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Autore: Rorschach D Wolfwood    08/09/2016    0 recensioni
"Esatto!" Risponde battendo con forza la falce contro il terreno, sollevando la terra fangosa che la pioggia continua a colpire senza sosta. "Chi credi che sollevi voi umani dai vostri tormenti? Chi vi porta via quando siete ormai troppo stanchi per continuare? Chi vi da la pace che tanto agognate?"
Non posso che rimanere in silenzio di fronte alle sue parole. Non so come rispondere. Alzo lo sguardo al cielo, non vedo altro che nuvole scure che gravano su di me, e gocce di acqua che colpiscono il mio volto bianco, come quello di un cadavere, dal lungo becco.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dialogo tra un medico della peste e la Morte
 
2 anni. Da 2 anni, un terribile predatore ha fatto la sua comparsa nel nostro mondo, e senza sosta e senza alcuna remore o compassione, divora chiunque, senza via di scampo. I suoi morsi si notano sulla pelle, bolle e croste rosse su tutto il corpo, il dolore si legge nei volti delle sue vittime. I cadaveri abbandonati per le strade sono le impronte che lascia. La peste, la terribile belva che sta rischiando di distruggere la razza umana. Mai, prima d'ora, avevamo contato tante vittime. Mai, prima d'ora, la razza umana è andata così vicino all'estinzione. 
 
 
 
L'ennesimo cadavere, l'ennesima persona che non sono riuscito a salvare. Quel tizio non aveva molte possibilità, dopotutto; era di costituzione troppo debole per reggere la malattia. La belva se l'è divorato in appena 2 settimane. Copro il suo viso, ridotto ormai ad un teschio con la pelle, gli occhi bianchi infossati e la bocca spalancata, con un lenzuolo bianco, che non gli impedisce di essere circondato da sciami di mosche. Mi volto e dietro di me non vedo altro che la strada di un piccolo villaggio toscano piena di lenzuoli bianchi che coprono mucchi di ossa coperti di pelle grigia e secca, e intorno a loro gruppi di frati che pregano e raccomandano le loro anime a Dio, mentre altri miei colleghi gli girano attorno, spiazzati, affranti, con le loro conoscenze e capacità mediche a pezzi, distrutte da un nemico che non riescono a sconfiggere. Il mio sguardo torna al cadavere, e noto un topo che, quasi timidamente, si fa strada verso la mano che sporge dal lenzuolo. Annusa un dito e inizia a morderlo e rosicchiarlo. Vuole mangiarselo? Mi alzo e me ne vado, ma un basso e tarchiato frate arranca verso di me sudando per scacciare il roditore.
" Via! Vattene via, bestiaccia!" Urla con quella sua voce pesante come il suo stomaco, mentre, in modo ridicolo, tenta di calpestare il topo, rischiando di cadere a terra. Io osservo la scena.  
"Non se la prenda con lui, fratello" Gli dico io "Fa solo il suo mestiere: liberarci di ciò che non serve più."
Si, c'è una forte nota di cinismo nelle mie parole.
Il frate si gira e mi fulmina con lo sguardo, gonfiando le guance fino a somigliare a un rospo. "Attento a quello che dite, figliolo! E' dei figli di Dio che state sparlando!". Le sue parole, in qualche modo, dovrebbero colpirmi e farmi provare del rimorso per quello che ho detto. - E gli animali? Non sono figli di Dio anche loro?- 
Mi giro e me ne vado.
Quella stessa notte, io e altri medici gettiamo i corpi nel fuoco, in una radura al centro del cimitero. Il fumo si alza fino a confondersi con le oscure nuvole che dominano le nostre teste, mentre la luce del fuoco non illumina oltre i nostri corpi e ci circonda in un cerchio ristretto che non da spazio ai famigliari delle vittime, i quali rimangono intorno a noi, piangendo, urlando e pregando di riaverli indietro. Intorno a noi la terra sembra non esistere più; si distinguono a malapena le croci e le lapidi di pietra che sorgono dal terreno. Pietre fredde, come i corpi seppelliti sotto di loro. Gli sguardi di tutti sono pieni di dolore, alcuni invece puntano al falò; io, invece, alzo lo sguardo. Perchè sta succedendo tutto questo? Abbiamo forse fatto qualcosa che ha offeso Dio? Si tratta di un castigo divino? Forse... Dio e la morte si sentono soli e vogliono compagnia? 
Guardo alla mia destra, al di fuori del cerchio, come a tentare nuovamente di guardare nell'oscurità, alla ricerca di qualcosa - una risposta, magari- e qualcosa riesco a distinguere; non so come, non so perchè, non so nemmeno se sia vero o un'allucinazione, ma l'unica cosa che riesco a scorgere è una figura ammantata dello stesso colore della notte, e che si sostiene con una specie di bastone...
 
- Sei tu, vero, amica mia? Amica di ogni medico, amica di ogni uomo, che cammini al nostro fianco ogni giorno, aspettando il momento propizio per agire e portarci via con te, in chissà quale altro mondo. Con il tuo mantello ti nascondi a noi, ti fai viva solo quando serve, belva dalle mille sorelle sparse in tutta la Terra. E magari, in questo momento, proprio una tua sorella si è scatenata e si sta divertendo. Ma tu, ovviamente non puoi impedirlo, dico bene, Morte? 
 
Il giorno dopo, io e un collega ci rechiamo da un'altra famiglia, nella quale un solo membro è stato colpito- per adesso-: le sue condizioni non sono molto buone, e mi sembra quasi inutile tentare di curarlo, ma lo stesso impongo ai famigliari di accendere una torcia vicino al suo letto e di lasciare le finestre aperte tutto il tempo. Ma dopo un po', la mia attenzione abbandona il paziente, e il mio sguardo punta alla finestra della camera; da essa salgono voci, cori, urla di rabbia e di odio, come di una folla in rivolta. Abbandono la casa e lo spettacolo che si presenta ai miei occhi è agghiacciante: la stessa folla che ha sollevato quelle urla ha catturato tre giovani donne, le ha legate a dei pali e si appresta a bruciarle vive. Le urla diventano un'unica voce, potente e tonante che sembra scuotere la terra stessa. Tutti urlano "Streghe! Streghe!!" "Bruciate le streghe!" "E' colpa loro! Hanno scatenato loro la peste!"
Tento di farmi largo tra la gente, spingo via chiunque mosso dal desiderio di voler salvare quelle disgraziate. - Perchè non si salvano, se sono veramente delle streghe? Perchè non usano i loro poteri per sfuggire a quel destino, se possono farlo?- 
Ma non ci riesco; più mi addentro, più la gente sembra aumentare, mi circonda e mi viene addosso come un'onda infuriata durante il mare in tempesta. Temo di affogare in quel mare. Non so come, ma riesco ad arrivare davanti ai roghi, ma è troppo tardi... Cado a terra, in ginocchio, come se qualcuno mi avesse dato un calcio, e una volta rialzato lo spettacolo che mi si para davanti è indescrivibile... Non so cosa vedo davanti a me, ma di certo non sono più tre corpi legati ad un palo, solo resti di quelli che un tempo lo furono, circondati da fiamme che danzano intorno ai pali, divorando ciò che resta delle tre sventurate. L'orrore mi costringe a fuggire via, via dalla folla e via dalle loro voci che mi accusano di non riuscire a salvare nessuna vita, e che solo loro, i popolani, possono salvare tutti, bruciando coloro che ritengono responsabili. Non so nemmeno se il mio collega è riuscito a scappare o se è caduto vittima della folla. O peggio ancora...
 
Perchè? Perchè non riusciamo a salvarli? Me lo chiedo anche io...
 
 
Un sentiero solitario. Una striscia di terra e ghiaia che attraversa la campagna andando chissà dove, probabilmente in un posto sperduto lontano da tutto e da tutti, forse anche dalla peste. E io seguo quel sentiero. No, questo è impossibile. La peste è dappertutto, questa strada non può portarmi in un posto libero da quella belva. Il cielo è grigio, il sole si è nascosto dietro le nuvole, l'aria è immobile e fredda, e io mi aggiro per quella strada; una figura inquietante e solitaria, coperta da una tunica nera, due grandi guanti neri, un largo cappello e una maschera pallida con un lungo becco. Se non si sapesse che sono un medico, qualcuno potrebbe scambiarmi per un messaggero della morte. Magari proprio per colui che ha diffuso questo flagello. E il flagello mi incontra persino su questa strada solitaria:
Uno zoccolo calpesta pesantemente una pozzanghera di fango. Un tizio conduce il proprio cavallo e il carro ad esso legato, un carro pieno di cadaveri, recuperati e ammassati da chissà dove. Tento di essere indifferente, di far finta che non vedere nulla, e il carro si allontana. 
Solo dopo sento il loro dolore che mi colpisce in pieno volto, il peso della loro agonia sulla mia schiena e le loro voci entrano nelle mie orecchie fino a raggiungere il mio cervello. Sento le mie forze abbandonarmi, la mia ragione urlare per uscire dalla mia testa, ma il suo urlo è un debole sospiro in confronto a quello di tutti i cadaveri. Non posso fare a meno di inginocchiarmi e scuotere la testa, picchiare la terra con il pugno e sputare tutto il fiato che ho in corpo nel tentativo di soffocare qualsiasi altro suono presente nella mia testa. Comincio a pregare, a chiedere a Dio di far cessare questo mio senso di colpa, questo terribile flagello. Per un attimo immagino le mani dei morti spuntare dal terreno, afferrarmi e trascinarmi sottoterra, una punizione per non essere riuscito a salvarli.
Una sola cosa mi riporta alla realtà: qualcuno mi tende una mano, in segno di aiuto; la stringo e tento di tirarmi su. In un primo momento vedo una mano umana, come la mia, ma non molto dopo mi accorgo che qualcosa non va: un brivido parte da quella mano e la avvolge come se il mio guanto fosse coperto da una coltre di ghiaccio, e d'un tratto non sto più stringendo una mano, ma dita scheletriche, bianche e artigliate. 
"Sapevo che ti saresti palesata, prima o poi"
Tengo la testa abbassata, guardando intensamente altri artigli che spuntano dal mantello e che toccano terra, poi la alzo lentamente, e il mantello, da nero, è coperto da migliaia di volti sofferenti, tutti cuciti uno sopra l'altro, non un solo centimetro di quel mantello ne è libero. Il mio sguardo osserva ogni parte di quell'inquietante spettacolo che ho davanti, fino ad un'apertura che lascia scoperte le costole vecchie e circondate da insetti che ronzano intorno ai volti, disperdendo nell'aria un fetore che rischia di soffocarmi. Le erbe nascoste nella maschera non funzionano. 
"Mi paleso sempre quando devo recuperare qualcosa di mio" Mi risponde la figura davanti a me, con una voce sibilante, come quella di un serpente, ma allo stesso tempo quella voce mi trasmette qualcosa di caldo, di tranquillo. Quasi mi rilasso.
Quando, finalmente, incrocio il mio sguardo con il suo, ho l'impressione di vedere il mio riflesso nella più cristallina delle acque: Il cappuccio non riesce a coprire del tutto il suo volto scheletrico dal lungo becco, con ai lati denti marci e appuntiti, niente occhi. 
"E cos'hai disperso questa volta? Un'altra sorella?" Gli chiedo io. So bene chi mi trovo davanti, e conosco la sua famiglia.
"Beh, non è facile tenere a bada tutte le sorelle e i fratelli che ho, e voi medici lo sapete bene!" Ribatte sarcasticamente. "E per giunta devo recuperare una delle peggiori, che sta triplicando il mio lavoro!" 
Una lieve risatina mi sfugge. 
"E la cosa ti dispiace? Almeno non ti stai annoiando, almeno a differenza di noi umani vi divertite!"
"Credi che il mio lavoro sia divertente? Tu, almeno, vieni pagato, io ricevo solo pianti e urla, l'odio da parte di chiunque, persino nelle poesie vengo dipinta come malvagia. Quando, in realtà, dovrebbero ringraziarmi!"
"Ringraziarti?" 
"Esatto!" Risponde battendo con forza la falce contro il terreno, sollevando la terra fangosa che la pioggia continua a colpire senza sosta. "Chi credi che sollevi voi umani dai vostri tormenti? Chi vi porta via quando siete ormai troppo stanchi per continuare? Chi vi da la pace che tanto agognate?" 
Non posso che rimanere in silenzio di fronte alle sue parole. Non so come rispondere. Alzo lo sguardo al cielo, non vedo altro che nuvole scure che gravano su di me, e gocce di acqua che colpiscono il mio volto bianco, come quello di un cadavere, dal lungo becco. 
"Voi pregate ogni giorno" Continua "Affinchè le vostre vite siano salve, senza peccato, pregate per avere la pace e la prosperità, rivolgendovi a qualcuno che non esiste. Quel vostro cosiddetto "Dio"!" 
Non rispondo.
"Si, mio caro. Vi affidate a qualcosa che non c'è. Quello che voi chiamate Dio, altro non è se non mia sorella, quella che state cercando tanto affannosamente di salvare, quella che vive in ognuno di voi, e in tutti i corpi dai quali l'ho tolta per liberarli dalla sofferenza della quale IO vengo accusata!" Nel pronunciare quelle parole, due luci rosse illuminano le cavità nelle quali dovrebbero essere gli occhi, mi fissano senza staccarsi un solo secondo dal mio volto. Mi sembra di vedere due occhi impregnati di sangue. 
"Esatto, mio caro. La Vita. Mia sorella, che sguinzaglia tutte le nostre altre sorelle in giro per il mondo. Io e lei siamo nate insieme, lei ha creato voi umani, e poi tutta la nostra stirpe, e ha liberato Peste, la più pericolosa. E ora ti chiedo nuovamente: chi è, per voi umani, la vera cattiva? La Vita, che grava su di voi con tutte le sofferenze, le malattie e le difficoltà che ogni giorno affrontate, soprattutto con le persone che non lo meritano, oppure io, che non faccio altro che svolgere il lavoro che Lei stessa mi ha conferito, ovvero sollevarvi dal vostro tormento e darvi la pace per cui piangete giorno dopo giorno?"
Avverto il disappunto e la frustrazione nelle sue parole; da sempre la Morte, nelle poesie, nei canti, nelle incisioni e nelle opere d'arte è rappresentata come il Maligno, qualcosa da cui tutti fuggono. E nel pensare a questo, provo dispiacere per lei, un sincero dispiacere. Ma non posso favorirla. Non posso mettermi dalla sua parte. Ho comunque fatto un giuramento, proteggere le vite umane e contrastare la morte. Ma trovandomela davanti, ascoltando le sue parole, quasi provo del rimpianto. 
"Spiegami" Le chiedo io "Spiegami almeno perchè. Perchè tutto questo? Abbiamo fatto qualcosa di male? L'abbiamo forse offesa? E' tutto un castigo? Rispondimi!"
La bocca scheletrica si spalanca vomitando una risata fastidiosa. "Nessun castigo, nessuna punizione. Mia sorella è semplicemente... Capricciosa! E' molto annoiata, le piace divertirsi nei modi più disparati"
"E noi dobbiamo pagare perchè lei si annoia?" Urlo furente io.
"Vi considera una sua proprietà. Vi ha creati lei. Io non posso fare niente, non posso oppormi, e nemmeno tu, se Lei decide così. Io devo fare solo il mio lavoro. E, a proposito, se vuoi scusarmi, ho da fare. E' stata una conversazione molto interessante"
La guardo allontanarsi, senza tentare di fermarla, e mentre abbandona le sue reali e orribili fattezze per riassumere quelle di un innocuo umano per nascondersi agli occhi degli altri, mi rivolge solo altre due parole. "buona fortuna". 
Poi scompare. 
Mi sento solo. Solo contro qualcosa che non riesco a contrastare, che non posso contrastare.
 
 
Mi sento stanco. Molto stanco. 
E' passato tanto tempo, anni. La malattia sembra si stia placando. Riusciamo anche a salvare molte vite. 
E io, rintanato nel calore della mia casa, seduto su una vecchia sedia, con il cappello e la maschera posati sul tavolo illuminato dalla debole luce di una candela, mi tocco il volto stanco, invecchiato, incorniciato da una incolta barba argentata e una criniera di capelli dello stesso colore. Ho addosso solo la tunica nera, il cappuccio che copriva la testa è abbassato, e le mani restano coperte dai guanti neri. Mi sento un vecchio che ha passato gli ultimi anni della propria vita a combattere un male di cui ignorava l'origine, come tutti i suoi colleghi. E forse, al termine d tutto, ci sono riuscito. O forse, più probabilmente, la mia vecchia Amica è riuscita a recuperare sua sorella, quella maledetta che ci ha fatto penare per anni per uno stupido capriccio. 
Chissà dove l'avrà ritrovata. 
Mi abbandono sulla sedia e chiudo gli occhi. Voglio riposarmi. 
Sento un gran freddo intorno a me. Un freddo familiare. Un freddo che ho sentito più di una volta. Ma qualcosa mi dice che quel freddo, stavolta, è arrivato apposta per me. 
Apro gli occhi, mi giro, ed eccola lì: in piedi, con in mano la sua immancabile falce, coperta dallo stesso mantello con cui l'ho incontrata quel giorno sotto la pioggia. Mi sembra di vedere qualcosa che si nasconde dietro di lei.
"Alla fine l'hai trovata, vero?"
Dal suo mantello, spunta una faccia ossuta e dalla pelle giallognola, coperta di bolle e croste. Mi guarda con disprezzo digrignando una fila di denti marci, probabilmente sul punto di sbriciolarsi.
"C'è voluto tempo, ma ce l'ho fatta. Mia Sorella, forse, ha capito di essersi divertita abbastanza"
"Per quest'epoca, almeno" Sussurro io.
"Probabilmente, fra chissà quanti anni, un nuovo capriccio la coglierà, e forse creerà nuove figlie che colpiranno l'umanità, ancor più duramente. E il vostro lavoro diventerà sempre più difficile. E io sarò con voi, vi accompagnerò, sia che voi trionfiate, sia che falliate"
Un lungo silenzio, poi, invade la stanza. Entrambi ci guardiamo negli occhi, come per studiarci, ma quel silenzio sottolinea solo ciò che Lei ha proferito. La verità. 
Poi mi alzo, lentamente. Sento che mi sono rimaste poche forze in corpo. Lei tende i propri artigli verso di me, invitandomi a stringerli con la mia mano. Quegli artigli sono inquietanti, glaciali, ma allo stesso tempo mi chiamano.
"E' ora, figliolo. Vieni!"
   
 
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