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Autore: GirlWithChakram    09/09/2016    4 recensioni
Janice Covington e Melinda Pappas, dopo aver recuperato le mitiche pergamene di Xena, trovano, tra i numerosi appunti di Harry Covington, un indizio che rivela la presenza di altri scritti perduti. Le due amiche dovranno dunque attraversare la Grecia, dilaniata dal conflitto mondiale, nella speranza di sopravvivere anche a questa avventura, tra incontri, scontri ed imprevisti, per portare alla luce l'antico tesoro e forse qualcosa di più.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio, Gabrielle, Xena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The incredibly true story of two friends on a quest
 
 
Venni destata da alcuni colpetti alla spalla. Aprii gli occhi, notando che intorno a me era ancora buio, segno che l’alba era lontana.
«Dobbiamo partire» disse Aniketos, allontanandosi da me di qualche passo «Ci sono delle voci, persone in avvicinamento, senza dubbio. Devono aver sentito l’odore del fumo.»
Posai distrattamente lo sguardo su quello che restava del nostro falò.
«Non so se siano amici o nemici, ma poco importa» proseguì, issando la propria sacca sulla spalla «Non resteremo per scoprirlo. Hai due minuti per fare fagotto.»
Senza fiatare eseguii quell’ordine.
Era difficile avanzare al buio sul sentiero accidentato, c’era il rischio di inciampare in sassi o radici, ma questo pericolo non sembrava sfiorare neanche lontanamente il signor Stavros, ormai lanciato verso il proprio obiettivo.
Dopo meno di un’ora, quando il cielo iniziava a schiarire ad est, scorsi le luci della cittadina sotto di noi.
«Non andremo verso il centro» mi informò Aniketos, quando ormai eravamo scesi fino alla periferia «Seguimi, dovremmo essere quasi arrivati.»
Scorsi i primi raggi luminosi sbucare oltre le cime dei monti, mentre ci avvicinavamo ad un grande cancello, isolato rispetto al resto di Simantra. Proteggeva, insieme ad un alto muro di pietra sormontato da grandi spuntoni di ferro, una colossale casa che si intravedeva tra le sbarre.
Naturalmente non avevo idea del motivo che ci avesse spinti lì, ma il mio nuovo amico sembrava sapere il fatto suo. Impugnò saldamente il proprio bastone da passeggio ed iniziò a scuoterlo con forza facendo risuonare il metallo come un rudimentale campanaccio.
Dopo due minuti di quel fracasso, accorse un uomo in completo scuro, imprecando contro di noi e i nostri antenati.
«Sono qui per parlare con Richman» disse Stavros. Il suo tono era deciso e fece rabbrividire sia me sia l’individuo oltre la barriera.
«Il padrone sta riposando» replicò il custode «E non ha programmato alcuna visita per oggi. Vi consiglierei di prendere appuntamento e tornare ad un orario più consono.»
«O muovi quelle chiappe e vai a svegliare quel pelandrone del tuo padrone, oppure io resterò qui a far baccano fino a che Zeus stesso non verrà a fulminarmi.»
Non era gran che come minaccia, ma bastò a far scomparire la figura in nero dentro la villa.
Mi preparai a domandargli cosa si aspettasse di ottenere, ma venni zittita ancor prima di fiatare con un: «Sta’ a guardare.»
Un minuto dopo il guardiano, che aveva tutta l’aria di essere anche un maggiordomo e forse un autista, uscì accompagnato da un ragazzo ed insieme aprirono il cancello, permettendoci di percorrere il vialetto acciottolato che portava alla soglia dell’imponente dimora.
Posai con calma i piedi sui gradini in pietra lavorata, osservando le colonne che decoravano il portico. Mi sembrava di entrare in un tempio.
All’interno, una domestica ci fece accomodare su un divanetto con cuscini di morbido velluto porpora. La donna non era più giovanissima, come si capiva dai capelli castani striati di grigio che le sfuggivano dalla cuffia, chiaramente indossata di fretta, e dalle rughe marcate, accentuate probabilmente dalla sveglia imprevista.
«I signori desiderano qualcosa nell’attesa?» ci chiese, stirando le pieghe del grembiule per tenere occupate le frenetiche mani «Una bevanda calda, magari? Abbiamo dell’ottimo the inglese. Posso farne subito una tazza, se lo desiderate.»
«Siamo a posto, grazie» mormorai, sorridendole.
«Per qualsiasi cosa, sono a vostra completa disposizione» replicò «Il padrone sarà presto da voi.»
«Molto gentile da parte tua…» Lasciai volutamente la frase in sospeso.
«Verna» intese.
«Molto piacere» dissi tendendole la mano «Io sono Melinda.»
Lei mi sorrise. «Il padrone non riceve spesso ospiti così educati.»
Tirai una lieve gomitata all’uomo al mio fianco, che, borbottando, si presentò a propria volta.
A quel punto Verna, con gentilezza, fece avvicinare i suoi due colleghi: Arthur, il portiere e maggiordomo, e Samuel, il giovanotto.
«Il signor Richman ha richiesto personalmente di noi quando è partito per la Grecia ormai più di dieci anni fa» mi spiegò la domestica «Facevamo parte della servitù nella sua tenuta di campagna nello Yorkshire.»
Guardandomi attorno ed ascoltando quelle parole era chiaro che avessimo a che fare con un uomo più che benestante. Ogni angolo che riuscivo a scorgere era occupato da un qualche tipo di opera d’arte, dipinto, scultura o strano manufatto.
Ad un tratto sull’imponente scalinata, che si trovava alla nostra destra e conduceva al piano superiore, comparve una figura avvolta in una vestaglia rossa.
«Chi è tanto folle da venire a disturbarmi a quest’ora?» tuonò, cominciando a scendere i gradini.
«Ronald, vecchio mio» sogghignò Stavros, balzando in piedi «Sono venuto per riscuotere.»
Mi alzai anche io, potendo osservare meglio il padrone di casa. Era basso e robusto, con una rada cerchia di capelli grigi che faceva compagnia ad un paio di baffi. Gli occhi blu ci scrutavano con astio.
«Voi tre, filate» ordinò al personale.
Verna, Arthur e Samuel, con passo leggero e capo chino, lasciarono la stanza.
«Cosa ci fai qui?» ringhiò poi, rivolto ad Aniketos «Credevo fossimo pari.»
«Neanche per sogno» replicò il mio compare «Ma aiutami questa volta e considererò saldato ogni tuo debito.»
Ronald Richman mi scoccò un’occhiata obliqua, prima di riaprire bocca: «Vieni nel mio studio, allora. La tua amichetta può aspettare qui.»
Non era una proposta, ma un’imposizione, così mi risedetti sul divanetto e li osservai sparire dietro una porta di legno scuro.
Quando fui sola, incuriosita da ciò che mi circondava, mi misi a ficcanasare un po’.
«Allora, avete ripensato alla bevanda che vi ho offerto?»
Mi voltai, non mi ero accorta che Verna fosse rientrata.
«Al padrone non piace trattare con le donne, le ritiene di molto inferiori a sé, per questo non vi ha permesso di seguirlo nello studio» mi spiegò «Ma non dovete prenderla come un’offesa personale.»
Sventolai la mano con noncuranza, per farle intendere che la cosa non mi avesse dato poi molto fastidio.
«Dunque, siete affascinata dai tesori del signor Richman? È un grande collezionista» disse, indicandomi diverse maschere dalle provenienze più varie.
Una serie di piccole, lucenti monete d’oro occupava una grossa teca posta sotto l’enorme ritratto di un vecchio baffuto in divisa militare.
«Quello è il nonno del padrone, il defunto Colonnello Rupert Richman, che ha servito in India come ufficiale dell’Impero.»
Osservai lo sguardo torvo e glaciale di quell’uomo, sentendomi come scrutata da un vecchio rapace in attesa di ghermire la preda.
«È stato lui ad accumulare la maggior parte del patrimonio ereditato dal padrone» continuò a raccontare la domestica «Richman, un uomo ricco di nome e di fatto.»
Ridacchiai a quella considerazione, che non poteva essere più vera.
Gli occhi color nocciola della donna si illuminarono nel vedermi partecipe della sua ironia. Immaginai che dovesse sentirsi piuttosto sola, se sentiva così forte il bisogno di relazionarsi con una perfetta sconosciuta.
«So che posso sembrare una chiacchierona» aggiunse, quasi mi avesse letto nella mente «Ma Arthur e Sammy non sono di grande compagnia.»
«Non farti problemi» la rassicurai «Mi fa piacere starti ad ascoltare.»
«Siete proprio gentile, signorina Melinda.»
«Per favore, Mel è sufficiente e non c’è motivo per cui tu non possa trattarmi da pari, dammi pure del “tu”» risposi.
Il suo sorriso si allargò.
«Allora, dicevi di venire dallo Yorkshire, giusto?» proseguii «Io sono originaria degli Stati Uniti, South Carolina più precisamente.»
Gli occhi le divennero improvvisamente lucidi. «Anche il mio Walter veniva dalla South Carolina.»
Attesi, perché sapevo che se mi avesse voluto parlare di lui non avrei avuto bisogno di forzarle la mano.
«Si era trasferito a Londra quando era ancora un bambino, con l’intera famiglia. Lo conobbi quando venne assunto come giardiniere presso i Richman, mentre io già lavoravo come cameriera e lavandaia» raccontò «Era un uomo bellissimo, capelli rossi, occhi verdi, con un viso lentigginoso tanto gentile. Me ne innamorai non appena lo vidi e ci sposammo dopo neppure sei mesi dal nostro primo appuntamento.»
Sentii una lacrima pizzicarmi all’angolo degli occhi, sapendo come sarebbe andata a finire quella storia.
«Eravamo felici. Il lavoro era duro, ma ben pagato, eravamo riusciti a permetterci una piccola proprietà nelle vicinanze della magione dei padroni… Poi arrivò la malattia. I medici non seppero mai dirmi esattamente cosa lo uccise, ma di punto in bianco passai dal trascorrere le nostre pause a rubare qualche bacio fugace a digiunare piangendo la sua scomparsa.»
Non mi aspettavo che proseguisse, ma invece lei sembrava del tutto intenzionata ad andare oltre.
«Walt era molto caro al resto del personale, così, quando sono rimasta sola, Arthur si è preso cura di me, come avrebbe fatto un vecchio zio…» si bloccò all’improvviso abbassando il tono fino ad un sussurro «Non dirgli che gli ho dato del “vecchio”.»
«Non lo farò» la rassicurai, trattenendo una risata.
«Comunque lui fece in modo che potessi rimanere ancora a lungo e mi aiutò ad occuparmi di Samuel. Il poverino è rimasto orfano a soli tre anni, sua madre era una mia collega ed una cara amica, quindi mi sono sentita in dovere di prendere in custodia il bambino. Quando ci siamo trasferiti in Grecia, lui è voluto venire con noi.»
A quel punto avevo un buon quadro della situazione, ma mancava ancora qualche dettaglio. «Avevi mai conosciuto Aniketos prima?»
Verna scosse la testa. «Il padrone aveva già svolto numerosi viaggi in questa terra ed aveva persino già acquistato questa proprietà prima che ci facesse convocare.»
«Quindi non sai dirmi quale questione in sospeso ci possa essere tra lui e Richman?»
Fece nuovamente un cenno di diniego, aggiungendo: «Mi spiace, non ne ho idea.»
«Non fa niente, troverò le informazioni che mi servono a modo mio» replicai «Adesso, posso avere quella famosa tazza di the, per piacere? Ho proprio bisogno di una bevanda calda.»
Le mani irrequiete ebbero un fremito e la domestica, con passetti veloci, si allontanò in direzione di quella che immaginavo fosse la cucina.
Approfittai di quell’attimo di solitudine per tirare fuori la mappa e buttare giù due righe.
 
Diario di Melinda P. Pappas
15 Maggio 1942, Simantra, residenza Richman
Con la guida e l’aiuto di Aniketos Stavros, amico di vecchia data dei Covington, sono giunta più vicina che mai a Nea Poteidaia, potrei pesino arrivare in città in giornata. A quel punto il piano è di appostarmi alle rovine nella speranza di cogliere McLane e i suoi uomini di sorpresa con una qualche trappola. Janice deve essere con loro e io devo liberarla, null’altro conta.
 
Mi resi conto di quanto fosse diverso quel pugno di righe rispetto al solito. Avevo calcato di più le parole, avevo infuso nella mina tutta la mia rabbia e la frustrazione che stavo realizzando di avere nel sentirmi impotente.
Ebbi un attimo di lucidità. Stavo agendo guidata dalle emozioni, non avevo neppure uno stralcio di piano, non avevo considerato alcuna variabile, mi ero lanciata a testa bassa in quel salvataggio senza riflettere.
McLane poteva aver cambiato idea e aver portato Jan a Salonicco, quindi la mia folle corsa verso il sito archeologico sarebbe stata solo una perdita di tempo. Oppure poteva già essere sul posto, aver recuperato le pergamene ed essersi liberato dell’archeologa.
Deglutii a vuoto, mentre un brivido freddo mi correva lungo la schiena e lo stomaco si chiudeva con un nodo, concretizzando un pensiero spaventoso.
Janice poteva essere morta.
Lei era una testa calda, ribellandosi o rispondendo male poteva aver fatto arrabbiare l’uomo sbagliato che le aveva piantato una pallottola in testa, oppure poteva essere riuscita a trovare un modo per togliersi la vita, pur di non lasciar cadere l’eredità di Xena nelle mani di quegli sciacalli.
«No» dissi per farmi coraggio «Non posso pensare queste cose. Devo dare comunque tutta me stessa e posso farlo solo se ho la speranza di salvarla.»
«Mel? Stai bene? Sei pallida» constatò la mia nuova amica, porgendomi una tazza fumante «E stavi… Parlando da sola?»
«Sì» ammisi «Mi capita ogni tanto. Serve a schiarirmi la mente.»
«Se ti serve, posso starti a sentire e darti qualche consiglio» replicò dolcemente, come fosse una sorella maggiore intenta a convincere la minore a confidarle un segreto «Dopotutto ho un certo numero di anni sulle spalle, la mia esperienza potrebbe tornarti utile.»
«Apprezzo molto il pensiero, ma non è necessario» declinai cordialmente «Non voglio darti noia con i miei problemi.»
«Non sarebbe di alcun disturbo, ma capisco che probabilmente siano questioni delicate che preferisci tenere per te.» Non c’era alcun tono ferito o scocciato in quelle parole, semplicemente stava dicendo la verità. «Ora bevi, prima che si raffreddi troppo.»
Iniziai a degustare l’infuso a piccoli sorsi, cercando di non ustionarmi la lingua. Naturalmente Verna doveva aver messo a scaldare l’acqua appena aveva intuito che ci fossero ospiti, altrimenti non avrebbe potuto farla bollire tanto in fretta.
Mi godetti il vago retrogusto floreale, mentre lasciavo la mente ancora a briglie sciolte.
La cameriera ogni tanto cercava di riallacciare un qualche discorso, ma ero troppo distratta per prestarle la dovuta attenzione. Riuscivo solamente a pensare al fatto che sarei dovuta essere già sulla via dell’antica Potidaea e non intenta a rilassarmi davanti ad una tazza di the.
Uno schiocco di dita mi riscosse.
«Ho capito!» esclamò la domestica «Riconoscerei quell’espressione ovunque.»
Sbattei le palpebre, sperando di essere resa partecipe di quell’intuizione.
«Si tratta di qualcuno di speciale, vero?» mormorò con fare cospiratorio «Sei preoccupata per un bel giovanotto che si è cacciato nei guai?»
«In un certo senso…» risposi. Non era una vera e propria bugia, dopotutto. Mi spiaceva non poter essere sincera con quella simpatica donna, ma era meglio tenere per me certi dettagli. «Una persona a me molto cara ha bisogno di aiuto e il tempo non è esattamente dalla mia parte» continuai, prima di prendere un sorso dell’infuso «Speravo che il signor Stavros convincesse Richman a darci un passaggio in automobile o qualcosa di simile, ma più passano i minuti, più mi rendo conto che avrei potuto fare un bel pezzo di strada se non avessi fatto tappa qui.»
Verna annuì, comprendendo il mio turbamento.
Si preparò a dirmi qualcosa, ma il suono delle sue parole venne sovrastato dalla porta dello studio che si riapriva, lasciando uscire i due uomini ancora intenti a battibeccare.
«Me lo devi, hai detto che lo avresti fatto. È tardi per tornare indietro» tuonò il mio compagno di viaggio, sovrastando il padrone di casa e agitando un pugno in aria con fare minaccioso «Un patto è un patto!»
«Ma non posso lasciare che tu la tenga!» ribattè Ronald Richman, paonazzo in viso. Sembrava talmente infiammato che non mi sarei sorpresa di vedere i suoi baffi incendiarsi, letteralmente.
«Te la riporterò indietro, prima o poi» replicò Aniketos «Ma adesso mi serve. Non puoi rimangiarti la parola all’ultimo.»
«Ma tu non mi avevi detto che ti sarebbe servita per dare la caccia ad un branco di banditi!» obiettò ancor più furente il padrone di casa.
«Non le succederà niente, vecchio testone» gli assicurò l’altro «Quante volte ti ho chiesto di fidarti di me? Ho sempre fatto tutto ciò che mi ordinavi e ho svolto egregiamente i miei lavori. Hai un debito nei miei confronti, per la miseria! Non ti ho chiesto di darmi in sposa la tua primogenita, ti ho solo chiesto di prestarmi la tua vecchia carcassa su ruote!»
«Guarda che definirla così non aiuterà la tua causa» lo ammonì il collezionista.
«Non sfidare la mia pazienza, Ronald!» ringhiò esasperato l’avventuriero «O ti tolgo di mezzo e la faccenda si chiude male, per te.»
Li studiai fissarsi, entrambi con le braccia incrociate e l’espressione severa.
«E va bene» capitolò il padrone di casa dopo minuti di insopportabile silenzio «Arthur ti accompagnerà fin dove devi andare, poi tornerà indietro e io non dovrò mai più sentir parlare di te o di presunti favori che ti devo.»
«Ci accompagnerà» sbuffò Stavros, indicandomi.
«Certo, come vuoi» borbottò l’altro «Allora, andata?» proseguì tendendogli la mano per siglare l’accordo.
Con un ultimo verso poco convinto, il mio accompagnatore accettò l’accordo.
Non feci in tempo a vuotare la tazza ancora mezza piena, che mi sentii agguantare e sballottare fin fuori dall’abitazione. Verna mi aveva strappato il contenitore dalle mani ed era svanita nel nulla, mentre il ragazzo, Samuel, mi aveva guidato al portico.
Dopo qualche minuto udii lo scoppio di un motore messo in azione e vidi comparire dal lato sinistro una scintillante automobile scura, che ricordava molto quella che mi aveva condotto fino al sito delle prime pergamene.
Alla guida c’era il maggiordomo che, con la sua espressione impassibile, teneva le mani sul voltante, pronto ad eseguire qualsiasi ordine impartito.
«Ecco, questa potrebbe tornarvi utile» mi sorprese la voce della governante. Quando mi voltai verso di lei, mi ritrovai tra le mani una borsa gonfia di viveri. «Ci ho messo un po’ di tutto, per non rischiare. C’è abbastanza cibo per almeno tre giorni, se lo razionerete.»
Le parole di ringraziamento mi morirono in gola, tanto ero emozionata per quel gesto.
«Fai attenzione, Melinda» disse, concedendomi un rapido abbraccio «Spero di rivederti, un giorno. Mi piacerebbe conversare di nuovo con te.»
«Lo spero anch’io, Verna» replicai in un soffio «Grazie.»
Mi spiaceva lasciare quella donna, che sembrava aver istantaneamente legato con me, anche se non riuscivo ad afferrarne la ragione. Forse aveva solamente bisogno di un’amica, una figura a lei simile che le concedesse di aprirsi. Purtroppo non avrei avuto modo di approfondire la questione.
Il giovanotto mi aprì la portiera, mi fece accomodare, la richiuse e poi agitò la mano per dirmi addio.
Aniketos si accomodò nella parte anteriore, dal lato passeggero.
«Tutto bene?» mi domandò, scoccandomi una rapida occhiata.
Io annuii, stringendo i miei bagagli e la nuova borsa affidatami.
«A mai più, vecchio pazzo» grugnì Richman, sporgendosi dentro l’abitacolo.
«Ci ritroveremo agli Inferi, avido bastardo» ribattè l’avventuriero, dando poi una pacca all’autista, affinchè mettesse in moto.
Due ore dopo, quando vidi il blu intenso del mare brillare all’orizzonte, sentii un vago senso di sollievo, ero arrivata alla fine del mio viaggio.
Lungo il tratto di strada polverosa non avevamo incontrato anima viva, le prime persone comparvero alla periferia di Nea Poteidaia, al capo del ponte che passava sopra il canale artificiale che divideva l’istmo. La mia inquietudine tornò più prepotente che mai quando notai i fucili che tenevano imbracciati e le divise scure che li identificavano come soldati nemici.
Erano tre e sorvegliavano l’ingresso in città con sguardo rapace.
Uno fece cenno ad Arthur di arrestare il veicolo, mentre gli altri ciondolavano poco distanti.
Il maggiordomo fece quanto richiesto e spense la vettura.
Stavros scese, tranquillo, calcandosi bene il cappello in testa e si mise a parlare in tedesco con la sentinella.
I minuti sembrarono scorrere dilatati, avevo l’impressione che saremmo rimasti bloccati là per sempre.
Con un cenno del capo, il milite comunicò qualcosa ai colleghi e un attimo dopo il mio compagno tornò alla macchina.
«Scendi» ordinò «Proseguiamo a piedi.»
Senza discutere, accettai.
«Puoi tornare indietro» proseguì rivolto all’autista «Porta ancora i miei saluti a quel pallone gonfiato di Ronald.»
Silenzioso come un’ombra, l’uomo fece manovra e, lasciandosi dietro una nube di polvere, svanì sulla strada da cui eravamo venuti.
L’avventuriero si caricò sulle spalle parte dei miei averi ed insieme varcammo ufficialmente il confine della città, attraversando il ponte senza fiatare.
«Che cosa hai detto per lasciarci passare?» domandai incuriosita, una volta che fummo abbastanza lontani per non essere a portata d’orecchio.
«Più o meno la verità» rispose, accarezzandosi la barba «Che sono un archeologo inviato da Salonicco con il compito di esplorare le rovine e tu sei la mia assistente con il dovere di prendere appunti per fare rapporto ai nostri finanziatori del Reich.»
Era una storia indiscutibilmente brillante e credibile.
«Ho anche chiesto loro se qualche mio collega fosse già giunto sul posto.»
Sbarrai gli occhi e mi arrestai di colpo. «E?» sussurrai, temendo la risposta.
«Nessuno è entrato in città negli ultimi giorni» mi tranquillizzò «Li abbiamo battuti, nonostante tutto.»
Percorremmo il viale centrale che divideva in due l’abitato, separando le coste. L’istmo era tanto sottile da permetterci di vedere, dalla via lievemente sopraelevata, entrambe le spiagge e il mare che le lambiva. Una serie di barche erano tirate in secca, con le reti stese ad asciugare, mentre su un paio di banchi potevo scorgere delle persone affaccendarsi probabilmente a pulire il pesce.
Il mio campo visivo, per il resto, era occupato da due schiere di case molto simili tra loro, intramezzate da qualche negozietto e una piazza.
Quando giungemmo alla periferia dall’altro capo dell’abitato, mi resi conto che definirla “città” era improprio, Nea Poteidaia era poco più che un villaggio di pescatori, subito affiancato poi da distese di colline, boschi e campi coltivati.
Ci addentrammo lungo le mulattiere che portavano verso sud, ma senza alcuna idea di dove, esattamente, si trovassero le rovine, ci perdemmo, continuando a ritrovarci in vicoli ciechi che terminavano a strapiombo sulle onde o in mezzo a terreni di semina.
«Ma un maledetto cartello era troppo scomodo da mettere?» mi lamentai a mezza voce, di fronte all’ennesimo bivio.
«Forse faremmo meglio a tornare indietro e chiedere a qualcuno di accompagnarci» propose  Aniketos, voltandosi indietro in direzione del paese, di cui si scorgeva un campanile in lontananza.
A malincuore, concordai e ci rimettemmo in marcia verso il centro abitato.
Ad un mezzo miglio, circa, dalla città vera e propria, notai una bella dimora in stile inglese, ancora ben tenuta, nonostante tutto. Mi domandai se quella potesse essere la casa in cui era cresciuto Jason. Dopotutto suo padre era ricco, certamente aveva cercato di ricostruire in Grecia un pezzo della sua amata Inghilterra.
Mi arrestai in corrispondenza del vialetto che portava all’abitazione. C’erano cespugli fioriti un po’ incolti e l’erba del prato era più lunga del dovuto, facendo assumere al cortile un’aria selvatica, eppure le pietre che delineavano il percorso erano perfette, incastrate ad arte, e la cassetta delle lettere sembrava verniciata di fresco. Mi meravigliai di quel fatto. Chi mai avrebbe consegnato la posta in quel luogo sperduto?
«Melinda, ci sei?» mi richiamò Stavros, notando che mi ero arrestata.
«Ti spiace se faccio una rapida sosta?» gli domandai, facendo scorrere le dita lungo la scritta della cassetta postale. La D di Davies era molto elaborata, caratterizzata da un intricato ghirigoro, mentre il resto delle lettere, in corsivo, era dipinto con uno stile più semplice.
«Qualcuno che conosci?» chiese, avvicinandosi.
«In un certo senso.»
«Ci vorrà molto?»
«Non credo» lo rassicurai «Devo solo accertarmi di una cosa.»
Percorsi lo spazio che mi separava dalla porta d’ingresso, impugnai il battente in ferro e lo picchiettai per bussare.
Attesi qualche minuto, poi udii un calpestio provenire da dietro lo spesso portone d’ingresso.
Una voce flebile mi pose una domanda in greco, desiderando sapere che cosa volessi.
«È la signora Davies?» replicai, in inglese.
Un silenzio spaventato piombò dall’altra parte dell’uscio. Non era mia intenzione intimorire la donna, ma non avevo avuto tempo di pensare ad un modo più semplice di approcciarla.
«Sono un’amica di Jason» tentai, per farle comprendere che non avevo cattive intenzioni «Voleva assicurarsi che lei stesse bene.»
«Il mio piccolo ometto è al sicuro?» pigolò titubante, sempre senza aprire la pesante porta di legno massiccio.
«Sì, c’è Herbert a vegliare su di lui.»
A sentire quel nome, un cigolio invase lo spazio circostante, mentre mi veniva spalancato di fronte agli occhi il portone della villa.
«Salve» sorrisi alla persona un po’ ingobbita di fronte a me «Sono Melinda Pappas.»
La signora Davies incurvò gli angoli della bocca, apparendomi più rilassata nello scoprire di avere di fronte a sé una figura per nulla intimidente.
«Ho notato il nome sulla cassetta delle lettere e ho pensato di farle un saluto, in vece di suo figlio.»
Il sorriso della padrona di casa si allargò ulteriormente, mentre gli occhi iniziarono ad apparire tremuli di lacrime.
Rimasi imbambolata, fissandola in attesa che smettesse di piangere sommessamente.
«Oh, che sbadata!» esclamò passati un paio di minuti, stirandosi il maglioncino blu scuro e la gonna in tinta, dopo aver catturato con un candido fazzoletto le gocce salate che le rigavano il volto «Non mi sono neppure presentata. Martha Davies.»
«È un vero piacere conoscerla» ribattei.
Il silenziò strisciò nuovamente tra noi, mentre prendevamo tempo per studiarci a vicenda. Non dovevo apparire al meglio, agli occhi di quella madama inglese simbolo di una nobiltà un po’ decaduta: avevo gli abiti impolverati, il cappello di traverso, gli occhiali con una stanghetta incrinata, i capelli in disordine e la faccia di chi non aveva dormito gran che negli ultimi giorni.
La mia interlocutrice, al contrario, sembrava pronta per accogliere in casa Re George in persona. L’acconciatura, seppur semplice, le conferiva un’aura di sofisticatezza, accentuata dai fermagli ornati di perle, in coppia con la collana che le ricadeva fino al petto concludendosi con un medaglione in quello che poteva essere avorio. I segni del tempo, sebbene visibili sul quel viso che doveva aver sofferto molto, le donavano eleganza e saggezza. Nessuno si sarebbe mai potuto azzardare a dire che appariva vecchia. Le spalle, però, erano incurvate in una pronunciata gobba, come se qualcuno avesse posato su di lei un peso troppo pesante da sostenere, e le diafane mani ingioiellate, senza dubbio vanto che le doveva essere valso innumerevoli lodi in passato, erano marchiate da diverse piccole ferite e cicatrici. Immaginai che, visti i tempi, avesse dovuto rinunciare alla servitù e si fosse ritrovata costretta a compiere da sé tutti quei lavori che una volta poteva permettersi di delegare.
Le potevo leggere in faccia quanto fosse desiderosa di invitarmi ad entrare per subissarmi di domande riguardanti il figlio, ma purtroppo non potevo far aspettare troppo Aniketos, che sentivo scalpitare impaziente sul pietrisco della strada come fosse un cavallo indomabile. Avevo soltanto una priorità: Janice, per cui dovevo trovare le rovine alla svelta per poter cominciare un piano degno di tal nome.
«Desidera una tazza di te, signorina Pappas?» mi domandò Martha, cogliendomi non del tutto alla sprovvista.
«No, grazie» declinai garbatamente l’offerta «Ma vorrei approfittare di questo nostro incontro per farle una domanda, visto che lei vive qui da diversi anni.»
«Certamente, qualsiasi cosa per un’amica di Jason.»
«Dove si trovano le rovine dell’antica Potidaea? Ho seguito i sentieri qui intorno, ma non sono riuscita ad imboccare quello giusto.»
La donna riflettè un momento, rigirandosi attorno all’anulare sinistro una spessa fede d’oro. «Da qui dovrebbe prendere la prima svolta a sinistra e proseguire fino ad entrare nel bosco… Le fondamenta delle case antiche si trovano verso la costa, mentre se lei sta parlando di quel misterioso tempio, allora deve rimanere verso l’interno fino ad incontrare un colle.»
Il “misterioso tempio” aveva l’aria di essere esattamente la mia meta.
«Devo avvisarla, però» riprese «Gli abitanti si tengono alla larga da quei luoghi e i pochi stranieri che vi si sono avventurati non hanno fatto ritorno.»
È un classico, dissi tra me e me, memore dei trabocchetti incontrati nella millenaria tomba di Ares.
«Non credo dovrebbe andare fin là» tentò di scoraggiarmi «Jay e i suoi amici ci giocavano da piccoli e ancora non so quale miracolo li abbia tenuti tutti in vita, ma per qualcuno che non conosce il posto è facile correre pericolosi rischi.»
«Non si preoccupi» la rassicurai «So badare a me stessa e sono in compagnia di un avventuriero che in ogni caso vedrà di tenermi lontana dai guai.»
La madre di Jason tentò di allungare il collo per sbirciare Stavros che era rimasto in attesa sulla strada.
«Nik!» lo chiamai «Vieni, per piacere.»
L’uomo sbuffò, grattandosi la barba, poi spostando i piedi come fossero enormi macigni, percorse il vialetto fino all’entrata dell’abitazione.
«Signora Davies, questo è Aniketos Stavros» feci le presentazioni.
«Molto lieta» disse la donna «Sono Martha.»
«Incantato» replicò il greco, spazzando via ogni accenno di riluttanza e tirando fuori un tono amichevole che non avevo idea possedesse.
«Lei è un esperto di questi luoghi?» domandò la donna rivolta alla mia guida.
«Ho avuto a che fare con ogni genere di posto» rimase sul vago «E ho esplorato più di un sito archeologico ritenuto “maledetto”.»
«Preferirei comunque non vedervi andare là… Ma mi pare di capire che non ho modo di dissuadervi» commentò la Davies, sfregandosi le nocche con insistenza.
«Mi dispiace, ma dobbiamo assolutamente andare alle rovine, è una questione di vita o di morte» replicai.
«Allora fate attenzione» mormorò Martha «E una volta compiuta la vostra missione, tornate qui per una tazza di the. Potremo parlare un po’ di Jason…»
«Certamente» le assicurai.
«Buona fortuna» ci augurò, salutandoci dalla soglia di casa, mentre, ripercorrendo la breve via acciottolata tornavamo a camminare sul sentiero polveroso.
«Da questa parte» guidai Aniketos, indicandogli il percorso suggeritomi dalla madre di Jay.
Mantenendo un buon passo ci inoltrammo nella macchia di alberi, tendendo sempre a sinistra, fino a che non iniziai a sentire il rumore del mare. A quel punto, comprendendo che rischiavo di farci avvicinare troppo alla costa, ripiegai verso l’entroterra e tirai dritto, fino a che, da una radura, notai, nello scorcio tra la vegetazione, una parte in cui le cime degli alberi svettavano sopra le altre.
«Guarda là» dissi al mio compare «Potrebbe trattarsi di una collina, secondo te?»
Lui si limitò ad emettere un verso dal dubbio significato, ma che interpretai come un “andiamo a vedere”.
Zigzagando tra bassi cespugli e fitti ciuffi d’erba alti fino alle nostre ginocchia, seguimmo una pista che sembrava essere rimasta inutilizzata per diversi anni. C’era qualche traccia di animale, che riuscivo ad individuare grazie alle lezioni impartitemi da Janice, ma nessun segno che indicasse la presenza di esseri umani almeno nell’ultimo anno.
Tenendo lo sguardo puntato a terra per evitare gli ostacoli, superai un tronco caduto, ma nel farlo la manica della mia giacca rimase impigliata in uno dei rami che sporgeva da quel vecchio legno. Mi voltai e con determinazione tirai per liberare il tessuto, causando un sonoro schiocco, originato dalla legna, e dal rumore di uno strappo.
«Per tutti i numi dell’Olimpo!» imprecai «Mai che me ne vada una giusta!»
«Aspetterei a tirare giù gli dei dal loro monte sacro, fossi in te» intervenne Stavros, raggiungendomi «Girati.»
Lasciando perdere il danno ai miei abiti, tornai a concentrarmi sul mondo circostante e rimasi a bocca aperta.
Una grande arcata di pietra si apriva in mezzo ad un’altura ricoperta di rigogliosa vegetazione, rivelando un oscuro passaggio. Felci, edera e piccoli arbusti si erano insinuati in ogni dove, mascherando quello che un tempo doveva essere stato un colonnato di accesso. Grossi blocchi riversi per terra, segnati da decine di giochi di bambini temerari, erano tutto ciò che restava dei maestosi fusti dei pilastri.
«Direi che ci siamo» decretò il greco, piantando il bastone nel soffice terreno, facendolo affondare nello spesso strato di muschio.
Annuii, rapita dalle sensazioni che quell’antica rovina mi stava trasmettendo. Lo stupore iniziale venne presto sostituito da un misto di ammirazione, curiosità, ma anche inquietudine perché percepivo come quello fosse un luogo di morte.
Poi, all’improvviso, qualcosa di nuovo si insinuò nel mio cuore, un senso di indescrivibile quiete, come se finalmente avessi portato a termine un compito assegnatomi molto tempo addietro. Chiusi gli occhi e un sorriso caldo accompagnato da due luminosi smeraldi pieni di vita si dipinse nel nero pannello oltre le mie palpebre.
Lo percepii. Un ricordo, un tocco familiare, un nodo allo stomaco e alla gola. Il mio cervello si chiuse in se stesso, lasciandomi in balia delle emozioni generate da quella strana presenza.
«Gabrielle…» mormorai, come se una voce lontana mi avesse imposto di parlare. Era stata lei a volermi là, a far sì che ci arrivassi, per potersi ricongiungere con Xena.
Mi portai il cappello al cuore e mi sentii a casa.


NdA: gentili lettori, ben ritrovati. Comincio subito dalle "cattive notizie", perchè come si dice: via il dente, via il dolore. Mi spiace davvero tanto, ma dovrò proseguire con gli aggiornamenti dilatati e non posso neppure assicurare che saranno regolari, causa impiego imprevisto che mi è piombato tra capo e collo e mi toglie la forza di vivere, ma soprattutto quella di scrivere. Comunque, teoricamente, non dovrebbero mancare molti capitoli alla fine, quindi non posso che pregarvi di essere pazienti e non troppo adirati. Ed ecco il momento ringraziamenti: a wislava, per ogni qualsivoglia cosa che se dovessi stare ad elencare finirei settimana prossima; ai recensori dello scorso capitolo Stranger in Paradise, whiterose87, Alessia2690 e cecyvit per il loro apprezzatissimo supporto; naturalmente un enorme grazie anche a tutti gli altri lettori per proseguire imperterriti ad accompagnarmi in questa avventura. A questo punto mi vedo costretta a congedarmi, per non tediarvi ulteriormente con le mie chiacchiere. Prego gli dei di riuscire a ritagliarmi abbastanza tempo ed avere la giusta ispirazione per farvi avere il prossimo capitolo prima o poi, fino ad allora, arrivederci e buone cose.
P.S. Se volete rimanere al passo con i miei aggiornamenti potete tenere d'occhio il mio redivivo account Twitter che trovate qui.
   
 
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