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Autore: Rosmary    11/09/2016    14 recensioni
(Questa storia partecipa come edita al contest Chi ben comincia è a metà del prologo indetto da BessieB sul forum di EFP)
È il primo Natale dalla fine della seconda guerra magica: un'eredità inaspettata regalerà ai protagonisti un rifugio lontano dagli odori insopportabili della morte, in cui ogni cosa sembra divenire nuova e possibile.
"Hermione delle volte pensava che vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel bisogno, ma spaventata allontanava il pensiero da sé all’istante e s’imponeva di dimenticarlo."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 

Prologo
 
Hogwarts dicembrina era sempre stata caratterizzata dalla neve, dalla pioggia e dal gelo. Quell’anno, invece, a ricoprire prati e tetti era un manto bianco meno spesso, il sole inorgogliva le giornate e il freddo calava mansueto sulla popolazione del castello. In molti erano convinti che la Natura avesse donato ai reduci di una guerra cruenta un mite inverno, capace di scaldare i cuori ancora ghiacciati dal dolore.
Mancava appena più di una settimana a Natale e quasi ogni studente sarebbe tornato a casa per festeggiare in famiglia la prima festività senza il tanfo di terrore e morte; malgrado ciò, gli insegnanti avevano dato ordine di addobbare l’intera scuola con luci e ghirlande incantate – era desiderio comune che si respirasse gioia.
Tra coloro che avrebbero fatto ritorno a casa c’erano anche Ginny e Hermione, che quella sera erano sedute intorno a un tavolino tondo della Sala Comune, con gli occhi curiosi puntati sulla lettera inviata loro da Molly. Mamma Weasley annunciava a entrambe le ragazze che avrebbero trascorso il Natale tutti insieme nella baita di montagna della – finalmente defunta – zia Muriel.

“Passeremo il Natale nelle Highlands scozzesi! È meraviglioso!” esclamò Hermione.

“Mamma e papà mi hanno raccontato che in passato passavamo lì ogni Natale, poi Fred e George hanno iniziato a fare magie spontanee e… beh, puoi immaginare. Io non ricordo niente, ero troppo piccola, ma Bill e Charlie mi hanno detto che, zia Muriel a parte, era un posto molto bello,” spiegò Ginny.

Hermione annuì con un sorriso mite: nonostante avesse avuto modo di conoscere zia Muriel e la sua totale mancanza di tatto, non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che nessuno, da Bill a Ginny, avesse versato anche una sola lacrima per la sua morte – era stata una sorpresa per tutti che avesse lasciato la baita in eredità a Bill e Fleur, soprattutto per la giovane francese, convinta che la prozia del proprio marito non avesse mai realmente gradito l’ingresso di una non-inglese in famiglia.
Proseguirono nella lettura della lettera e appresero che sarebbero partiti il ventidue dicembre da casa Granger e che avrebbero utilizzato mezzi di trasporto babbani – un’idea di Arthur per far sentire a proprio agio i genitori di Hermione, almeno così scriveva Molly.

“Come no,” commentò scettica Ginny, “papà non vedeva l’ora di salire su un ariopacco.”

“Si dice aeroplano,” corresse divertita Hermione. “La trovo una pessima idea, i miei genitori avrebbero potuto spostarsi assieme a me con una passaporta, così non ci sarebbero stati rischi di nessun tipo. Senza offesa,” guardò di soppiatto l’amica, “ma la tua intera famiglia in mezzo ai babbani temo possa essere un pochino vistosa.”

Ginny scoppiò a ridere, dicendosi più che concorde. “Chiuderanno papà al San Mungo babbano, vedrai. Lo prenderanno per pazzo, e Fred e George si faranno arrestare!”

Hermione poté figurarsi con facilità entrambe le situazioni e rise a sua volta. Uno sguardo all’ora tarda convinse entrambe a ritirarsi in dormitorio e rimandare al mattino seguente l’invio della risposta.
Quando Hermione, raggiunta la stanza e il letto, poggiò la testa sul cuscino e tirò su le coperte, avvertì una sensazione aliena invaderla: la serenità. Dopo anni, pensò, avrebbe trascorso un vero e inaspettato Natale in compagnia dei genitori ritrovati, della famiglia Weasley, di Harry e di Ron, il suo fidanzato Ron.
S’addormentò con un beato sorriso in viso, convinta che niente sarebbe andato storto – non quella volta, non in tempo di pace.

 
*

“Mamma non ne sarà contenta, affatto.”

Il commento di Ginny, come era prevedibile, dipinse una smorfia sul volto di Hermione. Erano trascorsi quattro giorni da quando avevano risposto entusiaste alla lettera di Molly, eppure la situazione era già cambiata. Quel pomeriggio, difatti, al termine della lezione di Trasfigurazione, la professoressa McGranitt – che proprio non aveva voluto rassegnarsi a smettere d’insegnare per svolgere la sola mansione di preside – aveva chiesto a Hermione di trattenersi e le aveva comunicato che gli elfi domestici di Hogwarts avevano acconsentito ad ascoltarla, giù nelle cucine, nel pomeriggio del ventidue dicembre. La ragazza non aveva potuto fare altro che accettare la decisione degli elfi, conscia che non le avrebbero mai concesso un’altra possibilità se avesse disertato quell’invito.
Erano mesi, ormai, che Hermione tentava invano di convincere gli elfi a prendere in considerazione i diritti dei lavoratori, ma non aveva avuto fortuna, nonostante l’appoggio insperato di Winky addolorata dalla morte di Dobby – malgrado gli elfi avessero preso parte alla battaglia di Hogwarts, agendo in autonomia e non su ordine di un mago o di una strega, non erano ancora pronti all’idea di poter essere trattati da pari e non da schiavi. Hermione li aveva più volte avvicinati nelle cucine e aveva spiegato loro cosa fossero i diritti, i doveri, cosa fosse la libertà di scelta e di disporre della propria vita; qualcuno aveva iniziato ad ascoltarla e nessuno, aveva notato, scappava più quando lei arrivava – piccole vittorie che la inducevano a ben sperare.

“Per me è molto importante dialogare con gli elfi domestici. Abbiamo combattuto una guerra in nome della libertà e dell’uguaglianza per tutti e tutti devono beneficiare di questa società rinata, o vincere non avrà avuto alcun senso,” spiegò Hermione.

Ginny si strinse nelle spalle: avrebbe davvero voluto capire il sentimento che animava Hermione, ma proprio non ci riusciva. Per lei, nata e cresciuta tra maghi, gli elfi non solo non dovevano essere liberati, ma non volevano essere liberati, e di questo era più che certa.

“Dobby era un’eccezione,” commentò sull’onda dei propri ragionamenti.

“Dobby era coraggioso, lo era abbastanza da sfidare la schiavitù e vivere la propria vita.”

Ginny era in disaccordo, ma preferì tacere, per nulla intenzionata a subire l’ennesima filippica dell’amica in stile C.R.E.P.A.; prese quindi a scrivere alla madre per avvisarla che Hermione li avrebbe raggiunti la sera del ventidue dicembre o, al più tardi, la mattina del ventitré.
Hermione scrisse righe identiche ai propri genitori, che aveva scoperto essere in rapporti confidenziali con Molly e Arthur, i quali avevano fatto visita più volte ai Granger, vogliosi di conoscerli e di creare coesione tra le famiglie – “ora che la cara Hermione è fidanzata col nostro Ron sarebbe stato sconveniente non approfondire la conoscenza dei suoi genitori” erano state le parole scritte dalla signora Weasley a Ginny.

“Anche questa è fatta.”

Hermione annuì, guardando i due gufi della voliera di Hogwarts allontanarsi con le missive tra le zampe. Le ragazze andarono via svelte da quel luogo maleodorante e si diressero alla Sala Grande per la cena.
Ginny, come ogni volta che giungeva sull’uscio della Sala, rallentava l’incedere, torceva le mani e s’ammutoliva. Hermione, anche quella sera, le strinse le dita sudaticce, le sorrise e l’accompagnò silenziosa sino al tavolo dei Grifondoro, dove Neville le accolse con un gran sorriso e abbandonò un bacio tra i lunghi capelli di Ginny. Entrambi sapevano bene quale immagine rievocasse nella mente della più piccola la Sala intera ed entrambi non potevano fare altro che confortarla in silenzio.
Fred Weasley non era morto in quel maggio di sangue, eppure tutti lo avevano creduto esanime. Erano dovute trascorrere nove lunghe, estenuanti e dolorose ore prima che il respiro tornasse ad abitare il corpo martoriato da calcinacci caduti – una morte apparente, così l’avevano chiamata i guaritori del San Mungo. Hermione ricordava ancora George, distrutto, insultare il gemello colpevole di essere quasi morto senza di lui, di averlo lasciato solo e in balia dei fantasmi per nove dannatissime ore – “Cos’è, Forge? Pensavi sul serio che prima o poi non avrei giocato un tiro mancino anche a te?!” erano state le prime parole di Fred, a seguito della quali Molly era scoppiata in un pianto liberatorio e felice.

“Perché sorridi?” chiese Ginny, notando l’espressione apparsa sul volto di Hermione.

“Nulla,” mentì lei. “Pensavo alla baita di montagna.”

“Ti piacerà, ne sono certa.”

Hermione annuì, bevendo colpevole del succo di zucca. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, né aveva mai pensato di parlarne con qualcuno, ma ogni volta che pensava al risveglio di Fred un calore particolare la invadeva e un adrenalinico sollievo le incurvava le labbra verso l’alto. Anche in quell’occasione, come in tutte le precedenti, spinse via i pensieri molesti e si dedicò ad altro.

*

Il ventidue dicembre giunse più in fretta di quanto avessero creduto. Ginny era allegra oltre ogni dire: finalmente avrebbe rivisto Harry.
Hogwarts, quell’anno, aveva aperto i battenti sfinita e in pezzi nella seconda metà di ottobre, su insistenza di un numero considerevole di famiglie di maghi, concordi nel preferire i figli in una scuola diroccata piuttosto che in casa a rigirarsi i pollici senza apprendere la magia. La McGranitt aveva acconsentito a seguito di una lunga e ponderata riunione con tutto il corpo insegnanti. Il risultato era stato una scuola abitabile e funzionale, ma non accogliente come lo era stata in passato: il campo di Quidditch era ancora in ricostruzione – con la conseguenza che non erano state formate le squadre e il campionato non era iniziato –, grosse porzioni del parco e degli interni del castello versavano ancora in condizioni disastrate, la Stanza delle Necessità era impraticabile e tutte le torri, a eccezione di quella Corvonero e Grifondoro – restaurate in fretta e furia per accogliere gli studenti –, erano inagibili, difatti le lezioni di Astronomia avevano luogo nella Sala Comune Corvonero.
Ron e Harry non avevano neanche ipotizzato un ritorno a scuola, entrambi avevano scelto di intraprendere la carriera di Auror approfittando che per i reduci di guerra non ci sarebbe stato alcun sbarramento: né diploma da esibire né test da superare – dopotutto, aver sconfitto il più grande mago oscuro di tutti i tempi era una referenza piuttosto importante. Hermione aveva manifestato la stessa risolutezza, seppure indirizzata verso il sentiero opposto: per lei quel settimo anno non era un semplice tassello per completare gli studi, era una pausa di serenità dalle brutture e dalle preoccupazioni – un anno, s’era detta, solo un anno come una ragazza normale, che frequentava la scuola, gli amici, il fidanzato, senza tanfo di morte a intossicare i polmoni. Ron non aveva mai capito realmente la sua scelta, era riuscito tuttavia a rispettarla e accettarla e Hermione gli era stata grata. Anche a Ginny non era dispiaciuto riprendere gli studi, era desiderosa di rivivere Hogwarts così come l’aveva sempre conosciuta – “non voglio che i miei ultimi ricordi di questo posto siano i Mangiamorte che ci insegnano a uccidere i babbani” erano state le sue esatte, e a detta di Hermione sagge, parole.

“Buona fortuna con gli elfi domestici,” salutò Ginny.

“Grazie. Saluta tutti da parte mia, vi raggiungerò al più presto.”

“Vi raggiungeremo, vorrai dire!”

“Fred!”

L’urletto eccitato di Ginny fece voltare più di una testa. Hermione scosse il capo rassegnata quando vide l’amica fiondarsi tra le braccia del fratello, che non tardò a stringerla in un caloroso abbraccio. Poco dopo, Fred si avvicinò anche a lei e la salutò con una pacca sulla spalla che Hermione, per qualche strano motivo, trovò fastidiosa – non che si aspettasse un abbraccio in grande stile, ma un po’ di calore umano forse sì.

“Cosa ci fai qui?” chiese Ginny. “E cosa dicevi prima a Hermione?”

“Parto anche io tra stasera e domani, devo sbrigare degli affari alla filiale che stiamo aprendo qui a Hogsmeade. Fornitori da incontrare, operai a cui dare le ultime dritte...”

“George?” domandò curiosa Hermione.

“Ci siamo giocati a gobbiglie chi dei due sarebbe rimasto a rompersi le pluffe prima di partire. Ho perso,” spiegò con un’alzata di spalle.

Le due ragazze non nascosero un ghigno divertito che Fred ignorò stoicamente.
Pochi minuti dopo, le carrozze con gli studenti in partenza erano pronte per mettersi in marcia. Hermione e Fred, all’esterno dei cancelli di Hogwarts, salutarono Ginny con la convinzione di rivederla di lì a un paio d’ore.

“Tu sai dell’idea idiota dei miei di viaggiare con roba babbana, vero?”

“Ovviamente,” rispose Hermione, senza sentirsi in dovere di difendere i signori Weasley – insomma, quell’idea era stata davvero idiota. Fred dovette registrare il mancato rimprovero, perché sorrise soddisfatto. “Quindi?”

“Quindi, io e te ci muoviamo con la magia. Passaporta fino a un paesino a metà strada e poi smaterializzazione.”

“E se io non fossi d’accordo? Non so quanto sia affidabile il tuo senso dell’orientamento.”

“Hermione, o ti sta bene o viaggi da sola, a te la scelta!”

Hermione arricciò le labbra infastidita. “E va bene,” acconsentì, “ma solo perché da sola rischierei di perdermi, con te il rischio è lo stesso, ma almeno siamo in due.”

Fred scosse il capo divertito. “Felice di avere la tua completa sfiducia! Mi faccio vivo io con un gufo per dirti quando si parte. A più tardi, donna di poca fede!”

Hermione lo guardò allontanarsi con quell’aria scanzonata di chi, la vita, la viveva con una spensieratezza illegale.
Dal risveglio dalla morte apparente, Fred era parso a tutti più vivo che mai: allegro, energico, spericolato – senza limiti –, impegnato a ripetere a oltranza che i sopravvissuti erano destinati a una vita più intensa, perché avevano sfidato la signora Morte e avevano vinto. Hermione, nel silenzio dei pensieri più audaci, lo invidiava: lei, diversamente, ancora percepiva nelle narici il lezzo della signora, ancora temeva che il male potesse tornare a germogliare in fretta e furia, ancora si sentiva ingabbiata in quei cerimoniali imposti dalla società – istruzione, lavoro, famiglia – che, alle volte, riuscivano a strizzarle il collo. Ron viveva i suoi stessi patemi, lo sapeva bene, e ogni bacio, carezza e abbraccio era un momento dal duplice volto: da un lato il desiderio di amarsi, dall’altro il bisogno di consolarsi. Hermione delle volte pensava che vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel bisogno, ma spaventata allontanava il pensiero da sé all’istante e s’imponeva di dimenticarlo.
In una manciata di minuti per la ragazza non fu più possibile seguire la figura di Fred, ma sapere che di lì a breve l’avrebbe rivisto le regalò un sorriso. Fu con evidente buonumore che Hermione si apprestò a raggiungere le cucine per affrontare gli elfi domestici.







 
Note dell’autrice: un saluto e un grazie a tutti coloro che sono giunti sin qui, spero abbiate apprezzato il prologo di questa nuova storia! Sono consapevole di avere una long in sospeso su Fred e Hermione, ma questa è stata un’idea improvvisa e non ho potuto fare a meno di darle vita. Molto probabilmente il racconto si snoderà in cinque capitoli e, nonostante tra i generi non vi sia il solito “commedia”, vi assicuro che non mancherà l’umorismo di Fred, semplicemente i temi portanti del racconto saranno più vicini a un registro “drammatico/introspettivo”. Concludo ringraziando ancora una volta chiunque stia leggendo queste note!
Un abbraccio,
Rosmary
   
 
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