questo per me? Non lo meritavo, non meritavo nulla!” disse con disperazione crescente, domandandosi se non fosse troppo tardi per tornare nel solarium e interrompere le trattative tra Noho Dimittis e Matteck. Quasi come se l’uomo le avesse letto nel pensiero, Jaime arretrò sino a posare la schiena contro la porta, impedendole l’accesso. Sul viso c’era un divertimento stonato, inopportuno, che Brienne trovò quasi offensivo. Come poteva non capire? Come poteva non capire che se aveva deciso di non chiedergli aiuto non era stato per orgoglio o onore, ma per vergogna? Lei era la donna che aveva giurato di riportarlo a King’s Landing incolume e che, invece, aveva contribuito a fargli perdere una mano. Lei era la donna che l’aveva rintracciato a Pennytree, mentendogli per condurlo nel cuore di un’imboscata mortale e solo il suo rimorso – che era stato più forte di tutto il resto – aveva salvato entrambi dal cappio di lady Stoneheart.  Lei era la donna che, al Nord, aveva giurato di combattergli accanto e guardargli le spalle salvo poi voltarsi e ritrovarlo esanime nella neve arrossata del suo stesso sangue.

Lei era la donna che non meritava il suo aiuto. E forse neppure il suo perdono.

“Amicizia e merito si escludono reciprocamente, Brienne.”

“Non avresti dovuto,” lo aggredì a denti stretti, quasi ringhiando. “Non hai più neppure un posto in cui stare, a causa mia!”

“Ah, ma un posto c’è,” ribatté con tranquillità, abbracciando con lo sguardo la camera da letto di Brienne.

“Brienne, la mia cara amica Brienne, avrà senz’altro una stanza da offrirmi, ho pensato. Perciò, ecco, vedi, alla fine io ci ho guadagnato il doppio.”

Brienne si fermò bruscamente nel mezzo di un movimento, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta, come se fosse apparso improvvisamente dal nulla. Apparentemente, Jaime aveva fornito una soluzione che avrebbe potuto ripagarlo, seppur in parte; pensò a tutte quelle camere da letto serrate da anni, che le inservienti pulivano di tanto in tanto, giusto per non permettere alla polvere di accumularsi.
Poi, immediatamente dopo, pensò alla prospettiva di averlo nelle mura della sua casa per un tempo indeterminato, forse eterno e qualcosa si contorse, dentro di lei. Brienne era ingenua, ma non stupida e in quegli anni accanto a Jaime aveva imparato a sezionare ed etichettare ogni sentimento, riconoscendolo senza alcuna difficoltà; ciò che provava per l’uomo era ben oltre l’essere una semplice forma di stima e rispetto, ben lontano dal mero affetto, ben più forte dell’amicizia.  Non era certa di potergli restare accanto per
 tutto quel tempo e restarne incolume. Tuttavia quelle rimostranze non erano un lusso che poteva permettersi; Jaime aveva contribuito al salvataggio di Tarth e anche se agli occhi della Corona essa restava sotto il dominio di Brienne, moralmente apparteneva tanto a lei quanto a Jaime.

“Tarth ti ospiterà fino a quando lo desidererai, ser,” cedette lei infine, accostandosi alla finestra per scorgere, nel cortile sottostante, la figura compiaciuta e impettita di Noho Dimittis che dava disposizioni ai suoi servitori affinché caricassero su un piccolo carretto il forziere rigurgitante di denaro. Strinse un lembo di tenda nel pugno, sentendo il tessuto stropicciarsi sotto la pelle; aveva vinto, ma quella vittoria aveva il gusto di una sconfitta. Tarth non le era stata sottratta, ma quello – come tutto nella vita, del resto – aveva avuto un prezzo infinitamente alto. Entrambi avevano scelto la resa ed entrambi avevano sacrificato un pezzo importante di sé.

Ma soprattutto entrambi, alla fine, si erano scelti. Ancora e ancora e ancora.

“Abbiamo speso le nostre vite combattendo e pensando che non saremmo sopravvissuti ad una nuova alba. Invece, eccoci qui,” aggiunse piano Jaime, camminando verso di lei fino a posarle la mano sulla spalla; al tocco lieve e misurato Brienne chiuse gli occhi, come per volerlo imprimere bene nella memoria, domandandosi come sarebbe stato sentire il palmo contro la guancia, contro la pelle nuda. Le guance arrossirono violentemente e fu infinitamente contenta di dargli ancora le spalle.

“Gli dèi hanno voluto salvarci entrambi; questo dovrà pur significare qualcosa,” mormorò e Brienne rabbrividì quando il suo respiro caldo le solleticò il collo esposto, spingendo il suo cuore a battere con maggior decisione.

“Il tuo attendente ha ragione, sai? Dovresti organizzare un banchetto, festeggiare,” consigliò infine, allontanandosi finalmente da lei. Fu una sensazione strana, quella che la pervase: rammarico e sollievo, una combinazione quanto mai fastidiosa, dolorosa come un taglio da carta nello spazio tondo tra un dito e l’altro. Non osò voltarsi fino a che non sentì la porta aprirsi e richiudersi; per la prima volta, la solitudine non fu accolta come la benvenuta.

 

 

Di sua madre, lady Laryn, Brienne ricordava veramente poco.

Uno lampo dei suoi capelli biondo pallido, un baleno azzurro dei suoi occhi che – questo lo sapeva per certo – non l’avevano mai vista come un’aberrazione, ma come una figlia da amare e proteggere.

Del giorno della sua sepoltura, poi, ricordava ancora meno. C’era un solo suono che la sua memoria aveva associato a quel momento, un suono strozzato e trattenuto, come un singhiozzo incastrato nel fondo della gola. Se appartenesse a lei o a suo padre, Brienne non avrebbe saputo dirlo.

E pur essendo cresciuta forte e indipendente, negli anni della fanciullezza e in quelli dell’adolescenza, quando si inizia a capire quali siano le dinamiche del mondo e quali vette possa toccare la cattiveria altrui, non c’era stato un solo giorno senza che avesse desiderato di avere Laryn ancora accanto, una presenza amica e materna pronta a rinfrancarla, a spiegarle che lei non valeva meno degli altri, ma semplicemente valeva in maniera diversa. Avrebbe desiderato anche solo un singolo tocco delle sue mani – le stesse che dovevano averla stretta al petto, cullata, accarezzata quand’era ancora un’infante – in segno di conforto, ma aveva dovuto accontentarsi del mezzo sorriso sulle labbra di suo padre, delle sue molte parole non dette, non per cattiveria quanto per timidezza, la stessa che le era come stata lasciata in eredità proprio dall’uomo.

Crescendo, poi, il bisogno di lei era mutato; da fiamma brillante e onnipresente ad un timido baluginio scostante e ammiccante, che risorgeva dalle proprie ceneri quando la situazione diventava troppo pesante perfino per le sue forti spalle.

In quel momento, camminando a piedi nudi sulla battigia per sentire l’abbraccio liquido del mare di notte, Brienne sentì nuovamente quella mancanza materna attanagliarla alla gola, rendendole difficile respirare e perfino pensare. Avrebbe dato un pezzo di sé per poterla incontrare una volta soltanto, per chiederle di aiutarla a sviscerare quella delicata, complessa situazione così da arrivare se non ad una soluzione, almeno ad un consiglio.

Jaime l’aveva salvata – ancora – dall’orlo del precipizio solo per spingerla su una strada sbarrata da un muro apparentemente invalicabile. Sapeva che dietro quei mattoni immaginari avrebbe trovato la pace e la quiete, ma non sapeva come aggirarli.

Una folata particolarmente forte spazzò via un banco di nubi e la luna tornò a stagliarsi sulla sua testa, rischiarando il suo piccolo castello. Brienne lo fissò a lungo, negli occhi una penosa commistione di sollievo e rammarico.

In tutta quella brutta ed inaspettata faccenda Jaime aveva giocato un ruolo determinante; la sua parte di eredità le aveva permesso pagare il debito contratto da suo padre, ma ciò che aveva dovuto dare in pegno le sembrava ancora troppo caro. Aveva sacrificato la propria casa per salvare la sua, per trarre d’impaccio la donna che non solo aveva contribuito a fargli perdere la mano della spada, ma che aveva anche tramato per consegnarlo al cappio di lady Stoneheart.

Sapeva di avergli sottratto ogni cosa per lui importante e non c’era alcun modo di porvi rimedio. Jaime Lannister non avrebbe mai avuto nulla da lasciare in eredità ai propri figli, se non un nome troppo infangato e una manciata di monete. Nessuna terra, nessuna casa. Forse solo un buon matrimonio avrebbe potuto restituirgli una misera parte di quello che aveva perduto, ma dubitava esistessero dei lord disposti a dare la propria figlia in moglie a qualcuno che aveva così poco da offrire in cambio.

Dèi misericordiosi, a cosa l’ho condannato?

Se avesse potuto, avrebbe rinunciato a Tarth in suo favore, facendo di lui non un ospite ma il signore di Evenfall. Eppure non esisteva alcuna legge a riguardo, niente che prevedesse qualcosa del genere, solo...

Quell’ipotesi azzardata e singolare le strinse improvvisamente lo stomaco, così dolorosamente da sottrarle il fiato nei polmoni. E ancora una volta, Brienne si ritrovò a combattere una disperata battaglia contro se stessa, contro il proprio onore.

C’era un unico giuramento che si era sempre imposta di onorare, lo stesso che adesso la parte più colpevole di sé le suggeriva di tradire a favore di Jaime. Era un giuramento stretto con se stessa qualche anno prima, nella penombra calda del tempio che suo padre aveva fatto costruire in onore di sua madre, inginocchiata davanti alla statua del Guerriero.

Pensò a Jaime, al sedicenne che era stato, alla scelta sofferta che aveva spinto la sua spada nella schiena di Aerys e sentì, per la prima volta, dicomprenderlo veramente. Anche la sua bocca si era fatta improvvisamente asciutta e secca mentre sguainava la sua spada? Anche le sue viscere si erano annodate mentre metteva insieme i passi necessari a raggiungere il re? Anche la sua mano aveva tremato l’attimo prima di guidare la lama? Anche il suo cuore aveva battuto all’impazzata, come nel tentativo di riassumere tutte le pulsazioni di una vita in un unico, lunghissimo momento, salvo poi acquietarsi improvvisamente mentre Aerys si accasciava al suolo, affogando nel suo stesso sangue? Anche lui aveva chiuso gli occhi, cercando di convincersi che il tradimento di uno avrebbe salvato la vita di molti?

“Notte insonne?”

Brienne sobbalzò e, nel voltarsi fulmineamente, la sua mano destra corse là dove soleva portare la spada, trovando solo il vuoto. Un gesto figlio dei giorni di guerra, che raramente avrebbe mai smesso di compiere. Jaime piegò un poco la testa, sorridendo ironicamente.

“Abbassa la guardia, ser. Sono solo io,” la motteggiò, affiancandola.

“Perché sei qui? Mi hai seguita?” domandò lievemente irritata, la mano sinistra ben salda sui propri stivali tanto da far sbiancare le nocche.

“Difficile non notarti con questa luna,” spiegò elusivamente, occhieggiando la luna piena stagliata sulle loro teste.

“Mi hai seguita, dunque.”

“Non ti ho seguita. Stavo semplicemente prendendo un po’ d’aria e ti ho vista.”

“Allora hai una vista notevole, ser,” ribatté, adocchiando il castello appollaiato sulla scogliera che sovrastava la spiaggia, da cui era decisamente impossibile distinguere alcunché.

“Chi ha detto che ero al castello?” domandò, seguendo la traiettoria del suo sguardo.

Brienne scosse la testa, evitando di rispondere, di entrare in un battibecco senza capo né coda. Continuarono a tracciare impronte nella sabbia umida per un lungo tratto prima che Brienne interrompesse quel silenzio scomodo e irritato.

“Io ti sono davvero grata per quello che hai fatto. Mi hai aiutata ancora e non avevi alcun motivo per farlo. Permettimi di sdebitarmi, almeno in piccola parte,” disse tutto d’un fiato, gli occhi puntati sul lento incedere delle onde che, ad un ritmo lento e perfino dolce, si infrangevano contro le sue caviglie, macchiandole di schiuma perlacea e sabbia.

“Hai improvvisamente mille dragoni da darmi?” la schernì, sospirando irritato.

“No, non ho denaro da darti, non ancora, ma... Tu hai pagato per Tarth ed è giusto che essa appartenga anche a te... Perciò se tu vorrai... Io...” Le parole arrancarono sino ad esaurirsi completamente in una proposta troppo difficile da articolare. L’incertezza e la perplessità indugiarono sul suo viso, per bruciare poi in un improvviso lampo di comprensione.

“Ah, questo sì che è... anticonvenzionale,” disse semplicemente dopo un lunghissimo silenzio, passando ripetutamente la mano buona tra i capelli ingrigiti dalla notte. Mosse qualche passo incerto per poi lasciarsi cadere sulla sabbia asciutta e fredda. Ritrasse le ginocchia al petto, posandovi sopra i gomiti e fissando con particolare insistenza la propria mano artificiale. Sembrava così perso nei suoi pensieri che Brienne gli si accostò silenziosamente, senza però osare proferire parola.

“Quand’eravamo vicino Maidenpool, diretti a Nido dell’Aquila per salvare Sansa Stark, quell’imbecille di Hunt ti chiese di sposarlo e io ricordo ancora ogni parola della tua replica. E tu, Brienne, tu ricordi cosa rispondesti?”

Naturalmente lo ricordava. E anche se non l’avesse fatto, l’avrebbe saputo comunque.

“Dicesti di aver giurato sugli dèi di non sposarti mai. Adesso, dimmi, quanto tempo passerebbe prima che il tuo altissimo senso dell’onore inizi a sussurrarti all’orecchio ciò che tutti sussurrano a me da anni?”

Brienne strinse i denti e i pugni.

“Cosa stai cercando di dire?”

“Che uno spergiuro è sufficiente e che dovresti davvero imparare ad accettare uno stramaledetto regalo.”

“È il mio giuramento.”

“Ah, certo,” ribatté velenosamente, alzandosi, “ma lo tradiresti a causa mia.”

“Questo non è–”

“Cosa? Vero? Certo che lo è. Non ti permetterò di infrangere la tua promessa per un motivo così sciocco.”

“Ma–”

“Brienne,” la interruppe ancora, posando entrambe le mani sulle sue spalle, come se si stesse relazionando un bambino particolarmente riottoso, “smettila. Va bene così. Torniamo indietro, è molto tardi.”

Iniziò ad incamminarsi, senza accertarsi se lei lo stesse seguendo o meno.

“Ho giurato,” gridò Brienne per sovrastare un’improvvisa folata, fino a che la sua voce non raggiunse Jaime, “di non sposare mai un uomo che avrebbe fatto di me la sua lady. Che avrebbe cercato di cambiarmi.”

“E cosa ti fa pensare che io non cercherei di fare di te una lady ammodo?”

Il lampo di delusione che indugiò nei suoi occhi fu quasi abbagliante, doloroso almeno quanto la propria voce che chiese, “Lo faresti?”

Jaime sospirò lievemente, scuotendo la testa.

“Adesso credi che un matrimonio contratto per ripagare un debito possa bastarti. Ma sei una donna e presto o tardi non ti basterà più. Tutto quello che avevo mi è stato portato via da Cersei, non è rimasto niente da dare.”

“Non te l’avrei chiesto. Non te lo chiederei.”

“Lo so. Ed è questo il problema: tu non chiedi mai. E questo mi spinge a volerti dare tutto. Ma come posso darti qualcosa che non ho?” domandò come se si aspettasse davvero una risposta, come se non fosse una domanda meramente retorica, ma Brienne non trovò nulla con cui rispondere. Nel suo profondo, nel suo intimo, esisteva qualcosa di più denso e forte dell’onore, un sentimento a cui non aveva mai voluto dare un nome, a cui non aveva mai voluto avvicinarsi più del dovuto.

“Non farti esplodere la testa, Brienne. Non c’è niente di cui tu mi debba ripagare. E adesso basta con questi discorsi sull’onore e sul matrimonio e sul dare, iniziano ad irritarmi. Buonanotte, Brienne,” concluse, allontanandosi verso il castello, lasciandola sola e vagamente smarrita sulla battigia umida, con le onde che ancora le lambivano le caviglie.

Nella sua adolescenza, aveva avuto sempre modo di rifiutare i suoi pretendenti senza mai imbattersi in un rifiuto da parte loro. Forse, se i ruoli fossero stati invertiti anche solo per una volta, sarebbe stata preparata a quel nodo stretto alla bocca dello stomaco, a quell’inattesa commistione di dolore e delusione.

Forse sarebbe stata pronta al rifiuto di Jaime.

 

 

Dopo quasi un intero ciclo di luna, Jaime decise di andarsene.

Fu una decisione molto improvvisa e molto poco ponderata, dettata più da un’innaturale, incoerente paura che da un reale desiderio di essere altrove.

Tarth, con i suoi squarci di delicata bellezza, con il suo sole caldo a baciare la pelle, con il suo eterno, cullante sciabordio l’aveva allettato fin troppo, tanto che diverse volte, nel corso di quella permanenza, aveva accarezzato l’idea di rimanervi per sempre.

Tarth era un buon posto dove spendere quanto restava della sua vita oramai in pezzi. Un buon posto dove non essere solo, dove ci sarebbe stato sempre qualcuno ad accoglierlo al mattino e ad augurargli la buonanotte prima di andare a dormire.

Perché Jaime era stanco di essere solo. La solitudine non si confaceva ad un cavaliere; egli viveva tra le glorie e le guerre, finendo per cadere in battaglia con tutto l’onore che gli si conveniva. Un cavaliere non sopravviveva e sicuramente non rinunciava al proprio diritto di nascita per ripagare suo fratello di un debito incolmabile.

Ma Jaime, con sua enorme sorpresa, era ancora vivo. Quanto aveva detto a Brienne era vero: era stato così impegnato a sopravvivere da non concedere neppure un pensiero alla possibilità di uscire indenne da quella guerra combattuta contro un nemico antico quanto la morte stessa. E se il sole aveva dissipato la grande oscurità, bruciando ogni Estraneo, non aveva certo illuminato l’enorme incognita che era il suo futuro.

Un futuro incerto, nebuloso, pronto ad essere declinato in talmente tante alternative da mandarlo solo in confusione. Così, nell’attesa di giungere ad una conclusione definitiva, era tornato alla casa natia, indugiando, trascinandosi nei giorni, sopportando il rancore di un fratello che, invero, era nel giusto. Poi, un giorno, due lettere gli erano state recapitate da luoghi, ironia della sorte, non poi così distanti tra loro. Quel giorno aveva pensato di aver risolto il dilemma, di aver trovato in Tarth quella risposta che tanto amava rifuggire alla sua comprensione. E ne era stato convinto, almeno fino alla notte in cui Brienne, dannata lei e il suo onore, non gli aveva chiesto di contrarre un matrimonio non di convenienza, quanto disdebitamento.

E, meraviglia delle meraviglie, era stato tentato di accettare, perché, ancora, la solitudine non si confaceva ad un cavaliere. La prospettiva di spendere quanto gli restava da vivere accanto a Brienne l’aveva solleticato, allettato, lusingato; ciononostante, non poteva.

Presto o tardi Brienne avrebbe preteso in cambio certi sentimenti che lui non poteva davvero darle. Non gliel’avrebbe mai chiesto apertamente, certo che no – Brienne non chiedeva mai alcunché apertamente  – ma lui l’avrebbe comunque visto nei suoi occhi e sarebbe stato condannato a rifuggire il suo sguardo per tutta la vita, timoroso di trovarvi, oltre che una tacita richiesta, anche il lampo bruciante dell’odio e del rimpianto che lei, presto o tardi, sarebbe arrivata a provare.

L’aveva rifiutata e nessuno dei due aveva più osato ritornare su quell’argomento, ma quella proposta, una volta esternata, era rimasta tra loro, una presenza scomoda e ingombrante che li portava ad adoperare una gelida cortesia che risultava quasi offensiva. Andarsene gli era sembrata la soluzione migliore, presa dall’oggi al domani, senza pensarci troppo su così da non incorrere in qualche pericoloso ripensamento.

Ma adesso, in piedi sul molo, Jaime non era più convinto di stare agendo per il meglio. La voce di Brienne continuava a sussurrargli all’orecchio, la sentiva continuamente chiedergli di sposarla, di rivendicare Tarth come sua, di permetterle di estinguere quell’assurdo debito che lei non gli doveva affatto.

Dopotutto, era stato un regalo, non un prestito.

Così, se da una parte Brienne era la scelta più scontata e giusta per lui, dall’altra era anche la meno saggia di tutte. Sapeva perfettamente che non l’avrebbe mai amata come aveva amato – come amava – Cersei, che non le avrebbe mai permesso di superare taluni confini che solo la sua gemella aveva varcato, che non le avrebbe mai consentito di avvicinarsi troppo, ma non poteva tuttavia sapere se per caso non lo attendesse qualcosa di diverso, magari addirittura migliore. Era quell’ultimo dubbio ad inchiodarlo al molo spruzzato dalle onde, a farlo indugiare accanto alla nave mastodontica che Brienne aveva messo a sua disposizione per raggiungere Casterly Rock.

Tenendo fede a quelle intenzioni che aveva palesato la sera prima, Brienne non si era presentata al porto. Aveva preferito salutarlo nell’intimità degli alloggi che gli erano stati concessi, poche parole e un’incerta, triste stretta di mano.

“Ser, pronto a salpare?” domandò Sullas, il capitano della First, avvicinandosi con l’arrogante baldanza classica di chi era al mondo da troppo tempo e al quale restava decisamente poco di cui stupirsi ancora.

“Dimmi, Sullas, tra giusto e facile, cosa sceglieresti?”

L’uomo passò le dita callose e screpolate sulla barba folta, scuotendo un poco la testa.

“Dipende.”

“Da cosa?”

“Da quanto la scelta mi farebbe stare in pace con me stesso.”

Jaime annuì distrattamente, sentendosi improvvisamente vicino a quel vecchio lupo di mare. Non era forse stata sempre quella la sua personale filosofia? Scegliere ciò che più lo aggradava? Ciò che più lo rendeva felice?

Allora capì. E come il sole aveva bruciato la minaccia degli Estranei, adesso bruciava l’incerta incognita che aveva attanagliato il suo futuro fino a quel momento.

“Grazie, vecchio,” disse, sentendo le sue labbra piegarsi in un sorriso vero per la prima volta dopo molto, molto tempo.

   
 
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