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Autore: Milla Chan    10/09/2016    4 recensioni
“Sei geloso?” continua Oikawa.
Ah, bastava così poco per capirlo?
“No.”
La risposta di Iwaizumi arriva in fretta, ma è una bugia enorme e ha il cuore in gola.
“Dico solo che sembra difficile e stancante starle dietro e, sì, è fastidiosa. Mai quanto te, comunque- quindi direi che, ecco, siete una coppia perfetta!” sbotta chiudendo il quaderno e alzandosi in piedi, il respiro un po’ spezzato e la frase che risulta quasi sconnessa, tanto fa fatica a pensare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Someone told me stay away from things that aren't yours

But was he yours if he wanted me so bad?


 

Per Hajime, quella ragazza non ha un volto. Non l’ha mai guardata bene, non ha mai alzato davvero gli occhi per scrutarla con attenzione. Ha il terrore di trovarsi davanti un viso bellissimo, lineamenti eleganti, occhi grandi e dolci, pelle di porcellana.
Ha paura di non poter biasimare Tooru. Ha paura di pensare “Ah, ecco perché sta con lei. Ha senso.”
 
Una volta lì fuori da scuola, non si rende neanche conto di voltare la testa dall’altra parte quando vede dei capelli lunghi e liscissimi avvicinarsi.
 
“Hai visto Oikawa?” chiede quella voce a suo parere troppo acuta, vagamente preoccupata.
 
Iwaizumi le lancia solo un’occhiata veloce, solo per farle capire che l’ha sentita, e fa in tempo a registrare la frangetta tagliata perfettamente dritta.
Per un attimo, pensa di mentirle. Pensa che potrebbe dirle che è andato a casa senza di lei, che l’ha lasciata lì da sola, ma non ce la fa, non riesce ad essere stronzo anche se quel modo di fare da bambola gli dà sui nervi.
 
 “Arriva.” risponde senza una vera intonazione, gli occhi fissi sulla folla che si sta riversando nel cortile della scuola. “Doveva recuperare degli appunti.”
Non sa con quale forza aggiunge quelle ultime parole. Forse è solo inerzia.
 
“Iwa-chan!” chiama la voce allegra di Oikawa, pochi attimi dopo. “Micchan!”
 
Iwaizumi si accorge subito è che ha detto prima il suo nome, e per un attimo ne è inspiegabilmente soddisfatto. Il suo cervello, però, ci mette poco a fargli notare che è successo semplicemente perché l’ha visto per primo.
Michiko -Micchan- è abbastanza bassa da sparire tra tutte quelle persone, abbastanza minuta che sparirebbe anche tra le braccia di Oikawa, se la abbracciasse.
Iwaizumi rotea gli occhi al pensiero e la risatina entusiasta di quella ragazzina mentre Tooru si avvicina gli fa quasi ribaltare lo stomaco.
 
Camminano tutti e tre insieme per un pezzo di strada, perché Micchan prende il bus lì vicino e loro passerebbero comunque davanti a quella fermata per andare a casa.
Iwaizumi sta in silenzio e preferirebbe non ascoltare quegli squittii, ma è impossibile, gli perforano le orecchie.
Stanno insieme da tre settimane, Tooru e la ragazza senza faccia. Forse addirittura un mese. Non è certo lui a tenere il conto, non gli importa. Anzi, magari sì, un po’ gli importa, ma solo perché è costretto a subire tutto quello ad ogni uscita da scuola.
 
“Micchan è così carina!” piagnucola Oikawa ad un certo punto, come se la ragazza non fosse proprio accanto a lui ad arrossire. Lei risponde con un versetto acuto e gli tocca il braccio come per dirgli di smetterla, perché c’è il suo amico, lì con loro, ed è imbarazzante. La conversazione continua, fitta fitta e svenevole, per un’altra manciata di secondi.
“Ahh? Non scherzare, certo che ti amo!” le risponde ad un certo punto il ragazzo, con un cruccio adorabile e la voce che va scemando, fino a finire in una specie di sussurro ben udibile.
 
Iwaizumi chiude gli occhi e qualcosa lo attraversa, qualcosa di intenso e spiacevolmente folgorante, come la corrente elettrica.
La scossa parte dalla testa e arriva fino ai piedi. Si dirama nel suo corpo come farebbe un fulmine, solo molto, molto più lento.
È simile uno di quei dolori che ti fa ritrarre immediatamente la mano, per riflesso. Il problema è che questo è prolungato nel tempo, come un crampo, ed è una tortura perché sembra non finire mai.
Le dita si contraggono nelle sue tasche e le gambe perdono per un attimo il ritmo della camminata.
Bugiardo sibila la sua testa con un tono che può definire solamente come arrabbiato. Bugiardo, si ripete, avvolto in un calore improvviso.
 
Michiko sale sul bus e Oikawa agita la mano nella sua direzione. Si prende qualche secondo di pausa per ricaricarsi prima di voltarsi verso Iwaizumi con un sospiro. Un nuovo sorriso sboccia sulla sua bocca.
“Che c’è?” chiede, notando la sua faccia e punzecchiando piano il suo gomito con l’indice. “Mi sembri più imbronciato del solito. Ti verranno un sacco di rughe!” commenta con leggerezza e una piccola linguaccia mentre torna a camminare.
Iwaizumi lo segue senza rispondere e Oikawa si rende conto che non è un buon segno, quello.
Si aspettava qualcosa di vagamente intimidatorio, di brusco, ma non troppo, o un debole schiaffetto sul retro della nuca. Anche solo un borbottio. Insomma, una delle sue solite reazioni. Una qualsiasi sarebbe andata bene.
 
Si gira a guardarlo e il sorriso si spegne appena, lasciando il posto a una smorfia perché le labbra cercano comunque di restare piegate verso l’alto.
“Che c’è?” ribadisce, un po’ più serio questa volta.
“Niente?”
La fronte aggrottata di Iwaizumi e gli occhi che si puntano dritti nei suoi sembrano dirgli che è solo paranoico, che si immagina le cose. Fa sembrare la risposta ovvia, ma non lo è.
“Bugiardo.” sospira Oikawa, e non fa in tempo a vedere l’espressione incredula di Iwaizumi perché proprio in quel momento volta di nuovo la testa verso la strada.
“Bugiardo?” ripete l’altro ragazzo, con lentezza, il calore di prima che ora si è fatto infernale.
 
Iwaizumi trova che sia davvero ironica, la piega che ha assunto quella sottospecie di conversazione a singhiozzo. Si impone di aspettare dieci secondi prima di ribattere, giusto per smaltire la rabbia che gli si è accumulata al centro del petto.
Conta chiaramente nella sua testa ed è felice di farlo, perché alla fine borbotta solo un “Lasciamo perdere”, principalmente perché quel pomeriggio lui e Oikawa hanno deciso di fare i compiti assieme e preferirebbe che non ci sia un’atmosfera tesa.
 
Oikawa lo guarda storto, confuso da quella frase, da quell’essere remissivo, ma qualcosa dentro di sé gli dice di non indagare ulteriormente.
“Rimani per cena?” chiede piuttosto.
Iwaizumi soppesa la proposta.
“Se i tuoi genitori vogliono.” risponde, scrollando le spalle.
“Ma ti prego.” Oikawa sopprime una risata e inclina la testa verso di lui. “Lo sai che ti adorano.”
 
***
 
La camera di Oikawa è profumata e familiare. Sa esattamente dove appoggiare la borsa, dove sedersi. Lo fa da anni.
 
Hanno quasi finito gli esercizi, ma la concentrazione di entrambi è calata notevolmente e ormai sono spalmati sul pavimento, la buona postura che è andata a quel paese.
“Allora, che ne pensi di Michiko?” chiede Oikawa dal nulla, steso per terra a pancia in su, e il quaderno abbandonato sulla faccia rende la sua voce un po’ ovattata.
Iwaizumi finisce di scrivere prima di lanciargli un’occhiata veloce.
“Perché me lo chiedi?”
“Sono curioso! Tipo, qual è stata la tua prima impressione, se la trovi carina, come ci vedi- cose così!”
Oikawa si tira a sedere e il quaderno gli cade dalla faccia finendo tra le sue gambe. C’è una certa impazienza nei suoi gesti e sulla faccia si forma un broncio, addolcito dalle sopracciglia alzate.
 
Iwaizumi ha ancora il collo reclinato in avanti, sul suo quaderno. Muove solo gli occhi per guardarlo, le pupille che si dilatano impercettibilmente mentre gli torna in mente qualcosa. Gli torna in mente il giorno in cui ha visto Tooru e quella ragazza avvicinarsi, ma lui aveva visto solo le loro mani intrecciate e ci aveva messo troppo tempo a staccarsi da quell’immagine, incatenato alle dita che si stringevano dolci.
 
“Lo sai cosa penso.” biascica come se non fosse importante, picchiettando il retro della matita sulla carta e producendo un suono sordo.
Oikawa non era stupido e Iwaizumi sapeva che non poteva aver ignorato il modo in cui alzava gli occhi al cielo o tamburellava innervosito sul banco con le unghie quando Michiko entrava nella loro classe durante la pausa pranzo.
Non poteva non aver dato peso il modo in cui Iwaizumi si concentrava sul proprio bento, fissando il riso con tanta intensità che avrebbe potuto incenerirlo, non appena sentiva quella voce così vivace e zuccherata e tutti quei bei suoni pronunciati così bene che lui avrebbe voluto implorarla di stare zitta, tapparle la bocca.
 
“Pensi che sia fastidiosa?” azzarda Oikawa, un po’ deluso, e Iwaizumi aggrotta la fronte per un attimo.
Sì, lo pensa, ma non è quello il punto.
Apre la bocca e la richiude, poi abbassa lo sguardo sulla sua matita come se fosse l’oggetto più interessante di tutta la stanza.
 
“Non la ami.”
 
Le parole gli scivolano fuori dalla bocca prima che se ne renda conto, e gli occhi di Oikawa si fanno grandi e densi. La sua mascella si contrae e deve sbattere un attimo le palpebre per incassare il colpo.
“Che ne sai?”
Il suo tono è più aspro di quanto avrebbe voluto e di quanto Iwaizumi si sarebbe aspettato.
 
Vorrebbe rispondergli che lo conosce fin troppo bene, ma si trattiene quando incrocia la sua faccia piegata in una smorfia. Quegli occhi gli stanno scavando un’enorme buca dentro, alla ricerca di qualcosa.
“Sei geloso?” continua Oikawa.
Ah, bastava così poco per capirlo?
“No.”
La risposta di Iwaizumi arriva in fretta, ma è una bugia enorme e ha il cuore in gola.
“Dico solo che sembra difficile e stancante starle dietro e, sì, è fastidiosa. Mai quanto te, comunque- quindi direi che, ecco, siete una coppia perfetta!” sbotta chiudendo il quaderno e alzandosi in piedi, il respiro un po’ spezzato e la frase che risulta quasi sconnessa, tanto fa fatica a pensare.
 
“Sei geloso perché io e te non stiamo più insieme tanto come prima…”
Non è neanche più una domanda e il suo tono sembra in qualche modo triste e paradossalmente fiducioso, alle orecchie di Iwaizumi. “… E mi devi condividere con lei.”
“Piantala, non sei una proprietà da condividere.” risponde seccato, scuotendo la testa e riponendo tutto nella sua borsa. “E se anche lo fossi non saresti mio, quindi non cambia nulla, no?”
 
Oikawa spalanca gli occhi a quella frase. Quel pronome possessivo suona strano. Sembra che Iwaizumi abbia fatto fatica a pronunciarlo.
Lo guarda mentre si mette la borsa in spalla ed esce dalla stanza, lanciando in aria poche parole aride e non particolarmente articolate riguardo al dire a sua madre che non starà a cena.
Oikawa però non lo sente, troppo impegnato ad ascoltare il battito che sente fin nelle orecchie.
 
Non è vero. Non è vero, come può dire una cosa del genere? Non esiste al mondo persona che lo conosca meglio di lui, che sappia distinguere subito ogni sfumatura nella sua voce, ogni piccola ramificazione del suo carattere; che lo capisca, che possa supportarlo e sopportarlo come fa lui. Nessuno, nessuno davvero, neanche lei -tanto meno lei-, lei che è fiore, ma un fiore e basta, messo in un vaso pieno d’acqua e senza radici.
Certo che sarebbe suo. Lo è già. È sciolto tra le sue dita.
Non è difficile ammetterlo, anzi, a quella conclusione forse è giunto fin troppo facilmente e gli si stringe il cuore.
 
“Iwa-!”
Si alza in fretta e quasi inciampa, perché per un brevissimo momento il ginocchio buono sembra essere l’unico a volerlo sostenere.
Lo raggiunge e gli appoggia una mano sulla spalla per fermarlo in mezzo al corridoio poco illuminato.
Iwaizumi si volta e indietreggia di qualche centimetro, perché proprio non si aspettava di trovarselo così vicino. Lo guarda in faccia e odia dover alzare leggermente la testa per farlo.
 
“Perché stai con lei?” chiede sottovoce, per non farsi sentire dai genitori, che sono sicuramente in qualche stanza non troppo lontana. Il bisogno di avere una risposta è così forte che è impossibile non percepirlo, in quel tono un po’ roco, un po’ abbacchiato.
Gli occhi di Oikawa lo fissano colpevoli. Ad Hajime sembra di captare qualcosa e rilassa le spalle tese.
Perché è così che funziona, pensa, come se fosse la risposta più naturale, mentre sente le mani di Oikawa chiudersi sulle sue braccia.
Perché Oikawa è bello e popolare e costantemente circondato da ragazzine di quel genere, e forse è ovvio che voglia accontentarne qualcuna, ogni tanto. Sembra il genere il cosa che sceglierebbe di fare a cuor leggero, non per cattiveria, non per illuderle crudelmente ma perché è facile e piacevole, per lui, sorridere e farsi amare. Ne ha bisogno, anzi.
 
Iwaizumi sente il petto contrarsi quando si rende conto che farebbe qualsiasi cosa pur di tenergli la mano come lui fa con lei. Non vuole i nomignoli, non vuole le smancerie, le parole costruite e finte e dette solo perché hanno appena diciott’anni e possono divertirsi a inventare storie d’amore della durata di qualche mese. Vorrebbe solo che amasse lui e che lo facesse davvero, senza tragedie, senza sforzare nulla, e invece deve sprecare tutto quel tempo in qualcosa di così chiaramente vuoto, anche se Oikawa ha provato a difendersi, debolmente e invano.
 
Accettarlo senza falsi compromessi è liberatorio, ma fa anche male. È un primo passo, ma i macigni sul suo stomaco non sono ancora scivolati via, perché un’altra parte di sé gli dice che è meglio così, per Oikawa. È meglio, per lui e per il suo futuro, che si tenga stretta quell’immagine di ragazzo perfetto e che lasci da parte cose equivoche o infamanti, per il suo bene.
E Iwaizumi vuole solo il suo bene e nient’altro.
 
Una ragazza senza volto era saltata nelle loro vite come un animale selvatico che si butta improvvisamente in mezzo alla strada dopo essere balzato fuori dalla boscaglia, sorprendendo tutti. Oikawa l’aveva afferrata al volo perché pensava che sarebbe stata una bella esperienza, che sarebbe stato rilassante e carino godersi una relazione alla luce del sole, una relazione che potesse essere considerata normale, che non lo facesse sentire strano o fuori posto. Pensava che sarebbe stata una bella occasione per soffocare qualcosa che, ora è così ovvio, non poteva essere soffocato.
Deve dirglielo, ma si ritrova senza voce.
 
Iwaizumi gli rivolge uno sguardo tagliente e Oikawa se lo ripete: non può soffocare quella sensazione. Non può. Non può, o finirebbe lui stesso, senz’aria.
Si sente una merda mentre fa scorrere le mani dalle sue spalle alla sua testa e si avvicina. Si china quel poco che basta e sta per sfiorargli le labbra, ma si ferma con un verso strozzato non appena l’altro gli preme una mano sul petto.
 
“Non fare cose stupide.” bisbiglia con una certa durezza, anche se dirlo lo uccide ed è consapevole che Oikawa può sentire le sue dita tremare all’altezza del cuore, dove le ha appoggiate.
È convinto che lo stia facendo solo perché preso dalla foga del momento, o dal senso di colpa. Si sente in dovere di ricordargli in che situazione è, di schiaffeggiarlo metaforicamente per fargli riprendere lucidità, perché non vuole che se ne penta.
Oh, sarebbe stato così facile lasciar correre e mandare tutto in malora, lasciare che lo baciasse: facile, forse soddisfacente, ma anche ingiusto e sleale, soprattutto nei confronti di Michiko, e non poteva davvero permetterlo.
“Non sto per cena.” ribadisce, prima di dargli due deboli pacche sulla spalla e uscire da quella casa, non prima di aver salutato i genitori di Tooru.
 
Oikawa sente la porta chiudersi e torna in camera, come in trance, mosso da fili come una marionetta. Si lascia cadere sul letto, seduto, e il materasso molleggia sotto di lui.
Non si aspettava tutto quello.
Avrebbe voluto che Hajime gli dicesse che gli piacevano, lui e Michiko. Che lo vedeva bene e felice, con lei, nonostante forse fosse palese che non fosse poi così tanto vero. Così si sarebbe messo il cuore in pace, avrebbe potuto sigillare per sempre quel sentimento.
Voleva ricevere un aiuto da Iwaizumi, una piccola spinta che gli dicesse “Certo, continua così, stai facendo bene!”. Una spinta giù dal burrone.
 
Eppure, l’inquietudine di Hajime era straripata dai suoi occhi e dai suoi gesti troppe volte e troppo violentemente e quel giorno, dopo quella domanda, era stato tutto troppo.
Si porta le mani alla faccia e si nasconde, forse vergognandosi.
Non poteva ignorare lui, e non poteva ignorare se stesso, e prendere in giro tutti era faticoso e deleterio e il cuore che batteva furiosamente lo stava avvisando che, basta, quello era il limite.
 
***

Il giorno dopo hanno allenamento, dopo le lezioni.
Oikawa si è coperto male le occhiaie e Matsukawa non si risparmia dal prenderlo in giro.
Non è uno dei loro allenamenti più brillanti, né per Oikawa né per Iwaizumi, e forse c’è un po’ troppo silenzio, ma niente di disastroso.
Non sembra essere successo qualcosa di davvero grave tra loro due, ma si sente la tensione e quell’irrequietezza si riflette su tutta la squadra.
 
Iwaizumi si asciuga i capelli con l’asciugamano non appena esce dalle docce dello spogliatoio, gli occhi fissi nel vuoto, chiaramente pensieroso. Si avvicina al suo borsone, non vede Oikawa nei paraggi e non chiede neanche agli altri dove sia finito, perché ha capito, con un piccolo moto di delusione, che se n’è già andato.
 
Si veste in tutta calma e si mette la borsa a tracolla: esce quando non c’è più nessuno, dopo aver controllato che fosse tutto  a posto, perché tocca a lui chiudere a chiave.
 
Sta facendo buio, ma quasi subito una sagoma cattura la sua attenzione. È una figura nera, un’ombra, e sta accovacciata dietro uno degli alberi sul retro della palestra.
Si guarda attorno prima di avvicinarsi, prudente e corrucciato. Si blocca quando vede le piccole spalle che si scuotono. Ha le gambe strette al petto, circondate dalle braccia, la testa affondata tra le ginocchia.
Non dev’essere molto comodo stare seduta su delle radici con una gonna, tra qualche foglia caduta prematuramente, soprattutto perché c’è una lieve brezza, fresca ma fastidiosa.
 
Quei capelli lunghi e lisci come la seta sono inconfondibili.
“Michiko?” chiama cauto, inginocchiandosi accanto a lei per assicurarsi che stia bene.
“No!”
L’urlo è un po’ stridulo e la sua mano sottile e morbida si posa, in un tentativo di spingerlo via, sul braccio che Iwaizumi stava tendendo verso di lei.
“Vattene!”
Iwaizumi ritrae la mano come se un gatto avesse provato a graffiarlo.
Sente che il suo tono è arrabbiato, spazientito, ma percepisce chiaramente le lacrime tra le parole, anche se ha ancora il viso nascosto. Capisce che è successo qualcosa con Oikawa e non capisce se quella sensazione alla bocca dello stomaco è felicità o nausea.
Un po’ si pente di essere andato fin lì per controllare, perché in quel momento preferirebbe di gran lunga sgattaiolare via.
 
La ragazza singhiozza e Iwaizumi non sa cosa fare, ancora inginocchiato davanti a lei, incerto, perché sa di non poterla lasciare lì in quello stato.
“Michiko, vai a casa.”
“Stai zitto!” geme mentre alza la testa. Iwaizumi non fa in tempo a sposare lo sguardo e rimane pietrificato
Ha una faccia. Per quanto stupido possa suonare, per lui è sconvolgente e il tempo sembra smettere di scorrere in quell’esatto momento.
 
Il suo cervello si libera dalle catene e i suoi occhi finiscono col divorare voracemente tutti i dettagli che ora sono lì, davanti a lui, dai quali ormai è troppo tardi per scappare. Si sente come se lo stessero marchiando col fuoco.
 
Anche se i connotati sono deformati dalle lacrime, deve riconoscere che è veramente bella, ma non così celestiale come immaginava -l’aveva idealizzata troppo, davvero troppo, e si sente stupido perché ora vede che anche lei è umana, e lo spaventa molto meno.
 
La ragazza ha appoggiato la nuca contro il tronco dell’albero, gli occhi strizzati forte. Iwaizumi è sicuro che le sue labbra sarebbero piene e morbide se non se le fosse chiaramente mordicchiate fino a riempirle di chiazze rosse, quasi fino a farle sanguinare. Il naso è un po’ arrossato e gonfio per il pianto incessante, con qualche lentiggine sbiadita sparsa qua e là, le guance sporche del nero del mascara.
I capelli perfetti che incorniciano quel volto stravolto ora sono scompigliati e Iwaizumi ha l’istinto di metterglieli a posto, ma non riesce a muovere le mani.
 
“Ha sempre preferito te.” lo accusa tra i singhiozzi, ma non urla più. Apre gli occhi e Iwaizumi viene completamente inghiottito, assorbito da quei due buchi neri in cui non capisce dove finisca la pupilla e inizi l’iride.
Lo spinge ancora via e Iwaizumi, fin’ora in equilibrio precario, viene colto di sorpresa e finisce col sedersi per terra, i palmi aperti sull’erba fresca.
Si ritrova a guardarla con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati, sopraffatto da troppi elementi, dando attenzione a troppi fattori contemporaneamente.
 
“Mi ha lasciata.” continua a gemere, aspra, come se fosse colpa sua. “Non faceva altro che parlare di te, tutto il tempo, e lo so che mi ha lasciata perché tu gli hai detto qualcosa. L’hai convinto tu? Perché? Perché mi odi?”
Iwaizumi fa fatica a stare dietro alle sue parole e non sa quando intromettersi nel discorso, come incalzarla, perché parla veloce ed agitata. Non vorrebbe risponderle. Non perché ha paura, ma perché non ne ha davvero la voglia.
“Magari non sei la persona di cui ha bisogno…?” osa dire, cercando di essere franco, ma è conscio di non avere la benché minima idea di come affrontare un discorso del genere.
“Allora odia me? Cosa ho fatto per farmi odiare?”
La ragazza sembra pendere dalle sue labbra e Iwaizumi non sopporta quel comportamento, non sopporta quegli occhioni neri pieni di lacrime.
“No, io… Credo che ti voglia bene.” commenta il ragazzo, ed è totalmente sincero.
Sa com’è Oikawa. Non è certo un mostro dal cuore di ghiaccio. È sicuro che, in qualche modo, si sia affezionato, anche se non ha idea di come abbia fatto, visto che lui non riesce a trovare qualcosa di piacevole in lei oltre l’estetica.
 
Un cipiglio sempre più scuro che si fa strada sul viso di Michiko mentre elabora ciò che ha detto.
“Io volevo che mi amasse.” mormora con un’espressione che non le si addice affatto.
 
“Anche io.”
 
È solo un sussurro, ma è amaro e incontenibile e la faccia di Michiko si trasforma, diventa sconvolta.
Iwaizumi non capisce se per dolore, disgusto o rabbia. Un attimo dopo, però, si ritrova con la testa girata da un lato, la sua guancia che brucia e sfrigola e prima che il rumore secco svanisca del completamente nell’aria, capisce che tutte e tre le ragioni sono valide.
 
La sua testa non la insulta, e all’inizio se ne sorprende, perché diavolo se brucia.
Poi, però, torna lucido e si rende conto che lei non ha nessuna colpa, in tutto quello. Non è lei ad aver fatto sbagli e forse un po’ -ma solo un po’- riesce a capire quel comportamento. È innamorata e quel che le è successo dev’essere stato inaspettato, rapido, assolutamente imprevisto, dato il modo in cui Oikawa l’ha trattata fino al giorno prima. Non deve averle dato molte spiegazioni e può solo immaginare la sua confusione.
La conclusione di quel pensiero ha un che di indolente: prova una grande indifferenza per quello schiaffo e una grande pietà per quella ragazza ignara e bellissima e distrutta.
 
Prende un respiro profondo e batte le mani sulle proprie cosce prima di alzarsi con un gesto secco.
Michiko sussulta per la paura, portandosi automaticamente le mani davanti alla faccia, ma Iwaizumi si è solamente voltato e se ne sta andando, lasciandola lì, esattamente come gli aveva chiesto.
 
***
 
Oikawa non la smette di toccarsi le dita, nervoso e un po’ a disagio. Il che è strano, perché non gli è mai successo di sentirsi a disagio con lui.
 
Hajime si era presentato alla sua porta ed era entrato come una furia, una tempesta.
“Cos’hai fatto?” gli aveva chiesto, come se avesse commesso il peggiore dei peccati, mentre si toglieva le scarpe e quasi le lanciava via.
“Cosa?” aveva replicato Oikawa, indignato, seguendolo fino nella propria camera. “Non era quello che volevi?”
“Hai scelto il peggior momento per tenere in considerazione quello che voglio io!”
 
Aveva alzato la voce e Oikawa aveva serrato la bocca, ingoiando la risposta e lasciando che calasse un silenzio pesante che nessuno dei due aveva ancora spezzato.
Ora erano seduti uno accanto all’altro, sul bordo del letto.
 
“Pensi che io l’abbia fatto controvoglia? Sei davvero un cretino, Iwa-chan.”
 
Il mormorio di Tooru fa incassare ancora di più la testa tra le spalle ad Hajime, che stringe forte le labbra e sposta lo sguardo dal pavimento al ragazzo affianco a sé.
“Cosa vuol dire? Parla chiar-”
“Hajime.”
Vuole interromperlo e ci riesce alla perfezione, perché sa che è facile fermarlo, chiamandolo per nome.
“Ho pianto.” ammette, donando un nuovo tono alla conversazione, più calmo e pacato. “L’ho lasciata e ho pianto, ma non perché la amassi. Non fraintendermi, le voglio bene, la trovo dolce e simpatica, ma… Sono state lacrime di sollievo.”
 
Iwaizumi lo ascolta con attenzione, senza distogliere gli occhi dal suo profilo, neanche per un attimo. Vuole capire tutto, carpire ogni singolo particolare.
 
“Ieri non ti ho detto neanche un quarto delle cose che avrei voluto dirti.” confessa Tooru, avvilito e frustrato. “E oggi non riuscivo a parlarti. Neanche ora riesco come vorrei.”
Stanno ancora un po’ in silenzio.
“Mi sento sbagliato.” continua poi, quando riesce a trovare finalmente le parole giuste.
“Beh, sei stato un po’ un pezzo di merda con lei.”
“Iwa-chan!” lo riprende. “Non è vero, sei il solito insensibile.” conclude, sapendo benissimo di star mentendo, e non riesce a soffocare una risatina bassa e triste.
 
“Quindi, riguardo a ieri…”
Hajime riprende il discorso con un po’ di riluttanza, la mano che sfrega nervosamente i capelli corti e neri sul retro della nuca.
 
“Non sono felice se non sono con te.”
 
Le parole di Oikawa sono sicure e dirette e un po’ lo stupiscono. Hajime è sicuro che se le sia preparate già da prima, perché non possono essere così spontanee.
Sente il petto riempirsi di qualcosa, non riesce ad identificarlo ma è tiepido e piacevole, quindi non se ne lamenta.
Oikawa passa il braccio attorno alla sua vita e ad Hajime quel gesto riporta alla mente una scena decisamente non richiesta, che però gli scalda il cuore.
 
“Perché quell’espressione?” gli chiede Oikawa con un sorriso ambiguo. In realtà, si aspetta una risposta del tutto diversa da quella che ottiene pochi secondi dopo.
“Mi è venuto in mente quando ti portavo in giro in bicicletta, quando eravamo bambini.”
Oikawa non nasconde la sorpresa che gli si dipinge sul volto e in ogni piccola ruga.
 
“Ti sedevi sul mio portapacchi e allacciavi le braccia attorno ai miei fianchi.” racconta Iwaizumi, un po’ in imbarazzo e nostalgico. “Non c’entra, ma ho sentito qualcosa di molto simile, ora.”
Oikawa appoggia la testa sulla sua spalla e quello è il colpo di grazia per il suo cuore.
“Dicevi che ero pesante ma non ti sei mai rifiutato di portarmi in giro.” gli ricorda con una dolcezza che non può essere ignorata, la voce delicata.
Iwaizumi lo guarda di sbieco, un sorriso compiaciuto a piegargli le labbra. “Finché non si è rotto il portapacchi.”
Oikawa strizza gli occhi e stringe i denti al ricordo. “Maledirò per sempre le buche di quella strada di campagna…”
Era caduto sulla terra polverosa, i gomiti sui sassolini appuntiti, il polpaccio bruciato perché l’aveva sfregato contro la ruota. Si erano spaventati entrambi ma avevano riso con la pancia in mano fino alle lacrime, benché fosse stato fin troppo facile per Iwaizumi capire che quelle di Oikawa erano anche di dolore. C’era un motivo se lui si portava sempre dietro i cerotti.
 
Si ritrovano entrambi a ridacchiare sommessamente e Iwaizumi gli prende la mano libera dopo una breve esitazione. Quella sensazione è strana, perché non è sicuro di poterlo fare senza innescare la fine del mondo. Eppure non succede nulla.
Tutto in quella stanza rimane uguale, solo che le loro mani si toccano e le dita scivolano fino ad intrecciarsi.
C’è qualcosa di malinconico, nell’aria.
 
“Iwa-chan.”
“Sì.”
“Mi piaci da una vita.”
 
Hajime spera che non abbia capito che ha smesso di respirare, ma è piuttosto evidente.
Il bene di Oikawa, il suo futuro, tutti pensieri altruisti che aveva fatto il giorno prima, dove sono finiti? Qual è il bene di Oikawa?
L’unico rumore che si sente, per qualche secondo, è quello delle macchine che passano per strada.
 
“Pensavo di poter soffocare questa cosa, tipo… Metterla sotto una cappa di vetro per far estinguere il fuoco, sai?”
Oikawa, dopo aver pronunciato quella frase, si allontana per guardarlo dritto negli occhi.
“Ci ho provato, ma fa male.”
È visibilmente angosciato, nel dire quelle cose.
 
“Lo so.”
Iwaizumi capisce cosa intende e non ha davvero bisogno di altro, da parte sua. Gli prende la testa tra le mani e la stringe, in un gesto sembra volergli dire “Sei un idiota!” nel modo più amorevole possibile.
Non può fargli del bene senza renderlo felice, e se quello lo avrebbe reso felice allora era perfetto, perché rendeva felice anche lui.
“Lo so.”
Lo ripete, come se non fosse abbastanza, e le mani scivolano sulla sua schiena. Se lo porta contro e gli piace il rumore che fa la stoffa.
 
Oikawa si trova stretto in un abbraccio gentile, dentro al quale chiude gli occhi e inspira a pieni polmoni.
Un po’ gli viene da piangere, ma non ha intenzione di cedere, perché ha già pianto troppo negli ultimi due giorni ed è stanco di sentirsi fragile.
 
Le labbra di Iwaizumi si posano sul suo zigomo e lui piega il collo, sentendo tutte le angosce dissolversi nell’aria.
Evidentemente si disgregano fino a diventare polvere d’oro, perché tutto quanto attorno a lui risplende.
   
 
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