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Autore: Vavi_14    12/09/2016    4 recensioni
Jungkook è rinchiuso tra le mura di un reparto psichiatrico ed ogni giorno lotta contro i fantasmi del suo passato, cercando risposte che continuano inesorabilmente a sfuggirgli. Abituato a combattere fino all’estremo, scoprirà presto i limiti del voler affrontare da solo un conflitto più grande di lui.
̴̴ Non sempre affidarsi a qualcuno è sinonimo di sconfitta.
***
«Jimin, sei stato tu ad insegnarmi che gli umani sono creature preziose, che vanno protette e che senza di loro il mondo sarebbe un posto arido e vuoto».
Ha ancora le sopracciglia aggrottate, ma stranamente mi lascia parlare.
«Ho imparato ad apprezzarli per come sono, con tutti i loro difetti e loro strambe abitudini. È stata dura all’inizio, non capivo perché dovessimo dedicare la nostra vita a proteggere degli individui così diversi e così lontani da noi». Faccio una pausa, il suo volto è meno teso. Sta iniziando a capire. «Ma è anche grazie a loro se ora so cosa vuol dire amare e dare la propria vita per qualcuno».
«Sei disposto a morire pur di salvare Jungkook?»
Conosce già la risposta, la legge nella mia anima.

***
[VKook/Vmin friendship ] Mini long.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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September/ October






 
 
 
21 Settembre. Ospedale di Seoul, reparto psichiatrico. Ore 9:30.
V.

Non mi parla di sua spontanea volontà, ma ho deciso di rimanere visibile. Devo affrontare la situazione adesso che è più vulnerabile, imponendomi.

«Vuoi molto bene all’infermiera, vero?»

L’approccio che uso non è esattamente il massimo, ma dopo l’ultima orribile nottata in cui gli ho rivolto la parola preferisco iniziare con qualcosa di più leggero.
Lui mi guarda allibito, di certo non se l’aspettava.
«Ti prego, dimmi cosa vuoi veramente e lasciami in pace» esordisce poco dopo, giocherellando in modo distratto con il lenzuolo.
In realtà è una domanda lecita, sono davvero interessato a sapere quanto quella persona sia importante per lui. Rimango in silenzio, in modo da fargli capire che sto aspettando sul serio la sua risposta. Jungkook mi guarda di traverso e lascia andare la testa contro la spalliera del letto, poggiando un braccio sul ginocchio piegato.
«Sei scemo o cosa? È solo un’infermiera, la conosco a mala pena».
Sono sorpreso, come può affermare una cosa del genere dopo quello che ho visto? Eppure ai miei occhi è tutto così palese.
«Lei ti ama». Mi sembra impossibile che non se ne sia ancora accorto, perciò provvedo a renderglielo noto.
«Che cavolo stai dicendo?» Adesso pare scosso, quasi adirato. Ho toccato un argomento che non gli va a genio. Forse gli umani non si sentono a proprio agio a parlare apertamente dell’amore, o magari gli angeli ne posseggono una concezione diversa.
«Smettila di dire stronzate. Il fatto che tu sia intervenuto quella notte non cambia le cose. Rimani sempre un’immagine che non esiste».
«Io sono un custode, non un’allucinazione».
«E che cos’è che staresti custodendo, la mia integrità mentale? No perché se non te ne fossi accorto sono rinchiuso in questo reparto psichiatrico da quasi sei mesi ormai. Bell’angelo custode!»
Ha dannatamente ragione, non posso biasimarlo. «Sono venuto qui per cercare di aiutarti. Per cercare di rimediare alle mie mancanze».
«Già beh, non credo di aver bisogno del tuo aiuto, V».
Sento una punta di acidità nella sua voce, però è la prima volta che mi chiama per nome e non riesco a trattenere un mezzo sorriso. Il filo rosso che una volta ci teneva uniti si sta pian piano ricomponendo.

«Ragazzo mio, non è molto intelligente ignorare i consigli di un angelo, specie se hai il privilegio di poterlo vedere».

Mi volto di scatto in direzione della voce roca che ha appena fatto sobbalzare Jungkook. Quasi non ci credo, è stata proprio la signora anziana del letto accanto al suo a parlare. Diamine, c’è decisamente qualcosa che non quadra: come fa a vedermi?
Jungkook la guarda con la bocca spalancata, sconvolto quasi quanto me. Forse adesso comincerà a capire che non sono affatto una delle sue creature immaginarie.
«Lei mi vede, signora?» Chiedo l’ovvio perché non so in che altro modo rompere il silenzio. Lancio uno sguardo a Jungkook, non vorrei crollasse di nuovo sul pavimento.
«Senza apparecchio sono praticamente sorda, ma ci vedo benissimo, che tu ci creda o no. E sei anche un bel ragazzo».
Questo è davvero inaspettato. Immagino che dovrei ringraziare, so che buona educazione farlo quando si ricevono i complimenti, ma Jungkook è più veloce e mi vince sul tempo.
«No aspetta, che cavolo sta succedendo? Lei non dovrebbe vederlo, non ha alcun senso. Io… lui è… ».
«Oh non è il primo che vedo e non sarà neanche l’ultimo» replica svelta la vecchietta agitando un dito e sbattendo le palpebre grinzose. Il suo aspetto pallido e trasandato non mi inganna, sento che è stato questo posto a ridurla così. «Ne vedo a bizzeffe di angeli come lui. E non solo, ci sono anche quelle stramaledette anime che vagano senza meta a tormentarmi giorno e notte. Ma dico, andassero a scocciare a qualcun altro, cosa può dar loro una umile vecchia?».
Alzo le spalle e le sorrido, negando con il capo come per dire che non lo so. Sono profondamente addolorato per lei; immagino che sia stata portata in questo posto a causa nostra, magari abbandonata da qualche parente che non aveva intenzione di prendersene cura. Vedere creature ultraterrene in questo mondo non è una colpa. È una condanna.
«Mi spiace che le sia toccata questa sfortuna, signora» .
«Oh, non preoccuparti. Almeno qui mi danno da mangiare. Ma le tue ali dove sono, tesoro? Non riesco a vederle».
«Avanti è assurdo!» Jungkook interviene nella conversazione, alzando i palmi verso il cielo e lasciandoli ricadere un attimo dopo lungo i fianchi. «Dopotutto anche lei si trova qua dentro, chi mi dice che non sia completamente fuori di testa?»
L’espressione della signora si fa più cupa. «Insomma, dov’è finito il rispetto per gli anziani? Ringrazia piuttosto di aver avuto un angelo custode come lui. A me è toccato un tipo scorbutico e pure bruttino. Senza offesa per la categoria, eh». Mi guarda con la coda dell’occhio prima di voltarsi dal lato opposto e riprendere a russare.
Rivolgo nuovamente le mie attenzioni a Jungkook e lo trovo, com’era prevedibile, in uno stato di totale confusione. Si passa due mani sul volto e si scompiglia nervosamente i capelli. «Ma perché tutte a me».
Il suo tono non sembra alterato, spero tanto che stia cercando di accettare la realtà dei fatti. Non posso aiutarlo se continua a respingermi.
Non stacco gli occhi da lui mentre si infila un cardigan sul camice bianco: di solito quando decide di andare a mensa, invece che farsi portare il cibo in camera, è un segno positivo.
«Tutto quello che voglio è aiutarti, Kookie».
Mi guarda con aria dubbiosa, storce anche un po’ il naso per come l’ho chiamato, poi sospira sconsolato: che sia la resa?
«D’accordo, ma ora lasciami solo. Ho bisogno di schiarirmi le idee».
Si è accorto che posso decidere autonomamente quando apparire e quando scomparire alla sua vista. Sono felice, ha finalmente compiuto il suo primo passo verso di me. Annuisco e faccio per obbedire, ma lui mi ferma con un gesto, come se si fosse appena ricordato qualcosa.
«Che volevi dire prima quando hai detto… lei ti ama?»
Oh cavolo, allora aveva ragione Jimin! È davvero qualcosa a cui tengono molto. Stavolta però decido di andarci cauto.
«Nel suo sguardo percepisco un forte desiderio di proteggerti e di vederti guarito. Ha premura di te come se fossi una persona a lei molto cara».
Jungkook chiude gli occhi e scuote lievemente la testa. «In questo caso, si può usare l’espressione “voler bene”, piuttosto che “amare”. L’amore è... beh, non è solo questo» replica poi, un po’ imbarazzato.
«Cos’altro è, allora?» Domando incuriosito. Poi improvvisamente mi ricordo delle parole di Jimin e di come, molto tempo addietro, mi avesse spiegato il particolare processo che portava gli umani a riprodursi. Essendo considerato un atto molto intimo, ne dedussi che doveva avvenire tra persone che si volessero davvero bene. O che provassero amore, per l’appunto.
«Intendi il sesso, forse?»
Jungkook mi guarda allibito, come se avessi appena pronunciato una parola tabù. Perché gli umani devono essere così complicati?
«N-no, non intendevo… oh, lascia stare. Sarà meglio chiudere qui la discussione. Ora… devo andare». Parla velocemente, a stento riesco a capirlo, e lascia la stanza in fretta e furia, a testa china.



9 Ottobre. Ospedale di Seoul, reparto psichiatrico. Ore 12:30.
Jungkook.

È trascorsa più di una settimana, ma fatico ancora a crederci. Il modo in cui mi guarda mi mette in soggezione: sento come se volesse scrutarmi dentro, portare alla luce qualcosa che a me sfugge. Sebbene abbia dei modi di fare discutibili e i suoi ragionamenti a volte lasciano molto a desiderare, la sua presenza mi fa star bene.
Da qualche giorno ho convinto il medico a diminuire la dose di medicine: la notte non dormo molto, ma durante il giorno sono più tranquillo e non ho voglia di trascorrerlo sdraiato sul letto a sonnecchiare. Devo essere presente a me stesso, trovare un modo per cavarmi da questa situazione. V è la mia ultima speranza.

Siamo entrambi seduti sul letto, uno accanto all’altro. Non c’è molto spazio, ma V ha detto che vuole vedere le cose dal mio punto di vista. Letteralmente.
Davanti a me osservo nitida l’immagine del bambino che gioca, sempre con la stessa palla rossa per le mani.
«Una volta piaceva anche a te giocare a palla, ricordi?»
È strano sentirlo parlare della mia infanzia come se ne avesse sempre fatto parte. Inoltre non mi sono mai soffermato a ricordare, perché qui dentro non mi è d’aiuto e poi fa dannatamente male.
«E andare in bicicletta. Non ho mai visto un bambino spericolato come te. Pur di vincere quelle stupide gare con i tuoi amici saresti finito sotto a una macchina».
Mia madre era terrorizzata dal mio comportamento. Mi sento in colpa per averla fatta preoccupare tanto, ma credo fosse proprio nella mia indole. Se penso a come sono adesso, quasi mi vergogno; un tempo avrei combattuto sino all’ultimo respiro per ottenere qualcosa. Allora perché qui sto gettando la spugna?
«Non dovrei dirtelo, ma quella volta in autostrada temetti di non riuscire a proteggerti».
«In autostrada?»
«Già, quando ti bendasti gli occhi per attraversare, come un emerito idiota».
«Ehi! Gli angeli non dovrebbero dire parolacce!»
Si volta a guardarmi fingendosi serio. «Neanche gli umani, se è per questo».
All’improvviso realizzo il significato delle sue parole. Dunque fu grazie a lui se nessuna macchina mi tranciò in due, quel giorno.
«Immagino che dovrei ringraziarti» mormoro allora, abbassando il capo.
Lo sento ridacchiare. «Non ce n’è bisogno. Sono nato per proteggerti, Jeon Jungkook».
Ogni volta sentirglielo dire mi provoca una fitta allo stomaco. È così strano pensare di aver avuto davvero qualcuno al proprio fianco per tutta la vita senza esserne mai consapevoli e senza potergli mai essere riconoscenti.
«Comunque dovresti provare ad abbandonarti ai ricordi, ogni tanto». Indica il bambino a pochi metri da noi. «A lasciarli fluire liberamente».
In quell’esatto momento il bambino si volta a guardarmi e sul suo piccolo volto tondo e levigato riesco a scorgere un sorriso sdentato fin troppo famigliare.


18 Ottobre. Ospedale di Seoul, reparto psichiatrico. Ore 13:30. V.

La mensa dell’ospedale sembra un mercato all’ora di punta. Non che io sia mai stato fisicamente in un mercato, ma so che gli umani lo dicono spesso per indicare un posto molto affollato. Jungkook è seduto ad un piccolo tavolino tondo e sta mangiando il proprio pasto, mentre io me ne sto poggiato alla parete accanto ai vassoi. Preferisco rimanere a distanza per non metterlo in difficoltà con gli altri pazienti, anche se in fondo nessuno può vedermi. Beh, a parte la sua singolare compagna di stanza.

D’un tratto passa di lì, casualmente, la solita infermiera. Sembra riluttante a fermarsi proprio davanti a Jungkook, ma poi cede e gli sorride. Lui ricambia.
«Come stai oggi?»
Sono lontani, ma posso sentire in modo nitido le loro voci.
Jungkook alza le spalle. «Sono lucido, per ora mi basta».
La targhetta argentata che la ragazza tiene attaccata al camice riporta a caratteri corsivi il suo nome: Song Mi Yon.
«Ultimamente ho dovuto fare una sostituzione in un altro reparto, per questo non sono più venuta».
Lui annuisce, comprensivo. «Non ti devi scusare con me. È il tuo lavoro».
Miyon sembra rendersi conto delle implicazioni di ciò che ha detto e dopo un saluto sbrigativo fugge via.
Jungkook rimane per un po’ a guardarla mentre si allontana e poi, quasi di scatto, si volta verso di me, lanciandomi uno sguardo colpevole. Mi scappa da ridere, è veramente un tipo singolare. Non smetterà mai di stupirmi. Gli lancio un’occhiata divertita di rimando e lui mette il broncio, tornando al suo cibo.


27 Ottobre. Ospedale di Seoul, reparto psichiatrico. Ore 2.35.Jungkook.

Ci risiamo. Sto sprofondando di nuovo. Ancora e ancora precipito, sempre più giù, e la voragine si allarga. Ho provato a reagire, sto provando ad ignorare, ma non funziona. Lui ha negli occhi la furia di una belva, io ormai non sono altro che un cucciolo indifeso che attende di essere mangiato. Sono accucciato sulle ginocchia, a terra, e mi tengo la testa con gli avambracci, aspettando che tutto questo finisca. Non so che in modo, non mi importa, ma deve finire.

Ho brividi, mi sento impazzire, sto tremando. V. Aiutami, ti prego.

In un attimo percepisco la sua presenza accanto a me; piega le gambe, imitandomi, e cerca di liberarmi il volto da quella gabbia di oppressione nel quale l’ho rinchiuso. Ho bisogno di lui, ma non voglio che mi veda in questo stato. Sono terrorizzato e non ho neanche più la forza di reagire.
«Voglio morire» confesso, al limite della sopportazione.
Lui fa resistenza ed è impossibile per me oppormi. «Guarda dentro te stesso, Jungkook».

Dannazione, non ho bisogno di altri enigmi, la mia testa è già un enorme punto interrogativo senza che un angelo ci metta il suo zampino.

«Ho provato ad ucciderlo, ma non ci riesco, in alcun modo» soffio fuori, esausto.
«Perché non è ciò che vuoi» replica lui, guardandomi fisso negli occhi e sorreggendomi il volto con due mani.
«Cosa?»
Odio quell’uomo, mi ha rovinato la vita. Ha picchiato mia madre davanti a me e mio fratello, ci ha derubati e infine umiliati dinanzi a coloro che un tempo consideravamo amici. Ci ha illusi con false promesse, ha preso in giro mia madre facendole credere che ci sarebbe sempre stato. Invece siamo stati abbandonati, per la seconda volta, in balia di un’esistenza grama.
«L’ho già trafitto con un coltello, capisci? L’ho fatto una volta, perché non posso farlo di nuovo? Voglio portare a termine il mio compito!»
Quella sera di un anno e mezzo fa non ci sono riuscito, ma ora devo tentare, anche se fosse solo in un’allucinazione, o non smetterà mai di perseguitarmi.
«Tu non sei un assassino, Jungkook».
Le parole di V mi trapassano come una lama affilata. Le pronuncia come se stesse parlando di una certezza incontrovertibile, come se lui mi conoscesse più di chiunque altro.
«Hai attaccato tuo zio per legittima difesa, non perché desideravi la sua morte».
«Non è vero!» Sta dicendo delle assurdità, nulla di tutto questo ha senso. «Io lo detesto, deve sparire!»
«È già sparito, Jungkook».
Fisso V ad occhi spalancati e per un attimo neanche le urla di mio zio giungono più alle mie orecchie. Sbatto le palpebre e scuoto la testa, non riesco a seguirlo. Lui smette di sorreggermi e socchiude gli occhi.
«Nessuna madre vorrebbe che suo figlio diventasse un criminale. Non l’hai fatto perché sai che non era giusto, Jungkook, anche se pensavi lo meritasse».
Continuo a non capire e il mio stupore aumenta quando vedo le sue iridi brillare dietro uno scudo trasparente che non è più in grado di proteggerle.
«Non è tuo zio che devi perdonare, Jungkook. Le urla che senti, la rabbia che percepisci, non sono le sue. Quell’allucinazione è il riflesso della tua anima».
Il cuore mi martella nel petto come se volesse fracassarlo e sento il respiro farsi più instabile. Ho bisogno d’aria.
«Io… non voglio essere come lui». È tutto ciò che riesco a dire prima che le lacrime di V diventino, finalmente, lo specchio delle mie.
«Tu non sei come lui. Hai sempre voluto bene ai tuoi genitori e sei stato loro vicino quando ne avevano bisogno. La morte di tuo padre era inevitabile, era malato da tempo, non avresti potuto fare nulla».
Nonostante il suo timbro sia dolce e conciliante, per la prima volta da quando mio padre non c’è più, non riesco a fermare i singhiozzi. Partono dallo stomaco, passano per il cuore e lì si caricano di paura, tristezza ed emozioni mai confessate, per poi riversarsi nelle pupille e riempirle fino a lavar via tutto ciò che gli occhi di un giovane uomo non dovrebbe mai poter vedere. Fino a quel momento mi ero tenuto tutto dentro, custodendolo gelosamente in un angolino segreto del mio corpo, illudendomi di poter tenere i ricordi sotto controllo, lontani dalla mia mente e al servizio della ragione.
«Perdona il te stesso che vorrebbe uccidere, Jungkook, perdona il te stesso che si sente in colpa per tuo padre. Sfoga tutta la rabbia che hai cercato di negare in questi ultimi mesi: smettila di far finta di essere forte e piangi come hanno fatto tua madre e tuo fratello».
Mi aggrappo a lui con entrambe le braccia, perché penso di non farcela a sopportare ancora questo dolore. Avvolge la mia anima minacciando di romperla in mille pezzi ma, nel frattempo, cancella tutto ciò che è lì e non dovrebbe esserci.

Vedo mio padre e i pomeriggi spesi insieme a passeggiare nei boschi; scorgo quel sorriso complice che mi rivolgeva quando la mamma si raccomandava di non allontanarci troppo e noi, di nascosto, andavamo alla ricerca di grotte segrete o fiumiciattoli lungo i quali costruire rifugi. Ricordo anche le raccomandazioni, le sgridate e le incomprensioni, ma niente sarebbe mai valso a ripagare la gioia e la sensazione di appagamento che seguiva il successivo riappacificarsi.

Non sento più nulla se non l’eco devastante e al contempo benefico dei ricordi, finché la stanza diventa buia e percepisco la coscienza abbandonarmi lentamente.


30 ottobre. Ospedale di Seoul, reparto psichiatrico. Ore 15:00. V

Jungkook dorme da due giorni ormai. Le sue condizioni fisiche sono stabili, ma i medici sono preoccupati e io non riesco a darmi pace. Solo standogli accanto ho capito veramente cos’è che lo tormentava; tutto ciò che temeva e che cercava di reprimere, si era palesato in lui sotto forma di allucinazione. In questo modo, avrebbe potuto immaginarlo come qualcosa di estraneo, che non faceva parte di lui. Ma inevitabilmente quei sentimenti cercavano di ritornare al mittente, chi più violentemente chi invece in punta di piedi, generando in Jungkook un eterno conflitto interiore.

Nelle ultime ore lo zio non si è visto e nemmeno il bambino con la palla. Nonostante questo cerco di non perderlo d’occhio perché il suo sonno è agitato e i medici stanno facendo ipotesi decisamente fuori luogo. Certo non sanno ciò che Jungkook ha passato e purtroppo non posso intervenire in questa situazione. Spero solo che si svegli presto.

L’infermiera oggi è passata tre volte. Una per misurare la febbre, una per portare le medicine e un’altra per prendere di nuovo la temperatura. Si è poi affacciata per controllare il rilevatore di pressione e il battito cardiaco almeno un’altra decina di volte. È buffa quasi quanto Jungkook.

Sua madre viene a fargli visita tutti i giorni e ultimamente cerca anche di restare oltre l’orario di ricevimento. In questo reparto sono molto fiscali, quindi è raro che le venga concesso più tempo da passare con Jungkook; vorrei tanto parlare e cercare di rassicurarla, ma tutto ciò che posso fare, adesso, è restar loro accanto.


30 Ottobre. Ospedale di Seoul, reparto psichiatrico. Ore 22.00. Jungkook.

Quando apro gli occhi, una sensazione di stordimento mi investe come un’onda anomala, neanche avessi dormito anni interi senza mai svegliarmi. V è rannicchiato sulla poltrona accanto al mio letto: giurerei che stia dormendo, ma non credo gli angeli ne abbiano bisogno. Muovo appena le gambe, intorpidite, e subito si alza in piedi per saggiare come sto. I capelli castani scombinati e quell’aria un po’ svampita lo fanno sembrare in tutto e per tutto un umano.
«Sto bene» gli dico, prima che possa avanzare qualsiasi tipo di richiesta. Non mento, mi sento davvero diverso.
Lui sorride, e quello strano sorriso rettangolare gli illumina il volto. «Mi fa piacere».
Ricambio il sorriso, voltandomi poi dalla parte opposta. La visione della fanciulla che piange, alla mia sinistra, rischia di farmi venire un attacco di panico; non che pensassi davvero di essermi liberato di tutte le allucinazioni nel giro di pochi giorni, ma non era di certo ciò che speravo di vedere appena sveglio. Cerco di mantenere la calma e noto in lei qualcosa di diverso: ha sempre il capo chino, ma non piange più. Strizzo gli occhi, la sua sagoma è sempre stata un po’ sfocata rispetto alle altre, eppure adesso scorgo in modo nitido i lineamenti del suo viso. Somiglia un po’ a mia madre, quand’era giovane, ma la forma delle labbra non è la sua. Se non fosse una totale assurdità, direi quasi che somigliano a quelle dell’infermiera.
«Vedo che stai iniziando a capire da solo» esordisce V, riferendosi alle mie presunte teorie sulla ragazza. Non sapevo potesse anche leggermi del pensiero.
Sospiro e prendo le medicine che ho sul tavolo: ne avrò ancora bisogno. Ingoio un sorso d’acqua e sento la porta della camera aprirsi. Miyon noona fa il suo ingresso con la solita cartellina stretta al petto e io le rivolgo un cenno con la mano. Non appena la vedo avvicinarsi mi accorgo che V è scomparso.

«Le tue condizioni stanno migliorando» trilla lei senza riuscire a trattenere un’espressione sollevata, mentre mi passa il termometro per misurare la febbre.
«Le allucinazioni come vanno?»
«Molto meglio». Lo dico facendo trasparire tutta la gioia che sto provando in quel momento. Ormai non ho più bisogno di nascondermi.
«Ero molto preoccupata per te, Jungkook».
Anche lei, a quanto pare, ha deciso di dire le cose come stanno. Non è affatto vero ciò che ho raccontato a V a proposito di noi due, ma in quel momento non riuscivo ad accettarlo e altri mille pensieri mi impedivano anche solo di provarci. Lei non è per me come tutte le infermiere e io non sono per lei un semplice paziente. Da quando mi hanno ricoverato qui dentro, Miyon noona si è sempre presa cura di me trattandomi con il massimo riguardo e prendendosi molto a cuore il mio caso. All’inizio pensavo lo facesse perché mi considerava come una sorta di fratello minore, ma presto ho capito che il nostro legame stava iniziando a diventare qualcosa di diverso.
Io ero, e sono ancora, irrimediabilmente attratto da lei.
«Temevo di perderti».
La bocca le trema e, prima che possa avere il tempo di risponderle, sento le sue labbra inglobare le mie in un bacio che è solo l’inizio di un lungo cercarsi. Rimane attaccata a me appena qualche secondo, poi cerca di ricomporsi e fa per sussurrare delle scuse, ma non le lascio il tempo, perché avvicino di nuovo il mio viso al suo e la coinvolgo in un nuovo bacio. Stavolta sento la sua lingua carezzarmi il palato e la lieve pressione dei suoi denti sulle labbra fa definitivamente crollare tutte le barriere che fino a quel momento ci avevano tenuti lontani. Le intreccio le dita tra i capelli, intenzionato ad avvicinarla più a me, ma anche stavolta è lei ad interrompere il contatto.
«Jungkook scusami, io… non dovevo…».
È rossa in volto e immagino di esserlo anch’io, anche se fingo di avere tutto sotto controllo.
«Non mi hai mica costretto».
Lei ha ancora il respiro affannoso e con un gesto veloce si sistema la morbida coda di cavallo, per poi recuperare in fretta e furia la cartellina che aveva malamente abbandonato sul pavimento.
«Sto lavorando, devo essere impazzita» borbotta tra sè e sè, poi solleva lo sguardo e mi trova ad osservarla.
«Davvero Jungkook, non so se sia la cosa giusta. Tu sei..»
Ti prego, fa che non stia per dire piccolo. Stranamente si ferma, forse alla ricerca della parola esatta.
«Maggiorenne». La precedo allora, con fare rassicurante.
Lei sospira e mi sorride, non del tutto convinta. «Ora devo andare. Torno presto». È il saluto con il quale si congeda.
«Quando uscirò da qui ti inviterò a cena e allora non potrai più rifiutare!» Dico tutto d’un fiato, prima di vederla sorridere di nuovo e chiudersi la porta alle spalle.

«Sta tranquillo, è cotta».

Salto sul letto neanche mi avessero piazzato una mina sotto al sedere. V è in piedi accanto a me, con le braccia conserte e l’espressione soddisfatta.
«P-perché sei ancora qui?! Pensavo te ne fossi andato!!»
«Nah, sono rimasto a godermi lo spettacolo».
«Bastardo!»
«Che c’è di male, scusa?»
«Potevi lasciarmi solo almeno cinque minuti!»
Alza le spalle, ridacchiando. «Quando mai mi ricapiterà di poter vedere da così vicino un bacio tra umani?»
«Beh, non lo so ma perché proprio il mio, accidenti!»
Ride ancora, sembra che il mio tono alterato lo faccia divertire. «Il timido Kookie che arrossiva davanti alle ragazze ora frequenta una donna adulta più grande di lui».
«Guarda che Miyon noona ha solo quattro anni in più di me, è una stagista!» Preciso, stizzito.
«Sì beh, come ti pare. Sei cresciuto, Jungkook».
Apro la bocca ma la richiudo svelto un attimo dopo, a corto di parole. La convalescenza qui dentro mi ha cambiato profondamente. Forse la mia corporatura si è indebolita, ma io ne sono uscito comunque vincitore.
«Tu cosa farai adesso?» Domando a V, cambiando discorso. Non ho mai chiesto troppe spiegazioni sul suo soggiorno straordinario sulla Terra, ma ora che la mia vita è giunta a un punto di svolta sono curioso di sapere come si dovrà comportare in quanto mio personale custode. Potrà tornare da dove è venuto, ma non potrà riavere le sue ali? Dovrà scontare qualche “punizione” divina?
«Beh, diciamo che il mio compito qui è finito». Leggo troppa tristezza nei suoi occhi e non credo sia dovuta solo al fatto di separarci.
«Ho rinunciato alla mia natura pur di aiutarti, Jungkook. Un angelo senza ali non può stare in paradiso, né in Terra, né in nessun altro posto».
«Che vuoi dire?» Gli sono davanti, immobile, in attesa di una spiegazione.
«Tra qualche giorno svanirò del tutto ed è come se non fossi mai esistito. Dimenticherai il nostro incontro ed io farò in modo che la tua mente modifichi i ricordi legati a me».
«No».
«Avrai un altro angelo custode, a te invisibile, che ti proteggerà così come ho fatto io».
Non voglio crederci, non può dire sul serio. Sento l’ansia cominciare a tormentarmi il petto.
«Non deve per forza andare così! Deve esserci un altro modo… io non parlerò a nessuno di te, lo giuro, ma non voglio dimenticarti. Non voglio».
Un bruciore fastidioso mi avverte che sto per mostrarmi di nuovo vulnerabile.
«Le leggi del cielo non si possono cambiare, Jungkook. Io ho fatto la mia scelta».
Mi asciuga con il pollice una lacrima che cade lungo la guancia, frenandone la discesa.
Lui ha fatto così tanto per me ed è frustrante sapere che non potrò mai sdebitarmi. Lo abbraccio di slancio, sentendolo ricambiare poco dopo.
«Sei il miglior custode che un umano possa desiderare».
Di nuovo, per l’ultima volta, ho l’occasione di rivedere quel sorriso rettangolare.
«Jimin sarà fiero di me».
«Jimin?»
Nel momento in cui pronuncio quel nome, V scompare definitivamente dalla mia vista e tutto ciò che mi rimane è la sua voce in lontananza, così calda e profonda come la sentii la prima volta.
«Addio, Jungkook».

 
Luogo sconosciuto. Ora sconosciuta. V

 

Jungkook è stato dimesso dopo circa un mese dal nostro ultimo incontro. I medici si sono raccomandati con lui affinché prosegua la terapia assieme allo psicologo, ma la quantità di farmaci che assume adesso è irrisoria rispetto a quella che gli veniva somministrata prima del mio arrivo. Io sono troppo debole per restare sulla Terra; la mia essenza si trova al momento in un limbo a metà tra umano e divino, in attesa di essere finalmente liberata da questa esistenza che ormai mi sta stretta. Ho fatto ciò che dovevo e non ho rimpianti. Un solo cruccio mi rende ancora pensieroso: il custode che verrà assegnato a Jungkook sarà all’altezza del compito? Riuscirà ad amare gli umani con la stessa intensità che mi ha trasmesso Jimin?

«Tu che dici?»
Non credo ai miei occhi quando, dal nulla, vedo comparire la sagoma di mio fratello, con quel solito sorriso sfacciato dipinto in volto.
«Jimin! Come fai a-».
«Dimentichi che tutti gli angeli condividono una forte connessione spirituale, fratello. Pensavi davvero che ti avrei lasciato svanire così?»
«Che dici, non possiamo cambiare le leggi divine».
«Non posso cambiarle ma posso aggirarle. In qualche modo».
Sono così contento di vederlo che a stento capisco ciò che sta dicendo. Lo lascio continuare.
«Trasferisci in me un po’ della tua essenza angelica» aggiunge svelto, sa che mi rimane poco tempo.
«Stai scherzando? Senza ali e dopo mesi sulla Terra è già un miracolo che non sia ancora sparito».
«Ne basta un pizzico».
Lo guardo scettico, ma dato che non demorde mi decido a farlo contento. Ormai non ho più niente da perdere. Gli prendo la mano e mi concentro, cercando di trasferire qualche piccola goccia della mia anima dentro la sua. Non è difficile, la connessione tra noi è sempre stata molto forte, solo che adesso temo di non esser più molto presente a me stesso. Il mio corpo sta svanendo e la sagoma di Jimin diviene sfocata.

«Ho rinunciato al comando degli angeli custodi per scendere di nuovo in pista. Era il minimo che potessi fare per te».
«Vuoi dire che-». Ormai non ho più forza neanche per parlare e Jimin finisce la frase al posto mio.
«Ho scelto di occupare il tuo posto come angelo custode di Jungkook. In qualità di ex-comandante mi è permesso farlo».
Credo di non aver mai provato emozioni così forti in tutta la mia vita. Forse il soggiorno sulla terra deve avermi condizionato, in qualche modo; da angelo non sono mai stato così emotivo.
«Ottenere quel ruolo è sempre stato il tuo sogno» dico, con nostalgia.
Lui annuisce. «Forse, ma non era il mio destino, Vasariah. Continuerò quello che hai iniziato e ti prometto che ci metterò tutto me stesso. Non so se la tua essenza sopravvivrà o meno all’interno del mio corpo, ma valeva la pena tentare. Se così fosse, potrai in qualche modo sentirti vicino a me e a Jungkook».
«Grazie» mormoro, commosso.
«Arrivederci, fratello». Sorride e tende una mano verso ciò che è rimasto di me. «Spero per te che questo Kookie sia un tipo apposto
» aggiunge, con tono fintamente minaccioso.
Rido, anche se ormai persino il mio timbro sta per svanire. «Lo adorerai».
Lui alza un sopracciglio, poco convinto, poi chiude gli occhi e ascolta le mie ultime parole.
«Arrivederci, Jimin».






















***
Vi ringrazio per essere giunti fino a qui. Non è una fan fiction dai temi facili e mi rendo conto che l’elemento sovrannaturale può non piacere a tutti (io stessa non amo particolarmente il genere, ma ho voluto tentare), in ogni caso sono contenta di averla condivisa con voi: magari qualcuno, prima o poi, l’apprezzerà! ^^
Non ho voluto approfondire la condizione medica di Jungkook perché non sono competente in materia e non avevo voglia di imbattermi in cose più grandi di me. Semplicemente ho voluto far intendere che la sua non fosse una vera e propria malattia, quanto più una condizione di malessere temporaneo; se vogliamo dargli un nome, possiamo identificarlo come Disturbo Post Traumatico da Stress, ma anche qui preferisco non indagare, dato che me ne intendo davvero poco. Il motivo per cui è ricoverato, oltre al fatto che la sua rischia di diventare una condizione patologica, sono sostanzialmente i suoi comportamenti violenti, seppur involontari, verso se stesso e verso “persone” che lui vede ma che in realtà non esistono. Spero abbiate compreso il significato che ho voluto dare a ciascuna allucinazione; la donna che piange è volutamente ambigua, mi piaceva l’idea di lasciare a voi libera interpretazione, anche se qualcosa è comunque accennato nel testo.

Nulla, dopo ciò tolgo il disturbo: ringrazio Martinarosenere per aver recensito e chiunque ha letto o leggerà questa storia, anche in silenzio.

Un bacio e alla prossima,
 
Vavi






 
  
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