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Autore: MaxB    12/09/2016    8 recensioni
Seguito di Mi presenti i tuoi? e Mi presenti la sposa?
Per Gajeel e Levy è giunto il momento di sposarsi.
La ragazza ha accettato la famiglia del futuro marito, con tutti i pro e i contro che derivano dall'avere una suocera sclerotica e un suocero... sposato con un sclerotica. Forse non ci sono pro...
Però Levy ama i suoceri quanto ama Gajeel, e il loro desiderio di avere dei figli si trasforma presto in realtà.
Ma... come reagiranno nonna Belno e nonno Metallikana alla notizia?
Zio Igneel darà fuoco a qualcosa? E zia Grandine dovrà trapiantare un cervello nuovo a qualcuno?
Be', chi leggerà vedrà! E forse ringrazierà la propria, normale famiglia per essere, appunto, normale.
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Ultima, conclusiva one-shot della serie "Le presentazioni della fam. Redfox".
Non c'è limite al delirio quando c'è Natsu in giro!
Genere: Demenziale, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Igneel, Levy McGarden, Metallikana, Natsu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le presentazioni della fam. Redfox'
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 Mi presenti i nipoti?


- Nipotini?! – esclamò Belno, facendo sussultare sia Levy che Gajeel.
Metallikana era troppo abituato a sua moglie per spaventarsi dei suoi urli improvvisi, così continuò a mangiare tranquillamente.
- MI PRENDETE IN GIRO?! – gridò ancora, facendo alzare gli occhi dal piatto persino al marito.
- …no – mugolò Levy, facendosi piccola piccola.
- NIPOTINI?!
…forse è il caso di tornare un po’ indietro con la storia.

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
A metà aprile, come da organizzazione, Levy e Gajeel si sposarono.
E il loro, oltre ad essere un matrimonio poco ortodosso, fu anche memorabile.
Levy si presentò puntualmente in chiesa, la mattina della cerimonia, vestita e acconciata di tutto punto. Si emozionò pensando al fatto che per quella stessa navata, molti anni prima, sua mamma e sua suocera Belno avevano compiuto lo stesso, ancestrale percorso che l’avrebbe condotta a suo marito.
Suo marito.
Levy si asciugò una lacrima con la mano guantata di bianco, senza però lasciare il bouquet di gigli e rose rosa. Alle sue spalle, Lucy e Juvia le reggevano il lungo velo che partiva dal cerchiello perlato che portava sulla sommità del capo. Un amico di Lucy, Cancer, le aveva acconciato i capelli in un morbido chignon da cui scendevano due o tre ciocche arricciate. Alcuni ciuffi della frangia di Levy erano stati lasciati liberi di ricadere sulla sua fronte in soffici onde, in modo da ammorbidire i tratti del suo viso già dolce e rendere meno austera l’acconciatura.
Il vestito era… principesco. L’unico aggettivo da usare era quello, perché chiunque, vedendolo, avrebbe potuto scambiare Levy per una principessa. Il corpetto le fasciava la vita e si apriva a cuore sul seno, mettendo in risalto la sua figura snella e il suo seno non abbondante, ma decisamente morbido ed equilibrato. I guanti che le arrivavano fin sopra il gomito la proteggevano da quel freschino che sanciva il confine tra l’inverno e l’agognata primavera, che quel giorno sembrava aver regalato agli sposi un’anteprima di qualche settimana. Dalla vita, stretta in una fascia dello stesso colore rosa dei fiori del bouquet, si apriva una gonna vaporosa che faceva sembrare Levy ancora più minuta ma, senza ombra di dubbio, ancora più simile alla protagonista di una favola.
Una di quelle belle.
Nella panchina in prima fila, Belno piangeva, fasciata nel suo vestito azzurro attillato che metteva in risalto la silhouette mozzafiato a dispetto dei cinquant’anni che lei, comunque, non dimostrava. Metallikana, infilato nello smoking dello stesso colore azzurro del vestito della moglie, si agitava inquieto, per quanto sua moglie, stretta a lui, glielo permettesse.
Metallikana odiava l’azzurro, ma la moglie e la nuora l’avevano praticamente costretto a comprare quel vestito quando si erano rese conto che, vestiti di entrambi di nero, Gajeel e il padre sarebbero stati confusi da tutti. Mogli incluse. I capelli selvaggi dell’uomo erano raccolti in un’elegante coda bassa, mentre quelli di Belno, corvini nonostante qualche capello bianco ad adornarli, erano raccolti in una treccia laterale in cui erano stati accuratamente incastrati dei fiori azzurri come il vestito.
Levy le sorrise passandole davanti, facendola piangere ancora di più.
Quello che nessuno si aspettava, invece, era di vedere Gajeel piangere.
Piangere senza ritegno e abbracciare Levy nel momento in cui si fermò davanti a lui.
Il prete si schiarì la voce due o tre volte, prima che Natsu e Gray, i testimoni dello sposo, si avvicinassero per farlo allontanare da Levy.
La ragazza e le sue testimoni, Juvia e Lucy, alle sue spalle, non poterono fare a meno di sorridere intenerite. Le due amiche portavano lo stesso vestito monospalla stretto sotto al seno, uno di colore azzurro e l’altro rosa come le camicie dei rispettivi fidanzati.
C’erano stati dei disguidi non trascurabili con gli inviti al matrimonio, dal momento che nessuno sapeva che le amiche di Levy erano, fortuitamente, le fidanzate degli amici di Gajeel.
Perciò, nel momento in cui Levy aveva invitato al matrimonio Lucy, Kana, Mirajane, Lisanna e le altre amiche alla cerimonia, loro erano andate nel panico.
Casualmente, infatti, i loro fidanzati erano stati invitati al matrimonio di un loro amico.
Lo stesso giorno.
Alcune ragazze avevano dovuto rifiutare l’invito di Levy, altre avevano deciso di lasciare andare da solo il proprio ragazzo, e viceversa.
Poi, nel momento in cui Levy aveva proposto di spostare la data del matrimonio e, stranamente, anche l’amico dei ragazzi l’aveva spostata, le ragazze avevano iniziato a farsi qualche domanda.
Del tipo: “Ma non è che forse siamo invitati allo stesso matrimonio?”
Be’… sì.
Perciò, alla fine, le cose si erano concluse per il meglio, con una sana scazzottata tra i ragazzi, che si erano incolpati a vicenda di essere degli idioti.
Levy e Lucy invece avevano scoperto di essere quasi cugine, dal momento che si sarebbero sposate con Natsu e Gajeel. Almeno due cugine che andassero d’accordo…
La funzione procedette senza intoppi, se si esclude il fatto che Gray ad un certo punto si trovò senza camicia. L’attenzione di tutti fu così calamitata dal ragazzo che cercava l’indumento, aiutato da Juvia, e dagli sbuffi del prete che mormorava che non era consono presentarsi in chiesa a petto nudo.
Natsu iniziò a sghignazzare senza ritegno, per poi prendere fuoco.
Sì, Natsu prese fuoco per colpa di una candela posata leggermente troppo vicino al suo braccio.
Dopo uno spogliarello, un intervento dei vigili del fuoco (ossia di Igneel, che prese fuoco come il figlio nel tentativo di spegnerlo), una medicazione lampo da parte di Grandine e un pugno dello sposo diretto al cugino ma deviato in faccia al prete (ops), la funzione continuò senza intoppi.
…sì.
La piccola Wendy portò le fedi ai due neosposi, guadagnandosi un sorrisone di Levy e una pacca in testa da Gajeel. E una caduta dai tre scalini che la separavano dalle panchine in prima fila. Anche lì, dunque, due minuti di pausa per assicurarsi che la paggetta fosse sana e salva.
Inutile dire che, nel momento in cui i due sposi poterono baciarsi, il sospiro di sollievo dei presenti al matrimonio risuonò all’unisono. Metallikana, dopo un minuto di bacio, fu costretto ad urlare: - Prendetevi una stanza, santo cielo! – dal momento che Gajeel sembrava essere deciso a procreare lì, davanti a tutti, sull’altare di una chiesa.
Ghignando con gli occhi pieni di lacrime “a causa del fumo dell’incendio”, Gajeel si caricò la moglie in braccio e, tutto tronfio e orgoglioso nel suo smoking nero con cravatta blu perlata e camicia candida, uscì dalla chiesa tallonato da un Natsu con la giacca bruciata e fumante e da un Gray senza pantaloni, che fu costretto a scappare dal prete imbestialito.
 
Fare le foto per l’album di matrimonio fu praticamente impossibile.
Gajeel, infatti, attentò alla castità della sua nuova mogliettina (…castità… sì… si fa per dire) non appena misero piede nella macchina del ricevimento, la macchina di Levy.
Quella macchina senza la quale non si sarebbero mai incontrati.
Levy si servì di tutto il suo autocontrollo e della sua fermezza per bloccare le mani avide di Gajeel, che continuava a mormorarle quanto l’amasse e quanto fosse sexy in quel vestito meraviglioso.
Alla fine, stufa (e ovviamente lusingata), Levy si alzò parte della gonna e lo seppellì sotto strati di tulle, facendo sprofondare il marito nel buio più totale.
Quando scesero dalla macchina per seguire il fotografo nel parco in cui avrebbero fatto le foto, Belno squadrò la coda spettinata del figlio e gli diede uno scappellotto, incenerendolo con lo sguardo. Conosceva troppo bene il suo pollo.
Metallikana gli si avvicinò per sistemargli i capelli con poche e abili mosse, sussurrando un comprensivo: - Ci avevo provato anche io, all’epoca.
Gajeel ghignò in risposta e raggiunse la moglie, prendendola in braccio a facendola urlare.
Inutile dire che il fotografo andò a casa stremato e senza voce.
Una volta Belno fu persino costretta ad intervenire per cercare di far ragionare il figlio.
Alla fine, però, di scatti belli ce ne furono molti, escludendo quelli venuti mossi o quelli in cui le mani di Gajeel si spingevano leggermente oltre la soglia del pudore.
Levy conosceva il suo uomo, fortunatamente, così si stancò presto di sgridarlo e, annoiata per tutte quelle pose assurde che il fotografo le comandava di assumere, iniziò a giocare con lui.
Il risultato, il fotografo non l’avrebbe mai ammesso, fu indubbiamente ottimo: Levy che scappava da Gajeel in un prato di fiori, con la gonna sollevata per non calpestarla; loro due sdraiati vicini sull’erba, mentre sorridevano con gli occhi chiusi, o che si baciavano; Gajeel che la faceva volare tenendola in aria sotto le ascelle; e ancora abbracci su abbracci, con le fronti vicine e i nasi che si sfioravano, o fughe di Levy che, ridendo, veniva bloccata in vita dalle braccia di Gajeel.
E poi… foto in cui Belno, con una scarpa dal tacco vertiginoso in mano, si avvicinava al figlio con l’aria di chi non ha paura di attaccare, e foto in cui Metallikana la trascinava via caricandosela in spalla.
 
Il ricevimento andò bene.
E penso che sia davvero giunta l’ora di smettere di dire questa immensa baggianata.
Quando gli sposi e i genitori dello sposo arrivarono alla villa per pranzare, fu un miracolo se Natsu non addentò ad uno ad uno i chicchi di riso che gli invitati gettavano addosso ai neo sposi.
Non è mai, mai il caso di trovarsi vicini ad un esemplare di Natsu affamato.
I cuochi, saputo dell’arrivo dei festeggiati, si precipitarono fuori dalle cucine mentre gli ospiti prendevano posto ai tavoli a loro assegnati.
Belno impiegò dieci minuti buoni per cercare di rabbonire gli chef e scusarsi per il deplorevole comportamento di Natsu, che si era infiltrato in cucina insieme a Gray per rubare qualcosa da mangiare.
Tipo una fetta di torta nuziale.
Belno tacque il misfatto agli sposi e solo quando, al taglio della torta, Gajeel notò i due buchi frastagliati che deturpavano la morbida panna del dolce che lui stesso aveva contribuito a creare (perché i due idioti avevano ben pensato di prendere due pugni di torta, non due fette), scoppiò la mega rissa. Fortunatamente il dolce era davvero grande, sistemato in torte più piccole su vari piani, come una piccola scultura a fontana, e ci fu anche la possibilità di fare il bis. Anche se, nella furia di dare una lezione ai suoi due “amici”, Gajeel tirò in faccia a Natsu e Gray una fetta di torta grossa quanto un piatto da portata.
Così, se qualcuno dovesse mai vedere le foto del matrimonio di Gajeel e Levy, sappiate che i pezzi di torta tra i capelli color fragola di Natsu, la sua assenza di giacca e le macchie di bruciato sulla camicia, così come la presenza di torta sulle mutande di Gray, erano assolutamente normali.
Tutto normale.
Levy si rese conto troppo tardi di ciò che avrebbe dovuto sopportare per tutta la vita: non tanto il marito, non tanto i suoceri, quanto i cugini e i parenti maschi di casa Redfox.
Insomma, zia Grandine era dolce quanto una pesca e buona quanto un pezzo di pane appena sfornato, morbido e profumato. Lo stesso valeva per la piccola e goffa Wendy, che si era affezionata a Levy tanto da definirla la cugina preferita (finalmente un raggio di sole in mezzo ad una famiglia di maschi pieno di testosterone e demenza). Belno, be’, era Belno. Non avrebbe mai sostituito la madre di Levy, ma era quanto di più vicino la ragazza avesse come figura materna. E le due si adoravano a vicenda.
I cugini, invece, erano uno più scemo dell’altro.
Natsu, be’, Levy lo sapeva chi era. E ci aveva fatto il callo. Scoprire che era anche il fidanzato di Lucy era stato uno shock, soppiantato però dall’idea di diventare cugine. Gli altri, invece, a parte magari Laxus che era il cugino di secondo grado e non faceva nulla di molesto, erano… problematici.
Levy ebbe occasione di conoscere Sting e Rogue ad una festicciola prematrimoniale. Erano stati molto calorosi con lei, e l’avevano accolta con piacere nella famiglia. Per lo meno Sting. Rogue era stato espansivo secondo i suoi criteri, e ciò implicava lo scambiare dieci parole con la futura cugina invece di una.
- Piacere, Levy. Sono Rogue. È un piacere averti come cugina.
Per il resto della serata si era limitato a stare seduto e uccidere l’entusiasmo di Sting. Cosa abbastanza impossibile dato che Sting era esuberante come Natsu, una volta rotto il ghiaccio. Infatti aveva persino preso in braccio Levy, in un accesso di confidenza, dandole un bacio sulla guancia che era stato seguito nel giro di un secondo da un pugno in pieno viso caricato da un geloso Gajeel.
Ma la storia della festa prematrimoniale non ci riguarda.
Vi basti sapere che Levy aveva smesso di preoccuparsi per l’andamento della sua festa matrimoniale subito dopo la zuffa per la torta nuziale.
Rassegnata.
- Hai una famiglia che è al limite della legalità – sibilò a Gajeel prendendolo per il colletto della camicia, ad un certo punto. – Ma nel momento in cui ho accettato di sposarti ho capito che non avrei avuto una vita, e di conseguenza nemmeno un matrimonio, ortodossa. Quindi non me ne frega nulla di quello che fate tu e la tua linea genealogica, basta che non mi tocchiate il vestito, chiaro?!
Gajeel ghignò e la baciò con un po’ troppa foga per essere di fronte ad altre persone, che tra l’altro acclamarono i due sposi. – Ti amo, lo sai? – le disse a fior di labbra, baciandole la guancia prima di ritrarsi.
Levy arrossì, compiaciuta. Sapeva che Gajeel andava fuori di testa quando tirava fuori… le ovaie.
- Per favore, fai bere tuo cugino Rogue. Uccide l’atmosfera gioiosa – lo supplicò prima di andare a fare altre foto con le amiche.
Quest’ultimo, infatti, era rimasto fermo a tavola per le ultime cinque ore.
Cinque.
E il pranzo era durato tre ore e mezza.
Sting si era stancato quasi subito di implorarlo di andare a ballare con lui, specialmente perché quando si era avvicinato Natsu per salutarlo a dovere, i due avevano iniziato a rotolarsi divertiti per la sala da ballo, facendo cadere alcuni ignari ospiti.
Come Erza e il suo ragazzo, Gerard.
Levy si era altamente lavata le mani della rissa che era scoppiata da lì a due secondi, ed era andata a salutare gli altri zii di Gajeel, Weisslogia e Skiadrum. Il primo era un simpatico signore sulla cinquantina, come Metallikana, con lo stesso taglio di capelli alternativo di Sting. Peccato che se li fosse tinti di bianco.
Sì, li aveva tinti di bianco. Era fissato con la purezza e la luce, cosa che aveva colpito Levy dal momento che girava con i vestiti pieni di lucine bianche. Anche le scarpe emettevano giochi luminosi quando camminava. Gajeel le aveva rivelato che pagava i calzolai per farsele fare su misura, distruggendo le scarpe per bambini per rubare la tecnologia che permetteva alle scarpe di brillare.
Come regalo, quando l’aveva vista per la prima volta, Weisslogia aveva dato a Levy una pelliccia di strass bianchi.
Era diventato il gioco psichedelico preferito di Lily, ovviamente.
Lavoro? Vendeva lampadine. Lampadine bianche. Volendo le si potevano usare come palline stroboscopiche. Casa Eucliffe ne era infestata.
Skiadrum, invece, era depresso quanto il figlio. Sembrava una copia un po’ più brutta di Metallikana, tant’è che a volte li scambiavano per fratelli. Al che, naturalmente, il suocero di Levy si offendeva.
Era un figo, lui. No come il cugino cieco.
Cieco, sì. Levy gli aveva pacatamente chiesto come avesse fatto a perdere la vista, sperando di non essere troppo indiscreta, e lui aveva risposto con uno scontato: - Ho guardato troppo le ombre.
La ragazza era rimasta pietrificata.
Le ombre?
Se avesse detto “il sole” avrebbe capito. Era comprensibile. Ma le ombre?!
Gajeel, notando il suo sgomento, l’aveva presa in disparte per mormorarle: - Ha una fissa strana con le ombre, lascia stare. Diciamo solo che, siccome non aveva successo con le ragazze alle superiori, passava molto tempo… in intimità con sé stesso. Capito?
Levy aveva scosso la testa, confusa.
- Piccoletta, hai presente la frase ‘diventerai cieco se lo tocchi troppo’?
Levy era arrossita di botto, e aveva fissato lo zio con occhi nuovi e… poco innocenti.
- Ecco, vedo che hai capito, piccola pervertita.
- Non è vero, non è una cosa scientificamente provata! – aveva ribattuto lei, scacciando via la mano che le stava accarezzando la testolina azzurra.
A pochi passi di distanza, Metallikana, Igneel e Weisslogia si erano fatti due risate.
 
Nel pomeriggio inoltrato, quando per gli amici venne l’ora di presentare alcuni scherzi e giochi ai due sposi, le cose rischiarono di precipitare.
Durante la proiezione di un filmato che Lucy, Erza e le altre amiche che frequentavano il Fairy Tail avevano preparato con cura, Levy si commosse, tra le risate che il video ovviamente suscitò. Persino Gajeel si trovò a ridere di fronte alle foto imbarazzanti della moglie da piccola e nelle fasi dell’adolescenza.
Meno ridere fece la comparsa di un Rogue canterino e parecchio alticcio che, con una bottiglia di vino mezza vuota in mano (colpa di Kana), si raggomitolò piangendo sulle ginocchia di Levy. Per puro miracolo Gajeel riuscì a salvare il vestito da sposa della moglie prima che l’alcolico liquido rossastro lo imbrattasse come una macchia di sangue. Natsu fece volare Rogue dall’altra parte della sala, attirandosi una sfuriata di Sting, protettore del cugino depresso.
Una volta fu invece il turno di Gray di rischiare di finire al rogo, pestando erroneamente la lunga gonna di Levy mentre ballava un lento romantico con Gajeel. Fortunatamente Erza lo spinse via prima che il vestito si strappasse, ma il ragazzo finì dritto su Lucy, staccandole di netto la gonna dalla cucitura del corpetto.
Risultato?
Una panoramica perfetta del lato B di Lucy, che fu costretta a girare con i pantaloni da cerimonia di Gray, che glieli cedette come tentativo di perdono. Tanto lui, in macchina, aveva un paio di pantaloncini da calcio che non esitò ad indossare, sebbene fosse consapevole del risultato comico che una camicia e una cravatta hanno se abbinate a delle sudicie braghe da football.
Gajeel decise che la festa era finita quando, visto che non c’è due senza tre, Levy rischiò di finire a fare un bagno nella piscina della villa a causa di una foto di gruppo.
Sul bordo della piscina, le amiche della sposa si strinsero allegramente l’una all’altra per fare l’ultimo scatto della serata, ma nel giro di un secondo anche i fidanzati delle ragazze si imbucarono nella foto, Gajeel compreso. Kana e Bacchus, ubriachi nonostante la loro perfetta tenuta dell’alcol, persero l’equilibrio e in una sorta di macabro domino d’acqua trascinarono in piscina tutti quelli che erano vicini a loro.
Cioè tutti.
Gajeel riuscì ad afferrare la mano di Levy quando il tacco della sua scarpetta bianca sfiorò l’acqua, salvando così il proprio matrimonio, strettamente legato alla salvezza di quel pomposo vestito.
Lo slancio con cui l’aiutò, però, fu la sua rovina: Gajeel cadde in acqua vestito di tutto punto.
Appena riemerse, fece appena in tempo a vedere il viso sollevato e allo stesso tempo perplesso di Levy, prima di dare una testata alla fronte di Natsu, che aveva pensato bene di tuffarsi sopra a tutti gli altri.
Gajeel giurò che prima o poi avrebbe ammazzato suo cugino.
- I FUOCHI! I FUOCHI! – gridò in quel momento Erza che, da ubriaca, faceva emergere tutto il suo lato infantile e coccoloso.
Avvinghiata a Gerard così strettamente da rischiare di soffocarlo, stava indicando i fuochi d’artificio che erano scoppiati allo scoccare della mezzanotte.
Tutti i presenti ammutolirono e alzarono il naso al cielo per osservare come la notte nera si tingesse dei più vividi e caldi colori in scoppi di pura meraviglia. Persino Natsu ne era estasiato, tanto da restare zitto e buono a fissare quelle luci vive che stavano togliendo il palco alle stelle.
Levy aiutò Gajeel ad uscire dalla piscina e, senza toccarlo per non bagnarsi, gli diede un bacio di ringraziamento per averla salvata.
Il ragazzo ghignò e approfondì il bacio alzandole il mento con un dito, facendo sorridere anche la moglie.
- Piaciuto il matrimonio, Signora Redfox?
Levy si concesse un attimo per assaporare il suono del suo nuovo nome.
Levy McGarden in Redfox.
Emozionata, prese il viso del marito tra le mani e lo baciò ancora, incurante dei fuochi che stavano rubando l’attenzione dei loro ospiti.
- Tantissimo. Non avrei potuto chiedere di meglio.
- Davvero? – chiese lui, scettico. – Nonostante l’incidente di Natsu, quello di Gray e di Lucy, e ancora quello di Gray, e poi quello di Kana, ed Erza che si è messa a cantare finché non abbiamo brutalmente ucciso il karaoke?
Levy rabbrividì al ricordo di quanto si fosse sforzata di sorridere gioiosamente quando Erza le aveva dedicato non una, ma tre canzoni!
Decise di non pensare troppo agli “incidenti” che i suoi amici avevano avuto.
Del resto, il suo vestito era salvo.
- Nonostante tutto – rispose a Gajeel, sorridendo. – Grazie. Sei un marito fantastico e, cosa più importante, hai salvato il mio vesti…
- DOV’E’ L’INCENDIO?!
Igneel, estintore in mano e fratelli al seguito, si precipitò nel giardino della villa e aprì l’estintore, spruzzando di… qualsiasi cosa ci sia dentro ad un estintore pieno chiunque fosse nel raggio di un chilometro.
- No Igneel! Fermo! – gridò Belno, precipitandosi a fermare il cognato.
- Spostati Belno! Devo fermare i fuochi prima che si propaghino e diventino ingovernabili! – disse lui di rimando, spingendo via la cognata che finì… in piscina.
Grandine accorse e, impossessatasi dell’estintore, diede una botta in testa al fratello, facendolo cadere a terra, svenuto.
Una decina di pupazzi di neve umani e schiumosi la fissarono, incapaci di registrare cosa fosse appena successo.
- Hai ucciso papà, zia! – gridò Natsu uscendo dalla piscina.
Be’, Grandine presunse che fosse Natsu, dato che la testa era coperta di… quella cavolo di roba che c’è dentro un estintore, e il ragazzo era irriconoscibile.
- Non l’ho ucciso, solo stordito. Non ha trauma cranici o altro, tranquillo Natsu.
- Ma dov’è l’incendio, mamma? – chiese la vocina di Wendy da un punto imprecisato nella distesa di neve prodotta da Igneel.
- Nessun incendio, tranquilli. Igneel ha sentito gridare ‘fuochi’ e ha perso la testa. Pensava di salvare tutti, e invece…
La voce di Grandine si spense quando voltò la testa e si rese conto che la persona di fianco a lei era Levy, imbrattata di… schiuma? (è questo che c’è dentro un estintore?) dalla testa ai piedi.
Gajeel aveva coscienziosamente fatto quattro passi indietro: il rossore di rabbia di Levy era visibile anche sotto la cortina di roba bianca che le aveva ammantato la testa e il vestito da sposa.
- ZIO IGNEEL!!!
Quell’urlo notturno sancì definitivamente la fine della festa di matrimonio, e persino i fuochi d’artificio parvero ripiombare a terra avviliti.
Terrorizzati dall’urlo che solo una sposa indiavolata può emettere.
 
La prima notte di nozze fu memorabile.
Sesso selvaggio e brutalmente erotico fino alle prime ore del mattino, quando si prepararono per andare all’aeroporto per il viaggio di nozze.
Tutto molto eccitante.

E invece…
- Il vestito – piagnucolò Levy per la trentordicesima volta, seduta al tavolo della sua cucina. – Mi è costato quasi tre mesi di stipendio!
Nel viaggio in macchina verso casa, Gajeel non si era nemmeno azzardato a toccarla per paura di irritarla ancora di più. Invece Levy gli si era raggomitolata addosso come faceva sempre Lily, brontolando e mugugnando sommessamente improperi verso zio Igneel. Tra i capelli aveva ancora la schiuma dell’estintore.
Lo zio si era scusato più volte, una volta ripresi i sensi, e Levy non aveva potuto fare altro che accettare le sue scuse. Avvilito di fronte alla tristezza della sua nuova nipotina, sempre allegra, Igneel aveva proposto di pagare tutte le spese di lavaggio e riparazione del vestito.
Gajeel si era cautamente schiarito la gola, conscio del fatto che un solo passo falso avrebbe potuto tenere Levy lontana dal loro letto per… be’, Levy non durava mai molto con lo sciopero del sesso. – Levy, è solo un vestito da sposa… Non lo metterai più…
La ragazza lo aveva fissato ed era scoppiata a piangere abbracciandolo.
Di certo non era la reazione che Gajeel si era aspettato.
Un dubbio atroce gli aveva attraversato la mente come un lampo: - Non è che sei incinta?
Un pugno gli colpì il petto, senza sortire alcun effetto. – No, stupido Gajeel!
Quella era la reazione che si era aspettato.
Alle due di notte, Metallikana russava sul divano di Levy e Gajeel, con Lily acciambellato sulla sua faccia, mentre Belno stava preparando camomilla per il figlio, la nuova nuora, la cognata infermiera, la nipotina senza equilibrio, il cognato combina guai e il nipote idiota.
Anzi, no, perché Natsu era crollato a dormire per terra, con Wendy sopra di lui e i gatti di fianco.
Cautamente, Igneel e Gajeel depositarono Natsu e Wendy sull’altro divano libero, piazzando i gatti sopra Metallikana, che aveva più pelo sul vestito da cerimonia che capelli in testa.
Il che era tutto dire.
Solo quando Levy borbottò di nuovo qualche impropero, Gajeel si rese conto di ciò che aveva detto.
- Quasi tre mesi di stipendio?! – urlò infatti, facendo sussultare tutti tranne gli addormentati.
Lily miagolò in protesta, graffiando erroneamente la morbida fronte di Metallikana.
Levy lo guardò con tanto d’occhi, confusa. – Un vestito da sposa costa… - spiegò, prossima alle lacrime.
Di nuovo.
Belno non sapeva quanto guadagnasse la nuora, ma calcolando che era la curatrice del museo più importante di Magnolia, dedusse che non doveva essere pochetto.
Erano andate a comprare il vestito insieme, ma Levy non le aveva permesso nemmeno di guardare il cartellino del prezzo.
La suocera però aveva rimediato pagando altre cose di quel matrimonio.
Gajeel si inginocchiò ai piedi di Levy, ancora fasciati nelle scarpe bianche.
- Tre mesi di stipendio? Levy, ma sei impazzita? Va bene che i soldi li abbiamo, circa, ma… aspetta, io non ho visto nessuna cifra andare giù in banca.
Levy si soffiò il naso e fissò il marito in un modo che gli fece venire voglia di stringerla a sé finché non si fossero fusi insieme. Era di una tenerezza devastante quando era triste.
- L’ho pagato con l’eredità dei miei genitori. È la prima volta che la tocco da quando… da quando me l’hanno lasciata. Era… era un modo per fingere che me l’avessero regalato loro. Come, sai, come se li avessi indossati con me tutto il giorno. Anche se loro non c’erano.
- Piccola mia…!
- O Levy cara!
Grandine e Belno si fiondarono ad abbracciare Levy, soffocandola tra due taglie di seno troppo cresciute.
Igneel si asciugò una lacrima e Gajeel sbuffò, alzandosi con il sedere indolenzito a causa della botta: sua mamma l’aveva spinto via come una bambola di pezza.
- Vedrai che ti sistemeremo il vestito. Ho un’amica che fa la sarta e di sicuro ci darà una mano – la rassicurò Grandine.
- E io pagherò tutti i danni! – gridò Igneel, spaventando di nuovo Lily che graffiò la guancia di Metallikana.
Questa volta il gatto soffiò, minaccioso.
Levy sorrise, mentre il rosso causato dal quasi-soffocamento-da-tetta svaniva dal suo visetto ancora ben truccato. – Grazie, zio, ma non ce n’è biso…
- Oh sì, invece. Un Dragneel ripara sempre i danni che fa!
Gajeel, Belno, Grandine e perfino Natsu, Metallikana e Wendy lo fissarono, improvvisamente svegli.
- Davvero, Igneel? – chiesero in coro.
Il vigile del fuoco arrossì violentemente, e decise che per lui, Happy e Natsu era giunto il momento di levare le tende.
Natsu diede un pugno al cugino e abbracciò brevemente la nuova cugina, mentre Igneel la stritolò in un abbraccio di scuse.
 - Per fortuna il vestito non è andato a fuoco, no? – disse lo zio ridendo.
Gajeel lo buttò fuori dalla porta a calci.
 
Un’ora dopo erano rimasti solo Belno, Metallikana, i due sposi e Lily a guardarsi negli occhi, devastati.
- Levy cara sono pronte le valigie? – biascicò Belno per la quinta volta.
- Tutto pronto, sono anche già caricate – rispose Levy di nuovo, così esausta da iniziare a spogliarsi di fronte ai suoceri.
Gajeel la spinse in camera quando cominciò a trafficare con il corpetto e la sua chiusura, mettendo in mostra la schiena nuda.
- Fate i bravi e non tornate in diciassette. Magari in tre sì. È ora di allargare la famiglia – mugugnò Belno, facendosi prendere in braccio da Metallikana.
- Ma’, siamo sposati da poco più di dodici ore, per piacere!
- Be’, tanto sapete come si fa, prima o poi capiterà. Vedete di non perdere l’aer…
Padre e figlio restarono in attesa di una conclusione, ma Belno era già partita per il mondo dei sogni.
Gajeel ghignò. – Non approfittare della mamma quando è in questo stato, pervertito.
Suo padre lo guardò con aria complice: - Non mi è mai passato per la testa. È più divertente quando lei è conscia di ciò che facciamo. Buon viaggio di nozze, figliolo. Divertiti. Ma non c’è nemmeno bisogno di dirlo.
Gajeel rise e tirò una pacca sulla sua spalla di suo papà, salutandolo.
Prima di chiudere la porta lo sentì mormorare: - Ma perché ho la faccia graffiata?
 
Ed eccoci giunti al fatidico momento, quello che tutti stavate aspettando, piccoli depravati: la notte (o ciò che ne rimaneva) di… ehm… festeggiamenti tra sposi.
La cosa si svolse così…
Gajeel raggiunse la camera e si tolse sensualmente la camicia e la cravatta. La giacca era già stata abbandonata sul divano. Con sguardo languido e liquido si sbottonò la cintura dei pantaloni, calandoseli fino ai piedi, ancora infilati dentro le scarpe eleganti.
In canottiera e boxer, con i pantaloni alle caviglie, Gajeel si arrampicò sul letto e baciò sua moglie, che mugolò.
Specifichiamo: Gajeel la baciò sulla guancia e lei mugolò nel sonno.
Poi anche lo sposo crollò e i due si addormentarono sul colpo, fra il tulle della vastissima gonna da sposa e le scarpe col tacco.
Anzi, solo una, perché Levy era riuscita a togliere la scarpa sinistra prima di lasciarsi andare nelle braccia di Morfeo.
La prima notte di nozze è sempre eccitantissima.
 
 
Un anno e mezzo dopo il loro matrimonio, Levy e Gajeel si stavano…
Sapete una cosa?
Non è importante sapere cosa stessero facendo.
Vi basti immaginare che stavano recuperando (ancora) il tempo perso durante la prima notte da sposati.
Sembrava che lo dovessero recuperare in continuazione. E non è che avessero perso chissà quanto tempo durante la prima notte di nozze, eh. Avevano recuperato abbondantemente in viaggio.
Levy si lasciò cadere sul letto ansimando, aprendo le braccia per accogliere Gajeel contro il suo petto.
Adorava abbracciarlo e sentire il suo peso gravare interamente su di lei. Pesava quasi il triplo, ma Levy era rilassata e non le dava fastidio sentirselo sopra. La faceva sentire comoda e protetta, al caldino. Le piaceva quanto a lui piaceva sentire il suo battito accelerato contro la guancia.
Sentire il suo cuore volare faceva sentire vivo lui.
- Gajeel? – sussurrò Levy, iniziando a giocare con i suoi capelli.
- Mh? – chiese lui con gli occhi chiusi, intrecciando una mano con la sua.
- Direi che basta, no? Dobbiamo lavarci.
- Mh… - rispose lui, per niente intenzionato ad alzarsi. – Non basta mai.
Levy ridacchiò, tutto sommato felice di suscitare quelle emozioni in suo marito nonostante tutto il tempo che avevano passato insieme in quegli anni. Sapere che lui la desiderava sempre, come la prima volta, in quella maniera gelosa e possessiva eppure dolce e innamorata, la faceva sciogliere come burro sulla piastra.
E Levy si sentiva proprio un biscottino al burro quando Gajeel l’amava.
- Lo so, ma tra poco arrivano Frosch e Lector e dormiranno qui per tre giorni. Non mi fido a farlo con due pargoletti di quattro anni in giro per casa.
Gajeel rabbrividì immaginandosi la scena.
Frosch e Lector, i fratellini di Rogue e Sting, sarebbero stati con loro tre sere. Erano i cuginetti più piccoli di Gajeel, ma non erano andati al matrimonio perché i genitori dei ragazzi erano divorziati e le ex mogli di Weisslogia e Skiadrum non volevano avere nulla a che fare con i vecchi mariti… e la loro famiglia.
- Diciamo che la parte sana della famiglia è qui a Magnolia – aveva scherzato Gajeel quando aveva raccontato a Levy di quei due cuginetti sconosciuti.
Levy aveva subito pensato a Igneel e Natsu, inclusi nella “parte sana” della famiglia.
Gajeel le aveva letto nel pensiero e aveva commentato: - Be’, solo noi Redfox siamo sani. Nemmeno zia Grandine è a posto.
Un’occhiata divertita di Levy l’aveva fatto sbuffare. – Okay, nessuno di noi è sano, ma almeno i Redfox sono più sani degli altri. Non sani, solo più sani.
Levy aveva riso e l’aveva baciato.
Comunque, Sting e Rogue sarebbero venuti in visita a Magnolia per quattro giorni, ospitati da Natsu. Siccome dovevano svolgere alcuni lavori con lui, i poveri Frosch e Lector erano di troppo. Così Gajeel si era gentilmente offerto di tenerli in casa sua.
- Possiamo chiuderci in bagno. Cinque minuti e via. Anche meno, probabilmente. L’innocenza dei due pargoletti sarà preservata e…
- Gajeel… - lo ammonì Levy, spingendolo via per alzarsi.
I cugini sarebbero arrivati nel giro di poco, e loro avevano bisogno di una doccia.
- Guarda che è vero, Levy. Non fare la testarda!
- No. Non voglio rischiare che ci scoprano in atteggiamenti troppo intimi – sancì lei, laconica, dirigendosi in bagno.
Gajeel soffocò un gemito di frustrazione tra le lenzuola. – Almeno dimmi che hai cambiato idea e farai dormire loro nella stanza degli ospiti!
- No! Sono piccoli, potrebbe capitare loro qualcosa. Dormiranno qui con te mentre io starò nella stanza degli ospiti.
Gajeel si alzò, leggermente irritato, e nel giro di due secondi entrò in doccia con Levy.
Con l’acqua che gli infradiciava i capelli facendoglieli colare lungo il viso era decisamente poco credibile, e Levy fu costretta a reprimere un sorriso.
- Dormiamo tutti e quattro insieme? – propose lui, mentre il nervosismo lasciava spazio alla disperazione.
Aveva sviluppato una sorta di dipendenza-da-Levy che rasentava il limite dell’ossessione.
- Non ci stiamo, Gajeel.
- Senti, Gamberetto, sono il capofamiglia e decido io. Hai presente quanto sono alto? Il letto è più grande dei normali letti matrimoniali. Poi, non so se hai idea di quanto grandi sono delle pesti di quattro anni. Be’, sono minuscole. E io e te dormiamo in meno di mezzo letto, dal momento che tu ti appiccichi addosso a me e…
- Tu ti appiccichi a me! Stupido Gajeel – sbottò Levy. Ma rideva.
E Gajeel sapeva che aveva già ceduto.
Inoltre, quel lato intraprendente di suo marito, che ribadiva il suo ruolo di capofamiglia, la mandò di nuovo su di giri.
Sospettando qualcosa, Gajeel incollò le mani ai suoi fianchi e Levy gli si arrampicò addosso. – Cinque minuti e via, anche meno probabilmente – mormorò prima di baciarlo, citando la sua stessa frase.
Gajeel ghignò, e quando il campanello suonò si mise a ringhiare.
- Tre minuti? – chiese, facendo gemere Levy.
- Tre minuti.
 
Quando, dieci minuti dopo, Levy si precipitò ad aprire la porta con i capelli bagnati, non vide nessuno.
Poi qualcosa le urtò la gamba e, abbassando lo sguardo, vide un lampo di capelli neri e… una rana… entrare in casa.
- Ma cosa…?
- Ehi, pesti! – esclamò Gajeel da dentro casa. – I vostri fratelli?
- Sono già partiti – rispose il vocione profondo di un bambino. Per quanto un bambino possa avere la voce profonda.
- Vi hanno lasciato fuori di casa per dieci minuti? – chiese ancora Gajeel, e Levy colse una nota di sconcerto in quella frase.
Chiudendo la porta, si volse e vide suo marito tenere in braccio il bimbo dai capelli neri e la rana.
- No, voi ci avete lasciato fuori di casa per dieci minuti – disse ancora il bambino.
Levy si sentì in colpa. – Per avere quattro anni, sono svegli – commentò, diretta a Gajeel.
Il bambino dai capelli neri la guardò. – Ne abbiamo sei di anni – ribatté piccato.
- Anche Fro la pensa così! – esclamò la rana, cercando di sembrare indignata.
Levy non poté fare a meno di ridere.
- Siamo partiti con il piede sbagliato – disse avvicinandosi al marito. – Ciao, io sono Levy. Voi dovete essere Frosch e Lector.
Il bambino con i capelli scuri incrociò le braccia al petto e decise che la nuova cugina gli stava leggermente meno antipatica. – Io sono Lector.
- Quello sveglio – disse Levy, facendolo suo malgrado arrossire d’imbarazzo. – Quindi tu sei Frosch – concluse girandosi verso il bambino vestito da rana.
- Anche Fro la pensa così!
La ragazza aggrottò le sopracciglia e fissò prima suo marito e poi Lector, che scosse le spalle: - Hai detto tu stessa che sono io quello sveglio. Del resto Sting è il migliore.
Gajeel roteò gli occhi, infastidito, sistemandosi meglio Lector in braccio, mentre Levy li guardava ancora più confusa.
- Frosch, che ne dici di tapparti le orecchie?
- Sì – disse il bimbo-rana, obbedendo con il sorriso sul volto.
- Ha il padre che sostiene di essere diventato cieco per aver fissato le ombre e un fratello che è depresso, secondo te poteva essere normale? – disse Gajeel, mentre Lector lo fissava impassibile.
- Sting è il migliore – disse ancora.
Levy, invece, si massaggiò le guance. – Va bene. Va bene, ci sono. Facciamo merenda?
- Merenda! – urlò Lector, assomigliando per la prima volta ad un bambino di sei anni.
- Anche Fro la pensa…
- Sì, sì, andate in cucina, intanto – lo bloccò Gajeel, facendoli scendere.
Li seguì con lo sguardo mentre si infilavano in cucina, per poi guardare Levy, spiazzata.
Fece per parlare, ma lei gli tappò la bocca con un dito: - Non dire una parola. Non voglio saperne niente.
Detto ciò seguì il chiacchiericcio dei bambini esclamando: - Chi vuole un panino al cioccolato?
 
Avere dei bimbi a casa era divertente, dovette ammettere Levy. Portavano gioia e risate ed errori grammaticali tipici dell’età.
Avere dei bimbi.
Ma avere Frosch Cheney e Lector Eucliffe in casa era… problematico.
- Ma non dovete fare i compiti, voi? – sbottò Gajeel la sera, quando i pargoli lo pregarono per la settima volta di giocare con la pista di macchinine.
La cena era stata più o meno tranquilla. Gajeel aveva preparato gli hamburger fatti in casa, con la carne che aveva macinato lui, e Lector se n’era spazzolati due. Levy uno e mezzo, Gajeel quattro… e mezzo.
E Frosch?
Frosch prima aveva tolto il pezzo di pane superiore, poi aveva afferrato la foglia di insalata e l’aveva agitata in aria, schizzando tutto di ketchup. Aveva punzecchiato la carne con l’indice e poi aveva asserito: - Frosch è vegetariano.
Gajeel e Levy, che avevano fissato la scena con la bocca aperta (quella di Gajeel era pure piena), si erano scambiati un’occhiata e poi avevano osservato Lector, che si era leccato i baffi.
- Cosa vuol dire che sei vegetariano, Frosch? – aveva chiesto Levy.
- Da quanfo parla in terfa perfona come Fufia? – aveva domandato invece Gajeel, sputacchiando carne e pane per la tavola.
Levy lo aveva ignorato, mentre Lector aveva ribattuto: - Chi è Fufia?
Gajeel aveva deglutito e risposto: - Un’amica che parla di sé in terza persona.
- Chi è la terza persona? – aveva indagato Frosch.
- Penso che non abbiano ancora studiato i pronomi personali, a scuola – aveva decretato Levy.
Frosch l’aveva guardata sorridendo inebetito, per poi ricominciare a punzecchiare la carne dell’hamburger.
- Non mangi carne, Frosch? – aveva chiesto pazientemente la ragazza.
- Frosch non mangia le rane.
Gajeel lo aveva fissato di nuovo a bocca aperta. Eppure era abituato alle stranezze, lui.
- Frosch, quella non è una rana – aveva chiarito Lector, pulendosi compostamente la bocca con la sua espressione da duro.
- Allora a Frosch piace.
E la cena era proceduta nel più completo silenzio.
In quel momento, con un bicchiere di gelato al cioccolato vicino, Frosch, Lector e Gajeel stavano giocando in soggiorno con la vecchia pista di macchinine di Levy, fatta in legno con i pezzi rimovibili e componibili a piacimento.
Il padre di Levy aveva creduto che sua figlia fosse un maschio, all’inizio della gravidanza della moglie, per cui quella pista era effettivamente un suo gioco d’infanzia.
La ragazza se ne stava sul divano e osservava il marito sorridendo, trovando comica la differenza di altezza tra lui e i piccoletti. Gajeel, con la sua stazza imponente, sembrava fin troppo grande per starsene sdraiato sul tappeto cosparso di macchine, e i due bambini sorridevano contenti gattonando attorno alla pista.
Quando Gajeel si volse verso la moglie, trovandola intenta a fissarlo nonostante il libro in mano, ghignò e si sporse per rubarle un bacio.
- Bleah, che fchifo – commentò Lector facendosi colare il gelato sul mento, osservando la scena.
- Anche Fro la pensa così – si espresse in modo molto erudito e sagace il bimbo-rana.
- Sì sì, pesti… - sbuffò Gajeel sdraiandosi pancia all’aria sul tappeto, grugnendo quando un pezzo di pista si ficcò così a fondo nella sua schiena da diventare parte della sua pelle. – Ne riparliamo tra qualche anno. Con Lector magari. Frosch… boh, magari vorrà accoppiarsi con una farfalla.
- A Frosch piacciono le farfalle! – esclamò il bimbo sollevando in aria una macchinina.
- Appunto… - borbottò Gajeel chiudendo gli occhi, stufo.
Quando Lector si sporse verso di lui e la sua ombra gli adombrò il viso, Gajeel aprì un occhio per fissare il faccino paffuto del suo cuginetto dai capelli neri. Allungò piano una mano e gli pulì il mento dal gelato, scompigliandogli i capelli mentre il bambino tornava a giocare e sgridare Frosch.
Levy sorrise intenerita, e Gajeel le lanciò un’occhiata di sfuggita.
Pochi attimi dopo, quando la ragazza si era già rimmersa nella lettura, un gemito strozzato attirò la sua attenzione.
- Ma Frosch vuole giocare sopra Gajeel! La pista deve passare il ponte! – esclamò Frosch calpestando il petto di Gajeel e tirandogli i capelli.
Solo allora Levy si rese conto che suo marito stava trattenendo il fiato e si stava proteggendo… un altro tipo di macchinina.
- Gamberetto – rantolò con un filo di voce, mentre Lector lo guardava impietosito, godendosi lo spettacolo con tanto di gelato. – Devi controllare… - borbottò Gajeel prima di schiarirsi la voce, per evitare di usare il falsetto, - …se ho ancora… quella cosa che ti piace tanto. Mi sa di no.
Detto ciò rotolò sul fianco e chiuse gli occhi sospirando di dolore.
Levy ignorò la battutina allusiva, preoccupata, e si chinò accarezzando il braccio del marito.
- Tutto bene?
Lector sbuffò una risata. – Ovvio che no. Frosch gli ha spappolato il…
- Ho capito – lo bloccò Levy, agitata. – Ho capito, ma…
- Fa tanto male – piagnucolò Gajeel, sembrando un bambino di tre anni più che un adulto.
Frosch continuava non solo a giocare spensieratamente, ma addirittura a costruire la pista sopra Gajeel, impunemente.
- Non lo potrò usare per un mese, se tutto va bene… - farfugliò il morente Gajeel.
Levy sbiancò. – Un mese?! E come facciamo a…
Un’occhiata maliziosa di Lector attirò la sua attenzione, e Levy si affrettò a correggere il tiro: - …a farti fare pipì?
Gajeel la fissò come se fosse scema, e Frosch si alzò ricordandosi che gli scappava la pipì.
Fece per ripassare sopra Gajeel come se fosse un semplice tappeto, ma il ragazzo lo bloccò e se lo caricò su una spalla, alzandosi in piedi. – La pipì non la posso fare per minimo due ore, grazie a te. Rana ebete.
Frosch lo guardò, confuso, e Lector finì di mangiare il gelato di Gajeel. Quello di Frosch l’aveva finito da un pezzo.
In quel momento Lily pensò bene di posizionarsi sopra un pezzo di pista, e Lector non esitò a tirargli la coda, facendo indispettire (per non dire qualcosa di peggio) il povero micio.
Gajeel evitò a stento di ringhiare: non sapeva se era peggio l’essere castrato o il vedere ferito il suo gatto.
Poi lanciò uno sguardo a Levy e capì che non c’era paragone tra le due cose.
- Ora basta! – tuonò, alzando Lector per il colletto della maglia e caricandoselo sotto braccio. – Avete sei anni, siete piccoli ed è ora di dormire. Levy, vai a preparare la vasca mentre io faccio il letto nella stanza degli ospiti. Non penso proprio che li farò dormire con noi. Rischierei di svegliarmi evirato.
Lector sbuffò: - Ovvio che non dormiamo con voi.
- Perfetto – sancì Gajeel tra i denti, salendo al piano di sopra.
Levy non poté fare a meno di ridacchiare guardando suo marito che saliva le scale con due bambini sotto braccio.
 
- Non mi spoglio davanti a te! – si lamentò Lector per la terza volta.
- Ma sono tua cugina, sono sposata e tu hai solo sei anni, Lector. Non devi vergognarti – cercò di convincerlo Levy, inginocchiata per terra per poterlo guardare negli occhi.
- Sono un maschio e tu sei una femmina!
Levy guardò Frosch e lo afferrò giusto in tempo, prima che si buttasse in vasca vestito da rana. – Frosch, devi toglierti il vestito.
- Non se lo toglie mai – le disse Lector, allontanandosi dalla cugina che voleva vederlo nudo.
- Come sarebbe a dire?
- Sua mamma gli fa il bagno quando dorme, così lui non si accorge di essere senza vestito da rana – rivelò Lector, incrociando le braccia al petto.
Levy sgranò gli occhi. – Non lo toglie nemmeno per dormire?
Il bambino scosse la testa, osservando il cugino demente che giocava con le bolle di schiuma.
- Ho fatto il letto per… ma perché non sono ancora in vasca? – domandò Gajeel entrando in bagno.
- Frosch non si toglie la tuta e Lector non si spoglia davanti ad una femmina – borbottò Levy, esasperata.
Gajeel fissò tutti e tre a turno, indeciso. – Lector, fidati che tra qualche anno vorrai spogliarti davanti ad…
- Non è questo il punto! Come facciamo con Frosch? Non possiamo fargli fare il bagno con la tuta da rana.
Gajeel si seppellì il volto tra le mani, sospirando. Poi si inginocchiò per terra come Levy, avvicinando il cugino a sé e abbracciandolo. – Frosch?
- Sì?
- Giochiamo alle rane nude?
Levy e Lector lo fissarono come se avesse una malattia.
La Froschite.
- Che gioco è? – chiese il bambino, suo malgrado incuriosito.
- Allora, noi siamo rane. Tu sei una rana, Frosch?
- Anche Frosch lo pensa!
Gajeel si impose di portare pazienza. – Certo, che domanda stupida ho fatto. Allora, se noi siamo rane, adesso ci spogliamo e rimaniamo tutti nudi. Rane nude. E facciamo il bagno. Nudi. Poi ci rimettiamo il vestito da rana perché siamo rane.
Frosch ci pensò un po’ su, e poi chiese: - Anche tu fai il bagno nudo con me e Lector?
La mano di Gajeel corse senza esitazione sul cavallo dei suoi pantaloni, lì dove Frosch aveva dolorosamente schiacciato qualcosa di importante. Deglutendo, Gajeel disse: - Io ho già fatto il bagno prima, Frosch. Ricordi? Quando sei arrivato ero appena uscito dalla doccia.
- Ma le rane fanno il bagno insieme. Anche Levy fa il bagno con noi.
Lector trattenne il fiato, sconvolto, e la ragazza negò con la testa: - No grazie, Frosch, è una festa per rane maschi. E Gajeel farà il bagno con voi.
Lui la fissò come se avesse appena detto che sarebbe stata disposta a venderlo per due euro. – Traditrice – sibilò, facendola ridacchiare.
- Tutti in vasca, ranocchiette. Forza! – esclamò contenta, aggiungendo altro bagnoschiuma alla vasca e muovendo l’acqua calda con una mano per fare in modo che la schiuma montasse.
Fortunatamente avevano in casa la vasca grande, e non avrebbero avuto problemi a starci in tre. Levy lo sapeva bene, dato che lei, Gajeel e le loro acrobazie ci stavano larghi.
Notando che suo marito restava immobile, Levy lo afferrò per il braccio e lo fece alzare in piedi, afferrandogli i lembi della maglia. – Che ne dici di spogliarti, ranocchione? – sussurrò giocosamente, lasciandolo a petto nudo. – I pantaloni te li togli da solo, perché sappiamo entrambi cosa succede se le mie mani armeggiano con l’elastico della tua tuta.
Gajeel si grattò la testa ghignando, prima di sbarazzarsi del resto dei vestiti.
- Frosch, posso toglierti la tuta? – chiese affabilmente Levy avvicinandosi al cuginetto.
- Frosch è una rana!
- Certo Frosch, sei una rana bellissima. Posso spogliare la rana-Frosch?
- Sì – mugolò il bambino, sorridendo con le guanciotte rosse.
Levy non resistette e, ridendo, lo baciò sulle gote paffute, attirandosi un “ehi!” geloso di Gajeel.
- Lector, spogliati – comandò il ragazzo al bimbo, che era rimasto fermo immobile nell’angolo del bagno.
- Non davanti a Levy – sancì lui, perentorio.
- Ma hai solo sei anni Lector! Pure Frosch si è fatto spogliare da lei! – sbottò Gajeel. Le sue parole vennero confermate da un urletto eccitato di Frosch, che con l’aiuto della cugina era entrato in vasca. – Persino io non ho problemi a farmi vedere nudo, e sono più grande di te. Anzi, Levy, ti pare che sia a posto?
Detto ciò, si girò, nudo, verso la moglie, chiedendole conferma riguardo alla salute del suo… gioiello.
Levy avvampò e lo fissò trucemente. – Ti aspetti davvero che io mi chini per assicurarmi che stia bene? Ma sei idiota, Gajeel?
Lui, sinceramente confuso, la guardò e chiese: - Perché no, scusa? Dimmi solo se ti sembra diverso.
Levy sbuffò, mentre Lector non perdeva un singolo secondo di quell’assurda conversazione.
- Fai la pipì e vedi se ti fa male. Nessuno è mai morto per un calcio dove non batte il sole, Gajeel! – sbottò la ragazza avvicinandosi alla porta.
- Ti ho solo chiesto se…
- Sì, è diverso Gajeel! – rivelò Levy, perdendo le staffe. Poi, avvicinandosi in modo che solo lui pottese sentirla, commentò: - Non l’ho mai visto a cuccia.
Gajeel capì che stava scherzando quando vide il suo sorrisetto malizioso inforcare la porta, e nemmeno lui poté fare a meno di ghignare.
- Di cosa parlava? – indagò Lector.
Tipico dei bambini: captare ogni discorso sconveniente o parolaccia che vengono pronunciati nel raggio di… due chilometri.
- Di Lily. Parlava di Lily.
- Ma Lily non è un cane, non sta a cuccia – insisté Lector.
- No, ma è un gatto molto amato da Levy.
Lector non capì il motivo per cui Gajeel si mise a ridere.
 
Cinque minuti dopo, la ragazza bussò alla porta e poi la socchiuse leggermente.
Lily sgusciò in bagno senza nemmeno chiedere permesso.
- Posso entrare? – chiese gentilmente.
- NO! – urlò Lector, e Levy udì chiaramente i rumori degli spostamenti dei bambini in vasca, insieme alle imprecazioni di Gajeel che raccomandava loro di stare attenti con quei piedini letali.
- Lector sei pieno di schiuma, non si vede niente, accidenti! – lo contestò Gajeel. – Entra, Levy.
La ragazza varcò la porta sorridendo, macchina fotografica alla mano. – Pronti per un po’ di foto?
Gajeel sbiancò, Lector sbuffò e Frosch urlò: - Le rana-foto! – saltellando dentro la vasca.
Vicino a Gajeel.
Terrorizzato, lui chiuse le gambe, afferrò il cugino e lo ficcò sotto l’acqua. Appena riemerse, Frosch sputacchiò acqua e schiuma ovunque.
- Gajeel… - lo rimproverò Levy. Poi notò la capigliatura del marito, che aveva un alto cappello di candida schiuma sopra ai capelli legati in una coda alta.
Inutile dire che scoppiò a ridere.
- Cosa c’è da ridere? – chiese lui incrociando le braccia, offeso.
- Niente, niente – rise lei. – Frosch, Lector, fate a Gajeel i capelli bianchi e la barba di schiuma, che poi vi faccio le foto.
Un minuto di proteste e minacce dopo, Gajeel era diventato la versione sexy e statuaria di Babbo Natale. Frosch si era riempito di schiuma sostenendo che le rane schiumose fossero piene di superpoteri, e Lector faceva in modo di avere un sacco di roba bianca e morbida a coprirgli il corpo, in modo che Levy non vedesse le sue nudità.
La ragazza scattò foto a più non posso, e si rese conto con sorpresa che Gajeel si stava… divertendo.
Solo lei lo sapeva, però, dal momento che aveva imparato a conoscerlo come le sue tasche e che la gamma di espressioni facciali di Gajeel era ampia quanto la capocchia di uno spillo.
Cinque minuti dopo, seduta sul tappeto del bagno, era persa nella contemplazione del suo premuroso marito che lavava per bene i suoi cuginetti, strofinando con lo shampoo i loro capelli e assicurandosi con parole pacate che non si bruciassero gli occhi.
Tenendo al riparo la sua virile dotazione, permetteva a Frosch di arrampicarsi su di lui, giocando alla rana arrampicatrice, e dopo un po’ persino Lector si ricordò di avere solo sei anni e cominciò a giocare con i cugini.
I due marmocchi riuscirono anche a far affondare Gajeel, facendolo sprofondare con tutto il corpo e la testa sotto acqua, tra le risate di Levy e dei due dispettosi.
Lily azzannò una papera di gomma che era caduta per terra e si arrampicò sul bordo della vasca, camminandoci sopra in equilibrio molto precario.
- Gajeel, hai un gatto idiota come te – scherzò Levy, alzandosi per prendere il gatto.
Gajeel la fissò trucemente e Frosch fece ciò che Levy sperava non facesse.
Fece cadere Lily in acqua.
Il gatto cominciò a miagolare, disperato, e tentò di uscire dalla vasca senza risultati.
Levy scoppiò a ridere, imitata da Gajeel, perché per quanta pena facesse il loro gatto, vederlo agitato e terrorizzato come un cucciolo non era una cosa da tutti i giorni.
- Devo vomitare… - brontolò Lector, interrompendoli.
Sgranando gli occhi, Gajeel fece uscire Lily dalla vasca, che corse fuori dal bagno come una saetta in versione dalmata per colpa della schiuma sul pelo scuro, e Levy si affrettò a far uscire Lector dalla vasca.
Purtroppo, dal momento che i tre maschi più il gatto avevano creato un laghetto artificiale sul pavimento, Levy scivolò e cadde addosso al marito.
In acqua.
Vestita.
Cosa fece Gajeel?
Dal momento che Lector continuava a lamentarsi, gridò: - Non azzardarti a vomitare in vasca, sai?!
Si tolse Levy di dosso con poca grazia, facendola letteralmente annegare, prese Lector e lo portò vicino al water.
Be’, Lector ci arrivò da solo al water, visto che Gajeel scivolò sulle chiappe e rimase sdraiato per terra ad imprecare come un camionista.
Lector fortunatamente centrò il water e si liberò del gelato in eccesso, dal momento che aveva mangiato anche quello di Gajeel e Frosch.
Quest’ultimo si arrampicò su Levy, ancora immersa in acqua, e sordo agli avvertimenti della ragazza e di Gajeel, uscì dalla vasca.
E scivolò.
Scivolò sopra Gajeel, che si riparò automaticamente gli organi esposti sotto l’ombelico.
Levy non sapeva se ridere o piangere.
 
Dieci minuti dopo, Levy uscì da camera sua in accappatoio, con i capelli avvolti in un turbante, e si diresse in bagno.
Prima di aprire la porta, però, ne uscì Gajeel, nudo.
- Santo cielo, Gajeel, cos’hai oggi? Mettiti qualcosa addosso! – gli intimò.
Il ragazzo la ignorò e corse giù per le scale.
Sbuffando, Levy osservò i cuginetti, che avevano già le mutande e la canottiera addosso.
Be’, per lo meno Lector.
Frosch era già tornato ad essere una rana.
- Vi siete vestiti da soli? – chiese dolcemente, tamponando con un asciugamano i capelli di Lector.
- No, è stato Gajeel.
Levy si bloccò e li osservò, notando come anche la vasca fosse stata ripulita e il pavimento del bagno asciugato.
- Ha messo anche la crema a Frosch! – urlò il bambino-rana battendo le mani.
- La crema?
- Frosch ha un problema alla pelle – spiegò Lector. – È sempre molto secca e dopo il bagno bisogna riempirlo di crema idratante. Gajeel gli ha fatto anche il solletico.
Levy non ebbe tempo di registrare le sue parole che Gajeel tornò con il gatto in mano.
Lily tremava di paura tra le sue mani e miagolava piano, supplice.
Senza fiatare (e senza preoccuparsi di coprirsi), il ragazzo prese un altro asciugamano e si occupò del suo gatto.
Quando Lily fu libero dalla schiuma e più o meno asciutto, Gajeel lo avvicinò al suo viso e lo fissò negli occhi: - Per farmi perdonare ti do un succo di kiwi, va bene gatto?
Lily gli leccò il naso e poi si dimenò per essere lasciato libero, e trotterellò via.
Gajeel amava il suo animale.
- Gajeel, ma perché tu ce l’hai così grande e Frosch ce l’ha piccolino? – chiese ingenuamente Frosch.
Levy scoppiò a ridere e suo marito arrossì. – Io sono grande, tu sei piccolino – rispose in imbarazzo, decidendo di mettersi almeno le mutande.
- Anche Frosch da grande avrà una rana così grande? – indagò ancora il bimbo, mentre Lector sghignazzava.
Gajeel si infilò pure i pantaloni della tuta, mise il pigiama a Lector, tirandolo fuori dalla borsa che i fratelli avevano preparato loro, e si caricò i cugini sotto braccio. – Così grande no, ce l’ho solo io. Io sono un’eccezione. Il tuo sarà medio.
- Anche Frosch la pensa così!
- Smettila di fare lo scemo e portali a dormire – lo supplicò Levy, togliendosi il turbante dai capelli per pettinarli.
Gajeel sghignazzò e si diresse verso la camera dei bambini.
Silenziosamente, la ragazza li seguì e spiò le azioni del marito tramite la porta.
Gajeel lasciò cadere i bambini sopra il letto di peso, facendoli ridere.
Poi diede la buonanotte, rimboccò le coperte e assicurò loro di correre in camera sua se ci fosse stato il minimo problema.
Prima di uscire li baciò sulla fronte e lasciò accesa la luce del corridoio perché Frosch aveva paura del buio.
Ad attenderlo fuori dalla camera trovò Levy, che senza fiatare gli diede un casto e tenero bacio e si diresse in camera lasciando cadere l’accappatoio in corridoio.
 
Poco più tardi, a letto, i due stavano per addormentarsi.
Levy si era attorcigliata a Gajeel come un koala con un ramo, e lui le stava baciando dolcemente il collo e la spalla, beandosi del profumo di bagnoschiuma sulla sua pelle. Lei lasciò andare la testa contro il suo petto e si girò, dandogli la schiena.
Gajeel spense l’abat-jour e la strinse ancora di più a sé per la vita, sussurrandole: - Sogni d’oro – all’orecchio.
Levy sorrise e chiuse gli occhi, contenta.
- Ci sai fare con i bambini – mugugnò quando ormai era più nel mondo dei sogni che in quello normale.
Questa volta fu Gajeel a sorridere, e mormorò: - Ovvio, perché tu sei la mia bambina.
 
Verso le tre del mattino Levy si sentì chiamare da una vocina piccola e impastata di sonno.
- Levy mi porti in bagno? – chiese Frosch, impaurito. – Non mi piace il buio.
La ragazza si alzò sul gomito e gli accarezzò una guancia. – Arrivo, aspetta che mi metto la maglia.
Fece per alzarsi e indossare una larga maglia del marito, ma Gajeel la spinse di nuovo a letto. – Vado io.
Senza darle il tempo di ribattere, prese Frosch in braccio e uscì dalla camera.
Levy non li vide tornare per venti minuti buoni.
 
- Come mai così tanto? – farfugliò quando il peso famigliare di Gajeel fece ondeggiare il letto.
Il ragazzo sospirò e l’abbracciò di nuovo, baciandole tutta la faccia.
Nessuno sapeva che Gajeel era terribilmente dolce e coccolone la sera prima di dormire e la mattina appena alzato, con il sonno che gli annebbiava la mente.
- Frosch aveva mal di gola, gli ho fatto un po’ di latte caldo con il miele – mugugnò lui.
- Ora sta meglio?
- Mh-mh.
- Lo fai anche a me il latte caldo quando sto male?
Gajeel strofinò il naso sulla sua fronte, ormai prossimo a crollare.
- Ba bene… - brontolò.
Levy gli diede un bacio e si riaddormentò insieme a lui.
 
Tre giorni dopo, Sting e Rogue vennero a riprendersi i fratelli.
I due bambini salutarono i cugini e Frosch pianse un po’. Poi diede un bacio ad entrambi e sia Levy che Gajeel lo stritolarono in un abbraccio da rane. Lector faceva il sostenuto, ma si sciolse tra le braccia della cugina e si lasciò baciare le guance paffute da Gajeel, che gli raccomandò di aspettare ancora un po’ prima di farsi vedere nudo alle ragazze.
- Giochiamo alle rane nude?! – gridò Frosch dalla macchina che Sting guidava, facendo ridere la coppia ferma sulla soglia della porta.
- Finalmente un po’ di pace… e intimità… - fece notare maliziosamente Gajeel appena chiusero la porta.
Nel giro di due secondi Levy si trovò seduta sul tavolo della cucina, con il marito a baciarle il collo.
- Gajeel, aspetta, volevo parlarti di una cosa prima.
- Cosa? – brontolò lui sulla sua pelle, fregandosene.
Levy gli prese il viso tra le mani e lo obbligò a fissarla. – Vorresti dei bambini?
Gajeel sbiancò.
- Cos… cioè io… come… eh? – balbettò, preso alla sprovvista.
- Non ti ho detto che voglio fare un bambino adesso. Ti ho chiesto se ne vorresti – specificò lei senza mollare il suo viso.
Gajeel si rilassò visibilmente e scrutò nei suoi occhi ambrati come in cerca della risposta. – Penso di sì… sì. No?
Levy non rispose e non si mosse.
- Perché? – la incalzò lui, sorpreso.
- Perché sei bravo con i bambini.
- Ti riferisci a Frosch e Lector?
- Sì. Sembravi un padre provetto che ha abitualmente a che fare con cinque cicloni come figli.
Gajeel ghignò. – Ti è piaciuto?
Levy rabbrividì. – Ti ho trovato incredibilmente dolce. E sexy.
Il ragazzo la fece sdraiare sul tavolo senza interrompere il contatto visivo, poi si piegò su di lei e la osservò da vicino. – È da un po’ di tempo che sogno di avere dei figli da te, Levy. Prima una femminuccia e poi un maschietto, che ti assomiglino.
Levy si sciolse e lo baciò con trasporto, sentendo le sue mani cominciare ad accarezzarla.
- Anche se siamo sposati solo da un anno e mezzo?
- Stiamo insieme da molto di più. E i figli li vorrei avere da giovane. Io lavoro e tu pure, possiamo mantenerlo, un figlio.
Levy guardò il soffitto della cucina e per un attimo ebbe paura.
A cosa stavano andando in contro?
- L’unica cosa che potrebbe impedirci di avere dei figli è la nostra relazione. Se fosse instabile, dico. Ma… cioè… non lo è, giusto?
Levy sorrise. – Ovvio che no.
- Non mi tradisci, giusto? – domandò Gajeel a bruciapelo, facendola ridere.
- Tutti i giorni. Ho tanto di quel tempo per tradirti. Inoltre tu sei un pessimo marito, quindi ho bisogno di un altro uomo che mi… soddisfi.
Gajeel ghignò in modo poco rassicurante e le sollevò la testa per guardarla in volto.
- Ti farò pentire di ciò che hai appena detto, Levy Redfox.
Levy soppresse un gemito al suono di quel nome sulle sue labbra. Quando glielo sussurrava all’orecchio perdeva la testa.
- Ne dubito, signor Redfox.
Da quel momento Gajeel le rese impossibile pronunciare un discorso sensato.

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Pertanto, ora possiamo tornare al punto iniziale.
Sempre se ve lo ricordate…
Gajeel e Levy decisero di aspettare ancora un po’ prima di avere dei figli, qualche mese per aggiustare e rivedere alcune cose, ma concordarono nel sottoporre la questione ai genitori del ragazzo.
Così, la domenica successiva al loro discorso fatto sul tavolo della cucina (…), andarono come di consueto a pranzo dai signori Redfox, e chiesero a bruciapelo cosa ne pensavano riguardo all’avere dei nipoti.
Be’, partendo da uno, di nipote.
- Nipotini?! – esclamò Belno, facendo sussultare sia Levy che Gajeel.
Metallikana era troppo abituato a sua moglie per spaventarsi dei suoi urli improvvisi, così continuò a mangiare tranquillamente.
- MI PRENDETE IN GIRO?! – gridò ancora, facendo alzare gli occhi dal piatto persino al marito.
- …no – mugolò Levy, facendosi piccola piccola.
- NIPOTINI?!
- Ma’! – sbottò Gajeel, grattandosi un orecchio. – Porca vacca mi hai assordato. Nipoti, sì. I figli miei e di Levy sarebbero tuoi nipoti!
- Sei incinta, cara?! – gridò ancora Belno, facendo volare alle sue spalle il calice di vino che teneva in mano.
Metallikana fissò, impassibile, il volo del bicchiere, per poi rivolgersi a sua moglie. – Ohi, calmati donna.
- Non sono incinta, Belno! – si affrettò a chiarire Levy. – Però io e Gajeel stavamo valutando l’idea di averne uno, intanto. Tra qualche mese, insomma. Non subito.
- Oddio! – urlò la suocera, alzandosi in piedi.
- Ma’, urla ancora e faccio dieci figli senza dirtelo o mostrarteli!
Belno sbarrò gli occhi e si sedette in silenzio, respirando profondamente.
Levy, invece, era sbiancata. – Dieci figli con me non li fai – sussurrò al marito. – Facile dire dieci, non devi mica farli tu.
Metallikana ridacchiò e fissò la nuora. – Penso che Belno, con i suoi schiamazzi, volesse dire che sarebbe bello avere un nipotino. Si sente sola senza sua figlio a casa. Dice che i muri ci crolleranno addosso da quanto è vuota questa prigione.
Belno gli diede uno schiaffo sul braccio. – Ma se sei tu che quando andiamo a dormire hai gli occhi lucidi e mi dici che un po’ ti manca il tuo figlio degenere?!
Levy sorrise intenerita e Metallikana si affrettò a negare. – Figurati, lo faccio solo perché così poi mi consoli come solo tu sai fare.
Belno, se avesse potuto, avrebbe lanciato saette dagli occhi: - Fatti consolare da tuo figlio, allora, perché io non faccio più niente per te.
Gajeel scoppiò a ridere quando vide suo padre sbiancare. – Papà, io non faccio proprio niente di quello che tu fai con mamma, chiaro?!
- Perciò – prese la parola Levy, interrompendoli, - sareste contenti di avere un nipote, giusto?
- Non aspettavo altro, Levy cara! – strepitò Belno, correndo a stritolare abbracciare la nuora.
- Se è una nipotina come te, volentieri. Se è un altro Gajeel, meglio di no – scherzò Metallikana, beccandosi in testa una fetta di pane lanciata dal figlio.
Alla fine, ridendo, Levy guardò suo marito, e capì che stavano pensando la stessa cosa: era ora di mettere su famiglia.
 
Dopo qualche mese, vero?
Avrebbero provato a concepire dopo qualche mese.
Invece…
- Gajeel, sono incinta – esordì Levy senza mezzi termini un mese e mezzo dopo, sedendosi tranquillamente sul divano con le due ciotole di pop-corn ancora caldi in mano.
Dovevano guardare un film.
Dovevano.
Gajeel sputò la birra che aveva appena sorseggiato. – Tu cosa?!
Levy batté placidamente le palpebre e prese una manciata di pop-corn. – Io sono incinta.
Suo marito boccheggiò. – Cioè nel senso che tu…
- Nel senso che io sono incinta.
- Quindi…
- Gajeel, non è che la parola ‘incinta’ abbia molti significati, come la parola ‘canna’.
- Quanti significati ha la parola canna? – chiese allora lui, distratto da quel discorso.
Levy si agitò sul divano. – Ha diverse implicazioni, la parola canna. C’è quella per innaffiare, quella da zucchero, quella che si fuma…
- Quella del cesso – si intromise Gajeel.
- Esatto. Invece quando sei incinta sei incinta. Non è che dici ‘sono incinta’ e allora tu ti chiedi se sto aspettando un bambino o se ho voglia di mangiare pane e marmellata. O di farmi qualcosa in vena.
- Perché ti è venuta in mente la canna?
Levy lo fissò masticando, in silenzio.
Gajeel allora si illuminò.  – Ah! Okay ho capito -. Rise. – Hai fumato una canna e quindi ora sei sotto a qualche influsso da droga o che ne so io e pensi di essere incinta.
Levy deglutì lentamente e continuò a guardarlo, inespressiva. – No no, sono incinta. E non faccio uso di stupefacenti, sciocco.
A Gajeel si seccò la gola. – Ma come…? Quando…?
- Come? Devo spiegarti come? Gajeel, pensavo che sapessi come si fanno i bambini.
- Non intendevo quello, Gamberetto! Come fai a saperlo? Da quanto lo sai? E da quanto sei incinta? E poi… dovevamo… lui… cioè…
Un’altra serie di domande incomprensibili gli attraversarono la mente e si tramutarono in ancora più inintelligibili frasi.
Levy gli infilò una manciata di pop-corn in bocca per farlo tacere.
- Hai presente quando tre giorni fa mi hai vista andare in bagno con un termometrino in mano?
Gajeel annuì.
- E quando me l’hai chiesto io ti ho detto che non stavo benissimo perché avevo tanta nausea?
Ancora, Gajeel annuì.
- E non ti è venuto in mente che è da un mese e mezzo che non mi arrivano?
Gajeel fece per annuire, ma si bloccò. Ci pensò. Poi scosse le spalle, disinteressato.
- Grazie della premura – mormorò Levy. – Comunque, non serviva a misurare la febbre, quel termometro. Era un test di gravidanza. Positivo. Ieri ne ho fatto un altro. Positivo. Sono incinta da un mese e mezzo. Quasi sei settimane.
Gajeel si rese improvvisamente conto di avere ancora in bocca i pop-corn, intatti. In compenso dimenticò le buone maniere (che le abbia mai avute?) e sputacchiò: - Ma è il periofo in cui…
- …in cui sono stati a casa nostra Lector e Frosch. E smettila di sputacchiarmi addosso pop-corn!
Gajeel si gelò e divenne parte integrante del divano.
*Comprate un divano da Gajeel-Morbidezza-Assicurata! Divano morbido, dai dettagli curati e dalle cuciture interamente artigianali, con tante macchie biancastre di pop-corn sputacchiato! In regalo, un esclusivo Gajeel annesso. Ottimo come antistress e attira polvere, nonché come spaventapasseri da usare contro i ladri. Non fatevi scappare l’occasione!*
- Ti avevo detto, io, che era meglio non fare niente con i bambini a casa – mormorò Levy lasciandosi andare contro lo schienale.
Gajeel parve svegliarsi. E deglutì, fortunatamente. – Ma cosa vuoi che c’entrino i bambini! È colpa tua!
- Mia?! – sbottò lei, infervorandosi. - I bambini non li faccio certo da sola, Gajeel! – esclamò ancora, gettandogli addosso un pugno di pop-corn.
- Be’, non si farebbero se tu non mi tentassi. Sei una seduttrice che… attenta alla mia… virilità! No, castità! Quella roba lì insomma.
Furente, Levy sbatté la ciotola di pop-corn sul tavolo.
- Perché accidenti ti arrabbi se comunque avevamo deciso di averne uno nel giro di poco?! – gridò.
- Perché cavolo ti arrabbi tu, allora?! – reagì lui, svegliandosi dal torpore post-shock.
- Perché non hai avuto la reazione che volevo. Dovevi essere felice e abbracciarmi e baciarmi e poi buttarmi sul divano e ricordarmi come si fanno i bambini e…
- Okay, okay, calma! – la bloccò lui posandole una mano sulla guancia.
Era seriamente, seriamente arrabbiata e la cosa poteva fare male al bambino. Secondo lui.
Insomma, nel giro di tre secondi era passato dalla versione del Gajeel ameba a quella arrabbiatissima e poi iperprotettiva.
Poi sono le ragazze quelle volubili, eh!
- Sono calma! – sbraitò Levy. Poi sospirò, un respiro tremolante e fragile. – Scusa – farfugliò, poggiando il viso sulla mano calda e rassicurante del marito. – Ma sono incinta e posso.
Gajeel si chiese se fosse già iniziato il periodo degli sbalzi umorali.
- Allora, ti va se la rifacciamo? Io ho avuto una reazione poco entusiasta, ma tu sganci bombe come se fossero puzzette.
Levy aggrottò le sopracciglia, non esattamente certa di aver capito il paragone. Prese la ciotola sul tavolo e quella che Gajeel aveva in mano, e andò in cucina.
Poi, trotterellò verso il divano e si sedette, sorridendo leggermente. Allungò una mano per dare a Gajeel i suoi pop-corn. – Gajeel, sai che sono…!
Le due ciotole volarono sopra il divano e si depositarono per terra, con il loro contenuto sparso come neve sul pavimento. Gajeel sbatté Levy sul divano, sordo alle sue proteste, e la baciò lascivamente, allungando le mani e guidando le sue gambe attorno ai suoi fianchi.
Ottenne solo un calcio sul sedere.
- Idiota, non così! – brontolò Levy levandoselo di dosso, togliendosi i capelli dagli occhi. - Non devi saltarmi addosso, devi commuoverti. Dopo faremo festa. Dopo.
Gajeel, obbediente (cioè ancora nella fase post-shock), si sedette composto.
- Ora come faccio ad arrivare qui con i pop-corn se sono tutti per terra?
Un minuto dopo, Levy stava per sedersi sul divano e comunicare a Gajeel un’ignota notizia con due terrine piene di peli del tappeto. E pop-corn, ovviamente.
- Gajeel, sono…!
Gajeel scoppiò a piangere.

Quattro ulteriori tentativi dopo, ce la fecero.
- Gajeel, sono incinta… - bofonchiò Levy con poca convinzione, appoggiando le ciotole sul tavolino e lasciandosi andare contro lo schienale, sbuffando.
Il ragazzo la fissò impassibile, prima di aprirsi lentamente in un piccolo sorriso stupito.
- Incinta? Sul serio?
Levy si raddrizzò, finalmente soddisfatta della reazione. – Sì!
- Ma ne sei certa?
- Sì, ho fatto il test due volte. Sono incinta da un mese e mezzo.
Gajeel l’abbracciò dolcemente e le posò un bacio tra i capelli, sentendola sciogliersi contro di lui. – Ti amo, Levy.
Lei lo strinse forte, commuovendosi in lacrime silenziose. – Anche io, Gajeel.
Rimasero abbracciati per un tempo interminabile e perfetto, prima che Gajeel si allontanasse leggermente per poterla baciare gentilmente. – Festeggiamo? – sussurrò.
Levy sorrise e si lasciò scivolare sul divano, mentre suo marito ghignava e prendeva una manciata di pop-corn.
Che sputò subito.
– Che schifo, sono pieni di peli.
Levy scoppiò a ridere, poi si mise a piangere e si avvinghiò a Gajeel con aria poco casta.
Lui sgranò gli occhi.
Sì, era già iniziato il periodo degli sbalzi umorali.
 
Belno svenne quando Levy la chiamò, la sera successiva, per darle la notizia.
La donna aveva deciso di non andare al ristorante perché il nuovo impiegato incaricato della gestione generale se la cavava abbastanza bene anche senza di lei.
- Belno, io e Gajeel abbiamo una bella notizia da darti – trillò Levy al cellulare, camminando irrequieta per la cucina mentre suo marito cucinava.
Lily si era messo a giocare con una carta di caramella e Levy era costretta a camminare come una lottatrice di sumo per non pestare la coda del gatto, mentre Gajeel la guardava sogghignando.
- Che notizia, cara? – chiese distrattamente Belno.
La donna, Levy lo sentiva dal rumore, stava probabilmente cucinando, come suo figlio. – Ti ricordi di cos’abbiamo parlato un mese fa circa?
- Mmm… - mormorò Belno, pensando. Ma era distratta.
- Era qualcosa di bello… - la spronò Levy, mordendosi le labbra per non ridere.
Gajeel le diede una sculacciata sul sedere quando lei gli passò vicino, attirandosi una linguaccia divertita.
- Qualcosa di bello… aspetta, qualcosa di bello? – ripeté Belno. Ora Levy aveva la sua più completa attenzione.
- Sì, qualcosa di bello di cui abbiamo parlato un mese fa! – esclamò Levy, saltellando. Si avvicinò di nuovo al marito e, spostando Lily con un piede (in modo gentile ovviamente), si tappò la bocca e mise il vivavoce.
- Ho capito! – esclamò Belno, la voce che usciva ancora più squillante dagli altoparlanti del cellulare. – Ti riferisci a quando abbiamo parlato di legare i nostri uomini alla testiera del letto per far capire una buona volta chi comanda! Eravamo un po’ brille quella sera, ma le idee non erano male. Alla fine l’hai legato? Hai usato la benda come ti avevo consigliato? E la biancheria…
Levy impallidì e fece cadere il telefono nella furia di spegnere il vivavoce.
Quando lo raccolse e si arrischiò a fissare Gajeel, lo trovò intento a guardarla con un sopracciglio inarcato, mentre girava la crema di piselli.
Da pallida, Levy diventò rossa e decise di correre in camera per evitare che Gajeel sentisse le altre sconcerie che sua mamma stava dicendo.
Le sconcerie di cui, tra l’altro, avevano parlato le due donne.
- Belno zitta! Ero in vivavoce e Gajeel ha sentito tutto! – piagnucolò Levy salendo le scale, per poi buttarsi a letto.
Un minuto di silenzio. – Caspiterina no! Non doveva sentirle, quelle cose! – esclamò la suocera.
- Ma dai? – bofonchiò Levy. – Comunque non dovevo dirti questo, anche se le idee le ho applicate e… va be’, ne parliamo un’altra volta. Un mese fa abbiamo parlato di un’altra cosa bella.
- Levy cara, scusa, ma ora non mi viene in mente. Anche perché sto pensando a Metallikana legato al letto, sai com’è…
Levy soffocò una risatina. – Abbiamo accennato a dei nipotini.
- Ah! Sì è vero!
- Ecco. Avevamo detto di aspettare, ma… be’, probabilmente quando ne abbiamo parlato ero già incinta e non lo sapevo! Capisci?
- Wow, eri già incinta – rise Belno, trafficando con qualche pentola, a giudicare dal rumore.
- Eh sì… ero incinta… - ribadì Levy, aggrottando la fronte.
- Eri incinta…
Che Belno avesse capito?
- Ehm… Belno… intendo dire che sono incinta.
Silenzio. – Ma certo. Lo eri, quindi lo sei anche ora! –. Una risatina. – Sei incin… SEI INCINTA?!
Un tonfo sordo.
- Belno? Belno ci sei? Belno?!
Gajeel entrò in camera e si sdraiò di fianco alla moglie, baciandole una spalla. – La cena è in tavola. Mia mamma che ha detto?
- Ha continuato a ripetere che sono incinta, ma secondo me non ha capito. Penso che sia caduta la linea.
Gajeel grugnì e le baciò la fronte, poi il naso e poi le labbra. – La cena è comunque pronta.
- Oh, sì, arrivo – disse Levy sorridendo, prima di abbracciare il marito e raggomitolarsi al suo fianco.
- Levy? La cena…
- Ceniamo a letto? – mormorò lei con la voce da bambina, facendo quasi le fusa.
Gajeel ridacchiò e la prese in braccio, portandola in cucina.
A metà scala, però, gli squillò il cellulare.
Mise giù la moglie e rispose senza indugi: - Dimmi pa’.
- Gajeel, la mamma è in stato confusionale. Sdraiata in cucina. Che è successo?
- Levy le ha detto di essere incinta.
- Ah, è incinta. È incinta?!
Gajeel allontanò il cellulare dall’orecchio: suo papà gli aveva distrutto un timpano.
- No, tesoro, aspetta, non serve che… Tesoro? Eddai, Belno! – brontolò Metallikana, che Levy udiva anche senza vivavoce. L’uomo sospirò. – Gajeel riattacco, tua mamma è svenuta di nuovo.
Prima di poterlo salutare, la linea era già stata chiusa.
Levy e Gajeel si guardarono, fermi a metà scala, e scossero le spalle.
Sapevano che i suoi erano strani.
 
Quello che non sapevano era che nel giro di venti minuti se li sarebbero trovati sulla porta di casa.
Armati di tre bottiglie di champagne e una vaschetta gigante di gelato artigianale che preparava Belno in casa.
- Cos…? – provò a chiedere Levy, basita, quando si trovò davanti alla porta la faccia di Gajeel invecchiata. Ossia la faccia di suo suocero.
- Ciao Levy. Ti conviene allontanarti se non vuoi che Belno ti placchi. E tu smettila di muoverti, vecchia!
Alle spalle di Metallikana, Belno si stava divincolando per cercare di passare, urlando improperi misti al nome di “Levy cara”.
La ragazza scappò sul divano squittendo, e solo quando fu al sicuro con un cuscino a coprirla Metallikana liberò sua moglie.
- LEVY CARA!
Belno corse dalla nuora spintonando il figlio, che inciampò su Lily e cadde per evitare di pestargli la coda.
La donna si gettò sul divano, strappò di mano a Levy il cuscino gettandolo in faccia al figlio, per terra, e iniziò a palpare il corpo della ragazza. Che urlò e poi rise per il solletico.
- Belno, ferma, ti prego!
- Belno, santo Dio, datti una calmata! Non palparla così, Belno! Sembra la scena di un film vietato ai minori – esclamò Metallikana aiutando il figlio ad alzarsi.
- BELNO! – gridò Levy, allarmata. – La gonna no, non è lì sotto il bambino! Belno ti prego non sei una ginecologa e c’è tuo marito che guarda!
- MAMMA! – ruggì Gajeel, frapponendosi di corsa tra la madre e la moglie. – Ma che diavolo fai?! Stupri mia moglie?! Ma sei scema?!
Belno cominciò a ridere, entusiasta, i capelli a caschetto che ondeggiavano tra i riflessi corvini.
Poi iniziò a piangere e abbracciò il figlio, dichiarando che era il suo nipotino preferito.
Poi lo spinse via e accarezzò la pancia piatta di Levy, mormorando paroline dolci del tipo: - I miei nipotini adorati! Venite da nonna Belno piccoli miei. Vi amo tutti allo stesso modo!
Terrorizzata, Levy allungò le braccia e Gajeel la prese in braccio portandola in cucina, dove i resti della loro cena attendevano di essere finiti e ripuliti.
Be’, Metallikana stava finendo tutto in maniera egregia.
Gajeel imprecò. – Papà smettila di mangiare, porca miseria. Non hai mangiato a casa tua?
Metallikana scosse la testa. – Tua mamma stava cucinando quando Levy ha chiamato. Belno si è scolata una bottiglia di champagne da sola e mi ha costretto a venire qui.
Tre paia di occhi fissarono Belno che, a cinquant’anni suonati, saltava sul divano come una bimba. Con Lily in braccio.
- Papà porta tua moglie e il tuo sederone fuori di qui – sibilò Gajeel, abbracciando possessivamente Levy.
- Noooo! – gridò Belno, correndo dalla nuora, che si fece piccola piccola tra le braccia di Gajeel. – Voglio stare con i miei nipotini!
- Ma’, è un nipote! UNO! Levy ti sembra una fabbrica di neonati? – sbottò Gajeel.
- Ma io voglio due nipoti!
- Io voglio una famiglia normale – piagnucolò Levy.
- Ma’, aspetta qualche anno e ne avrai due. Ora te ne basta uno!
Belno, nella sua ubriachezza, era stata profetica, ma questo si scoprirà dopo.
Quello che vi interessa sapere è che, in qualche modo ignoto che nemmeno io so, Belno e Metallikana si ritrovarono ubriachi in casa del figlio, che aveva bevuto solo mezzo bicchiere di champagne per solidarietà nei confronti di Levy, che non poteva.
Gajeel decise che era il caso di portarli a casa quando i due genitori iniziarono a baciarsi con troppo trasporto. Seduti… più o meno seduti sul sedile posteriore nella macchina del figlio, visto il loro stato di ebbrezza, Belno e Metallikana iniziarono ad allungare le mani ridacchiando, mentre Gajeel tratteneva a stento i conati di vomito.
A metà percorso dovette fermarsi e costringere il padre a sedersi davanti con lui, altrimenti avrebbe seriamente rischiato di vedere in che modo era nato. L’origine della sua esistenza da feto, insomma. La sua culla primordiale, l’atto mediante il quale lui era venuto alla vita…
Va be’, avete capito.
Li scaricò in casa loro che già erano senza maglia.
Fu costretto a stare due minuti con la testa posata sul volante della sua macchina prima di rimetterla in moto, sconvolto.
Quando tornò a casa, trovò le luci spente e la cucina pulita, e Lily lo guidò su per le scale.
Levy era a letto, e leggeva placidamente un libro.
Sospirando, Gajeel si tolse la maglia e si buttò sul materasso con la faccia sul cuscino.
La ragazza iniziò a massaggiargli dolcemente i capelli, inducendolo a guardarla.
- Sei viva?
Levy annuì meccanicamente.
- Il bambino è vivo?
Levy annuì.
- Dimmi la prima cosa che ti passa per la testa.
- I tuoi mi spaventano.
Gajeel ridacchiò e Levy lo fissò, sorridendo a sua volta.
- Li ami anche per questo – le fece notare lui, sollevandosi per baciarla.
- Li amo soprattutto per questo – rettificò rispondendo al bacio.
- Penso che abbiano preso bene la notizia, comunque…
Levy scoppiò a ridere. – Penso che tua mamma potrebbe rimanere incinta da quanto ha preso bene la notizia.
Gajeel rabbrividì al ricordo di quei dieci minuti in macchina.
Un figlio che riporta a casa i genitori sbronzi.
Ma in che razza di famiglia era cresciuto?
- Per fortuna è in menopausa – borbottò.
Levy rise.
Poi si bloccò.
Deglutì. – Gajeel.
- Dimmi – mormorò lui abbracciandola e posandole la testa in grembo.
- Dobbiamo dirlo anche… a Igneel e Grandine…
Fu il turno di Gajeel di restare paralizzato per lo shock.
 
Il weekend successivo la casa fu invasa da zio Igneel e prole e da zia Grandine e prole. Nonché da Belno e Metallikana, senza prole per ovvi motivi.
La giornata andò… bene.
AHAHAHAHAHAHAH sì certo.
Grandine rischiò di fare a pugni con Gajeel perché voleva fare a Levy una seduta di ginecologia sul divano di casa. Con i maschi a guardare.
Igneel cercò estintori per tutta la casa per assicurarsi della sua sicurezza, e poi si avvicinò troppo al gas, così Metallikana lo spostò con un calcio per evitare incendi fatali.
Una bella zuffa tra cinquantenni era quello che ci voleva.
Una cosa utile, però, la fecero: portarono regali.
Regali utili sul serio.
Igneel, che voleva un pronipote maschio, portò completi azzurri per il nascituro, come pigiami e tutine, bavaglini e scarpine. In quantità quasi eccessive.
Grandine, che voleva la femmina, fece esattamente la stessa cosa, ma con stoffa rosa.
Levy rimase allibita di fronte alla generosità degli zii.
Poi scoppiò a piangere.
- Oh, si è commossa! – esclamò Grandine, abbracciandola.
- No, è solo che è da giorni che mi dice che non vede l’ora di fare shopping per il piccolo. Le hanno rotto le uova nel paniere – sussurrò Gajeel a sua mamma, che annuì comprensiva.
La futura nonna aveva comprato invece cose essenziali come forniture di pannolini, biberon, ciucci, giochini per i denti e altri aggeggi che Levy non avrebbe mai pensato le sarebbero serviti.
Il bambino era più che a posto per… sempre.
Natsu, che si era trovato a mani vuote, si sentì in colpa, e promise: - Io comprerò il passeggino quando ne troverò uno in grado di andare ai quaranta all’ora. Il mio procugino sarà il più veloce di tutti. Non a casa sono noto come Palla di Fuoco Natsu!
I parenti lo avevano fissato impassibili, abituati alle sue scemate, mentre Levy si era stretta il ventre tra le braccia all’idea di un passeggino che corresse ai quaranta allora.
Avere Natsu come “procugino”, come aveva detto lui, non era una cosa da trascurare.
Quando Belno tirò fuori lo champagne, Gajeel decise che la festa era finita.
Ci mancava solo dover riportare a casa due genitori in calore e due zii che si sarebbero probabilmente uccisi di botte. O due genitori in calore, uno zio che avrebbe sicuramente dato fuoco a qualcosa e una zia che avrebbe insistito per vedere le parti intime di Levy.
Entrambe le teorie erano spaventose.
 
Il problema, il problema vero, si presentò alla prima ecografia.
La visita era stata fissata un mercoledì mattina, otto settimane dopo il concepimento, cioè un paio di settimane successive alla comunicazione della gravidanza ai parenti.
Levy, che amava la sua famiglia tanto quanto la temeva, si era premurata di non far trapelare la notizia dell’imminente ecografia.
Solo che…
- Levy cara!
Seduta sulle seggioline imbottite della sala d’aspetto, dieci minuti prima di entrare, Levy trasalì.
Non poteva essere…
Seduto di fianco a lei, Gajeel le strinse la mano.
- Belno, taci, per la miseria! Se in un ospedale, non al ristorante!
Non poteva essere vero…
- Eccoti Levy cara! – esclamò Belno, sedendosi praticamente in braccio alla signora evidentemente incinta che sedeva di fianco a Levy.
Un modo molto carino e cordiale per chiedere a qualcuno di scostarsi.
Eloquente di sicuro.
Metallikana li raggiunse con una mano sulla faccia, il respiro pesante di chi sta per perdere la calma.
Levy era sconvolta. – Che ci fate voi qui?!
- Che facciamo qui? Oh, nulla, pensavo di farmi un’ecografia. Che coincidenza! – ribatté Belno, piccata.
Metallikana sbuffò, facendo alzare la moglie per sedersi al posto suo. Belno fece per protestare, ma il marito se la trascinò addossò, facendola tacere.
- Scusala, Levy, è solo offesa perché non l’avete avvisata – spiegò il suocero, appoggiando con forza la testa sul muro alle sue spalle.
La ragazza si sentì un pochino in colpa. Non gliel’aveva detto perché sapeva che sarebbero andati con lei, ma per una volta lei voleva fare una cosa da sola con Gajeel. Erano loro quelli che stavano per diventare genitori, dopotutto.
- Mi dispiace, Belno. Ma come avete fatto a scoprirlo?
Levy sentì la mano di Gajeel allentare la stretta, e capì senza bisogno di chiedere.
- Sei stato tu! – esclamò, accusando il marito.
Gajeel aveva la solita espressione impassibile, ma Levy sapeva che era teso. – Non ho avuto scelta! Dovevo chiedere la mattina a mio papà e lui ha voluto sapere perché. Non è che potessi inventarmi qualche scusa!
Metallikana ghignò. – Ho chiuso l’officina e siamo a posto, per questa mattina.
Belno si rilassò e accarezzò il volto della nuora. – Ti perdono cara. Anche perché sono comunque qui, quindi…
- Redfox? – chiamò la voce di un’infermiera.
Belno scattò in piedi e urlò: - Arriviamo, siamo pronte! È emozionante come la prima volta!
Levy avvampò e si affrettò verso l’infermiera mentre le altre pazienti la fissavano compassionevolmente.
Gajeel le fu alle spalle e rischiò di chiudere la porta in faccia a suo papà, mentre Belno si lamentava dietro di lui.
L’infermiera pensò bene di svignarsela.
La stanzetta in cui entrarono era davvero piccola e molto scura, per permettere alle immagini di essere osservate meglio. Una piccola scrivania con una lampada accesa era incastrata in un angolo.
Levy, purtroppo, non poté godersi il momento emozionante (insomma, stava per vedere suo figlio per la prima volta), perché si rese conto che la stanzetta era affollata.
Ci sarebbero state strette quattro persone, e loro erano in… sette.
Già, sette…
- Igneel?! Grandine?! Che cosa fate qui? Persino Natsu? – esclamò Levy, atterrita.
- Sorpresa! – gridò Grandine, pizzicandole dolcemente una guancia. – Ti faccio io l’ecografia!
- Io assisto nel caso scoppi un incendio! – disse Igneel, entusiasta.
- E io assisto papà nel caso scoppi un incendio mentre ne scoppia un altro! – gioì Natsu.
Levy era troppo avvilita per prestare ascolto a ciò che diceva quel tonto del cugino. – Tanto valeva far venire anche Wendy… - borbottò.
- Voleva, ma è a scuola. Forza, che ho altre pazienti dopo di te!
Battendo le mani, imitata da una Belno così emozionata da rischiare una sincope vasovagale (comunemente nota come “svenimento”, ma dire sincope rende meglio la situazione tragica), Grandine fece stendere Levy sul lettino posizionato vicino ai macchinari ecografici. Dopo aver fatto girare i maschietti, tranne Gajeel che però si era messo a fare da scudo alla moglie, Grandine alzò la maglia di Levy fin sotto al seno, e le abbassò leggermente pantaloni e mutande, mettendo della carta tra stoffa e pelle in modo da non rovinare la biancheria. Poi le applicò un gel che la fece rabbrividire di freddo.
 Metodicamente, come chi è abituato a fare quel lavoro ad occhi chiusi, Grandine impostò la macchina e fece scorrere un attrezzo oblungo simile ad un registratore di cassa sul ventre appena rotondo di Levy.
- Quel coso è un vibratore? – sussurrò Gajeel a sua madre, che gli tirò una gomitata poco convinta.
- Potete guardare – li informò Grandine, inducendo i parenti a girarsi verso lo schermo sul quale si stavano formando le immagini in bianco a nero del contenuto dell’utero di Levy.
Natsu sgomitò per riuscire a vedere, Metallikana tirò un calcio a Belno per sbaglio e dopo trenta secondi di botte tirate a caso la situazione si calmò.
- Tutto a posto Levy – rivelò Grandine, facendole tirare un sospiro di sollievo. – Il feto è vivo e sta bene, quando farai la seconda ecografia potrai anche vedere il suo cuoricino battere. Per ora non sembrano esserci malformazioni.
- Il sesso? – chiese Belno, appicciandosi allo schermo.
- Questo non è un pisellino? – indagò Metallikana, ricordando come fosse risultato evidente il sesso del figlio durante le sue ecografie.
- Non lo so, è presto per dirlo – rispose Grandine, continuando a far vagare l’oggetto sulla pancia di Levy, fornendo diverse angolature per osservare il feto.
Gajeel aveva gli occhi lucidi, ma nell’oscurità della stanza nessuno se ne rese conto.
 
Levy era incinta di tre mesi e mezzo quando lo scoprirono.
- Gemelli?! – esclamò, stritolando la mano di Gajeel, al suo fianco vicino al lettino.
Il ragazzo si sentì mancare e Belno ballò.
Metallikana era sconvolto quanto il figlio.
Per quella volta, almeno Natsu e Igneel erano stati a casa.
- Gemelli, ne sono sicura. Guarda qui – la spronò, indicando una linea sullo schermo del computer che trasmetteva il contenuto della sua placenta. – Vedi? Due sacche? Non ne ho la certezza matematica, ma penso che siano maschio e femmina.
- Come fai a dirlo? – chiese Gajeel, la gola secca e la voce strozzata.
- Be’, innanzitutto le due sacche fanno presumere che i gemelli siano eterozigoti. Di solito gli eterozigoti sono maschio e femmina, anche se non sempre. E poi, be’…
- Cosa? – la incalzò Metallikana, avvicinandosi allo schermo.
- Be’, questo qui è un maschio. A meno che non abbia tre gambe, ma ne dubito. Invece lei ha quattro arti e nessun’altra appendice. Gemelli maschio e femmina, Levy.
La ragazza, a bocca aperta, fissava il pisellino di suo figlio sullo schermo, come ad incolparlo di ciò che le avrebbe fatto patire.
Cioè, gemelli?! Come avrebbe fatto un corpicino come il suo a contenere due… oddio e se fossero nati dei tori come Gajeel? Da dove sarebbero usciti?
L’attacco di panico che minacciò di sopraffarla venne però bloccato sul nascere nel momento in cui Gajeel si chinò e le baciò la fronte, abbracciandola più stretta che poté.
- Grazie – le sussurrò a voce così bassa che persino lei faticò a sentirlo.
Quando una piccola goccia bagnata le scivolò sul collo, Levy capì che Gajeel era così entusiasta da essersi commosso. Con gli occhi lucidi, ricambiò l’abbraccio e si rese conto che, finché fossero stati insieme, avrebbero potuto affrontare qualunque cosa.
 
- Gemelli – ripeté Levy per l’ennesima volta quella sera, a letto. Sdraiata prona, fissava il soffitto senza realmente vederlo.
- E il maschio ha pure ereditato la dotazione dei Redfox! – esclamò Gajeel, steso di fianco a lei.
Levy non poté evitare di ridacchiare e si girò per abbracciarlo. – Stupido – mormorò a contatto con la sua pelle.
Gajeel sorrise beato quando Levy iniziò a baciarlo centimetro per centimetro, finché non si posizionò sopra di lei e la baciò dolcemente, insaziabile di lei nonostante i momenti intimi appena trascorsi.
- Aspetta un secondo! – esordì interrompendo il bacio.
Levy lo osservò, in attesa.
- I gemelli…
- Sì?
- Escono da lì?
Levy alzò gli occhi al cielo. – E da dove se no?
Gajeel spalancò la bocca. E portò una mano a proteggersi “la dotazione”, come se fosse lui quello che avrebbe dovuto soffrire.
Levy sbuffò e si alzò avendo premura di premere gomiti e ginocchia ovunque incontrasse la carne del consorte.
Troppo facile la vita dei maschi.
 
Cinque mesi e mezzo dopo, cioè appena entrata nel nono mese, Levy partorì.
Nei mesi precedenti la pancia le era cresciuta sempre di più, prima in modo dolce e tenero, facendola assomigliare ad un bigné, fino a diventare quasi più grande di lei. Dire che l’effetto era grottesco è un’esagerazione, ma vedere una piccola nanerottola incinta di due gemelli figli di un armadio sollevatore di pesi… era buffo e carino, certo, ma anche sinistro.
Ovviamente non per Gajeel e Belno, che facevano di tutto pur di accontentare le voglie dell’ingravidata ed evitare di farla innervosire, arrabbiare o stressare. Fortunatamente Levy non aveva sofferto di nausee, perché sarebbe stato pericoloso per i bambini: già lei era piccina, se poi non mangiava i piccoli come potevano crescere?
Comunque sia, la gravidanza andò bene, finché una sera…
Levy si alzò dal letto per andare in bagno, sbrogliandosi dal groviglio di gambe e braccia che era Gajeel quando dormiva.
Fece pipì e tornò a letto barcollando sotto il suo stesso peso.
Pochi minuti dopo, si sentì umida nella zona genitale, e tornò sbuffando in bagno. L’incontinenza era diventata una tortura nelle ultime settimane.
Ancora intontita dal sonno, tornò in bagno e rischiò di non accorgersi del fatto che la pipì usciva da sola. Non come un torrente, certo, ma nemmeno a piccole gocce come un rubinetto che perde.
Levy accese la luce e cercò di osservare cosa accadeva lì sotto, frustrata dal non riuscire a vedersi il pube a causa della panciona.
E delle tette.
Ma di quelle non si lamentava.
- Tutto posto… Lev…? – mormorò Gajeel con la voce impastata.
Non ottenendo risposta, si trascinò pesantemente fino alla fonte di luce e si appoggiò allo stipite del bagno, cercando di far abituare gli occhi alla luce prima di poter guardare Levy.
La sua Levy ippopotamica, seduta sul water mentre faceva la pipì e cercava con scarsi successi di spostarsi la pancia da qualche altra parte.
Gajeel avrebbe riso se non avesse incrociato la sua espressione infastidita: odiava mostrarsi sul water, la metteva a disagio.
- Che pipì lunga – commentò Gajeel, sbadigliando.
- Mi si sono rotte le acque – chiarì Levy, alzandosi dopo aver tirato l’acqua per prendere un assorbente.
Grande. Molto grande.
Gajeel non si scompose. – Domani mattina chiamo l’idraulico.
Levy si bloccò e lo fissò stranita, ma lui era in trance.
- Si sono rotte le acque a me, Gajeel.
- Eh, ho capito. Questa è casa tua, dei tuoi genitori, quindi sono le tue acque. Ma siamo sposati, serve ancora fare queste distinzioni?
Sbuffando, Levy tornò in camera e si vestì sotto lo sguardo confuso di Gajeel, per poi prendere la borsa che aveva preparato per stare all’ospedale. Infine si sedette sul letto a guardarlo.
- Gajeel, se mi si sono rotte le acque significa che sto per partorire.
Sembrava di spiegare ad un bambino che la forchetta serve per mangiare.
Gajeel rimase in silenzio per altri quindici secondi, mentre le rotelline del suo cervello ricominciavano a funzionare quel tanto che bastava per permettergli di capire cosa significasse ciò che sua moglie aveva appena detto.
Quando le informazioni vennero recepite, Gajeel scattò verso il letto e inciampò nelle lenzuola, finendo a terra con un tonfo sordo.
Senza fiatare si mise una camicia (al contrario), un paio di pantaloni larghi (al rovescio) e le scarpe (invertite), senza nemmeno prendersi la briga di allacciarle. Sfilò la borsa a Levy e corse giù per le scale, imprecando contro la scomodità di quelle scarpe nuove.
Con una calma serafica, Levy lo seguì giù per le scale, gli rubò di mano le chiavi della macchina e lo fissò: si era infilato il suo giubbotto rosa, che gli arrivava al gomito con le maniche.
Avrebbe riso tanto, ma proprio tanto, se non fosse stata irritata.
- Muoviti Levy, stai per partorire, i gemelli… e dobbiamo andare e poi… devo chiamare mia mamma e…
Levy gli tappò la bocca, ma lui continuò a farneticare per trenta secondi buoni.
- Ascoltami bene. Ora, io chiamo Belno e faccio il resto. Tu, caro mio, tu vai di sopra e ti metti o un paio di jeans e la camicia dritta, oppure una maglia sportiva e i pantaloni nel giusto verso. Sei sempre figo, ma camicia rovescia e pantaloni larghi al contrario sono inguardabili. Le scarpe, oltre ad essere spaiate, sono nei piedi sbagliati. Tu non vuoi farmi perdere tempo, vero?
Gajeel negò con la bocca ancora premuta contro la sua mano.
Dieci minuti dopo erano diretti all’ospedale.
 
Metallikana arrivò in ospedale con i pantaloni del pigiama, e Belno con le pantofole e la mascherina da notte ancora in testa.
Guardandoli, Levy capì che quella notte il parto sarebbe stato il minore dei mali.
Di lì a poco arrivarono Natsu e Igneel con le mani piene di quelle stelle esplosive simili a candele scoppiettanti, di quelle che si usano alle feste.
Di quelle che in mano a due piromani fanno sempre danni.
Metallikana li spedì fuori a calci.
Grandine, che aveva fortuitamente il turno di notte, guidò Levy versò la sala parto, seguita a ruota da un Gajeel iper-ansioso. Grandine rassicurò Levy mentre, in sala d’aspetto, Belno ciabattava in giro e Igneel derideva il fratello per la fantasia dei pantaloni del pigiama.
- Sempre meglio delle mutande con i camion dei pompieri come te – bofonchiò Metallikana.
- Siete i cognati della partoriente? – chiese una nonnina di fianco a loro, divertita dalla scena.
Belno si fermò e le si sedette accanto. – Oh no. Io sono la suocera della partoriente, e lui è mio marito. Stiamo per diventare nonni.
Poi si rese conto di ciò che aveva appena detto, mentre la vecchina faceva un piccolo paragone tra la modella cinquantenne che aveva di fianco e la dentiera che rischiava di sfuggirle dalla bocca. Entrambe nonne… erano proprio identiche.
- Met… Met… - chiamò Belno, mentre Metallikana le si avvicinava e Igneel e Natsu si sporgevano dalle sedie, curiosi. – Nonni… stiamo per diventare nonni… nonni… Non sono pronta.
Metallikana aggrottò le sopracciglia. – Guarda che non devi mica fare nulla, tu. È Levy che sta partorendo.
- Nonna… Nonna Belno. Met, sono troppo giovane e gnocca per diventare nonna!
La signora anziana di fianco e lei la squadrò con sorpresa. Almeno, lei assomigliava davvero ad una nonna!
Metallikana la strinse a sé per evitare che desse di matto. Conosceva sua moglie, e sapeva che in momenti come quelli doveva segnare con il suo corpo il confine di quello della moglie, stringendola a sé, per aiutarla a restare ancorata alla realtà.
- Sei una nonna gnocchissima, i gemellini si vanteranno con tutti della loro nonna bella e giovane – le mormorò dolcemente, prendendole il mento tra le dita.
- Ma non sono credibile come nonna!
- Sì che lo sei…
- Mi stai dando della vecchia?
Metallikana si ritrasse sospirando, mentre Igneel se la rideva sotto i baffi.
Per scaricare la tensione, Belno decise di andare a picchiarlo.
La vecchietta cambiò posto, terrorizzata.
Intanto, in sala parto, a Levy sembrava di essere in un telefilm con l’infermiera buona e quella cattiva. Grandine aveva le mani in pasta ovunque in quell’ospedale, e tranquillizzò Levy tanto da farla fremere dalla voglia di partorire.
A smorzare, anzi, squartare barbaricamente il suo entusiasmo, c’era Polyushika, una specie di dottoressa in pensione che brontolava una parola sì e una sì. Si trovava benissimo solo con Grandine, sembravano due gemelle provenienti da pianeti diversi, ma con il resto del genere umano era solo un’arpia.
Più volte prese Gajeel a scappellotti.
Il ragazzo rimase alle spalle della moglie per tutte le lunghe ed estenuanti ore del travaglio, pronto a farsi spezzare le dita pur di starle vicino. Con la sua stretta, Levy rischiò davvero di rompergliele.
Il parto fu più veloce del previsto, perché sia Grandine che Polyushika si resero conto che alla ragazza sarebbe occorso urgentemente un cesareo: il dolore era troppo e quelle due bestioline litiganti nel suo utero l’avrebbero devastata uscendo uno dietro l’altro.
Gajeel non era certo uno che si lasciasse impressionare facilmente, ma quando cominciarono a tagliare sua moglie chiuse gli occhi finché non fu tutto finito.
Levy, invece, non emise un urlo che fosse uno. Non ne aveva bisogno, con Gajeel che aveva il viso premuto sui suoi capelli e le mormorava parole di conforto.
Alle otto di mattina Shutora e Yaje Redfox vennero al mondo piangendo e urlando, e Grandine fu costretta ad attaccarli subito al seno materno per farli tacere. Gajeel li guardò avidamente, come a voler registrare ogni dettaglio di quel momento, per imprimerselo nella mente in maniera indelebile, per sempre.
Accarezzò le guance di Levy e le asciugò gli occhi umidi, facendo lo stesso con i suoi.
- Sei un’eroina – mormorò baciandola, aiutandola a sostenere i due famelici gemellini sul suo petto.
Avevano una leggera e rada pelurietta azzurra sulla testa, e Gajeel avrebbe scommesso di aver visto nei loro occhi lo stesso colore ambrato di quelli della moglie. Non avrebbe potuto chiedere di meglio dalla vita.
- Lo so – ridacchiò lei quando si fu staccata dalle labbra del marito, sistemandosi meglio in grembo la piccola Shutora. – Ma dietro una grande moglie c’era sempre un grande…
Gajeel attese che dicesse marito, ma Levy rise e concluse: - Una grande suocera.
Inutile dire che il neopapà mise il broncio.
- A proposito di suocera – riprese Levy, sorridendo a Grandine che si godeva felice la scena. – Vai a chiamare la nonna, papà?
Gajeel si ringalluzzì rendendosi conto di essere un papà, anzi, un filf (versione maschile di milf… anche se non ha lo stesso senso), e rispose: - Penso che non ci guarderà più in faccia se le facciamo perdere la prima poppata dei nipoti.
Gajeel uscì dalla sala accompagnato dalla risata di Levy, e si diresse sorridendo in sala d’attesa. Trovò una vecchia solitaria raggomitolata sulla sedia più lontana, evidentemente spaventata, ma decise di non farci caso.
Belno dormiva in braccio a Metallikana, con tanto di bavetta, mentre lui sembrava davvero, davvero provato. Igneel e Natsu erano sdraiati uno sopra l’altro in una posa non molto comoda. Ma almeno dormivano.
- Ma’ – mormorò Gajeel scuotendo una spalla della mamma, che si svegliò sobbalzando. – Levy sta allattando Shutora e Yaje.
Belno si asciugò la bava e fissò prima lui e poi Metallikana. – Chi?
- Yaje e Shutora. I tuoi nipoti.
- Oh. Certo. Me li presenti? – farfugliò abbarbicandosi di nuovo su suo marito.
- Se ti alzi e vai da Levy, te li presenta lei.
Belno registrò improvvisamente le sue parole e, in uno scatto disumano, sparì urlando il nome di Levy e quello dei nipoti. Gajeel sperò solo che non svegliasse i neonati che dormivano.
Metallikana sospirò. Era così stremato da essere prossimo alle lacrime.
- Ehi, vecchio. Vuoi conoscerli? – gli chiese Gajeel, porgendogli la mano.
Metallikana sorrise, e il ragazzo poté vedere sul suo viso burbero, così simile al suo, una grande e malcelata emozione. – Volentieri – accettò, prendendo la mano del figlio per alzarsi.
Fece per avviarsi, ma Gajeel lo bloccò. – Quando avrà finito di allattarli, vecchio pervertito.
Il padre rise e spinse via il figlio, che però non mutò espressione.
Pochi minuti dopo, anche Metallikana Redfox varcò le porte che lo condussero a conoscere i suoi nipotini.
Li avrebbero viziati in maniera illegale, quei due gemellini.
Sarebbero stati così pieni d’amore da voler vomitare.
E sarebbero stati pronti a tutto, con una famiglia del genere al seguito.
 
Fine



 
Epilogo
Quel pomeriggio

- Fuori di quiiii! – urlò Polyushika rincorrendo Belno e Metallikana con una scopa in mano. – Fatevi vedere ancora e vi faccio una dose di anestesia nel cervello!
Le neomamme dell’ostetricia e i neopapà, nonché i vari parenti e amici che erano andati all’ospedale per salutare i nuovi nati, sbiancarono e si zittirono.
Polyushika tornò nella stanza di Levy sbuffando e mormorando qualcosa a proposito di un risarcimento dei danni.
Nella stanza, Gajeel stava aiutando sua moglie ad alzarsi, e Polyushika depositò i gemelli in lacrime nelle culle di plastica trasparente. Loro erano illesi, dal momento che tutti gli adulti li avevano protetti senza esitazione.
Grandine stava guardando le foto che avevano tentato di scattare.
Diciamo che i lettini d’ospedale faticano a reggere il peso di cinque adulti (di cui due pieni di muscoli e due pieni di tette) insieme a due neonati.
Nel momento in cui Metallikana, Grandine, Belno e Gajeel si erano seduti sul letto di Levy con lei, gli scricchiolii non erano stati molto rassicuranti.
E il tonfo che ne era seguito non era esattamente lo scatto di una fotocamera.
- Almeno è venuta una foto decente? – chiese Gajeel con la moglie in braccio.
Grandine scorse la galleria del suo telefono con aria pensierosa: - Nì… la foto della caduta è documentata, ma… forse dovremmo rifarla.
Un urlo disumano di Polyushika costrinse alla fuga anche Gajeel, con Levy sempre in braccio, e Grandine, che schizzarono in una stanza vuota e chiusero la porta.
- Volete una foto?! – gridò la vecchia. – Allora vi faccio le foto mentre vi faccio una colonscopia con un tubo da idraulico!
Infermieri e ospiti dell’ospedale la fissarono con il terrore negli occhi, e Polyushika li fulminò uno ad uno. – Problemi? La faccio pure a voi la colonscopia!
Detto ciò, tornò dai gemelli che decisero saggiamente di stare zitti e buoni.
- Oh là – approvò. – Almeno voi, con i cervelli più piccoli degli altri, sapete comportarvi.
Fu allora che Yaje vomitò. In faccia alla donna.
Gajeel, fortunatamente, riprese i gemellini al volo e li salvò, portandoli da Grandine.
…Be’, salvarli.
Diciamo che li portò dalla brace alla padella.
Ma la loro vita sarebbe stata tutta una brace.
Specie con zio Igneel nei paraggi.

 
 
Alcune curiosità:
  • Metallikana e Belno furono allontanati dall’ospedale per il disturbo da loro arrecato. Successivamente, si travestirono da infermiere per rientrare inosservati. Belno venne scoperta e bloccata, mentre Metallikana scoprì di avere un futuro come travestito.
  • Levy giurò di non volere altri figli. Non tanto per il parto, quanto per le reazioni dai parenti alla sua prima (e unica) gravidanza.
  • La prima cosa che Shutora e Yaje Redfox fecero con il nonno fu vomitare. Belno glielo ricordò per anni, prendendolo in giro.
  • Metallikana pianse alla vista dei nipoti. Belno anche. Grandine pure. Polyushika li buttò fuori a calci.
  • La nonnetta sconvolta che aveva parlato con Belno fece un ictus e si autoconvinse di essere una cinquantenne formosa e gnocca. Abbandonò i dieci nipotini e fuggì con un trentenne.
  • Natsu e Igneel dormirono sulle sedie dell’ospedale fino alle cinque del pomeriggio. Poi furono fatti allontanare da un’infermiera per timore che fossero dei drogati inadatti a vivere in comunità.
  • Natsu e Igneel non videro mai Yaje e Shutora all’interno dell’ospedale. Quando li conobbero, a casa loro, vennero legati e imbavagliati e sistemati lontani da oggetti incendiabili ed estintori, come precauzione.
  • Yaje e Shutora crebbero sani e forti, amorevoli e adorabili. Non ebbero mai bisogno di uno psicologo (anche perché Grandine si sarebbe offerta come psicologa e la cosa sarebbe stata controproducente).
 
 
 
MaxB
Non dirò molto, devo solo ringraziare C63 che si è dolcissimamente offerta di farmi da beta reader. Mi ha letto la bozza, mi ha consigliata e ha commentato i punti di dubbia comprensione, per cui la ringrazio profondamente perché grazie a lei sono soddisfatta di questo lavoro.
Grazie ç.ç
E voi non invidiate i gemellini Redfox? Io li amo.
Mi dispiace solo per la loro famiglia.
AHAHAHAHA
Spero di avervi addolcito questo primo giorno di scuola, o secondo, o terzo, o comunque lunedì, o martedì… va be’.
Spero vi sia piaciuto il capitolo di questa strana tri-shot (?) creata sempre grazie a C63 (santa donna). Questo cap è leggermente più fluff e meno comico, forse, ma è uscito così e… niente, è uscito così e se provassi a cambiarlo penso che mi morderebbe. Il capitolo.
Alla fine ho detto fin troppo-.-
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui *-*
Alla prossima!
MaxB
  
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