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Autore: heather16    12/09/2016    1 recensioni
"...i loro nasi si toccavano, le labbra dell’uno potevano percepire il respiro dell’altra. Le strinse il visino pallido fra le mani. –Non cercarmi più. Te l’ho sempre detto Harley, che non dovevi provare a capirmi. E tu lo hai appena fatto.-"
Genere: Thriller, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harley Quinn, Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Joker'
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-Puddin.-
Il Joker rise, mettendo in mostra quei denti che sapeva essere tanto terrificanti. –Ciao zuccherino!-
Harley non ci pensò due volte, e partì a tavoletta. Il clown la guardò sparire dietro l’angolo. Solo allora Bill lo raggiunse. La folla di gente nel locale, agitandosi come una mandria di pecore perché in preda al panico a causa  dell’incendio, lo aveva risucchiato impedendogli di uscire. Il Joker era passato dal retro. –Capo, se la sta lasciando sfuggire così?-
-Oh, no Bill. Affatto.Proprio per niente.-
In quel momento corse fuori dal locale rosso in viso e sudato Ed, che aveva tentato fino ad allora di sedare la folla dopo aver fatto spegnere l’incendio. Per il barista rimasto fra le fiamme non c’era tempo di chiamare un’ambulanza, la cosa più importante era far andare via il clown senza lesioni fisiche, dato che quelle economiche c’erano già state. Senza guardarlo, lo scherzo mortale parlò:- Portami la macchina. Hai due minuti.-
L’uomo sapeva che il suo non era un semplice modo di dire, così cercò di muovere le sue gambette il più veloce possibile. Proprio sul retro del locale c’era il parcheggio degli ospiti speciali, che erano perlopiù spacciatori e trafficanti di donne. In un attimo Ed arrivò alla macchina. Solo allora si ricordò di non poterla accendere senza chiavi. Tornò indietro, vide che Bill lo aspettava, prese la chiave, corse di nuovo alla macchina. Era solo una perdita di tempo. Se quel pazzo ci fosse andato da solo a quella sua accidenti di auto, a quell’ora sì che sarebbe stato alle calcagna di quella testa calda bionda.
-Ecco, ecco la sua macchina mister J.-
L’uomo dai capelli verdi salì a bordo della Lamborghini, poi si sporse dal finestrino. –Bravo! Ma… leggermente in ritardo.-
Partì con un rombo potente. Ed non fece nemmeno in tempo a girarsi, a pensare a cosa lo avrebbe aspettato. Nel collo gli era stata già iniettata una siringa spessa come uno spillone da maglia, che rispondeva a tutti i suoi dubbi sulle intenzioni del Joker. Cadde per terra, morto all’istante. Bill sospirò, poi si avviò sul retro. Quel viscido tappetto doveva pur avere una macchina, e lui per seguire il clown ne aveva bisogno una.
Harley viaggiava a cento chilometri all’ora, per le strette strade della città. Un gelido sudore di terrore le colava dalle tempie, ghiacciandole il viso. Il suo Puddin non si era nemmeno preoccupato di lei. Mentre mandava uomini ad ucciderla, lui si divertiva all’Iced nightmare. Avrebbe almeno potuto mostrarsi dispiaciuto. E adesso lei doveva solo scappare, e pregare di essere più abile a nascondersi di quanto lui non lo fosse stato a  trovarla. Alla quarta curva a sinistra, dopo aver tirato sotto una decina di sacchi della spazzatura e qualche pantegana che fuggiva da un tombino all’altro, la bionda riuscì a riprendere un ritmo respiratorio regolare. Il cuore batteva ancora a mille, per il dolore, l’edrenalina, la rabbia. Per un attimo pensò persino di essere salva.
Fu con un’incredibile gioia che Harley ritornò in preda al panico, vedendo quella bella Lamborghini viola che le stava alle calcagna. Non si chiese nemmeno come lui fosse riuscito a raggiungerla. L’importante era che lui la stava inseguendo. La voleva ancora, il motivo non le importava.
In preda ad un’eccitazione folle, il clown seguiva ad ogni curva la Porsche metallizzata. Riusciva a fiutare l’odore della sua paura, dalle curve, dalle sterzate, poteva vederla in preda al panico scalare una marcia dopo l’altra, se la immaginava a guardare ossessivamente nello specchietto.
-Ti prendo, bambolina!-
Harleen si rese conto di stare andando verso il Robert Kane Memorial Bridge. Una volta a Pettsburg si sarebbe nascosta meglio. Sì, in qualche modo ne sarebbe uscita. E poi? Cosa ci sarebbe stato senza Joker? Non era possibile una vita del genere. Meglio la morte, ma una morte per propria mano. Il clown la stava uccidendo in ogni caso. Lei scappava, perché lui la voleva morta, ma lei non poteva vivere senza di lui, quindi sarebbe stata la fine lo stesso.
L’auto inchiodò di colpo. Era esattamente davanti al  Memorial Bridge. La bionda cominciò a correre sul ponte. Avrebbe fatto più in fretta ad andarci in auto, ma una parte di lei aveva un necessario bisogno di vederlo, di potergli parlare un’ultima volta. Se lui l’avesse presa, Harley avrebbe potuto guardarlo ancora negli occhi.
Si fermò proprio dietro alla macchina di lei, che riposava abbandonata in mezzo alla strada. Alzò la cornetta del telefono dell’auto. La chiamata ad inserimento rapido venne attivata con un bip.
-Dimmi J.-
-Al Memorial. Vieni qui.-
-Sissignore, mi dia un attimo.-
Il Joker chiuse la comunicazione. Poggiò il telefono con calma. Aprì la portiera, scese. Dalla macchina aveva ripescato un bastone da passeggio, che roteava fischiettando. Cominciò a camminare lungo il ponte. Harley era una scheggia ormai a un centinaio di metri da lui. La sua voce era cantilenante, infantile, meschina.
-Harley… Harley sono qui!-
La bionda continuava a correre. Quelle urla lontane erano frecce che si conficcavano nel suo cuore. Il suo Puddin, di nuovo così vicino a lei. Quella notte che sembrava non finire più. In una decina di secondi, correndo nella direzione opposta, si sarebbe potuta gettare fra le sole  braccia che la facevano sentire davvero viva, braccia che forse l’avrebbero stretta fino a renderla un corpo morto.
 Lui non aveva voluto ucciderla con le sue mani. Aveva ingaggiato altre persone, come se lei fosse stata una di quelle noiose seccature di cui le parlava sempre. Anche l’ultima goccia della forza della disperazione che le era rimasta scivolò via dal suo corpo esausto. Il sangue perso l’aveva prosciugata di tutte le forze, e il Joker le aveva tolto ogni sorta di determinazione. Stremata, cadde a terra. Le gambe non ne sapevano di muoversi. Un vento violento si alzò da est. La testa le girava, sentiva un freddo salire dai lombi fino alla fronte. Inutilmente cercò di massaggiarsi le gambe, non riusciva a muoversi. La figura del clown si stagliava davanti a lei, illuminata solo dalla luce bianca dei lampioni. Oltre quelle piccole sfere di luce, il definitivo nero della notte.
Si muoveva piano, camminando con calma. Lo sapeva che lei era fuori gioco. Il rombo di un’automobile. Bill era arrivato.
Harley vide una macchina accostare di fianco al clown. Ne scese un uomo. Il suo cranio luccicava alla luce del lampione. Bill. Il suo Puddin aveva addiritura chiesto dei rinforzi?
Fu quando realizzò con orrore che il Joker non avrebbe proseguito che iniziò ad urlare. La sagoma del gorilla si avvicinava sempre di più, ma quella del demone alto e magro, avvolto in uno smoking leggero, era rimasta ferma e lontana.
-Bastardo! Guardami in faccia! Non vuoi nemmeno vedermi, mentre muoio?- le parole di lei venivano disperse dal vento. Le lacrime ricominciarono a sgorgare, ma stavolta nessun sorriso le accompagnava.
Non l’aveva mai amata. Nessun amore poteva terminare così. Harley era pazza del Joker, letteralmente. Avrebbe sopportato qualunque cosa. Sarebbe morta per lui. Avrebbe lasciato che lui la uccidesse lentamente, tagliandola a piccoli pezzi. Ma quello non era morire per lui. Non le stava regalando l’ultimo spettacolo che avrebbe mai potuto vedere. La stava eliminando. Senza nemmeno guardarla in faccia. E in quel momento, non c’era neanche un briciolo di follia in ciò che le stava facendo. Bill era un normale sicario. Lei era una normale vittima di un normale criminale. Non poteva accettare che finisse così.
-Vedi amico mio, io non ho nulla di preciso contro di te! Ma sai, quando si è innamorati si fa di tutto! Harley deve vedere  cosa vuol dire uccidere, capisci? Oh, dimenticavo,  lei è Harley Quinn. Harley, questo signore gentile sta per farti vedere come si fa a morire.-
L’uomo legato alla sedia, imbavagliato per bene, sudava e tentava invano di muoversi e urlare.
Harley indossava un completo da crocerossina, i capelli raccolti in due codini dorati. Si chinò sul malcapitato. –è un grande piacere, sono così contenta di conoscerla!-
Il Joker rise. Mai si era divertito tanto. Viveva una fusione delle tre cose che gli davano maggior piacere, uccidere, Harley, e dare spettacolo. –Ora pasticcino, presta attenzione. Ognuno merita una bella morte. E io faccio magie quando uccido, questo lo sai. Solo i seccatori vanno fatti ammazzare da altri, non si meritano di essere trasformati da me. Fare quello che faccio sul corpo di un fastidioso parassita sociale sarebbe come dipingere una perfetta riproduzione di un Monet su un foglio di quaderno.-
-Orribile, orribilissimo, mister J.-
-Esatto piccola. Avrei voluto mostrarti come fare davvero la festa a qualcuno, ma stasera voglio portarti fuori a cena. Non abbiamo tempo di far tutto. Sai come si dice, non si può avere la libertà condizionata e l’agente di sorveglianza fatto a pezzettini nel congelatore. Dunque, facciamo una cosa di giorno. Ma prima…. Mettiamo un bel sorriso su quel faccione.-  il clown si tirò su le maniche della camicia lilla. Finalmente tolse il bavaglio all’uomo, che presto avrebbe potuto dare fiato ai polmoni. Il fiocco verde si tinse di rosso, quando iniziò a lavorare con il coltello e la faccia della vittima. Harley guardava ammirata, e rideva.
Il Joker, una volta completata l’opera, si girò verso la compagna. Le prese dolcemente il mento fra le dita sporche di sangue. –Vedi dolcezza, prima di chiudere in bellezza, devo fargli una domanda. Io lo chiedo sempre a tutte le mie vittime... Sarà perché me ne piace il suono! E anche da questo simpatico mattacchione voglio una risposta. - detto ciò si rivolse all’uomo, la cui faccia era uno spettacolo rivoltante. Si schiarì con aria teatrale la voce. Uno psicopatico megalomane, il più pericoloso degli incubi. - Dimmi una cosa amico mio... danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?1-
Poi il rumore dello sparo.  Il Clown guardò la ragazza. –Strano eh? Nessuno mi ha mai dato una risposta. Forse… sono io che non l’ho mai voluta sentire.-
Bill era a due metri da lei. Dalla giacca estrasse una pistola. Il colpo in canna, la mano ferma. Un metro. Voleva proprio spararle in faccia, rovinare quei tratti delicati e quei capelli di seta?
-Avanti, non mi vuole nemmeno dire addio?-
-Mi dispiace.-
Quel cuore, che resisteva da troppo tempo, ormai non reggeva più. Ma continuava ad appartenere a lui.
-Aspetta! Digli.. digli solo che stasera non c’è la luna. Non posso nemmeno ballare.-
Bill non si pose domande. Delle frasi sconnesse di quella pazza non si curava più di tanto, soprattutto ora che l’aveva sotto tiro. Harley guardò quel bestione. No, non voleva morire per mano di un sicario. Lei non sarebbe stata una normale seccatrice, un fastidioso parassita sociale. Poteva ancora farcela.
-Ti prego cowboy, non mi fare morire così! Dammi almeno un bacio.-
-Ah no pupa, io non ci casco! Ho a che fare con il tuo mister J ogni santo giorno, questi trucchetti con me non funzionano. Addio bambola.-
La pistola fece click. Solo click. Entrambi ne rimasero piuttosto sconcertati.
-Oh Cristo, si è inceppata!- quella forza che non aveva più ritornò in un ultimo rantolo di energie. Il destino le stava dando un’ultima, mortale opportunità.  Harley si alzò di scatto, balzando sul parapetto del ponte.
-Questa sì che è un’uscita di scena!- le sue ultime parole furono pronunciate con una voce cristallina, allegra. A Bill ricordò la sua bambina, il giorno di Natale, con gli occhi lucidi e il sorriso stampato in viso.
Si lasciò cadere nel vuoto, con la sua ultima, raggelante risata. L’aria che incontrava la massa del suo corpo che volava verso il basso sembrava strapparle la schiena.
Nessuno potè conoscere il suo ultimo pensiero prima che cadesse nel fiume ghiacciato. Sicuramente il suo rimpianto non fu quello di non aver lasciato che quel ragazzo sparasse al Joker, cinque ore prima in quella cantina piena di droga. Lo avrebbe salvato ancora e ancora, fosse potuta tornare indietro mille volte. L’acqua fu uno schiaffo al corpo intero. La caduta non era stata abbastanza lunga da ucciderla. il gelo pian piano diventò un mortale tepore.
Harley Quinn aveva fatto la sua uscita dal sipario terrestre.
 
 
E poi, quelle braccia. Quelle braccia che l’avevano sempre fatta sentire viva, ora la riportavano lentamente verso la superficie, per salvarla realmente dalla morte. Harley vide la luce lontana dei lampioni, sentì il vento ferirle il viso fradicio, i capelli intrisi d’acqua. E finalmente la toccò, quella pelle mostruosa, e sorrise a quel sorriso, di nuovo finalmente suo. Non riuscì a parlare, non ne aveva le forze. E infine, lui parlò.
-Non vuoi ballare con il diavolo, all’ombra del primo sole del mattino?-
Stremata, finalmente viva, finalmente salva, Harley Quinn cadde nell’oblio fra le braccia del Joker, che l’aveva punita con il piacere e le aveva dato piacere con la sofferenza.2
All’orizzonte, tingendo l’acqua di rosso, spuntava l’aurora.
 
 
 
1= dal film “Batman” del 1989
2= tratto dalla canzone end of all days dei 30 seconds to mars
Considerazione personale
Sono le tre e trentasette del mattino, ma questa storia non potevo non finirla. L’ultima scena ricorda forse quella di Suicide Squad, ma il significato è ovviamente un altro. In questo caso il Joker non crea una nuova Harleen, ma dona ad Harley la possibilità di vivere.
Ed ora la mia piccola grande notizia. Quando mi sono ritrovata a scrivere un flashback nel capitolo precedente, ho trovato molto interessante parlare dell’evoluzione del personaggio di Harley Quinn. Perciò, se non c’è pane senza burro, se non c’è amore senza odio, allora non ci sarà nemmeno una storia…. Senza prequel.
 Non è finita qui, quindi spero seguirete la prossima serie, che pubblicherò prossimamente.
Una piccola chicca. Vi suggerisco caldamente di anagrammare le iniziali dei nomi dei morti di questa storia.
Spero il mio lavoro vi sia piaciuto. In caso contrario… why so serious?
  
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