Nelle
settimane a venire, Marco ebbe la sensazione di esser un topo di
laboratorio.
I medici lo
sottoposero ad infiniti esami, test e chi più ne ha
più ne metta.
Avevano
stabilito che il ragazzo
aveva una perdita di memoria sugli ultimi anni della sua vita.
Ricordava
perfettamente avvenimenti di molti anni prima, ma gli ultimi 7 anni
erano come
scomparsi, volatilizzati nei meandri del suo cervello.
Fisicamente
stava bene, non aveva
riportato traumi quindi poteva tornare a casa.
Ecco il pensiero
che lo tormentò
nelle ultime notti passate in ospedale.
Quale era la sua
casa?
Maya gli aveva
raccontato di essere
la sua ragazza, di essere la principessa del Lussemburgo e che erano
alcuni
mesi che convivevano nel suo paese.
Ovviamente la
ragazza era stata molto
attenta a non parlare di Eva, di Marta e di quello che erano state per
Marco.
Gli aveva fatto
vedere le loro foto,
gli aveva fatto leggere le lettere che lui le aveva scritto, i
messaggini che
le lasciava sparsi
per casa.
Marco aveva
ascoltato il tutto privo
di emozioni, privo di ricordi.
Ora guardava il
soffitto di quella
stanza di ospedale e pensava che si sentiva più a casa in
quella stanza che
altrove.
Prese la foto
che Eva gli aveva
lasciato di Marta.
La ragazza era
ripartita qualche
giorno prima.
Doveva tornare
da sua figlia, così
gli aveva detto. Marco era stato sul punto di dirle: vengo anche io, ma
non
l’aveva fatto.
Come al suo
solito aveva abbassato lo
sguardo ed aveva risposto qualcosa di banale che manco ricordava.
Il giorno dopo
la partenza di Eva,
Marco aveva parlato con il padre.
Non che il loro
rapporto fosse basato
sulle confidenze, a parte cose eccezionali, ma in quella situazione era
forse
l’unico, a parte Walter con cui sapeva di poter parlare.
- Sai pa, mi
è mancata oggi la visita
di Eva alle prime luci del giorno. Anche se non mi ricordo nulla di
lei, mi
sembra di conoscerla da sempre. –
Detto questo
tornò a guardare la foto
di Marta.
Giulio osservava
il figlio cercare di
uscire da quel buio, i dottori si erano raccomandati di andare per
gradi e di
non forzare la memoria del ragazzo per non provocare danni maggiori.
- Beh sai Marco,
tu ed Eva siete molto
uniti. Avete un legame molto forte – disse il padre sedendosi
accanto al figlio
– Diciamo che vi siete capiti da subito.-
- Sua figlia
assomiglia molto a mamma
non trovi?- Marco non riusciva a smettere di guardare la foto di Marta
-
Dov’è il padre? – chiese
d’improvviso
Giulio si
alzò e tornò a sistemare il
borsone che Maya aveva portato da casa con gli effetti personali del
figlio.
- Beh ecco,
è una situazione
particolare. – cercò di cavarsela Giulio
-
Perché non vive con loro? Come ha
fatto a lasciare sua figlia? Come ha fatto a lasciare una ragazza come
Eva? –
incalzò Marco
-
Perché non l’amava più –
disse Maya
entrando in stanza
Giulio e Marco
la guardarono.
- Beh ecco
è un po’ più complicato di
così.. – rispose Giulio serafico.
Marco
notò il cambiamento di umore
del padre, qualcosa diceva a Marco che tutto era molto strano.
- Lo difendi pa?
– chiese Marco al
padre – Eva e Marta devono aver sofferto molto, come fai a
difendere la persona
che ha fatto loro del male??-
Giulio
guardò suo figlio dritto negli
occhi.
- Anche lui ha
sofferto e tanto. Sono
sicuro che andarsene per lui non è stato facile, ma la vita
alle volte ci
obbliga a fare delle scelte. Lui vuole molto bene sia a Marta che ad
Eva, ed
anche se ora non è con loro, sono certo che per loro ci
sarà sempre. – detto
questo guardò Maya come a sfidarla a ribattere.
- Certo,
sicuramente hai ragione
Giulio, ma ciò non toglie che lui s’è
né andato perché non amava più Eva.
–
Detto
ciò Maya si avvicinò al suo
uomo e lo baciò.
Marco rimase
impassibile , lui che
scriveva e viveva di emozioni non
provò
nulla.
Seduto nel
giardino della reggia
della sua fidanzata, Marco ricordava la conversazione avuta con il
padre
qualche giorno prima.
Perché
suo padre giustificava l’ex di
Eva?
Conosceva suo
padre.
Si domandava
perché non avesse
ingaggiato Ezio e zio Cesare per andare a prendere a sberle quel
damerino,
sentiva che qualcosa gli sfuggiva, ma non ricordava cosa.
Il non ricordare
nulla degli ultimi
anni lo stava mettendo a dura prova, si sentiva stressato,
demoralizzato e
depresso.
Suo padre e
Walter erano tornati a
Roma, lui era rimasto lì, ma si sentiva fuori luogo in
tutto.
Maya era
gentile, era anche una bella
ragazza, ma lui si sentiva arido dentro.
Una sera la
ragazza gli si era
avvicinata, aveva iniziato a sfiorarlo e a baciarlo. Da principio lui
aveva
pensato: beh, conviviamo!! ed era stato sul punto di provare a
lasciarsi andare
e vedere cosa
succedeva.
D’un
tratto però il cuore si era
fatto strada superando tutti gli ostacoli, ed il cervello che in quel
momento
risiedeva nei suoi “gioielli di famiglia” si era
visto costretto a fare
dietrofront.
Sapeva che Maya
ci era rimasta male,
ma davvero non era riuscito a mettere in secondo piano il suo essere
foscoliano.
- Foscolo???-
Marco si chiese da dove
gli era venuto quel pensiero.
- Parli da solo?
– chiese Maya alle
sue spalle.
Si sedette
vicino al suo uomo ed
aspettò la risposta.
- Beh se parlare
tra me e me è
sinonimo di parlare da solo allora si – abbozzò un
sorriso – Continuo a vedermi
e a definirmi un foscoliano, mi chiedevo da dove ho preso questa
definizione,
tutto qui –
Maya
sospirò.
Cercava di far
ricordare al suo uomo
momenti di loro, ma lui se ne usciva sempre con ricordi sfuocati che lo
riconducevano ad Eva.
- Credo sia
stata Eva a definirti
così – disse ormai rassegnata – se non
sbaglio mi raccontasti che lo fece
durante gli anni del liceo descrivendoti ad un professoressa –
- Davvero???
– rispose
il ragazzo sorpreso, ma non troppo.
- Come se non lo
sapessi – rise istericamente
Maya
–
Certo non te lo ricordi, ma
sicuramente dentro lo sai – si alzò.
- Maya aspetta
– la bloccò Marco – lo
so che è difficile anche per te, mi ricordo chi ero, ma non
so chi sono
diventato. Giro per questo immenso palazzo ed il buio non diventa luce.
Vedo
gli sforzi che fai per aiutarmi, vedo la frustrazione nei tuoi occhi
quando non
ricordo pezzi di noi. Credo
di aver
capito che se non ricordo chi sono, difficilmente ricorderò
chi siamo. –
Aveva cercato di
essere sincero,
senza farle troppo male.
- Vuoi tornare a
Roma vero? – disse lei
abbracciandolo.
- Ho bisogno di
tornarci capisci? Ho
bisogno di tornare a casa mia per ritrovare la strada che mi ha portato
a te-
- E se ti
accorgi che quella strada
non ti porta da me, ma altrove?- Chiese Maya guardandolo negli occhi.
-
Perché dovrebbe portarmi altrove?
Ci amiamo giusto? Stiamo insieme da mesi, dove mai potrebbe portarmi
Roma? –
chiese Marco perplesso
Maya non rispose
e tornò ad
abbracciarlo, ma avrebbe tanto voluto urlare: da lei.
Era atterrato.
Non aveva detto
nulla ai suoi, o
meglio aveva detto loro che sarebbe
arrivato in giornata, ma non quando.
Quando
uscì dall’aeroporto, l’aria di
Roma lo investì.
Rise pensando
che lo smog della città
gli era mancato.
Stava
assaporando la sua città,
quando si sentì letteralmente investito da un tornado.
Tutti lo stavano
abbracciando.
Non avevano
potuto fare a meno di
telefonare a Maya costringendola a rivelare l’ora di arrivo
del volo.
Lucia era stata
la più determinata:
doveva preparargli tutti i suoi piatti preferiti per vedere se almeno
quelli se
li ricordava.
Le donne erano
rimaste a casa a
preparare il pranzo, a prenderlo erano venuti tutti gli uomini.
Zio Cesare non
faceva altro che
piangere e baciarlo.
Ezio continuava
a chiedergli se si
ricordava di essere romanista e non laziale.
Mimmo e Rudi lo
abbracciavano e
chiedevano se si ricordava dello scopettone del bagno di casa Cesaroni.
Marco si
guardò un po’ in giro, ma
non la vide.
- Non
c’è – disse Walter
abbracciandolo – è inutile che la cerchi. Ti
aspetta a casa con Marta –
Come faceva
Walter a sapere che lui
stava cercando Eva nel marasma di quelle braccia che lo abbracciavano?
- Io vi conosco
– disse Walter all’amico
di sempre – Tu non ti ricordi, ma io si –
Salirono in
macchina e si avviarono
alla Garbatella.
Quando scese
dalla macchina e vide il
vecchio cancello di casa una lacrima lo colse impreparato.
Giulio aveva
preso il borsone dal
bagagliaio.
-Vieni
Marcolì, vieni a casa – disse il
padre con voce roca
- Arrivo – qualcosa gli impediva di muoversi.
Era bloccato
come quella volta in ospedale quando si era alzato per
la prima volta dal letto.
Il cuore gli
batteva forte.
Alzò
lo sguardo verso la grande casa.
Là,
alla finestra del corridoio due
occhi lo stavano guardando.
Si
sentì nuovamente messo a nudo da
quello sguardo.
Alzò
una mano ed abbozzò un cenno di
saluto.
Eva gli sorrise
ed appoggiò la mano
al vetro.
Marco
capì che non solo doveva capire
chi era lui, chi erano lui e Maya.
Aveva la
sensazione di dover scoprire
anche chi erano lui ed Eva.
Riuscì
finalmente a muoversi e si
avviò verso casa.
- Andiamo a
scoprire chi sono – disse
chiudendo dietro di se il vecchio cancello.