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Autore: Klainbow    15/09/2016    11 recensioni
Di due cose Yamaguchi poteva dirsi profondamente innamorato: la poesia straniera e Tsukishima Kei.
Come reagirebbe Tsukki, se Yamaguchi decidesse di leggere per lui una poesia pericolosamente vicina all'apparire come una dichiarazione amorosa?
Genere: Angst, Fluff, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chikara Ennoshita, Daichi Sawamura, Kei Tsukishima, Koushi Sugawara, Tadashi Yamaguchi
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Buon pomeriggio a chiunque stia leggendo!

Che dire? Mi sento veramente emozionata al pensiero di star pubblicando questa storia. Non per com'è stata scritta - per quello mi ci vorrà ancora un bel po', soprattutto se considerate che erano anni che non scrivevo fanfiction - ma piuttosto perché sono riuscita a completarla, e a mettere nero su bianco uno dei miei headcanon preferiti su questa meravigliosa coppia.

Mi è sempre piaciuta l'idea di Yamaguchi appassionato di poesia straniera, che passa le sue ore a leggere di amori non corrisposti e dolori dilanianti in un angolino remoto della biblioteca. Se poi aggiungessimo uno Tsukki che, crucciato al massimo, sarebbe costretto ad ascoltarlo - beh, credo che il mix che se ne ricaverebbe sarebbe a dir poco esplosivo.

Ma veniamo alle cose serie. A proposito di questa introduzione, ci tenevo a precisare che per alcuni di voi Tsukki potrebbe risultare leggermente OOC, ma non me la sono sentita di aggiungerlo agli avvertimenti perché se ci pensate bene, Tsukki si comporterebbe così anche nella ''realtà'', se le circostanze lo richiedessero. Per Yamaguchi sì.

Ad ogni modo, non posso ancora dirmi del tutto soddisfatta, anzi. Perciò sentitevi liberi di farmi sapere cosa ne pensate, okay?

Vi lascio alla storia e incrocio le dita ;;

 

 

 

Touch has a memory

 

 

Yamaguchi prese un lungo respiro, inalando l'aria viziata e polverosa della biblioteca, e dischiuse la bocca per parlare. Sperò con tutto se stesso che la voce gli fosse venuta fuori regolare. Quello, se non altro, avrebbe contribuito a restituirgli perlomeno un briciolo di quella sicurezza che lo stava pian piano abbandonando. Stavolta non avrebbe giocato leggero, era pronto ad andare fino in fondo.

La poesia che aveva scelto lasciava poco spazio all'immaginazione, e sapeva che perfino un tipo ostinato come Tsukki si sarebbe reso conto di ciò che voleva comunicargli.

Chiuse gli occhi per un secondo, cercando di godersi gli ultimi istanti di normalità che avrebbero intercorso il loro rapporto - in un modo o nell'altro.

Li riaprì, spiando la figura del suo migliore amico da sopra al libricino che le sue mani stavano stringendo quasi a volerlo strappare in due, con la caparbietà di chi non vuole arrendersi al panico che stava cominciando a minacciare di invaderlo e mandare tutto a rotoli. Ma Yamaguchi era più forte, o comunque lo sarebbe stato di sicuro in quell'occasione.

Ora o mai più, si ripetè. E, spedendo un'ulteriore occhiata a Tsukki per accertarsi che nel frattempo non fosse scappato via dalla noia, cominciò a leggere.

 

''Se tu dovessi venire in autunno
mi leverei di torno l'estate
con un gesto stizzito ed un sorrisetto,
come fa la massaia con la mosca.''

 

Yamaguchi fece una pausa e si leccò le labbra nervosamente, prima di riprendere.

Tsukki lo ascoltava in silenzio e lo guardava senza espressione, il mento sul dorso della mano e il gomito scavato sul tavolo.

 

''Se entro un anno potessi rivederti,
avvolgerei in gomitoli i mesi,
per poi metterli in cassetti separati -
per paura che i numeri si mescolino.''

 

Yamaguchi si sentì mancare il respiro ma ignorò anche quella mancanza improvvisa d'aria, perché con Tsukki aveva imparato a sopravviverci, ad andare in apnea, se necessario, pur di stargli accanto.

''Se mancassero ancora alcuni secoli,'' sussurrò, sollevando appena lo sguardo dalla pagina ingiallita per incatenarlo a quello di Tsukki, miele condensato e cioccolato fuso che s'incontravano. ''li conterei ad uno ad uno sulla mano -
sottraendo, finché non mi cadessero le dita nella terra della Tasmania.''

Tsukki se ne stava lì, immobile, la stessa espressione indecifrabile stampata sul viso. Ciò nonostante, non staccava gli occhi dal suo amico neanche per l'equivalente della durata di un battito d'ali di un colibrì.

Yamaguchi non poteva saperlo, ma in quel momento, nella mente di Tsukki stavano vorticando così tante emozioni da arrivare ad aggrovigliargli le membra, e allora l'unica cosa che poteva fare era stare fermo. Arrendersi alla voce di Yamaguchi che stava suonando i suoi sensi come si fa con uno strumento musicale, e ottenendo note e sinfonie che Tsukki non credeva di possedere. E quindi poggiarsi contro lo schienale della sedia, incrociare le braccia al petto e ignorare i fremiti. E così fece, certo che sarebbe passato in fretta.

Yamaguchi, d'altra parte, si stava preparando alla parte saliente. Quella che avrebbe cancellato ogni incertezza e messo la sua anima al centro del bersaglio, pronta ad essere colpita o liberata dai chiodi che la tengono lì.

''Se fossi certa che, finita questa vita,
io e te vivremo ancora -''
le parole di Yamaguchi si rincorsero affannose, palpitanti, piene e poi di nuovo vuote, simulando il suo respiro, fingendo di essere piccole gambe che zampettavano alla ricerca di uno sprazzo d'ombra, di un sorso d'acqua sporca, in un deserto infernale.
''come una buccia la butterei lontano -e accetterei l'eternità all'istante.''

Una scia di brividi percorse la spina dorsale di Yamaguchi e si propagò attraverso il suo corpo. Fu come una scossa elettrica, che Yamaguchi sentì abbandonarlo nell'esatto istante in cui Tsukki scattò sulla sedia, muovendosi a disagio e portando i suoi occhi appena spalancati altrove.

Che l'avesse trasferita a lui? Che sentisse lo stesso?

Si schiaffeggiò mentalmente. Che cosa vai a pensare?

 

* * *

 

Si sentiva strano, Tsukki, mentre osservava ed ascoltava Yamaguchi leggere quella strana poesia. Gli era parso come se volesse leggerla per lui, ma non poteva essere.

Eppure. Eppure si era ritrovato troppo spesso ad osservare le sue palpebre abbronzate socchiuse e le sue ciglia delicate che parevano svolazzare piano - su e giù, sfiorando gli incavi sotto gli occhi stranamente lucidi con quella che poteva essere definita soltanto dolcezza, e che lo disarmava più volte di quante ne ammettesse. Il suo nasino, piccolo e stretto, che puntava sempre verso l'alto, arricciarsi e rilassarsi a seconda dell'impegno che sembrava richiedere il verso. Le lentiggini spruzzate alla rinfusa un po' dappertutto, come una manciata di chicchi di caffé caduti sul suo viso alla nascita, o polvere di stelle che sui era depositata tra i pori della sua pelle olivastra. Ed in effetti era così che vedeva ogni volta quei puntini irregolari: frammenti di stelle che Tsukki si dilettava affascinato a ricomporre ad unire in una costellazione invisibile e della quale soltanto a lui era concesso l'onore di conoscerne il nome, la provenienza, il significato. Un fenomeno la cui bellezza sentiva gli appartenesse - forse, anche illegittimamente.

E quelle labbra rosee, sottli, imbronciate, massacrate dai denti, torturate dalla necessità di rilasciare le parole al momento giusto, e nell'ordine adatto perché non si disperdano. Perché si sa', le parole, se non utilizzate con parsimonia, possono rivelarsi letali.

Improvvisamente, Yamaguchi gli era sembrato un essere superiore, una creatura eterea della quale gli esseri umani erano indegni, e dovevano stargli lontano per non danneggiarla.

E fu proprio per quello, per l'inconsciente tentativo di estraniarsi da quel luogo e ritirarsi in punta di piedi prima di disturbare la quieta perfezione che aleggiava intorno a Yamaguchi fino a solidificarsi e avvolgerlo come una corazza, che sussultò quando sentì nuovamente la sua voce.

''Ma ora,'' proseguì Yamaguchi in un soffio spezzato, ed ecco che - pensò Tsukki, il mare dalla superficie cristallina e poco spiegazzata si trasformava in una tavolozza di spigoli oscuri e impetuosi che minacciavano di uscire dal quadro e annegarlo. ''...incerta della dimensione di questa che sta in mezzo,
la soffro come l'ape-spiritello''
un'altra pausa, il dolore che trafiggeva l'aria attorno al loro tavolo. Poi, l'ultimo verso: ''...che non preannuncia quando pungerà.''

Non appena la poesia finì, il silenzio piombò su di loro di colpo. E non un silenzio qualunque: Il Silenzio. Lettera maiuscola e alcuna necessità di venir definito. Di quei silenzi che ti graffiavano l'udito come uno squaricio nella dimenzione spazio-temporale.

Silenzio che fu interrotto da Tsukki, che pensò di trascinare se stesso e Yamaguchi verso la realtà. Dove non esistevano ninfe, fate o altre entità mistiche. E soprattutto nessun incantesimo celato dietro una poesia.

Tuttavia, non potette fare a meno di notare come il suo stomaco si strinse pateticamente quando si apprestò a guardare verso Yamaguchi, e lo beccò intento a fissarlo di rimando. Quando se ne accorse, Yamaguchi abbassò immediatamente gli occhi verso il libro di poesie che aveva preso in prestito dalla biblioteca quel giorno e si finse impegnato a sfogliare le pagine senza neanche catturarne una sola parola, alla ricerca di chissà cosa.

''Allora..'' esordì Yamaguchi, le gote imporporate di rosso. A Tsukki venne in mente un campo di papaveri, al centro del quale ci vide Yamaguchi sorridere sereno.

Sussultò al pensiero e si mosse scomodo sulla sedia quando il suo stomaco risentì ancora della sua visione.

''Dev'essere perché stamattina non ho mangiato nulla.'' si disse, e si convinse che era così.

 

* * *

 

''Che ne dici?'' insistette l'altro nel constatare che Tsukki non avrebbe parlato. ''Era.. b-bella?'' balbettò senza smettere di girare pagina dopo pagina con maggiore impeto.

Tsukki parve ponderare su ciò che avrebbe dovuto rispondergli. Si sistemò meglio gli occhiali sul ponte del naso e si grattò il collo, gesto che evidenziò di più il suo nervosismo.

''Ancora non capisco perché ti piacciano tanto le poesie straniere'' disse, evitando gli occhi di Yamaguchi per non scorgerci la delusione che doveva star provando. Cercò di riscattarsi in tempo, perché sapeva che altrimenti gli avrebbe tenuto il muso per giorni. ''Ma questa è stata decisamente la migliore che abbiamo letto.''

Yamaguchi boccheggiò a vuoto un paio di volte, poi strinse i pugni sotto al tavolo. Delle mezze lune arrossate segnarono la pelle là dove ci aveva affondato le unghie.

Non piangere.

''Oh, bene!'' cercò di sorridere, il labbro inferiore che tremò prima che riuscisse a nasconderlo.

Non. Piangere.

Tsukki si schiarì la voce, chiaramente a disagio e incerto riguardo l'intero accaduto.

Si alzò e raccolse la borsa dal pavimento. Yamaguchi restò seduto, le spalle curve. Pensò che doveva sembrare un cucciolo abbandonato, e la cosa peggiore era che ci si sentiva. Ma non gli importava, non si poteva fingere meglio di come non stesse già facendo. Non col cuore infranto e la speranza calpestata e gettata via assieme al suo amore.

''Andiamo a mangiare qualcosa?''

Yamaguchi posò i palmi delle mani sul tavolo per reggersi e si issò in piedi con la sola forza delle sue braccia. Non si sentiva più le gambe, doveva andare via da lì.

''No.'' disse, un po' troppo brusco. Tsukki inarcò un sopracciglio. ''No,'' ripetè con calma. ''Ho promesso a mia madre di andare con lei.''

''Dove?'' indagò il biondo.

''Al- al supermercato.'' rispose evasivo.

Se Tsukki non se la bevette, non glielo dette a vedere. E Yamaguchi sapeva che non gli aveva creduto.

Si allontanò lasciandoselo dietro. La schiena che bruciava sotto al suo sguardo penetrante.

Non ti voltare, vattene.

E se ne andò, impaziente di chiudersi in camera sua e soffocare i singhiozzi nel cuscino finché non si sarebbe addormentato in preda alla sofferenza.

 

* * *

 

O almeno, quelli erano i suoi piani.

Ma il Destino era di un altro avviso: aveva deciso di giocare un po' con lui quel giorno, e quando si sentì chiamare da lontano da uno dei suoi compagni di squadra e lo vide correre verso di lui subito dopo che si era fermato, ebbe l'impressione che non sarebbe mai tornato a casa.

Ennoshita gli si avvicinò proprio quando stava superando la soglia della biblioteca comunale, e un secondo prima che si lasciasse andare ad un pianto liberatorio lì, di fronte a tutte quelle persone.

''Hey. Yamaguchi!'' Lo salutò esibendo il suo sorriso più luminoso, e Yamaguchi proprio non se la sentì di ripagarlo con un cipiglio di avvilimento.

Perciò, sollevò debolmente gli angoli della bocca verso l'alto e gli fece un cenno con la mano, decidendo che sarebbe stato meglio non sforzare troppo la sua già precaria stabilità.

''Che ci fai qui? Sei da solo?'' continuò lui, per niente intimidito dal suo silenzio.

Yamaguchi annuì, tirando fuori un piccolo ''sì'' che cadde dalla lingua come se gli fosse scappato.

Ennoshita dovette notarlo, perché la sua mano andò a stringere il braccio di Yamaguchi appena al di sotto del gomito. Aggrottò le sopracciglia nel chiedergli se andasse tutto bene.

''Un litigio.'' gracchiò in risposta. Ma non era stato neanche quello. ''Un'incomprensione.''

''Con Tsukishima?'' tirò ad indovinare. Dall'espressione ferita che gli offrì, seppe di aver fatto tombola.

''Senti..'' tentò. ''che ne dici di andare a prenderci qualcosa da bere? Offro io, dai, si vede che ne hai bisogno.''

Yamaguchi fu tentato di rifiutare l'offerta. Ma qualcosa, nella morbidezza con la quale gli era stato fatto l'invito, lo fece esitare al punto giusto da spingere Ennoshita ad insistere.

E allora: ''Ma sì.''

Lo seguì.

 

* * *

 

La prima cosa che Yamaguchi notò quando tornò al tavolo dopo essersi assentato per andare al bagno, fu una ciotola traboccante di patatine fritte posta in bella vista sulla tovaglia a pois. Croccanti anche alla vista, gialle al punto giusto e ancora lucide di olio. Yamaguchi si ritrovò a dover sopprimere un mugugno di gusto, e costrinse lo sguardo su Ennoshita, che gli stava sorridendo dal basso del suo posto.

Spinse il generoso piatto verso Yamaguchi. ''Mentre non c'eri ho pensato di ordinartele,'' spiegò, all'apparenza divertito dal modo in cui il ragazzo sembrasse volerle divorare. ''So che ti piacciono molto.''

Yamaguchi guardò lui, poi tornò a bramare le patatine, e alla fine portò gli occhi di nuovo su Ennoshita. ''Sei sicuro? Possiamo dividerle.''

Ennoshita scosse il capo. ''Mi farebbe sentire meglio saperti più sereno e con la pancia piena.''

Yamaguchi si ritrovò ad arrossire. Pescò una patatina dal mucchio e stese il braccio per indirizzarla alle labbra incurvate in un sorriso colmo d'affetto di Ennoshita, il quale lasciò che Yamaguchi lo imboccasse, ridacchiando, tra una patatina e l'altra.

Passarono il tempo a chiacchierare del più e del meno: film in uscita, allenamenti extra, nuove partite in vista. Yamaguchi gli raccontò di come una volta, in occasione di una partenza improvvisa dei genitori a causa di un imprevisto sul lavoro, avesse mangiato patatine e gelato a colazione, pranzo e cena per due giorni di seguito e senza mai dare di stomaco. Ennoshita rise a crepapelle delle sue gaffes e gli parlò a sua volta di aneddoti che vedevano Tanaka e le sue cotte impossibili come protagonisti.

Yamaguchi finì di mangiare le patatine in tranquillità, ascoltando con piacere qualsiasi cosa Ennoshita trovasse divertente dire.

Era felice di aver trovato in lui un nuovo amico, qualcuno con cui magari avrebbe potuto sfogarsi e, perché no, dal quale correre nel momento del bisogno. E allora non avrebbe più dipeso soltanto da Tsukki.

Perché in fondo Tsukki non lo vedeva. Lo guardava sempre, ma sembrava non riuscire a vederlo mai.

Perciò, quando Ennoshita si offrì di riaccompagnarlo a casa, Yamaguchi infilò un braccio sotto al suo e, semplicemente, annuì.

 

* * *

 

''Hey, Yamaguchi..''

Yamaguchi mormorò un ''mmh?'' mentre trafficava con le mani nella borsa, alla ricerca delle chiavi di casa.

Ennoshita spostò il peso da un piede all'altro e sistemò il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi, le dita che parvero frenare il proprio tremore nel momento in cui Yamaguchi esultò vittorioso e brandi le chiavi a mo' di premio, tornando a rivolgergli l'attenzione.

''Allora?''

Ennoshita si morse un labbro, poi sorrise nervoso. ''Lo so che ti sembrerà strano, perché lo è, e forse anch'io lo sono. Ma vedi, oggi mi sono divertito tanto con te.''

''Anch'io!'' lo interruppe Yamaguchi con entusiasmo ritrovato.

''Mi fa piacere.'' disse l'altro, e poi sembrò decidersi. ''Mi fa piacere, dato che vorrei uscire con te, qualche volta.'' Confessò, tutto d'un fiato.

Gli occhi di Yamaguchi si spalancarono, due piattini di ceramica pronti a schiantarsi sul pavimento. ''Tu... e io...''

''Noi. Insieme.''

''Oh,'' rispose Yamaguchi.

Oh.

Ennoshita si passò una mano sul viso, forse per cancellarne il rossore. ''E' imbarazzante,'' esalò, facendo un passo verso l'altro ragazzo. ''ma mi piaci. Da un po', in effetti.''

''C-cosa?'' farfugliò Yamaguchi, in preda al panico. ''Ti piacevo?''

Non poteva essere.

''Mi piaci.'' lo corresse con una risata.

''Ti piaccio.'' ripetè piano, più a se stesso che ad Ennoshita.

''Sì.''

''Wow.'' rispose, prendendosi un minuto per riflettere su quanto aveva scoperto. Era così che ci si sentiva quando si veniva a sapere di piacere a qualcuno? Confusi?

Yamaguchi l'aveva sempre immaginato diversamente. Nella sua mente ci sarebbero state farfalle allo stomaco, cuori scoppiettanti e persone che smettevano di contare.

''E io? Io ti piaccio?'' chiese timidamente Ennoshita, il tono speranzoso.

''Sì, sì, certo.. è solo che..'' serrò le labbra per un attimo, indeciso su come proseguire. Non poteva dirgli di essere innamorato di Tsukki. ''Posso.. pensarci su? Riguardo l'uscita, ecco.''

''Certo!''

Ennoshita si avviò verso il vialetto che l'avrebbe portato a casa.

Doveva chiamare Tsukki.

 

* * *

 

''Quindi, fammi capire.''

La voce di Tsukki dall'altra parte del ricevitore ebbe quasi l'effetto di scaraventare Yamaguchi sul pavimento della sua camera. Aveva trattenuto il fiato fino a farsi bruciare le guance, in attesa di una risposta da parte dell'altro che aveva tardato ad arrivare. E quando l'aveva fatto, quando si era deciso a colorare lo sfondo bianco sul quale Yamaguchi si sentiva relegato, il suo povero cuore gli era quasi scappato via dal petto.

Per evitare di riscontrare nuovamente il rischio di cadere, Yamaguchi strisciò di peso verso il centro del letto, la t-shirt bianca a lasciargli scoperta gran parte del suo fondoschiena, e mormorò un piccolo cenno d'assenso per invitarlo a continuare.

''Oggi sei andato via dalla biblioteca e hai incontrato Ennoshita, che ti ha chiesto di uscire dopo che avete pranzato insieme.'' riassunse.

Yamaguchi se lo immaginò con la fronte aggrottata. ''Beh,'' si ritrovò a voler aggiungere. ''mi ha anche riaccompagnato a casa.''

Seguì una breve pausa. Yamaguchi strinse il telefono come a volerlo stritolare nella sua mano.

Tsukki sospirò. ''E quale sarebbe il punto?''

Boom. Colpito.

''Il- il punto?''

''Sì, che cosa dovrei farci?''

''N-niente. Volevo soltanto chiederti un consiglio.'' un respiro spezzato fu rilasciato. Nella privacy delle loro stanze, entrambi i ragazzi si chiesero a chi appartenesse. Ed ebbero paura di conoscerne la risposta.

Tsukki rimase ad ascoltare senza aggiungere nulla. Un rumore in lontananza, forse di una porta chiusa di scatto, fu l'unico indizio che gli permise di rendersi conto che Tsukki fosse ancora in linea.

''Dovrei...'' si schiarì la gola, tentando di inghiottire quel groppo che gli rendeva difficile completare la domanda nel momento stesso in cui la sua mente tentava di riformularla e inviarla alla bocca per l'ennesima volta. ''Dovrei uscirci?''

Quella volta, Tsukki non si fece attendere. ''Certo. Se ti piace.''

''Sì, credo tu abbia ragione.'' rispose piano. Una lacrima gli rotolò giù per la guancia e s'infranse nella sua maglietta. Tiepida. Troppo veloce per essere raccolta. Inafferrabile.

''Yama-''

''Adesso devo proprio andare.'' Yamaguchi tirò su col naso. ''Grazie, Tsukki!''

 

* * *
 

Uscire con Ennoshita si rivelò sorprendentemente piacevole. Ennoshita passava a prenderlo a casa ogni volta perché ''non voglio che tu ti senta in dovere di fare tutta quella strada da solo a causa mia: vengo io, non c'è problema'', e non era mai di un singolo minuto in ritardo. Arrivava indossando vestiti casual ma abbinati in modo impeccabile e salutava calorosamente chiunque gli andasse ad aprire. Stringeva la mano a suo padre e spesso portava dei fiori a sua madre, con la quale conversava in maniera amabile mentre aspettava che suo figlio fosse pronto per andare a pranzo insieme, e rideva di gusto delle sue noiosissime battutine da casalinga. Riteneva, inoltre, che il motivo per cui ai suoi genitori stesse tanto simpatico e a sua madre, in particolare, piacesse al punto da chiedergli sempre di salutarlo, quando erano al telefono e Yamaguchi quasi scappava da lei per non permetterle di origliare, fosse che Ennoshita era forse la persona più responsabile che conoscesse. Prometteva che ci avrebbe pensato lui, a Yamaguchi, e che l'avrebbe riportato a casa sano e salvo e che sarebbe stato trattato con la dolcezza che diceva meritasse. E lo faceva davvero.

Yamaguchi si sentiva speciale in sua compagnia, e non era l'unica novità. Ennoshita lo guardava come se fosse la cosa più bella e rara e... preziosa, che esistesse al mondo. Inoltre, si poteva dire che lo viziasse. Gli faceva dei regali - una sciarpa a strisce verdi e azzurre che avevano visto al centro commerciale durante il loro primo appuntamento, e che Ennoshita era tornato a prendere con la scusa di essersi dimenticato di fare una cosa, e un libro di poesie di Keats, che Yamaguchi si era fermato a bramare con lo sguardo in libreria -, lo portava al cinema e gli lasciava pagare soltanto i popcorn, e ascoltava senza zittirlo i suoi mille sproloqui sulla poesia straniera, che Yamaguchi scoprì piacere anche a lui.

Erano diventati buoni amici. Amici che qualche volta si scambiavano un bacio sotto il portico di casa di Yamaguchi e che camminavano mano nella mano per strada. Yamaguchi era convinto che fosse un buon compromesso, e cercava di seppellire in profondità il dolore che gli attanagliava lo stomaco e gli pizzicava le membra quando si sentiva in dovere di fare qualcosa che rientrasse nella fascia più-che-amici e Ennoshita gli rivolgeva quei sorrisi luminosi che non facevano altro che incrementare il suo senso di colpa. Oltre quella piccola sensazione di disagio, però, la loro relazione funzionava alla grande. Non avrebbe potuto desiderare di meglio, letteralmente. Poteva vantarsi di avere un fidanzato perfetto e nessuno avrebbe osato contraddirlo. Eppure una parte di sé desiderava che il suo parlottare fitto venisse interrotto da un brusco ''sta' zitto'', seguito da un sospiro o un paio d'occhi alzati al cielo. Il caso volle, che quella parte di sé dovesse comprendere proprio la sua anima, che era i suoi occhi e le sue orecchie e la sua essenza, e cercava una figura in particolare in mezzo alla folla e nei suoi sogni, le rare notti in cui si dimostrava misericordiosa e gli permetteva di abbassare le palpebre stanche per qualche ora di sonno irrequieto. E allora ecco che compariva, nel bel mezzo del nulla - nel bel mezzo di quel vuoto che risultava incolmabile senza di essa. Una sagoma alta e slanciata, dalla pelle nivea e il pomo d'adamo in evidenza, che faceva su e giù, frenetico, quando lo fissava, e poi, una chioma dai capelli biondi, corti e adornati di pochi riccioli indomabili. Incatenava i suoi occhi gelidi a quelli di Yamaguchi e non faceva altro, se non impedirgli di muoversi dalla postazione nella quale era stato immobilizzato dal suo sguardo. E Yamaguchi non scappava mai, sebbene ne avesse la possibilità. Se avesse corso, lo sapeva, si sarebbe ritrovato ad arrancare disperatamente dalla parte sbagliata. Verso quella figura algida.

Le pupille si agitavano con ritmo incoerente sotto la coperta leggera delle palpebre, e alla fine si svegliava e si arrendeva alla nottataccia che lo avrebbe aspettato, cedendo se stesso alle grinfie dell'oscurità; la fronte imperlata da una patina di sudore, le mani che si aggrappavano al nulla che era ritornato ad inghiottirlo.
 

* * *
 

Quella mattina che, ancora non lo sapeva, non avrebbe mai più dimenticato, Yamaguchi era arrivato in anticipo. La palestra era deserta, come d'altronde lo era l'intero cortile che circondava l'edificio, e nell'aria si respirava uno strano odore di pioggia e fogliame che si confondeva con quello che era una fragranza che sapeva di air salompas e di sudore, impregnato nelle mura e si poteva avvertire praticamente dappertutto, nei dintorni.

Il sole era un cerchietto pallido e stanco in un cielo dalle sfumature plumbee che, tra una pennellata di grigio e l'altra, non lasciavano più spazio all'azzurro, e rifletteva a malapena i suoi raggi attraverso le ampie vetrate.

Mentre se ne stava seduto a terra, il capo reclinato fino a sfiorare il muro alle sue spalle, con il solo cinguettio dei primi uccellini a tenergli compagnia, Yamaguchi pensò a quanto quello stesso spazio che di solito, con la sua opprimenza, gli faceva desiderare di non appartenere a quel club a causa della stretta vicinanza tra i suoi membri, risultasse invece esageratamente sconfinato in quel momento di solitudine.

Gli parve quasi incredibile, non riuscire a coordinare la sua posizione a seconda di dove si trovasse Tsukki quando si trovavano entrambi lì.

In effetti, evitare Tsukki era diventata un'impresa estremamente complicata, abilità che richiedeva tutti gli sforzi e la massima concentrazione che potesse mettere a punto. Il piano iniziale consisteva nell'evitare il suo sguardo ovunque andasse, avere la sua borsa già pronta prima della fine delle lezioni e sgusciare fuori dalla classe al suono della campanella per far sì di non dover correre il pericolo di essere beccato dal biondo, camminare con un'andatura svelta per i corridoi senza perdere tempo in chiacchierate che lo avrebbero soltanto rallentato e limitare i danni che sarebbero irrimediabilmente arrivati se si fosse ritrovato a rivolgergli la parola durante gli allenamenti. Ma Yamaguchi aveva ritenuto che affidarsi soltanto al caso non fosse sufficiente, così aveva optato per una soluzione decisamente meno rischiosa: fare in modo che si trovasse a scuola un'ora prima degli altri e dunque essere sicuro che non si sarebbero incontrati per strada per incamminarsi l'uno al fianco dell'altro, ognuno tenendo per sé i propri capricci, come erano abituati a fare un tempo che sembrava ormai dolorosamente lontano.

Fu proprio quello il motivo - e, francamente, perché era la sua voce che gli giunse alle orecchie e penetrò fino a solleticargli i timpani - per cui Yamaguchi balzò in piedi nel giro di pochi, frenetici attimi, nel sentirlo chiamare il suo nome.

Yamaguchi potè giurare di aver sentito il proprio cuore districarsi di tutte le arterie e vene che lo tenevano fermo, spostarsi dalla sua naturale collocazione e iniziare a rimbalzare all'interno del suo corpo da una parte all'altra, come a voler imitare la biglia d'acciaio all'interno di un flipper.

Non ho inserito alcun gettone per azionare queste sensazioni, io!, si lamentò invano.

La domanda che seguì si fece spazio attraverso la nebbia fitta che stava cominciando a irretirgli i sensi.

''Come mai già qui?'' si sentì chiedere.

Yamaguchi gracchiò un paio di sciocchezze imprecisate, se ne accorse nel constatare le rughe che si erano formate tra le sopracciglia bionde dell'altro. Ritentò dopo aver imghiottito un bel po' di saliva. ''Non riuscivo a prendere sonno'', mentì.

''E sei venuto qui?'' domandò a bruciapelo, dopodiché fece cadere il borsone sul parquet con un tonfo che riecheggiò prepotente tra le pareti.

Yamaguchi si aggrappò all'ultimo spiraglio di lucidità di cui disponeva e digrignò i denti alla ricerca di una scusa che potesse reggere.

Pensa, pensa, pensa. Pensa.

Aspetta.

''E tu?'' balbettò. ''Potrei farti la stessa domanda.''

Tsukki lo scrutò con la solita espressione insipida, giudicando la via di scampo che si era scavato, analizzando il modo in cui gli occhi di Yamaguchi avevano preso ad aprirsi e chiudersi ad intermittenza e decidendo se valesse la pena di approfondire la questione.

''Stesso motivo.''

No. Aveva scelto di non parlarne.

Yamaguchi annuì leggermente e fece per voltarsi, ma Tsukki non aveva finito.

''Dopo scuola potremmo andare a guardare un film o a mangiare qualcosa.''

Yamaguchi si freddò sul posto, una statua di ghiaccio e stupore a grandezza naturale, le gambe appena divaricate e la parte superiore del busto rivolta verso la sua sinistra, nel tentativo - fallito miseramente - di comportarsi da persona matura che non da le spalle a chi le si sta rivolgendo.

''Oh,'' mormorò dispiaciuto. ''Tsukki... Ho già degli impegni, scusa.''

Nell'istante in cui pronunciò quelle parole madide di falsità, Yamaguchi si sentì l'idiota più coglione della storia degli idioti coglioni. Non era vero. Non lo era, dannazione; Yamaguchi era più libero che mai, e avrebbe voluto urlarglielo subito. Certo, Ennoshita gli avrebbe proposto di fare qualcosa più tardi, ma non glielo aveva ancora chiesto e avrebbe sicuramente capito, se gli avesse detto di avere da fare. Anzi, sarebbe stato felice di sapere che le cose avevano ripreso a funzionare tra loro.

Era troppo gentile con lui. Non lo meritava affatto, né tantomeno Ennoshita meritava le sue menzogne malcelate.

''Improrogabili, immagino.'' disse, velenoso. Yamaguchi si preparò a ribattere, ma Tsukki non aveva finito. ''E' solo che, sai, pensavo che magari avresti potuto finalmente spiegarmi il motivo per cui mi stai evitando dal giorno in cui tu ed Ennoshita vi siete messi insieme.'' prese un respiro profondo. Yamaguchi lo vide gonfiare le guance e svuotare l'aria al loro interno con quella che poteva essere definita solo rabbia. ''E invece, a quanto pare, fidanzarsi con qualcuno equivale a dimenticarsi di tutti gli amici, e onestamente me ne sarei fregato, perché io non sono soltanto quello. Però tu hai deciso di tagliare fuori anche il tuo migliore amico, che - oh, cazzo!'' esclamò ironicamente, ''si da' il caso sia io!''

Yamaguchi aprì bocca per dissentire, per dirgli che non poteva capire, che avrebbe tanto voluto spiegargli la situazione e fiondarsi tra le sue braccia. Che vivere senza di lui era la peggiore tortura che gli potessero infliggere. Ma nessuna confessione venne fatta. Non era il momento di parlare, e se questo non fosse mai arrivato allora pazienza. Finire per farsi odiare dal ragazzo del quale si era innamorato fin dal primo sguardo non era un'opzione.

Molto meglio fingersi troppo preso da un'altra persona, Yamaguchi lo valutava, su una scala dall'errore più grave a quello meno significativo, quasi perdonabile.

Almeno non sarebbe stato costretto a ricordare per il resto della sua esistenza la smorfia di disgusto sul viso di Tsukki.

''L'importante è che io ti abbia salvato il culo da quegli stronzetti per tutti questi anni, giusto?'' sputò fuori, un vulcano in eruzione. ''Adesso però c'è qualcun'altro a proteggerti.''

Basta così.

''Non sono più un fiorellino delicato.'' sussurrò tremante Yamaguchi, le palpebre socchiuse e gli occhi ridotti ad una fessura. ''Non ho bisogno di essere protetto da nessuno.''

Gli occhi di Tsukki, al contrario, si spalancarono di colpo, e Yamaguchi vi potè leggere tutta la consapevolezza che acquisì in seguito alla sua sfuriata.

''Certo che no, non intendevo dire questo'', si sbrigò a specificare. ''So bene che sei forte, è solo che-'' si bloccò nuovamente, le dita strette intorno all'orlo della divisa fino a tingersi le nocche di un bianco latte perfino più chiaro della sua pelle. Per la prima volta dopo l'episodio del litigio con suo fratello,Yamaguchi stava assistendo al crollo della maschera di freddezza che Tsukki si era costruito in tutti quegli anni. Crepa dopo crepa, Yamaguchi la stava guardando sgretolarsi.

Tsukki annaspò nella disperazione e tese il braccio destro verso di lui. ''Non importa. Sono felice se tu sei felice.''

Yamaguchi lo guardò, combattendo contro l'impulso di allontanarsi. Chiuse gli occhi, però, perché non potè farne a meno. La sua presenza continuava ad inebriarlo a discapito della forza con la quale stava tentando di resistergli.

E allora lo disse. Esausto. Terrorizzato. Prigioniero di quell'amore.

''Non farlo.'' Pianse.

''Yama-''

''No.'' Aprì gli occhi e sorrise debolmente mentre piccole perle semitrasparenti gli rotolarono giù dalle guance. ''Il tatto ha memoria, lo sai.'' Disse solamente. Non ci fu bisogno di altro perché Tsukki se lo facesse bastare.

Un minuto dopo Ennoshita fece il suo ingresso, spazzando via l'atmosfera di quel triste sogno. ''Va tutto bene?'' domandò non appena si accorse delle lacrime che brillavano negli occhi del suo ragazzo.

Nessuno dei due osò rispondere.
 

* * *
 

Appena tornato a casa, Tsukki raggiunse la sua camera in poche falcate, ignorando di proposito il ''ben tornato, caro'' che sua madre gli aveva urlato dalla cucina, seguito da un rimprovero piuttosto irritato per non aver risposto al saluto.

Spinse verso il basso la maniglia della porta, sulla cui superficie era stato affisso un poster che vietava l'ingresso a chiunque non fosse stato autorizzato personalmente a varcare la sua soglia e si catapultò al suo interno, cercando di calmare i nervi che sentiva a fior di pelle.

Scaraventò in aria le sue pantofole, le quali atterrarono una sul letto e l'altra sul tappeto vicino la scrivania, e si spogliò di fretta e furia, quasi a volersi strappare via i vestiti di dosso in un solo gesto repentino e liberarsi di un peso che, suo malgrado, non se ne sarebbe andato, perché stava opprimendo il suo petto la' dove si trovava il cuore. I vestiti non c'entravano, il problema era lui. Il suo corpo lo stava tradendo.

Si guardò intorno e gli sembrò di vedere la sua camera per la prima volta. Ogni cosa era ordinata e pulita in maniera maniacale. I libri disposti sulla libreria per altezza e colore, quelli scolastici sulle prime tre mensole, la narrativa sulle restanti. Sul comodino verniciato di bianco campeggiava soltanto una piccola sveglia del medesimo colore e il fodero dei suoi occhiali. Una divisa di riserva era stata lavata e stirata durante la sua assenza, sua madre si era premurata di appenderla ad una gruccia ad una delle ante dell'armadio e di spruzzare un deodorante per ambienti alla vaniglia appena prima di uscire, in quel modo avrebbe potuto usare la scusa di averlo fatto fuori dalla sua camera, ma che il profumo doveva essere trapelato attraverso qualche fessura.

I telecomandi erano allineati dal più piccolo al più grande sul ripiano di vetro sotto al televisore a schermo piatto, sul quale non era possibile notare neppure il più insignificante degli acari.

Perfino la sua collezione di dinosauri sembrava appartenere ad un altro, magari si era trasformato in un uomo di mezza età con la fissa per i giocattoli per mocciosi ma che al contempo non sapeva cosa farsene, e non se ne era neanche accorto.

La sola cosa che non era in armonia, in quella stanza di cartone con oggetti di cartone e vestiti di cartone, era un libro dall'aspetto antiquato, rilegato in pelle sul davanti, il dorso scolorito a cui mancavano dei pezzi di stoffa e le pagine ingiallite. Portava il titolo di ''Romeo and Juliet'', e pretendeva l'attenzione di Tsukki non appena si trovava nei paraggi della scrivania sulla quale era stato abbandonato l'ultima volta, risalente ad una settimana prima. Un regalo di Yamaguchi.

Tsukki lo spiava con la coda dell'occhio e ci studiava accanto, perfino. Ma non lo riponeva mai assieme agli altri, né tuttavia osava sfiorarlo. Lo teneva lì, semplicemente, e sperava che una notte, Yamaguchi ne sarebbe uscito fuori, o perlomeno avrebbe scoperto se e quale segreto il suo amico vi avesse nascosto un tra le sue pagine. Sarebbe bastato un indizio, uno solo, e Tsukki avrebbe tentato di agire in qualche modo.

Eppure, nonostante le nobili intenzioni del ragazzo occhialuto, il libro taceva, e così taceva il mondo storto nel quale viveva.

Anche quella volta, Tsukki lanciò un'occhiata d'afflizione al libro, che continuava a fissarlo a sua volta. Lasciando perdere la sensazione di impotenza che gli suscitò il ricordo della discussione che aveva avuto con Yamaguchi un paio di ore prima, a Tsukki tornò alla mente l'ultima frase che il ragazzo aveva esalato.

Il tatto ha memoria.

Ma che cosa significava?

Sconcertato e prossimo ad un esaurimento, Tsukki si avvicinò alla scrivania e fece correre l'indice sullo schermo del portatile che vi presiedeva assieme a pochi altri strumenti di cancelleria, e al libro. Si sedette, sfilandosi gli occhiali per strofinarsi la stanchezza dagli occhi, e avviò il computer.

Doveva capire. Voleva capire. Era diventato di fondamentale importanza, non riguardava più esclusivamente se stesso. E se Yamaguchi non avesse parlato, allora se la sarebbe sbrigata da solo.

Digitò la frase che aveva suscitato la sua curiosità sulla barra di ricerca e attese. Sullo schermo comparvero più di un milione di indirizzi diversi. Tsukki non ci impiegò molto a constatare che i suoi sospetti erano in effetti fondati.

Cliccò sul primo suggerimento della lunga lista. La pagina che si aprì era un blog dedicato alla poesia di John Keats, e decantava in caratteri cubitali neri:

Posso forse scacciare il tuo

Ricordo dai miei occhi? No, hanno visto

Un'ora fa la mia splendente regina!

Anche il tatto ha memoria. Dimmelo tu, amore,

Dimmelo cosa devo fare per ucciderla e libero

Tornare alla mia vecchia libertà -
 

Tsukki rilesse i versi fino a memorizzarne ciascuna parola, lo stomaco stretto in una morsa di agonia, arrovellandosi il cervello nell'analizzare ogni loro possibile significato, graffiandosi la gola nel recitarle ad alta voce con una caparbietà che non gli era propria e facendo scioccare la lingua dal disappunto all'ennesimo tentativo di comprensione spirato tra una rivisitazione e l'altra della poesia.

Era quella supplica finale, incastonata tra la fine del terzultimo verso e quello che la chiudeva, a catturare talvolta il respiro di Tsukki e a restutuirgliene sempre meno della precedente.

Yamaguchi si era scansato dal suo tocco quasi ne fosse rimasto scottato. Li aveva visti, il suo tremore e la voglia di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio. Così aveva pianto, lui, dopo anni da quando Tsukki l'aveva visto cedere a quel modo. Anni che avevano passato spalleggiandosi a vicenda, fedelmente e con la presunzione di reputarsi invincibili. E permesso che le lacrime sgorgassero copiose con la consapevolezza di essere al centro della sua attenzione, forse con l'accortenza di scavargli una voragine nei tessuti, carie che avrebbe scavato le sue carni fin dentro le ossa.

Aveva sentito su di sé ciò che Yamaguchi provava, e non era riuscito a contenere tra le sue mani tutti i segnali che il ragazzo gli aveva lanciato in quegli anni.

La verità era che Tsukki lo sapeva. I sentimenti che Yamaguchi provava per lui erano forti, e superavano di gran lunga ciò che un'amicizia poteva concedere loro. Non ne era mai stato veramente sicuro, e quell'incertezza gli aveva dato la possibilità di capire meglio ciò che sentiva lui e fingere che tutto fosse uguale a quel loro primo incontro. Era arrivato alla conclusione di non essere abbastanza per Yamaguchi Tadashi. Non abbastanza paziente. Non abbastanza simpatico. Non abbastanza determinato. Non abbastanza forte. Assolutamente, innegabilmente - non abbastanza affettuoso. Yamaguchi meritava un principe in grado di attrarlo tra le sue braccia possenti, portarlo via con sé in sella al suo valoroso destriero dalla criniera dorata e mostrargli le meraviglie dell'Universo. Tsukki, d'altra parte, non avrebbe potuto offrirgli nulla di ciò di cui Yamaguchi fantasticava. Era pigro, scontroso ed arrogante, detestava andare a mangiare in quei posti affollati che invece Yamaguchi adorava e pensava che la poesia fosse una perdita di tempo. Come se non bastasse, gli diceva sempre di stare zitto quando Yamaguchi si vantava delle sue capacità neanche si trattasse di se stesso.

La sua intenzione era quella di liberare Yamaguchi dall'obbligo di dovergli essere amico per ripagare in qualche modo la protezione che Tsukki gli aveva garantito restando al suo fianco.

Tuttavia, Yamaguchi non si sentiva in debito, soltanto legato a lui indissolubilmente.

E' proprio questo il problema, rifletté. Tu vuoi sentirti libero da me.

Però se ti toccassi, in quel caso, cederesti?

Fu come un fulmine che lo trapassò interamente. Afferrò la sua copia di Romeo e Giulietta e l'aprì, sfogliando le pagine finché non trovò quella giusta.

Si passò una mano tra i capelli umidi di sudore e serrò la bocca.

Quella sarebbe stata la cosa più folle e deficiente che avrebbe fatto nel corso della sua monotona esistenza.
 

* * *
 

Erano le dieci e quarantacinque di sera e Yamaguchi si stava preparando per andare a letto, quando qualcosa di piccolo e pesante si scagliò contro il vetro della sua finestra con un tap ovattato.

Yamaguchi guardò il se stesso riflesso nello specchio davanti a sé sollevare un sopracciglio stropicciato dall'asciugamani, la spazzola ferma a mezz'aria ad una manciata di centimetri dal suo orecchio sinistro.

Rimase in attesa di chissà quale sviluppo, vigile, cominciando a pensare che la stanchezza gli stesse giocando un brutto scherzo. Proprio nel momento in cui Yamaguchi stava per scegliere deliberatamente di lasciar perdere, ecco che riaccadde.

Tap.

Da qualche parte sul balcone.

Tap.

La ringhiera.

Tap.

Bingo.

Altri tre nuovi colpi, di cui soltanto l'ultimo era giunto alla precedente destinazione.

Yamaguchi si fissò allo specchio, un paio di occhi impauriti e traboccanti di confusione lo sfidavano a smuoversi e a reagire.

Qualcuno stava decisamente cercando di attirare la sua attenzione.

D'accordo, mimò con le labbra, come ad infondersi coraggio da solo.

Avrebbe dovuto chiamare suo padre, lo sapeva, o perfino avvisare la polizia. Scendere di sotto e dormire in salotto.

Non fece niente di tutto ciò.

Invece, si voltò, raggiunse il balconcino in fondo alla stanza con una calma che non credeva di possedere e aprì la finestra, di velto, rabbrividendo per il clima freddo della notte sulla sua pelle fasciata da un leggero tepore, ancora arrossata dal bagno bollente che aveva fatto.

Strabuzzò gli occhi gonfi di pianto per abituarli all'oscurità e uscì fuori, aggrappandosi alla ringhiera e inalando il profumo di erba appena tagliata che c'era nell'aria.

Guardò a destra, poi a sinistra, infine si arrese.

''Chi è là?'' urlò, la voce spezzata dall'ansia che lo stava divorando.

Come da copione, una sagoma dalla fisionomia maschile si palesò nell'ombra del suo giardino e inchiodò il proprio sguardo al suo. Alzò la mano per toccarsi - no, grattarsi, il retro del collo.

Yamaguchi dovette premersi il palmo della mano sulle labbra per trattenere un urlo. Gioia, tristezza, amore, imbarazzo, delizia, confusione vorticarono nel suo stomaco, mescolandosi, punzecchiandolo, strattonandolo da una parte all'altra. Perché quel ragazzo era Tsukki, e si trovava ispiegabilmente, irreparabilmente, incomprensibilmente lì per lui.

Yamaguchi aprì e chiuse la bocca un paio di volte. ''Tsukki...?'' sussurrò, non credendo al fatto che la voce stesse finalmente chiamando quel nome fosse la sua, la mano adesso incurvata in un mezzo cono accanto alle labbra.

Tsukki gli fece cenno di ascoltare, poi pescò un libricino dalla tracolla e se lo mise ad una spanna dal viso per riuscire a leggere.

Tenne il libro fermo tra il pollice, l'indice ed il medio e lo sollevò verso la luce che proveniva dal balcone. L'altra mano, nel frattempo, corse sulla sua t-shirt stropicciata, vagò irrequieta, le dita che non si aggrappavano a nulla in particolare, e alla fine raggiunsero il lato sinistro del suo petto, là dove si trovava il suo cuore. Lo strinsero. Tsukki sollevò il viso, mostrando il suo collo nudo e teso come la corda di un violino e la sua mascella appuntita che pareva fremere nel buio.

''Qual luce rompe laggiù da quella finestra? Quello è l’oriente, e Tadashi..'' Tsukki ispirò profondamente, stabilendo il contatto visivo con Yamaguchi, che intanto stava facendo fatica a respirare e a credere che quello stesse realmente accadendo. ''Tadashi è il sole!''

No, no, no. Oh, no. Cosa?

Gli occhi di Yamaguchi si spalancarono, brillanti e liquidi di lacrime. Sembrava che le pupille stessero galleggiando all'interno delle cavità orbitarie.

No, era l'unica parola che descriveva alla perfezione ciò che Yamaguchi stava provando. Perché davvero - no, non poteva essere vero.

Tsukki non gli stava recitando la scena del balcone di Romeo e Giulietta.

''Sorgi, bel sole, e uccidi l’invidiosa luna, che già inferma e impallidisce di dolore, perché tu,'' nel riferirsi a lui, Tsukki gli sorrise; una piccola mezza luna che si distingueva sullo sfondo nero e privo di vita. Perché Yamaguchi si era sentito cieco in sua assenza, incapace di vedere il mondo e di distinguerne i contorni. E adesso stava ricominciando a credere nei colori, e a riconoscerli ancora. ''che sei soltanto un suo vassallo, sei tanto più bello di lei.''

Fu farfugliando, che Tsukki gli confessò di trovarlo bello. Più bello di qualsiasi essere vivente, del cielo, del mare, del sole, della luna e delle stelle. Ma quello non glielo fece presente.

La mano che prima stringeva il suo cuore volò ad indicarlo in un gesto elegante.

Yamaguchi provò a nutrirsi di una flebile boccata d'aria: aveva resistito fin lì, se fosse svenuto sul più bello non se lo sarebbe mai perdonato, non in quel frangente.

''Licenziati dal suo servizio, dal momento ch’ella t’invidia tanto: la sua livrea di vestale è d’un verde color malato, e non l’indossano più altro che i dissennati. Getta via! È il mio signore.''

Tsukki abbandonò le braccia lungo i fianchi. Aveva il fiatone. Se Yamaguchi non fosse sicuro del contrario, gli avrebbe chiesto se avesse corso.

Ma forse lo aveva fatto, forse aveva corso pur restando immobile. Forse era stata la sua anima a correre per prendere tra le braccia la sua. Doveva essere così, perché Yamaguchi aveva preso a piangere, piangeva libero di essere guardato, e liberando Tsukki dalla costrizione dell'avere segreti, evitare gli sbalzi d'umore e la finzione che trapelava dai loro ''sto bene'' e ''non preoccuparti'' che terminavano spesso con Yamaguchi che si scusava per andare in bagno e sparire, e Tsukki che faceva aderire le cuffie alle sue orecchie e lasciava chiunque tentasse di entrare, fuori.

''Scendi?'' chiese Tsukki con divertimento, poi aggiunse: ''o forse sono diventato troppo sfigato, adesso?''

Yamaguchi scoppiò a ridere tra le lacrime e tossicchiò. ''Shakespeare, Tsukki? Sul serio?''

Tsukki fece spallucce, offrendogli un ghignetto allusivo. ''Dovevo conquistarti con stile, e lui, beh, devo ammettere che ne aveva da vendere. Non lascerò che il primo che capita ti porti via.''

Yamaguchi sussultò nell'essere messo al corrente delle sue intenzioni, ringraziando tutte le entità superiori per la notte, che aveva fatto in modo che il suo rossore venisse celato.

''A-arrivo.'' rispose, e si precipitò di sotto in punta di piedi, saltellando agilmente fino all'ingresso.
 

* * *
 

Tsukki lo stava aspettando, aveva le braccia incorociate al petto che si mossero prima ancora che Yamaguchi potesse registrarne lo scatto. Lo attirò a sé, arpionandosi a lui, e fece unire le loro fronti.

''Hey.'' soffiò Yamaguchi, e i loro respiri irregolari si infransero sul viso dell'altro.

Tsukki gli sorrise, alternando lo sguardo affamato tra gli occhi e le labbra, poi la sua espressione si fece seria d'un tratto.

L'ultima cosa che Yamaguchi vide prima di chiudere gli occhi, furono le labbra di Tsukki che si avvicinavano alla sua faccia.

E poi si stavano baciando, e il mondo sparì. Non esisteva più niente che non fosse il sapore di Tsukki mescolato al suo e le sue dita callose che gli cingevano il viso per tenerlo lì ancora un po', più vicino e tipregotipregotiprego - baciami per sempre.

Yamaguchi gli circondò il collo con le braccia e gli morse debolmente il labbro inferiore, percependo un malsano piacere nel martoriarlo e sentirlo emettere dei versi gutturali direttamente nella sua bocca. Tsukki sorrise contro di lui e sbuffò una risata, ed entrambi avvertirono il bisogno, l'esigenza vitale di approfondire il contatto. La punta della lingua di Tsukki premette contro le labbra di Yamaguchi, che si dischiusero per accordargli il permesso di invaderlo e scontrarsi con la sua. Yamaguchi gemette piano quando Tsukki si strofinò contro il suo torace, spingendolo verso il muro di casa, e Dio- in quel momento avrebbe potuto fare le fusa e non sarebbe stato abbastanza. Le loro lingue si intrecciarono senza sosta, le salive che si mescolavano in una danza inibitoria e scoppiettante che sembrava imitare i fuochi d'artificio che stavano divampando nei due ragazzi mentre il loro scambio di energie stava avvenendo.

''Dovrei proprio ringraziare Shakespeare.'' valutò Tsukki, riprendendo fiato.

Yamaguchi mormorò un ''mh'' privo di intenzione e riprese a baciarlo con rinnovato ardore. Tsukki lo strinse forte a sé, disegnando dei cerchi invisibili sulla sua mascella e gli lasciò un piccolo bacio a fior di labbra, proseguendo il suo percorso verso l'alto. Baciò la punta del suo naso, gli incavi sotto gli occhi, che si chiusero e diedero a Tsukki l'ispirazione di baciare anche le palpebre, e come poteva tralasciare la fronte, così stretta e rilassata?

''Tsukki...'' sussurrò Yamaguchi, fremente di eccitazione.

Tsukki rise, rise fino a far spuntare due gocce d'acqua gemelle agli angoli degli occhi. ''Egli parla. Oh, parla ancora, angelo di luce!''

Yamaguchi immerse il viso nel suo petto, riflandogli un buffetto sulla pancia. Tsukki fece sprofondare una mano tra i suoi capelli e lo trattenne lì, i cuori che battevano all'unisono.

''Sta' zitto, adesso.'' mugugnò imbarazzato.

''Scusa, Yamaguchi.''
 

* * *
 

- Una settimana dopo -
 

''Stai bene?'' chiese Suga. Gli poggiò una mano sulla spalla.

''La felicità gli si addice proprio, non credi? Lo rende bello.'' rispose, spiando davanti a sé, dove, al centro del campo, Yamaguchi stava sorridendo a Tsukki. ''Più del solito, intendo.'' si corresse in seguito ad un'ulteriore sessione di ammirazione.

Suga seguì la direzione verso la quale stava guardando Ennoshita e provò un grande senso di protezione ed affetto nei suoi confronti. ''Sei un così bravo ragazzo.'' disse sinceramente. ''Arriverà la persona giusta, vedrai.''

Ennoshita si voltò verso di lui, pacato, e gli fece un occhiolino. ''Parlando di persone giuste...''

Un paio di braccia possenti si intrufolarono tra quelle di Suga, sulle cui labbra nacque una curva rilassata.

''Di cosa parlavate?'' chiese Daichi, piantando un bacio tra i capelli del suo ragazzo.

''Di persone giuste.'' ridacchiò Suga.

''Ah, sì? Non ne conosco i dettagli, ma hai un'intera squadra di persone giuste pronte a fare a botte per te.''

''Sono d'accordo.'' disse Yamaguchi, che si stava già avvicinando ai tre compagni, trascinandosi dietro di peso uno Tsukki piuttosto seccato che dovette comunque concordare.

''Sì,'' disse il biondo. ''tu chiamaci.''

Ennoshita sorrise rincuorato.

''Hey, ragazzi, giochiamo adesso?'' urlò Hinata, dimenandosi come un forsennato, i ciuffi rossi che spuntavano ribelli al di sopra della rete quando saltava.

Si levò un coro di ''Hinata!'' accompagnato da un insieme di risate e fischi d'approvazione, e l'imperfezione strisciò di nuovo nella sua pelle fatta di malconcia perfezione.
 

* * *
 

Le loro mani erano fatte per incastrarsi senza mai perdersi. Si trovarono sul tavolo della biblioteca in un gesto che di quotidiano non aveva poi granché - galeotti furono i brividi che scaturirono dalle loro dita intrecciate e i palmi sudati e caldi che s'adagiavano sulla superficie di legno antico e parevano far l'amore su di essa.

E mentre Yamaguchi farneticava riguardo gli sforzi che Tsukki avrebbe dovuto fare per dimostrare di tenere a lui e leggergli una poesia ogni tanto, anziché stare a sentire le sue e ghignare, Tsukki sfilò un libro da sotto al suo sedere. Si spostò con la sedia accanto a quella di Yamaguchi, aprì il libro e lo spinse al centro perché anche il suo ragazzo potesse vedere.

Lesse quanto aveva già sottolineato con l'evidenziatore giallo:
 

''I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Essi sono altrove molto più lontano della notte

Molto più in alto del giorno

Nell'abbagliante splendore del loro primo amore''
 

La presa di Yamaguchi sulla mano di Tsukki aumentò significativamente. Con il pollice prese a levigare ogni centimetro della sua pelle, si soffermò sulle nocche, sulle vene in evidenza e sul polso.

''Ti amo anch'io.'' gli rivelò con l'alba di un sorriso che presto si stanziò sulla sua faccia quasi per intero.

Tsukki pensò, e ne fu convinto quando ebbe come l'impressione che il tempo si fermasse assieme al suo respiro, che sì - il tatto aveva una memoria.

Perché quel tocco aveva risvegliato in lui ricordi di vite passate e non ancora vissute. E in ciascuna di esse Tadashi era al suo fianco.

 

 

 

 

 

N.d.a.

La prima che compare è una poesia di Emily Dickinson (non ha titolo, vi basterà digitare le prime parole per trovarla). Gli ultimi versi citati da Tsukki provengono dalla poesia di Jacques Prevért ''I ragazzi che si amano''. Vi consiglio di correre a leggerla se non la conoscete tutta!

L'unica cosa che voglio dire è la seguente.

Datemi un Ennoshita Chikara e nessuno si farà del male!

E anche: vi ringrazio dal profondo del mio cuore per essere arrivati fin qui, e soprattutto, alle magnifiche personcine che ho tra gli amici del fake, per aver atteso anche troppo. Grazie.

  
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