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Autore: thebrightstarofthewest    09/09/2016    2 recensioni
Bloccata in soffitta per una sfortunata serie di eventi, Patti ripercorre, grazie a delle foto, la sua storia con Bruce. Nel bene e nel male, nell'amicizia e nell'amore, nei litigi e nelle riappacificazioni.
Sì, sono tornata a scrivere di questi due, alla fine. Impossibile resistere.
"In quella foto c’era lei. Di spalle, girata verso l’obbiettivo, sorrideva, appena imbarazzata… conosceva quello scatto. Non si trattava di uno qualsiasi. No, quel ritratto lo aveva fatto Bruce. Il suo petto fu come riempito da una strana sensazione, un nodo a cui non riusciva a dare un nome: che fossero i ricordi? Quasi si commosse, in quella polverosa penombra. Si concesse di lasciare che quelle lontane memorie fluissero…"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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4. Heartbreak Warfare

"Clouds of sulfur in the air
Bombs are falling everywhere
It's heartbreak warfare
Once you want it to begin,
No one really ever wins
In heartbreak warfare.
If you want more love why don't you say so?"

Casa Springsteen, New Jersey, ore 9:58
Tutti quei ricordi profondi e meravigliosi avevano invaso il cuore di Patti, facendola sorridere e, qualche volta, quasi commuovere. Era così bello passeggiare in quegli angoli reconditi della sua memoria. Le sembrava di tornare a quei tempi, di poter rivedere il volto di Bruce senza rughe o capelli bianchi, e le sue mani ancora lisce e rosee.
Ma non tutti i ricordi potevano essere piacevoli, lo sapeva. Né avere sempre un lieto fine.
La foto che raccolse qualche istante dopo ne fu la prova: erano lei e Bruce, seduti accanto ad un bar. Era sera. La luce della luna li avvolgeva con riflessi argentei. Data: 1986.
Sembravano felici, sembrava che tutto andasse per il meglio. Che la loro amicizia fosse sempre genuina, forte e senza limiti. Già, sembrava. Eppure non era affatto così.
Sapeva quando era stata scattata, era poco prima del Natale 1986. Ricordava tutto. Anche che quei sorrisi stampati sui loro visi, all'apparenza così spensierati, celavano mille ombre ed incomprensioni.


In un pub, da qualche parte nel New Jersey, Dicembre 1986
“Ti amo”.
Quante volte quelle due parole avevano sfiorato le labbra di Patti, veloci e dolci come una carezza a lungo agognata, per poi abbandonarla, lasciandola boccheggiante inerte, tremante. E non per il dubbio. No, per il dubbio non c’era più spazio da tanto, tanto tempo.
Non era una che si innamorava spesso, lei. Cioè, sì, ma non di uomini. Si innamorava delle note di una canzone, della sfumatura di blu del cielo mattutino, del sapore salato dell’aria di mare, della dolce malinconia che accompagnava la fine di qualcosa e della scarica euforica di adrenalina che sottolineava un nuovo inizio. Era facile, innamorarsi di tutto ciò. Del pulsante cuore della vita.
Ma innamorarsi di un uomo? No, quello era del tutto diverso.
Per innamorarsi di un uomo, non si poteva seguire soltanto lo stomaco, l’istinto: era necessaria fiducia, rispetto, comprensione. E Patti era sempre stata pressoché convinta che fosse impossibile trovare tutto ciò in un’unica persona.
Tutto ciò, prima di conoscere Bruce.
Ecco! Il più classico dei cliché! La ragazza senza un soldo che entra nella band e si innamora del cantante. Dio, si odiava per questo.
Aveva tentato di combattere con le sue emozioni, con quei sentimenti che le bussavano forte nel petto, facendola spesso arrossire ed abbassare lo sguardo, ma tutto era stato vano. Per anni aveva negato agli altri –e, soprattutto, a se stessa- di provare qualcosa per Bruce.
Clarence era stato il primo a capirlo… lo aveva capito ancora prima di lei. Una sera, dopo un concerto, l’aveva fermata per bere qualcosa ed avevano parlato. O meglio, Clarence aveva parlato… lei si era perlopiù limitata ad ascoltare. Le aveva detto che vedeva cosa covava nei suoi occhi, che aveva capito che si era innamorata di Bruce. Quell’affermazione l’aveva stupita, sul momento, al punto che quasi si era strozzata con la propria birra: lei, innamorata di Bruce? No! Assolutamente no! Clarence, però, aveva riso. Lui sapeva.
“Patti, io te lo dico da amico: lascialo andare”, le aveva consigliato, guardandola dritto negli occhi, “Lui ha troppa paura di non riuscire ad avere una vita normale, per stare con te. Se tu fossi… un’attrice, una commessa, un’infermiera… forse vedrebbe il tuo amore. Forse si concederebbe di ricambiarlo… Ma tu sei una cantante. Un’artista, una compositrice, un’anima tormentata ed oscura… come lui. E per questo Bruce non ti vedrà mai come fonte di equilibrio, di quella stabilità che tanto agogna. Tu sei una dei ragazzi, una della band. È questo il problema”.
Non aveva dormito, quella notte. Se si fosse addormentata, probabilmente, avrebbe sognato Bruce, con il suo sorriso aperto, i suoi occhi immensi come il cielo notturno, i suoi riccioli castani, quel suo fisico statuario. Con le sue parole sfrontate e quelle dolci, con le sue grida ed i suoi capricci, con i suoi abbracci e la sua comprensione.
Per tutta la vita si era convinta di non potersi innamorare. Di star cercando qualcosa che era impossibile da trovare o richiedere in un essere umano. Ma Bruce era diverso.
No, lui non era perfetto. Era uno stronzo, quando voleva, e la band aveva fatto di tutto perché diventasse un capriccioso tremendo. Eppure… lei voleva quel corpo e quell’anima. Perché? Perché combaciavano esattamente con i suoi. Quando lui la guardava, i suoi occhi le scavavano dentro. Sembravano voler lenire quel dolore di cui Patti si faceva carico da sempre. Quando le parlava, la sua voce le raccontava storie di speranza ed amore. Quando le si avvicinava, il suo corpo era così caldo, come un focolare sicuro. I suoi abbracci erano armature contro il mondo, le loro telefonate infinite erano romanzi d’avventura, le loro chiacchierate notturne universi paralleli dove tutto era al proprio posto, tutto aveva senso e nessuno rimaneva solo.
“Ti amo”.
Quante volte avrebbe voluto dirglielo, dopo aver capito. Ma tutte le volte, si era rimangiata le parole. L’aveva addirittura incoraggiato, quando aveva incontrato una nuova donna. Sapeva che era importante, per lui, trovare qualcuno. Ne avevano parlato a lungo, anche se lui ogni tanto sembrava quasi sentirsi in imbarazzo nel raccontarle dei suoi bisogno, dei suoi sogni, delle sue delusioni. Lui aveva bisogno di equilibrio, di una vita normale. Di avere al proprio fianco qualcuno che sapesse farlo camminare sul giusto sentiero, senza mai sbandare.
E perché non poteva essere lei?
Quella domanda le era spesso rimbalzata in testa, ma l’aveva scacciata. Era stato Clarence a rispondere: lei era una dei ragazzi. Lei non lo avrebbe mai reso felice… bastava vedere come litigavano, d’altra parte. Alzavano la voce, si ferivano, si arrabbiavano. Lo facevano l'uno per il bene l'uno dell'altro ed erano sempre litigate che si risolvevano nel migliore dei modi, certo, eppure…
E così, Bruce aveva sposato Julianne Phillips. Una donna giovane, solare, determinata. A Patti veniva da sorridere con sarcasmo e malinconia pensando a quanto erano differenti, lei e quella ragazza che era riuscita a conquistare il cuore che più bramava.
Julianne era incantevole e Patti aveva molto rispetto della sua personalità forte. Pensava che, nonostante molti credessero che fosse troppo giovane per Bruce, lei lo avrebbe reso felice.
Sì, aveva sostenuto Bruce. Aveva sorriso al suo matrimonio. Gli aveva aggiustato il papillon con un sorriso complice prima di vederlo camminare lungo la navata, verso l’altare.
Era morta, dentro. Non aveva mai pianto tanto come quella notte. E si era odiata per quelle lacrime, vuote ed inutili.
Voleva essere quello di cui lui aveva bisogno. Ma no, era solo l’amica. E forse, per lui, era meglio così. Lo avrebbe aiutato a rimanere in piedi, senza mai poter perdersi tra quelle braccia forti.
“Ti amo”.
Per l’ennesima volta, quelle parole le si strozzarono in gola. Le deglutì con un sorso di limonata, contenendo le lacrime.
“Limonata il sabato sera? Sei seria?”, domandò a Bruce, accigliato, seduto davanti a lei. Indossava una camicia a quadri e ad incorniciare il suo volto rasato e abbronzato, i suoi capelli ricadevano in corte ciocche castane e ricce. Patti si limitò a fare spallucce.
“Che c'è di male?”, rispose, posando la bottiglia e fissandone con indifferenza l’etichetta, “Almeno io non sto passando l'intera serata a sbadigliare sonoramente”.
Stavolta fu lui a stringersi nelle spalle. “Lo sai che soffro d'insonnia”.
“Fatto notte fonda con Julianne?”, lo punzecchiò lei.
“Ti rendi conto che erano quattro mesi che non ci vedevamo?”, esclamò lui, del tutto ignorando la domanda di Patti. Strano. Che gli desse fastidio che si facesse ironia sul suo matrimonio? Era difficile da dirsi… Nell’ultimo anno si erano visti pochissimo. Il 1986 sarebbe stato un anno di completo ozio per lei, non fosse stato che si era rimboccata le maniche: aveva scritto moltissime canzoni, aveva collaborato coi Rolling Stones –ancora non ci credeva!- ed adesso pianificava di registrare un album da solista quanto prima. Bruce, però, lo aveva perso di vista. Sì, spesso si telefonavano, ma non era proprio la stessa cosa: quando erano i tour si vedevano per tutto il giorno, potevano parlare per ore, stesi l’uno accanto a loro, e sfiorarsi le mani.
No, non era proprio la stessa cosa.
Si erano dati appuntamento quella sera in un pub perché le vacanze di Natale si avvicinavano e, a quanto pareva, Bruce sarebbe partito per una vacanza in qualche luogo caldo. Il luogo più caldo in cui Patti si sarebbe recata, invece, era il divano davanti al caminetto.
“Me ne rendo conto eccome!”, rispose Patti, “E mi sembri cambiato. Il matrimonio ti dona”. Gli sorrise, lui fece altrettanto… in modo strano, però. C’era una nota stonata, in quel sorriso.
“Cambiato, dici?”, mormorò, rubando la limonata di Patti e buttandone giù un sorso sostanzioso, “Non mi piace il cambiamento. Sono un tipo abitudinario, io”.
“Beh, non puoi pretendere di sposarti e rimanere uguale a quando eri in tour... Anche perché, altrimenti, la povera Julianne avrebbe un problema o due con il bambino capriccioso che si nasconde in te”.
Lui non rispose. Teneva ancora la limonata in mano, con aria distaccata. Non sembrava prestare attenzione a niente. Patti si limitò ad attendere che “uscisse dal suo mondo dei sogni”... era così, con Bruce. Dopo qualche istante di apparente trance, i suoi occhi si illuminarono nuovamente, e lui parve riprendersi.
“Scusa”, mormorò, “Pensavo...”.
“Sì, l'ho notato”, scherzò lei, dandogli un buffetto amichevole. Era vero, era cambiato: non indossava più magliette stracciate, ma camice infilate accuratamente nei pantaloni; si atteggiava a uomo maturo... eppure era sempre lui. Era sempre Bruce. Oscuro. Luminoso. Tutto al tempo stesso.
“Posso chiederti a cosa pensavi, o hai intenzioni di startene con lo sguardo perso nel vuoto tutto il giorno?”, gli domandò.
Prontamente, lui cambiò discorso. “Bello, questo vestito blu. Ti dona moltissimo”, biascicò. In tutta risposta, Patti inarcò entrambe le sopracciglia.
“Signor Bruce Springsteen”, lo rimbrottò, “Non starà per caso cercando di cambiare argomento?”.
Lui sfoggiò un ghigno sgangherato. “Chi, io? No, assolutamente! Davvero, non sto cercando di essere spiritoso, il vestito ti dona seriamente!”.
“Bruce...”, si limitò a replicare lei, lasciando che il nome vagasse tra di loro con aria di rimprovero. Era vero, quel vestito blu era davvero carino, ma sapeva perfettamente che Bruce voleva focalizzare la sua attenzione in qualcosa di diverso rispetto ai suoi pensieri.
“E va bene”, si arrese infine lui, sputando finalmente il rospo, “Diciamo che... Quello di oggi non è soltanto... un incontro di piacere, ecco”. Reclinò il capo e storse la bocca carnosa in una sorta di smorfia.
Dapprima, Patti rimase qualche istante tra lo stupito e l'amareggiato: cosa significavano quelle parole? Lei sperava di poterlo vedere... solo perché lui lo desiderava tanto quanto lei. Senza alcun secondo fine, senza alcuna vera ragione. Solo perché le voleva bene.
Poi si ricompose. Se si fosse lasciata lambire ancora dalle proprie emozioni, il suo volto avrebbe rivelato tutto: tutte le notti insonni con il volto di Bruce che le volteggiava davanti agli occhi, tutte le lacrime spese che non le sarebbero mai state restituite, tutte le fitte al cuore che quel sorriso disordinato le aveva fatto provare. Mascherò tutto, in un gesto quasi naturale: sorrise.
“Certo!”, sbottò, ironica e beffarda, “Figuriamoci se il famoso ed irreperibile Bruce Springsteen si interessa ancora ai propri amici senza nascondere qualcosa”.
Lui parve stupito di vederla così a proprio agio. Che avesse intuito qualcosa?
“Bah”, sbottò, fingendosi offeso, “Hai così poca stima di me...”. Le lanciò uno sguardo da cucciolo di cane a cui si ha appena calpestato la coda. Patti roteò gli occhi, con uno sbuffo.
“E piantala di fare la vittima!”, esclamò, ridendo, “Dai, vuota il sacco!”.
Le iridi scure dell'uomo si riempirono di luce, prima di cominciare. “Vedi, Patti... Sto scrivendo nuova musica”, pronunciò, in un soffio. Immediatamente, il cuore di Patti cominciò a battere all'impazzata: ma era una notizia stupenda!
“Ma... Bruce, è splendido!”, esclamò, sorridendo solare. Cercò di immaginare quali potevano essere le nuove melodie che Bruce aveva composto, quali le tematiche dei nuovi pezzi, quali le parole. Non poteva saperlo, ma la testa le si riempì di sogni. “Sai”, continuò, “Anche io ho scritto tantissimi nuovi brani, ultimamente!”.
Lo notò chiaramente deglutire, cosa che la insospettì non poco. “Bene”, borbottò lui, chiudendo ed aprendo ritmicamente i pugni, in una sorta di tic. La musica ovattata del pub, una vecchia ballata country gracchiante e stonata sembrava creare tra i loro sguardi, tra i loro corpi, tra le loro parole una distanza impercorribile.
“Ho intenzione di andare in studio a registrarli”, proseguì Patti, che aveva improvvisamente abbassato la voce, senza sapere il perché, “Devo approfittare di questo tempo che concedi a noi della band, dopotutto. Poi riprenderà la tortura con te, giusto?”. Provò a scherzare, ma si rendeva conto che la sua battuta era stata inghiottita dal buio della notte, dalla luce soffusa del locale e dalle voci basse delle persone che parlottavano attorno. A Bruce, quella battuta, non era mai giunta.
“Patti”, proseguì lui, come se, appunto, non l'avesse udita, “Io ho bisogno di te in sala registrazioni”.
“E questo cosa vorrebbe significare?”, domandò lei, subito sulla difensiva. C'era una punta di rabbia nella sua voce, perché forse aveva già capito dove Bruce voleva andare a parare. E non le piaceva, non le piaceva affatto.
“Cosa vuoi che significhi?”, si strinse nelle spalle lui, “Che... Vorrei chiederti se per te sarebbe possibile rinviare la registrazione, pubblicazione e possibile promozione dal vivo del tuo album per... beh, per lavorare sul mio”.
Per un secondo, fu convinta che si trattasse di uno scherzo. Doveva. Doveva.
Posò la mano chiusa a pugno dinnanzi a sé, sul tavolo, in un gesto che tradiva una crescente ira. Le guance le si erano fatte color porpora. “Stai scherzando?”, riuscì a farsi uscire, in un sibilo acuto dalle labbra serrate.
Bruce sospirò. Probabilmente si attendeva una risposta simile. “Senti, piccola, lo so che...”.
“Sai?”, sbottò lei, per un istante quasi urlando, “Tu sai?”. Si lasciò sfuggire una breve ed amara risata. “Abbiamo già affrontato questo argomento, Bruce. Possiamo aver avuto un'infanzia simili, avere mille passioni in comune e fare lo stesso lavoro, ma non venire a dirmi che sai cosa significhi essere me. Questo album, Bruce, per me significa tutto. Tutto. Ho passato trentatré anni della mia vita a rincorrere un sogno quasi impossibile, quasi irraggiungibile, ed adesso che esso è proprio davanti ai miei occhi, a portata delle mie mani aperte, me ne vorresti privare?”.
“So che vuoi far vedere ai tuoi genitori, sì, insomma, alla tua famiglia, i profitti del tuo lavoro, ma devi capire che...”.
“Cosa?!”, esclamò lei, “Che sei un bastardo egoista?”. Le sue parole parvero un ringhio. Non si sarebbe mai aspettata di poter provare tanta rabbia, ma tutto aveva senso, d'altra parte: quel progetto, quel disco che aveva atteso a lungo di poter registrare, era il culmine della sua vita. No, non solo della sua carriera. Perché, se erano amici, lui le voleva fare un torto simile?
“Calma”, replicò Bruce, spostandosi nervosamente sulla sedia, “Voglio solo farti capire quel che voglio dire. Non ti sto imponendo assolutamente nulla”.
“Come no! Tu chiedi e pretendi che ti sia dato”, sbottò lei, consapevole che probabilmente quelle parole lo avrebbero fatto esplodere, ma ormai troppo arrabbiata per contenersi.
Bruce spalancò la bocca, in un sorriso beffardo, che nascondeva un'ira che a malapena riusciva a tenere a bada. “Non ho mai detto questo”, le fece notare, accompagnando le parole con una scrollata di spalle. Teneva i pugni stretti, ma non la guardava negli occhi. Di cosa aveva paura? Di avere torto marcio?
“Guardami negli occhi”, gli intimò, decisa.
“Sta' zitta”, ringhiò lui. Come, prego? Cosa diavolo aveva appena detto?
“Oh no”, controbatté Patti, sempre più rossa in viso, “Io non sto zitta, affatto. Dov'è finito quel Bruce che mi aveva promesso che non mi avrebbe mai imposto nulla? Dov'è...”.
“Sta' zitta, ho detto!”. Stavolta, Bruce aveva urlato. Non lo aveva mai sentito così. Il cuore parve fermarsi nel suo petto e Patti deglutì. Non fu una mossa ragionata, quella di alzarsi per andare via: lo fece e basta. Sapeva di avere tutti gli occhi dei pochi clienti del pub addosso, mentre si incamminava, senza guardarsi indietro... conosceva Bruce. Ormai lo sapeva sin troppo bene: se si fosse girata, gli sarebbe saltata al collo, piangendo. E non per debolezza, ma perché era stanca, era stanca e desiderava così tanto capire: voleva capire perché non si erano visti per mesi e ora la trattava così, perché quel lato buio non lo abbandonava mai, cosa gli frullava in quella testa riccioluta. Voleva dirgli che lo amava. Ma non poteva. No, non poteva.
Mosse solo pochi passi, prima che una voce la chiamasse. “Patti...”. Il tono di voce di Bruce era completamente cambiato. La rabbia si era placata, tramutata in pentimento. C'era dolcezza, c'era malinconia... Quando pronunciava il suo nome in quel modo, non c'erano molte possibilità: voleva scusarsi. E Patti lo sapeva... Si girò, stavolta premurandosi lei di non guardarlo nelle grandi iridi marrone scuro.
“Vieni qui”, soggiunse lui, sempre con un tono triste, quasi in un soffio, un sussurro. E lei si sedette, di nuovo davanti a lui. Di nuovo intrappolata nella rete d'amore che per lui provava.
“Non volevo... non volevo dirti di stare zitta. Scusa”, cominciò lui, “Volevo semplicemente finire di parlare...”. Sospirò, prima di continuare. Patti non disse niente: osservò persa la luce pallida della luna infiltrarsi dalla vetrata del locale e posarsi sul capo di quell'uomo così complicato.
“Ti scusi sempre, ma non impari mai”, si limitò a sillabare piano Patti. Lui mosse la bocca in una smorfia simile ad un sorriso ironico.
“Vero”, confermò, afferrando nuovamente e bevendola piano, come se quel liquido potesse schiarirgli le idee, oltre che la gola, “E sì, sono un bastardo egoista, lo so. Ma puoi concedere a questo bastardo egoista di finire di parlare?”. Lei annuì con un cenno flemmatico del capo.
“Capisco che questo album è importante, per te. Davvero. Lo comprendo. Ricordo come mi sentivo, prima di pubblicare il mio primo disco. Frustrato. Inutile. Non voglio dire che tu lo sia, nel senso... Dio, quanto sono cretino ed incapace con le parole”. Fece una breve pausa. “So cosa significhi aver bisogno di sentirsi realizzati. E penso che tu, essendo donna e vivendo in un mondo sessista e schifoso, abbia molta più necessità di confermarti... di far vedere a tutti chi sei. Però, vedi... Ti prometto, appena finito questo album e questo tour, avrai tutto il mio appoggio per il tuo progetto. Lo so, continuo a fare promesse che non mantengo. Continuo a giurarti atti di amicizia che svaniscono nell'aria nel momento in cui ho finito di parlare. Sono un amico di merda ed un boss insensibile. Ma Patti... Io se non registro queste nuove canzoni... esplodo. Impazzisco. Non riesco... non riesco a vivere se non butto fuori quel che ho scritto, quel che provo. E io, sinceramente, senza la tua voce non lo voglio fare, il mio album. Non avrebbe senso. Nulla avrebbe senso senza...”.
Patti rise. Non se lo aspettava, accadde e basta. Ma era una risata fredda, insensibile, amara. “Non venirmi a dire che nulla avrebbe senso senza di me, perché no, non ti credo. Sei scomparso per quattro mesi, quindi forse non sono davvero così indispensabile nella tua vita. Ma va bene, mi arrendo”. Poggiò entrambi i gomiti sul tavolo, guardandolo dritto negli occhi. Occhi verdi ed occhi castani, gli uni specchiati negli altri. “Mi arrendo, hai vinto. Hai ragione. Le tua canzoni sono più importanti. I tuoi sogni sono più importanti. Le tue parole sono più importanti. Tanto, alla fine, cedo sempre. Faccio di tutto, per te. Dimmi quando iniziano le registrazioni, ed io ci sarò. Io e la mia celebre voce di cui, a quanto pare, non puoi fare a meno”. Con lentezza, si alzò dal tavolo. Si sentiva stanca, spossata, e, al tempo stesso, le pareva di essersi privata di un grande fardello, solo per caricarsene un altro, altrettanto pesante, sulle spalle.
Voleva solo andarsene, ora.
Non voleva più vedere quel viso che avrebbe volentieri riempito di pugni. O di baci. Non ne sarebbe mai, mai stata certa.
“Buona serata, Bruce”, mormorò, con un mezzo sorriso. Gli posò le labbra sulla fronte e si girò.
Lui le afferrò il braccio, in una stretta non forte, non violenta, ma disperata. Un fremito, una scarica elettrica lungo la schiena, lo sguardo di Bruce nascondeva qualcosa; lo scrutò, vi si perse: occhi scuri, come la notte, come un pozzo da cui non era possibile risalire. Occhi che urlavano qualcosa, o meglio, che tentavano di gridare, ma sembravano incapaci di formulare le giuste parole. Cosa era? Cosa era che leggeva in quegli occhi? Perché era così certa che si trattasse di una richiesta d'aiuto?
“Patti, io...”, iniziò, ma poi la sua bocca rimase aperta, le labbra che non riuscivano a proseguire. La musica del pub li avvolgeva, calcando il ritmo del cuore di Patti. Le tempie le pulsavano così forte che le pareva che la testa stesse per esploderle.
La osservò. I suoi occhi la chiamavano, volevano che rimanesse, volevano dirle qualcosa.
La teneva, con il pugno chiuso.
Per l'ennesima volta, quelle due parole le volteggiarono sulle labbra. Desiderava dirle. Desiderava urlargli in faccia “Ti amo! Perché non riesci a vederlo? Perché?”. Ma rimase silente.
Con un sospiro che sembrò durare un'eternità, Bruce la lasciò andare.
Quei pochi passi dal tavolo del locale alla porta furono i più lunghi della sua vita.

Casa Springsteen, New Jersey, ore 10:02
Ricordava ancora quanto pesava il suo cuore, quella notte. Era come un macigno incastonato nel petto, che l'aveva tenuta sveglia fino all'alba, a domandarsi perché. E di perché, ce n'erano tanti. Perché Bruce continuava a promettere, senza mantenere mai? Perché sapeva essere, al tempo stesso, così gentile ed egoista? Perché diceva che sarebbe esploso, se non avesse registrato quell'album?
Perché i suoi occhi imploravano aiuto?
Non ne aveva idea. E non poteva averne.
Non sapeva assolutamente che il matrimonio di Bruce stava lentamente andando a pezzi. Non conosceva la sua frustrazione. Lui, troppo orgoglioso, non gliene aveva voluto ancora parlare.
E poi, soprattutto, non sapeva che Bruce, pian piano, senza neppure rendersene conto, stava cominciando a provare qualcosa per lei. Erano il sole e la luna, che si rincorrevano in cerchio, disperati, senza mai neppure sfiorarsi.
Non sapeva neppure che Bruce, la notte stessa, avrebbe scritto una canzone, pensando a quella tumultuosa serata. Una canzone che parlava di amore, di investimento reciproco, di sesso. Di una ragazza dal vestito blu, come quello che lei aveva al pub, che scappava da un appuntamento, lasciando nel cuore di qualcuno un tumulto di emozioni da mettere a posto.
Patti posò le foto, in un gesto lento. Senza neppure pensarci, le sue labbra cominciarono ad intonare “Tougher than the Rest”.


Angolo dell'autrice:
Ce l'abbiamo fatta a aggiornare, finalmente! Scusate il ritardo clamoroso, ma in questo periodo sono riuscita a beccare ogni tipo di problematica. Dalle crisi esistenziali alle febbrate di una settimana. Stendiamo un velo pietoso. Spero di essere puntuale, per la prossima pubblicazione, ma non prometto nulla, perché mi sto trasferendo per iniziare l'università, quindi sarà un periodo un po'... confusionario.
Grazie comunque per sopportarmi,
Elisa 


 

  
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