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Autore: Aqua_    13/09/2016    4 recensioni
Il 20 Settembre 1985 la vita di due ragazzi, estremamente diversi l'uno dall'altra, cambia radicalmente.
Nancy Hoggins, unica figlia di una coppia di artisti, si ritrova improvvisamente sola in una casa troppo grande e troppo silenziosa.
Roy Daniels, con un grande sogno e in una pessima situazione economica, abbandona una casa minuscola e invasa dalle grida.
Due realtà completamente diverse, che si incontrano ad Hollywood, dove ogni sogno può avverarsi, e ogni incubo può diventare realtà.
Dal testo:
«Cosa vuoi saperne tu dei miei problemi? Vuoi giocare a fare la ribelle, quando non sei altro che la solita ragazzina ricca e viziata!»
Le parole di Roy la colpirono violente come uno schiaffo in pieno viso. Odiava ammetterlo, ma una parte di lei sapeva che aveva ragione. Lei aveva avuto tutto dalla vita, e lo aveva perso; lui non lo aveva mai avuto.
«Roy, i-io...»
«Roy, i-io...» ripetè lui, facendole il verso. «Taci, Nancy. Risparmiami le tue storie strappalacrime, non mi interessano.»
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Note dell'autrice:
Ahem, salve a tutti! Giusto un paio di cosine prima di lasciarvi al capitolo: primo, la storia si ispira - più o meno evidentemente - a Lucky, di Britney Spears (se la conoscete potete già farvi un'idea di questa storia); secondo, vi prego di perdonarmi eventuali errori cronologici e/o geografici, ho cercato di documentarmi il meglio possibile, in modo da non scrivere troppe cavolate (sapevate che esiste un paese di nome Hollywood vicino a Miami? Io no :/), ma è possibile che qualcosa mi sia sfuggito, quindi se vi capita di incrociarne, fatemelo pure notare (ma non linciatemi, please).
Detto questo, se già non vi ho annoiato, vi lascio alla storia.
Buona lettura, 
Aqua_

P.S. fatemi sapere cosa ne pensate, non siate timidi!




Hollywood Girl
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Parte Prima: Isn't she lovely, this Hollywood girl?


Capitolo 1

 

Hollywood, 20 Settembre 1985

 

La casa era silenziosa. Nancy era seduta sul divano, immobile, intenta a rileggere il biglietto che aveva trovato sul tavolo poco tempo prima. Aveva immediatamente riconosciuto la grafia del padre, e la firma posta in un angolo del foglio non era stata altro che la conferma di ciò che temeva. Dopo mesi di continui litigi con la moglie, se n'era andato. Diceva che le voleva bene, che lei non aveva nessuna colpa, che le augurava una vita meravigliosa e che sarebbe sempre stato lì per lei, di qualunque cosa avesse bisogno. Accartocciò il foglio e lo gettò nel caminetto che aveva di fronte e rimase a guardare la carta bruciare, senza distogliere lo sguardo dalle fiamme nemmeno per un istante.

Si alzò, lisciandosi la gonna, e si avvicinò alle scale, diretta nella camera della madre. Come sospettava, era vuota. Il letto era rifatto, il che indicava che nessuno avesse dormito lì. Non che la cosa la stupisse, chiaro. Sua madre, Carol Hoggins, la sera precedente non era rientrata, cosa che succedeva oramai da qualche settimana. Evidentemente suo padre aveva aspettato che nessuna delle due fosse in casa, prima di andarsene.

Nancy aveva passato la notte a casa della sua migliore amica (“per studiare”, quella era stata la scusa ufficiale) e, al suo ritorno, aveva trovato le serrande ancora abbassate e la porta chiusa con tre giri di chiave. All'inizio aveva pensato che suo padre fosse uscito presto per andare al lavoro – era un produttore cinematografico, e spesso accadeva che dovesse uscire anche nel bel mezzo della notte per incontrare i suoi collaboratori -, ma poi, una volta posate le chiavi sul tavolino di vetro che si trovava in entrata e arrivata in soggiorno, aveva visto il biglietto.

Aprì tutti gli armadi, per controllare che la decisione del padre fosse effettivamente definitiva, e si ritrovò di fronte a nient'altro che gli abiti di sua madre. Chiuse le ante, per poi sedersi sul bordo del letto e lasciarsi cadere sul materasso. Rimase a fissare il soffitto per qualche istante, mentre la consapevolezza di quell'abbandono iniziava a farsi strada dentro di lei. Senza che se ne rendesse conto, le prime lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance. Quando vi fece caso, era troppo tardi per provare a fermarle.

Era passato poco meno di un giorno da quando lo aveva visto e vi aveva parlato e, nel profondo, si sentiva offesa dal fatto che avesse preferito lasciarle un biglietto piuttosto che salutarla. Entrambi sapevano che non avrebbe provato a fermarlo, che non avrebbe fatto sceneggiate per costringerlo a restare, eppure lui non si era fidato abbastanza da confidarle le sue intenzioni. Avrebbe voluto abbracciarlo per un ultima volta, prima che si trasferisse dall'altra parte della California. Nonostante non lo avesse mai detto esplicitamente, Nancy era sicura che suo padre si fosse trasferito a San Francisco. Fin da ragazzo – le aveva confidato, una volta, quando lei aveva circa sedici anni, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia – aveva sognato di attraversare il Golden Gate Bridge su una decapottabile rossa, insieme alla donna della sua vita – e quando aveva sedici anni, Nancy aveva pensato che si riferisse a lei. Adesso, mentre lei rimaneva immobile sul letto, con le mani intrecciate posate sul grembo, riusciva perfettamente a immaginarselo, suo padre, su una decappottabile fiammante, mentre attraversa il ponte più famoso d'America, da solo. Una parte di lei si rifiutava di pensare che ci potesse essere qualcuno con lui: glielo avrebbe confessato, perché sapeva di potersi fidare. Quando si era infatuato della sua segretaria, di vent'anni più giovane, lei era stata la prima a saperlo. Era entrato in camera sua una volta che la moglie si era addormentata, e l'aveva svegliata. Le aveva raccontato tutto, di come Jodie – questo era il nome della ragazza – rappresentasse una boccata d'aria fresca per lui, sposato da trent'anni con una donna che aveva smesso di amare dopo pochi mesi; le aveva detto di come fosse stata lei a fare la prima mossa, di come lui avesse cercato di destreggiarsi tra la sua famiglia e la sua relazione clandestina in modo da non ferire nessuno, e di come si fidasse ciecamente della figlia, tanto da confessarle un segreto che avrebbe potuto distruggere non solo la sua famiglia, ma anche la sua carriera. «Voglio solo vederti felice, papà.» aveva risposto lei, dopo qualche secondo di silenzio, e, tirando un sospiro di sollievo, l'uomo era ritornato nella sua camera da letto, insieme alla moglie.

Era durata meno di un mese, la storia con Jodie. L'uomo si era reso conto che più che rappresentare una piacevole novità, per lui quella ragazza era l'ennesimo fattore di stress e stanchezza. Gli prosciugava le energie, quasi come una sanguisuga che si attaccasse al corpo di un uomo malato. Non ci era voluto molto perché decidesse di troncare quella relazione. Quando lo aveva detto alla figlia, lei aveva segretamente gioito. Nonostante suo padre non l'avesse mai trascurata, la fine di quella storia rappresentava per lei la possibilità di riavere tutta la sua attenzione per sé.

Mentre ripensava a quei fatti, Nancy si ritrovò a chiedersi se, per caso, suo padre non se ne fosse andato per lo stesso motivo. Era possibile che, inconsciamente, lei e sua madre fossero riuscite a prosciugare le sue energie?

Si spostò sul materasso, arrivando vicina al cuscino su cui l'uomo aveva dormito qualche notte prima, ancora ben sprimacciato come quando sua madre aveva rifatto il letto. Lo prese in mano, per poi stringerlo forte al petto. Mentre i dubbi la attanagliavano, si abbandonò al forte odore di pino che la federa emanava – il dopobarba preferito del padre, e anche il suo. Poi, piano piano, mentre le lacrime bagnavano il cuscino, si addormentò.

 

 

 

Chicago, 20 Settembre 1985

 

Non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte. Il giorno del suo compleanno era stato, come tutti gli anni, un disastro totale. Una parte di lui aveva sperato che, dopo ventitré anni, qualcosa sarebbe cambiato, ma non aveva fatto in tempo ad illudersi che potesse essere così che le sue speranze si erano infrante.

“Stai zitta, puttana.” era stata la prima frase che aveva udito quella mattina, quando era sceso in soggiorno.

Sua madre era ai fornelli, intenta a preparare la colazione, mentre suo padre sfogliava il giornale, continuando a portarsi il sigaro alla bocca.

«Buon compleanno, caro.» aveva detto la donna, appena lo aveva visto, avvicinandosi a lui per stringerlo in un debole abbraccio. Suo padre, invece, noncurante della sua presenza, non gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo.

Avevano fatto colazione in silenzio, con due uova e qualche fetta di pancetta. Contro ogni sua aspettativa, sua madre gli aveva fatto trovare una tazza di caffè con cui accompagnare il pasto, il che aveva fatto scattare la rabbia del marito. L'uomo, tarchiato e corpulento, si era alzato di scatto dalla sedia, sbattendo con forza i pugni sul tavolo. Aveva preso la tazza e, senza pensarci due volte, l'aveva scaraventata a terra.

«Niente caffè.» aveva sibilato, il volto livido.

«Ma John, è il suo complean-»

Prima che la donna riuscisse a completare la frase, uno schiaffo violento l'aveva colpita in pieno volto. A sua volta il ragazzo era balzato in piedi, in un inutile tentativo di difendere la madre. Si era ritrovato a terra ancora prima di riuscire ad assestare un solo colpo. Aveva perso i sensi, o almeno così gli parve. Quando aveva riaperto gli occhi, la casa era immersa in uno stato di quiete che sembrava irreale. Sua madre, accanto a lui, lo fissava senza proferire parola. Quando era riuscito ad alzarsi, lei gli aveva fatto un cenno con il capo.

«Roy.» aveva detto, con un filo di voce. «Devi andartene. Ho messo via dei soldi, per te. Promettimi che te ne andrai.»

A quell'affermazione, il ragazzo aveva sgranato gli occhi.

«N-non posso, mamma. Non voglio.»

«Ti prego, promettimelo.»

Nonostante continuasse a ripetere di non volersene andare, la donna insisteva affinché lo facesse. Alla fine, dopo qualche minuto di silenzio, si era deciso.

«Te lo prometto.» aveva detto, stringendole le mani tra le sue.

Il resto della giornata era stato esattamente come tutte le altre giornate, tranquillo finché suo padre non era tornato dal lavoro. Con uno sguardo compiaciuto, l'uomo aveva contemplato il viso della moglie, dove era possibile vedere un livido violaceo appena sopra lo zigomo. Poi aveva infilato una mano nella tasca dei pantaloni e aveva tirato fuori un pacchetto di sigarette già aperto, per poi gettarlo su tavolo con un gesto sprezzante.

«Buon compleanno, figliolo.» aveva detto, senza preoccuparsi di nascondere il suo tono sarcastico.

Roy, irritato, lo aveva ringraziato a mezza voce, aveva preso il pacchetto e se lo era messo in tasca. Dopo cena, appena rientrato in camera sua, lo aveva gettato nell'immondizia. In fretta e furia, aveva messo un paio di magliette e dei jeans in un borsone, insieme alle poche cose che riteneva necessarie e, ovviamente, i soldi che gli aveva dato sua madre. Cinquecento dollari, ottenuti grazie alla benevolenza di qualche vicino o attraverso favori che la donna aveva deciso di fare.

«Rendimi fiera.» aveva detto, mentre glieli dava, al che il ragazzo non aveva potuto far altro che annuire.

Sarebbe andato a Los Angeles, le aveva detto, a Hollywood. Sarebbe diventato attore, un attore famoso, e allora lei avrebbe potuto raggiungerlo, da sola. Era quella l'unica cosa a cui riusciva a pensare.

Era arrivato in stazione con qualche ora di anticipo. Aspettava il treno per Denver, il più economico tra quelli che poteva scegliere. Da lì, avrebbe proseguito fino a Las Vegas in autostop, o in qualunque altro modo, a patto che non gli venisse a costare troppo, e da Las Vegas avrebbe preso una bus fino a Los Angeles. A Los Angeles, senza un posto in cui stare, avrebbe cercato un lavoro che gli permettesse di affittare una stanza di motel e sopravvivere per il tempo necessario per trovare qualcosa di meglio.

Sognava di diventare attore da quando aveva cinque anni, ma il suo sogno non era mai stato preso in considerazione dal mondo degli adulti. Suo padre lo sminuiva in continuazione, e i suoi amici con lui. Sua madre, l'unica a cui sembrava importare qualcosa, lo aveva incoraggiato ad iscriversi al club di teatro organizzato dalla scuola. Quando suo padre lo aveva scoperto, Roy era rimasto confinato in camera sua per un mese. Sulle gambe e sulle braccia aveva i segni della cinghia dell'uomo, che sua madre cercava in ogni modo di coprire. Un giorno, mentre lei gli spalmava una pomata sul braccio, il bambino aveva detto una delle cose più orribile che avesse mai pronunciato.

«È colpa tua.»

Ricordava ancora l'espressione ferita della madre, e il solo pensiero di essere stato così crudele lo faceva star male. Una parte di lui era certa che non sarebbe mai riuscito a ottenere il suo completo perdono, ma vi avrebbe provato in qualunque modo.

Immerso nei suoi pensieri, sentì il treno fischiare. L'enorme ammasso di metallo si fermò sui binari, a pochi metri da lui, e un fiume di persone si riversò fuori dalle porte. Appena il passaggio si sgomberò, il ragazzo salì sul treno.

Aveva il sedile numero 27. 

   
 
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