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Autore: Miss Simple    15/09/2016    2 recensioni
Solo quando prese tra le braccia quel caldo corpicino in lacrime capì una cosa. Era diventato padre di una meravigliosa creatura e che, nonostante la sua giovane età, non avrebbe mai abbandonato quel piccolo fagottino paffuto, nessuna difficoltà lo avrebbe obbligato ad abbandonare le sue responsabilità come un codardo. Sarebbe stato padre fino a quando i suoi polmoni richiederanno l’ultimo frammento d’aria.
Era questo che pensò Kim Jongin cinque anni fa quando tenne tra le braccia il suo ometto.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: D.O., D.O., Kai, Kai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NA: Buon salve a tutti voi che leggerete. Sono tornata? Non proprio.
Avevo sempliemente questa One Shot di ben 15.891 parole ferma da un anno, e oggi ve la pubblico.
Non voglio dirvi nulla, spero solo che vi piaccia.
Buona lettura ^^




 
17 anni, 3 mesi, 5 giorni, 10 ore, 20 minuti e una manciata di secondi. Era quello il tempo che trascorse quando un vagito si udì per la prima volta in quella giornata.
E pensare che solo 3 mesi, 5 giorni, 10 ore, 20 minuti e qualche secondo prima qualcuno stava spegnendo diciassette candeline su di una morbida torta ricoperta di candida panna.
Non era più importante quanti anni avesse in quel momento, tutto ciò che adesso importava era il presente.
Solo quando prese tra le braccia quel caldo corpicino in lacrime capì una cosa. Era diventato padre di una meravigliosa creatura e che, nonostante la sua giovane età, non avrebbe mai abbandonato quel piccolo fagottino paffuto, nessuna difficoltà lo avrebbe obbligato ad abbandonare le sue responsabilità  come un codardo. Sarebbe stato padre fino a quando i suoi polmoni richiederanno l’ultimo frammento d’aria.
Era questo che pensò Kim Jongin cinque anni fa quando tenne tra le braccia il suo ometto.
 
Il sole sorgeva sul cielo di Settembre, Jongin come ogni mattina si era svegliato di buon ora per rendere tutto pronto per il suo piccolo uomo. Si appoggiò alla porta osservando il suo piccolo che dormiva beatamente sul suo morbido letto, le labbra si muovevano a scatti lasciando fuori uscire qualche parolina senza senso, Jongin si ritrovò a sorridere pensando a cosa stesse sognando.
Andò a lavarsi e vestirsi e subito dopo preparò la colazione preferita di suo figlio:  tazzona di latte e delle morbide fette di pane bianco ricoperte di Nutella.
Quando tutto fu pronto, e sistemato sul tavolo, Jongin andò verso la camera di suo figlio trovando la porta semi aperta, entrando quello che trovò era solo un letto vuoto e disfatto. Ad un tratto sentì una piccola risatina alle sue spalle, a quel dolce suono, le labbra di Jongin si estesero in un sorriso giocoso, si rannicchiò leggermente su se stesso e si girò lentamente.
“Dov’è finito il mio ometto?”
“Non lo cio”
“Dov’è finito Kangdae?”
“Non c’è più”
“Come non c’è più? E ora tutta quella colazione deliziosa chi la mangia?”
“IO!” saltò fuori da dietro la parete una piccola miniatura di Jongin
“E tu chi sei?”
“Sono il tuo ometto” disse il piccolo Kangdae con un sorriso un po’ sgangherato da qualche dentino caduto.
Il piccolo portò le mani in alto e Jongin lo afferrò portandoselo in braccio e lasciando un dolce bacio sulla morbida guancia. Dopo che le piccole e genuine effusioni tra padre e figlio finirono Jongin portò a tavola il piccolo che si avventò subito sulla fetta piena di crema al cacao.
A Jongin non piaceva fargli mangiare molti dolciumi ma quando lo faceva amava vedere il volto di suo figlio in piena estasi e tutto insozzato di crema, persino sulla fronte.
Quando il piccolo ebbe inghiottito l’ultima goccia del suo latte si voltò verso il padre e aprì la bocca facendogli vedere che come un grande uomo aveva finito tutta la sua colazione.
“Bravo amore mio. Adesso vieni, devi essere pronto in pochi minuti o sennò farai tardi all’asilo”.
L’espressione di Kangdae cambiò imbronciandosi all’udire quelle parole. L’estate era finita e con essa anche il suo tempo con suo padre.
“Non voglio andarci. Voglio stare con te, papà” piagnucolò sporgendo il labbro.
“Su Kangdae non mettere il broncio. Papà ha bisogno di andare a lavorare e tu non puoi perdere il primo giorno di scuola”
“No, non ci vado.” Puntò i piedini ben saldi a terra incrociando le braccia al petto.
“Kangdae non osare mettere su una scenata o renderai papà triste” disse Jongin mettendo su una faccia da cucciolo bastonato “Non vuoi che papà sia triste, vero?” domandò portando le mani sul volto coprendolo e facendo finta di singhiozzare.
Gli occhi del piccolo Kangdae si allargarono riempiendosi di calde lacrime e senza pensarci si affrettò verso il padre, aggrappandosi alle alte e snelle gambe.
“P-papà non piangere” disse tra i piccoli singhiozzi.
Jongin smise la sua recitazione appena udì suo figlio piangere davvero e si accovacciò all’altezza del piccolo. Il senso di colpa invase Jongin che si diede dello stupido per essersi comportato come un ragazzino e aver fatto piangere il suo piccolo ometto.
Jongin per quanto fosse giovane, lì tra i due era l’adulto e soprattutto il genitore.
“Sssh Kangdae, papà non sta piangendo. Su amore mio non fare così” disse mentre afferrò il viso del piccolo e lo asciugò da quelle stupide lacrime.
“Scusami non volevo farti piangere, adesso calmati. So che vuoi passare ancora del tempo con me, ma papà deve andare a lavoro così avrà tanti soldini per comprarti tutto quello che ti serve, e tu devi andare a scuola dove imparerai tante cose nuove e farai tante nuove amicizie. Dopo la scuola potremmo stare insieme, ok?”
Il piccolo ometto fece cenno con la testa di sì e Jongin gli regalò un affettuoso sorriso. Senza perdere ulteriormente tempo afferrò il piccolo alla bell’e meglio e lo portò in bagno. Kangdae amava l’ora del bagnetto, era il tempo in cui il piccolo non riusciva a stare fermo, adorava giocare con l’acqua e Jongin ad ogni sessione ne usciva non solo fradicio dalla testa ai piedi ma esausto. Per Jongin lavare il figlio era una battaglia.
Quando finalmente i due furono pronti si affrettarono ad uscire fuori casa, dopo aver controllato una decina di volte se non avessero dimenticato qualcosa.
L’asilo non era molto distante da casa di Jongin, era situato aldilà del parco di fronte la propria casa.
“Kangdae ricorda bene questa strada, basta solo attraversare il parco per arrivare a scuola o a casa. Non dare confidenza agli-“
Kangdae smise di dare ascolto suo padre quando i suoi occhi catturarono la figura di uno strano uomo vestito di nero e il volto bianco come il borotalco. Si domandò se fosse un alieno o meno?
“Kangdae mi stai ascoltando?” domandò Jongin tirando delicatamente la mano del figlio riportandolo alla sua attenzione.
“Si papà non preoccuparti sono grande io.” Disse in modo risoluto facendo sorridere Jongin.
Ma come faceva Jongin a non preoccuparsi quando era sicuro che la maggior parte delle volte non sarebbe stato in grado di andare a prendere suo figlio all’asilo? Come poteva stare calmo all’idea che al suo piccolo ometto potesse succedere qualcosa solo perché non riesce ad essere un ottimo genitore nonostante ci provasse duramente?
La vita di Jongin non fu rose e fiori, in special modo da quando nacque Kangdae, le responsabilità erano tante e si moltiplicavano con l’andare del tempo. Lui cercò di adempirle nei migliori dei modi e lavorare era uno di quelli. Kangdae era stato un neonato abbastanza tranquillo, come il resto dei neonati piangeva quando aveva fame, o desiderava essere cambiato o quando si faceva presente qualche colica. Ma per il resto era un bimbo calmo.
Cosi calmo che Jongin si ritrovò a preoccuparsi per la troppa calma del figlio. Dormiva troppo spesso ma il pediatra gli assicurò che Kangdae non aveva nulla che non andasse, era in perfetta forma era solo che amava essere pigro.
Ma c’erano quei momenti in cui il piccolo Kim era raggiante, il suo sorriso, fatto solo di gengive, era  ciò che  illuminava i giorni di Jongin quando pensava che tutto stava andando a rotoli nella sua vita. Quando pensava che non ce l’avrebbe fatta e che tra le opzioni c’era quella di darlo in adozione.
Aveva dovuto rinunciare alla scuola, studiando in casa e prepararsi agli esami per riuscire a diplomarsi. Lo stress dello studio era accentuato dal lavoro part-time che svolgeva per sostenere lui e suo figlio.
Aveva bisogno di un aiuto, aveva bisogno di qualcuno che lo supportasse. Ma Jongin era solo.
Ricordava ogni difficoltà come se non fossero trascorsi cinque anni da quei momenti di piena difficoltà, ricordava come aveva messo Kangdae nel marsupio e lo avesse portato con sé a lavoro.
Non avrebbe mai finito di ringraziare la signora Lee per avergli dato l’opportunità di portare con sé suo figlio e di avergli messo a disposizione una culla nell’ufficio di quest’ultima.
Era davvero una vecchia signora gentile a cui sarebbe stato per sempre grado.
Difficoltà tante e con esse pensieri schiaccianti ma quello che bastava a Jongin era vedere suo figlio sorridere e le paure andavano via.
Si diplomò in tempo e continuò a lavorare dalla signora Lee per due anni interi, ma poi con la morte della proprietaria il negozio fu chiuso. Jongin dovette trovare subito un altro lavoro, un ristorante cercava personale quel tempo e Jongin si offrì come cameriere. In un primo periodo il datore di lavoro gli concesse di portare con sé Kangdae, fu così comprensivo da capire in che situazione il suo nuovo lavoratore si trovava. Ma al compimento del terzo anno di vita gli venne detto che il piccolo Kim non poteva più stare in giro per il locale e che avrebbe dovuto trovare una soluzione al più presto o avrebbe perso il lavoro.
L’unica soluzione fu portare Kangdae all’asilo. Nel primo anno Jongin fu il più presente possibile, era sempre in tempo per andare a prendere il figlio all’uscita dell’asilo. Ma quest’anno sarebbe stato difficile, gli orari di lavoro erano cambiati il ristorante era a corto di personale e Jongin non poteva far altro che adempiere il suo dovere di lavoratore, nonostante servire ai tavoli non fosse il suo sogno.
Dopo lunghi pensieri e lotte interiori decise che il suo piccolo uomo sarebbe ritornato a casa da solo. Kangdae dal suo canto fu felice di questa improvvisa scelta, si sentiva un adulto.
“Fa il bravo. Non fare arrabbiare la maestra” raccomandò alzando un dito di fronte al viso del piccolo.
Kangdae mosse con enfasi la testa regalando un sorriso con qualche dentino mancante.
La giornata fu frenetica per i due uomini di casa Kim. Jongin quella mattina, prima di andare a lavoro, girovagò per la città con la speranza di trovare un nuovo lavoro che gli permettesse di coincidere gli orari con quelli dell’asilo. Non era abituato a non avere il suo piccolo ometto in giro per un lungo tempo. Essere un ragazzo padre non era facile e se non ci fosse stato lui per Kangdae chi ci sarebbe stato? Nessuno.
Aveva bisogno di tempo per suo figlio non voleva che il piccolo soffrisse la sua assenza e diventasse responsabile di se stesso prima del dovuto. Aveva il diritto di avere una vera infanzia felice e spensierata.
Kangdae dal canto suo cominciò quel primo giorno d’asilo prima con un piccolo broncio sulle labbra, gli mancava già suo padre, ma poi tutto proseguì per il meglio. Nuovi bambini avevano aderito alla sua classe, facendo così nuove amicizie. Si divertì quel giorno, tanti giochi furono fatti e la maestra aveva dato loro dei cupcake durante l’ora di intervallo.
Si avvicinò l’ora di ritornare a casa, ormai era pieno pomeriggio, un senso di eccitazione attanagliò lo stomaco del bambino. Sarebbe ritornato a casa da solo, voleva fare tutto per bene essere responsabile e arrivare a casa sano e salvo in modo da rendere suo padre orgoglioso.
Mise con fervore tutto il suo materiale nello zainetto e uscì insieme ai compagni dalla classe. Quando fu fuori vide che ogni bambino si dirigeva verso un adulto che lo stringeva in un forte abbraccio o adagiavano un dolce bacio sulla testa.
Infondo al suo cuore sperava che suo padre fosse lì, che gli avesse fatto una sorpresa ma sapeva bene che non lo avrebbe potuto fare.
“Ciao Kangdae ci vediamo domani!” gli gridò il suo nuovo amico sventolando una mano.
“Ciao!” ricambiò con altrettanto fervore.
Diligentemente si incamminò fino al semaforo, aspettò fino a quando fu verde per attraversare la carreggiata che divideva l’asilo dal parco.  Passeggiò guardandosi intorno, vedendo tutto quel gran verde e gente che passeggiava sorridente. Ascoltava il canto di qualche uccellino che cinguettava nel silenzio del palco.
Camminando i suoi occhi notarono una piccola folla di persone intorno a qualcosa. Si fermò sui suoi passi e guardò chiedendosi se dovesse avvicinarsi o meno, se suo padre si sarebbe arrabbiato.
Jongin non era lì presente quindi pensò che non lo avrebbe mai saputo e incuriosito si incamminò verso la folla. Con le sue piccole manine si fece spazio fra la gente dicendo “Permesso” o “Oh per favore spostatevi”, era troppo piccolo per poter vedere oltre a tutta quella schiera di persone.
Quando si ritrovò in prima fila si trovò la stessa figura vestita di nero e col viso bianco che aveva visto quella mattina. Faceva movimenti strani con le mani e il viso prima triste poi felice e poi pensieroso. Kangdae si ritrovò a guardare quell’uomo con confusione, non sapeva cosa stesse facendo e perché fosse vestito in quel modo. La gente attorno applaudiva e rideva ad ogni azione che faceva.
Quando finì la sua esibizione l’uomo si tolse il cappello e fece un giro tra la folla. La gente lasciava cadere delle monete nella bombetta nera. Pochi istanti dopo tutta la folla si allontanò da lì lasciando solo il piccolo Kangdae che ancora guardava l’uomo con il viso corrugato.
L’uomo si voltò pronto a sistemare la sua valigetta nera senza badare alla piccola figura alle sue spalle pensando che se ne sarebbe andata da lì a poco. Ma quella piccola figura persisteva a rimanere assorto ad osservarlo, si voltò incontrando gli occhi del piccolo e gli regalò un sorriso.
Il piccolo allargò gli occhi quando vide che l’attenzione di quell’uomo adesso era su di lui e spaventato scappò a perdi fiato verso casa.
Quel pomeriggio quando Jongin rientrò in casa, pochi minuti dopo che il piccolo lo aveva fatto, trovò Kangdae sui gradini di casa. Era lì tutto solo mentre giocava con il suo modellino d’aereo di legno, Jongin osservò il figlio da lontano, il cuore gli si riempì di tristezza e gli occhi di lacrime. Quella visione portò una fitta al petto, sapeva che suo figlio era felice ma vederlo lì seduto da solo mentre lo aspettava lo fece arrabbiare con se stesso.
“Kangdae che ci fai qui fuori?” domandò appena si avvicinò a suo figlio.
Il piccolo distolse la sua attenzione al gioco, guardò la figura di suo padre e un meraviglioso sorriso gli si dipinse sul viso.
“Papà!” gridò mentre si alzò lasciando cadere il suo giocatolo e corse tra le braccia di suo padre.
“Amore mio” Jongin accolse suo figlio tra le braccia e lo strinse forte a sé, gli era mancato così tanto il suo ometto.
“Volevo aspettarti fuori. Mi sei mancato”          
“Oh tesoro anche tu mi sei mancato.” Disse ponendo un piccolo bacio sulla fronte “Ma non devi aspettarmi fuori. La chiave è in quel vaso, prendila, apri la porta e aspettami dentro. Non aspettarmi fuori.” dichiarò mentre si incamminarono dentro casa.
Era già tanto che Kangdae ritornasse a casa da solo.
 
 
 
 
La curiosità di Kangdae cresceva di giorno in giorno. Era curioso di  quell’essere che vedeva quasi ogni giorno al palco, voleva sapere che cos’era, chi era. Ogni mattina in casa Kim non era facile strappare il piccolo Kangdae dal suo letto, Jongin dovette avere tanta pazienza, ma una volta fuori dal letto il piccolo non vedeva l’ora di uscire di casa e così anche a scuola.
L’unico suo interesse era per l’uomo in tuta nera e col viso bianco.
Quando passava per il palco la mattina con suo padre cercava di nascondersi dietro la figura del padre sbirciando di tanto in tanto per vedere se quel giorno quello strano uomo era lì. Proprio un sabato mentre si dirigevano all’asilo, Jongin notò lo strano comportamento del figlio che dopo aver portato la testa in avanti dando una sbirciata il suo volto si scurì in delusione. Per istinto Jongin si voltò nella direzione dove il figlio guardò ma quello che trovò era solo una panchina vuota.
Senza dargli importanza Jongin continuò ad accompagnare il figlio all’asilo. Quel giorno dopo un intera settimana era in grado di andare a prendere il figlio all’uscita. Un uscita da scuola che Kangdae aspettava con ansia e con la speranza che avrebbe rivisto lo straniero.
Ma quello che si presentò era la stessa delusione che ebbe la mattina.
“Papà domani mi porti al parco?” domandò quella sera mentre si stringeva sul petto di suo padre mentre lo cullava.
“Certo Kangdae, domani papà non lavora”
“Grawwwozie!” disse mentre emise uno sbadiglio e si lasciò cullare.
Il mattino dopo Kangdae non aveva bisogno che suo padre lo chiamasse, si alzò da solo senza l’assidua voce di Jongin che lo incitava ad alzarsi. Era troppo elettrizzato di andare al parco con suo padre e di vedere insieme a lui quell’essere strano.
Girovagava per le stanze con frenesie per l’eccitamento, mangiò la sua colazione sporcandosi il viso fino alla fronte pur di fare in fretta.
“Kangdae dovresti mangiare per bene.”  rimproverò
“Io mangio bene” pronunciò mettendo su il broncio
“No, tu non lo fai. Mangi troppo veloce e ti macchi tutto. Vedi che papà non lo è.”
Il piccolo si sentì indispettito da quel rimprovero, lui era più che convinto che mangiasse bene, non era più un bambino, no certo che no. Senza esitazione macchiò la sua manina di marmellata si avvicinò a suo padre e con agilità la posò sul viso di Jongin.
“Adesso sei macchiato papà.”
“Kang-“ Jongin era lì pronto a rimproverare il figlio per quella piccola marachella ma venne bloccato quando il piccolo si sporse e becco le labbra del padre.
“Ti voglio bene papà” disse ridendo e scappando verso il bagno.
Jongin scosse la testa in segno di arresa lasciando crescere un piccolo sorriso sulle sue labbra, si alzò e raggiunse il figlio in bagno.
Nel giro di qualche minuto i due uomini di casa Kim erano pronti. Zainetto con acqua e cibo era pronto, scarpe indossate, chiavi di casa prese. Non mancava nulla, diede un ultima occhiata in giro per assicurarsi di non aver dimenticato nulla ma quando furono pronti ad uscire Jongin si bloccò, si diresse in salone e afferrò un berrettino che giaceva sul tavolo.
“Bene possiamo andare!” disse dopo che mise il cappello al piccolo Kangdae.
Il piccolo Kim era davvero in ansia di arrivare al parco, affrettava i passi tirando la mano del padre. “Dai, papà!!”
“Kangdae fai piano il parco non scappa mica”
Il piccolo continuò a tirare anche quando furono dentro al parco, tanta gente quel giorno avevano avuto la stessa idea di Jongin e Kangdae. Numerose famiglie erano li, padri e madri dopo giorni pieni di lavoro stavano trascorrendo del buon tempo con i propri figli.
Vocii, grida, risate erano i suoni presenti quella domenica mattina al parco.
Jongin guardava con un sorriso sulle labbra quelle scene piene d’amore, la famiglia era una delle cose più belle che l’essere umano potesse creare nella sua vita. Avere dei figli era la soddisfazione più grande, nel bene e nel male.
E lui nonostante tutto ebbe questa fortuna, aveva Kangdae che amava più della sua stessa vita.
Riportò gli occhi sul suo piccolo ometto che continuava ad essere frenetico, in un istante il piccolo lasciò la sua mano e cominciò a girovagare guardandosi  in giro. I passi diventavano sempre  più lunghi e più veloci finchè il piccolo si ritrovò a correre.
Jongin dovette affrettare il passo pur di stare dietro al figlio, non capiva cosa gli stesse succedendo.
“Kangdae non correre.”  Gridò “Kang-“
Il piccolo si fermò davanti alla stessa panchina che guardava ieri, la fissava corrugando il viso. I suoi occhi persero l’eccitazione che aveva fin da quando si era svegliato quella mattina, era deluso per la seconda volta in due giorni.
“Kangdae” chiamò Jongin mentre si avvicinò posando una mano sul capo del figlio “si può sapere cosa ti è preso?”
Il piccolo non rispose, continuava a guardare quella panchina dove la valigia dell’estraneo era solita giacere.
“Voglio tornare a casa” dettò dopo qualche secondo. Non voleva più stare lì, ciò che si aspettava di trovare anche quel giorno non era presente.
Voleva mostrare a suo padre quell’uomo strano, voleva sapere cosa fosse e magari suo padre glielo avrebbe spiegato. Invece no, non c’era nessuno lì e il suo cuore si strinse in delusione.
“Cosa? Perché? Siamo venuti qui per passare del tempo insieme. Tu volevi venire qui”
“E adesso me ne voglio andare” alzò la voce calpestando la terra coi piedi.
“Ehy ehy signorino cerchiamo di rimanere calmi, eh?” rimproverò “ Ora vieni qui e sediamoci” disse mentre si fece strada per sedersi sulla panchina davanti alloro.
“N-no io non ci voglio stare qui.” E con questo il piccolo Kim si voltò pronto ad andare via.
Jongin rimase basito dal comportamento di suo figlio, non era solito mettere su una scenata del genere soprattutto quando non ce n’era motivo.
“Dove credi di andare?!” disse dopo che si trovò a fianco al piccolo, prendendolo in malo modo come se fosse un sacco di patate.
Il piccolo Kangdae scosse le gambe quando sentì la terra mancargli sotto i piedi, si agitava come se fosse un’anguilla pur di scendere dalla presa del padre.
“Ascoltami bene…”cominciò Jongin dopo che mise a sedere il piccolo sulla panchina “Non mi piace quando metti su dei capricci senza motivo.”
“Ma…”
“Fai silenzio e ascolta. Non comportarti mai più così se non vuoi che mi arrabbi. Se c’è qualcosa che ti da fastidio basta dirlo senza tante cerimonie. Va bene?”
“Va bene” il piccolo esalò abbassando lo sguardo sulle sue mani che si contorcevano sulle sue ginocchia. Il suo piccolo labbro inferiore cominciò a tremare e gli occhi cominciarono a riempirsi di calde lacrime che non tardarono a scendere sulle morbide guance.
“V-volevo sol-“ tirò su col naso “solo farti vedere una cosa”
“Oddio. Vieni qui!” Jongin allargò le braccia pronte ad ospitare la piccola figura del figlio che non indugiò ad arrampicarsi sul grembo del padre.
“N-non volevo farti arrabbiare” singhiozzò portando le braccia al collo del padre stringendosi il più possibile all’abbraccio.
Jongin lasciò andare un sospiro vedendo suo figlio in quello stato.
“Non sono arrabbiato” disse scostando il piccolo dall’abbraccio e asciugandogli le lacrime con il palmo della mano “Ma devi capire che non devi comportarti così. Solo i bimbi cattivi si comportano cosi. Lo sai vero?” disse mettendo su un tono meno serio.
Il piccolo fece un accenno col capo dicendogli che si lo sapeva.
“Bravo il mio bambino”
“Io non sono un bambino” ribatté mettendo il broncio e incrociando le braccia al petto.
“No non lo sei. Tu sei il mio ometto” disse stingendolo a sé in un grosso abbraccio.
Rimasero al parco per qualche ora, giocando, mangiando e bevendo e continuando a passeggiare per i vari giardini.
Il giorno a seguire era lunedì e quindi la routine ricominciò tutta d’accapo.
Sveglia, scuola, lavoro come un ciclo senza fine.
Solo che quella mattina erano davvero in ritardo, Jongin la sera prima aveva lasciato il piccolo Kangdae rimanere in giro per casa fino a tardi. Il piccolo nonostante che si fossero divertiti dopo quella piccola sfuriata aveva ancora un piccolo cipiglio sul volto.
Non sapeva esattamente cosa volesse fargli vedere ma sicuramente per il piccolo era qualcosa di importante, così decise che quella sera pur di non mandarlo a letto triste lo lasciò guardare la tv con sé.
Maratona di Masha e Orso.
Non era di certo come Jongin aveva immaginato la sua domenica sera ma il suo bambino sembrava aver dimenticato ciò che lo intristiva.
Jongin si ritrovò a ringraziare Dio che Kangdae non era come quella piccola peste di Masha provando una estrema compassione per quel povero Orso.
“Kangdae sbrigati siamo in ritardo!” gridò dall’ingresso mentre Kangdae correva giù per le scale con le scarpe già messe.
“Perché sei con le scarpe dentro casa? Vabbè lascia perdere non importa”
Afferrò lo zainetto, le chiavi e Kangdae ancora una volta come un sacco di patate ed era pronto ad uscire e correre verso l’asilo.
“Papà non ho ancora fatto colazione”
“Dannazione!”
Si voltò, tornò in cucina prese una brioche e la mise in bocca al piccolo che ancora era in braccio.
“Non c’è tempo, andiamo.”
Chiudendosi la porta alle spalle cominciò a correre più veloce che poteva verso la scuola del figlio, il parco sembrava non finire mai. Kangdae cercava di mangiucchiare la sua colazione ma tutto quel correre gli stava portando fastidio allo stomaco.
“Papà credo di star per vomitare”
“No, no resisti.”
Senza dire altro Kangdae issò impercettibilmente le spalle e continuò a mangiare la brioche. Mentre attraversarono il parco si avvicinavano alla famosa panchina che il piccolo teneva ormai sempre sottocchio, era ancora vuota.
Arrivati a scuola Jongin mise giù suo figlio, gli sistemò i capelli, i vestiti in modo coretto, tutto con frenesia stava per lasciarlo andare quando i suoi occhi si posarono sul viso del piccolo.
“Kangdae cosa hai fatto in faccia? Quanto imparerai a mangiare bene!?” affermò mentre prendeva dei tovaglioli imbevuti dallo zaino.
“Non è colpa mia. Tu correvi super forte” disse mentre gli veniva pulito il viso “Eri come un gheripardo”
“Come cosa?”
“Un gheripardo,papà!” ripetette con convinzione.
“Ghepardo Kangdae. Si chiama Ghepardo, adesso vai e fai attenzione quando ritorni e aspettami dentro casa.”
La giornata trascorse molto lentamente per il piccolo, il suo nuovo amico quel giorno si era ammalto così non andò all’asilo. Certo aveva tutti gli altri compagni con cui giocare ma non era la stessa cosa. Voleva solo che l’orologio toccasse le 16:00 il più veloce possibile in modo da tornare a casa e stare con il suo papà.
La noia quel giorno lo colpì e si sentì davvero triste, ogni suo movimento era lento e demotivato anche quando l’orologio toccò l’ora desiderata, mise tutto con calma nel suo zaino e fu l’ultimo ad uscire dall’asilo.
Attraversava il parco svogliato, il suo labbro inferiore  formava un piccolo cucchiaino e i suoi occhi cominciarono a bruciare dalle imminenti lacrime. Si sentiva abbandonato, il suo amico lo aveva lasciato affrontare l’asilo da solo, suo padre era troppo impegnato per venirlo a prendere e quell’essere strano si era volatizzato come se non fosse mai esistito.
“Odio tutti!” Piagnucolava mentre avanzava.
Istintivamente come per abitudine si voltò verso il luogo più desiderato e ormai odiato negli ultimi due giorni. Sapeva che non avrebbe trovato nessuno ma voleva comunque guardare.
I suoi occhi si allargarono, quell’essere strano era lì sembrava aver finito la sua performance dato che la gente cominciava a sfollarsi attorno a lui. Kangdae pulì con foga i suoi occhi dalle lacrime lasciando spazio un barlume di felicità. Un sorriso gli si dipinse sulle labbra e si mise a correre verso l’uomo.
“Dove sei stato?” domandò appena si trovò davanti all’uomo.
“Um?” l’uomo alzò lo sguardo dalla sua bombetta e lo puntò sul piccolo bambino.
Anche questa volta gli rivolse un sorriso, lo aveva fatto per tutta la settimana. Ricordava bene quel piccoletto che lo veniva a vedere ogni giorno, sempre allo stesso orario. Quei grandi occhi curiosi lo fissavano per un istante e poi correva via.
“Ho detto dove sei stato? Non ci sei stato, dov’eri?”
“E tu sei?”
“Kangdae!” disse il suo nome con fierezza
“Sei un alieno?” Kangdae sbottò con il primo pensiero che gli frullava nella testa per giorni ormai.
L’uomo allargò gli occhi a ciò che il piccolo aveva appena detto, lo avevano chiamato in tanti modi nella sua vita ma mai alieno. Si trovò a sorridere al piccolo uomo che aveva davanti e scosse la testa.
“Allora cosa sei?”
“Un mimo”
Kangdae rifletté per qualche secondo a ciò che gli era appena stato detto. Non sapeva cosa fosse un mimo, non ne aveva mai sentito parlare, tutto questo era all’oscuro alla sua mente e alla sua conoscenza.
“Sei un alieno allora.”
Il mimo guardò il bambino e sorrise a quell’affermazione, lo trovò davvero adorabile nel modo in cui affermò la sua idea.
“Dov’è la tua mamma?” il mimo si guardò attorno notando che nessuno era lì presente
“Non c’è”
“E dov’è? Non può averti lasciato qui.”
“Io non ho la mamma…”
A quelle parole il mimo rimase a bocca aperta non sapendo cosa dire. Quella piccola creatura non aveva una mamma che poteva prendersi cura di lui,  e gironzolava da solo in un parco. A quel pensiero il cuore gli si strinse di tristezza. In un primo istante pensò che fosse un orfanello senza dimora ma poi lo guardò per bene notando che le sue condizioni erano fin troppo buone per essere un orfano.
“Ma ho un papà.” Disse orgoglioso d’amore mostrandogli il suo sorriso sdentato. A quella affermazione il mimo tirò un sospiro di sollievo. Almeno aveva qualcuno quel piccoletto.
“Oh devo andare. Ciao alieno”
Il mimo salutò con un semplice gesto di mano e il piccolo corse verso casa. L’uomo si chiese che razza di padre lasciarebbe andare in giro un bimbo tutto da solo.
Quella sera a tavola Kangdae era iperattivo e felice, finalmente aveva rivisto quell’essere strano, l’alieno. Avrebbe potuto farglielo vedere a suo padre o forse no, ripensandoci adesso voleva tenerselo per lui quella scoperta.
L’alieno sembrava così gentile quando gli regalava quei sorrisi, in un primo momento pensava che non gli avrebbe rivolto la parola che non sapesse parlare la sua lingua. Per tutto il tempo che lo vide non parlava mai con la gente che lo circondava faceva solo segnali strani, ma a lui quel giorno gli aveva parlato. Kangdae si sentiva fortunato.
Ma qualcosa incuriosiva il piccolo, gli alieni che lui aveva visto in tv avevano la testa ovale con grandi occhi neri, a pensarci lui gli aveva gli occhi grandi e neri, ma questi avevano una carnagione grigiastra o verde e solo tre dita per mano. Caratteristiche che al suo alieno mancavano.
Se non è un alieno allora cos’era?
Un mimo.
Ma cos’è un mimo?
Adesso si sentiva frustrato, doveva sapere.
“Papà cos’è un mimo?” disse mentre posò le bacchette nella ciotola smettendo di mangiare.
“Sono delle persone che recitano in silenzio attraverso il loro corpo. Come le mani” spiega Jongin nel modo più semplice.
“Tipo come?”
Jongin si trovò spiazzato in un primo momento non aveva mai fatto una cosa del genere. Con calma posò le bacchette e si raddrizzo sulla sedia, guardò il figlio per un secondo pensando cosa potrebbe rappresentare con le sue mani. Si alzo dalla sedia e cominciò a rappresentare un uomo che passeggiava e che notando un fiore lo raccolse guardandolo con stupore.
Kangdae lo guardava in confusione o quasi schifato.
“Papà fai schifo in questo”
“Yah!” rimproverò prendendo posto a tavola “Non ho mai fatto una cosa del genere. Comunque perché volevi sapere?”
Il piccolo issò le spalle e ricominciò a cenare, Jongin guardava suo figlio in confusione ma poi pensò che era un bambino ed era curioso di conoscere. Molto probabilmente aveva sentito parlare di mimi all’asilo.
“Sono alieni?” domandò dopo qualche istante
“No. Sono delle persone vestite di nero e con la faccia colorata di bianco che fanno questo come lavoro.”
“Oh grazie papà”
Adesso gli era tutto chiaro, quello non era un alieno ma un essere umano come lui. Ad un tratto Kangdae si sentì in colpa per essere stato così maleducato di aver chiamato quell’uomo alieno, se suo padre lo avesse saputo avrebbe passato i guai. Doveva scusarsi al più presto con quell’uomo dal sorriso smagliante.
            

 
Il mimo era un arte che aveva imparato da piccolo quando era solito, insieme al suo nonno, a guardare film muti in bianco e in nero. Ricorda ancora quei pomeriggi passati davanti alla tv vedendo film del suo attore preferito.
Adorava Charlie Chaplin, grandissimo attore britannico, che grazie alla sua mimica costruiva storie piene di patos ed emozioni, ed era meravigliato di come dei semplici gesti avrebbero potuto dire molto di più di mille parole.
Forse per questo che nella vita aveva dato più importanza alle azioni che ai bla bla bla.
Negli anni si è documentato, vedendo video su internet di questo piccolo grande uomo e ispirandosi a lui, sapeva che non poteva mai essere come lui, che non sarebbe mai stato un grande attore ma era la sua passione e voleva portarla avanti.
Ovviamente un ragazzo di venticinque anni non viveva solo d’arte da strada, era capo reparto di uno dei grandi magazzini in città. Un lavoro che non amava di certo, lavoratori incapaci che non riuscivano a gestire i reparti a loro assegnati. Era un chiamare tutto il giorno il suo nome.
Durante la settimana lavorava spesso il mattino e poi verso l’orario di chiusura ma il sabato e la domenica erano i giorni più stressanti della settimana, spesso doveva rimanere in negozio per riuscire a tenere tutto sotto controllo dato l’afflusso della clientela in quei giorni.
Odia quei giorni, odiava tutto quello stress che non riusciva a mandare via con la sua arte.
Trovando qualche ora buca qua e là, nel suo tempo libero era solito andare in qualche punto della città e mettere su un teatrino divertente per i passanti, non aveva mai avuto un posto fisso prima dall’ora.
Adesso il parco lo era diventato.
Aveva notato quegli occhi rotondi che lo fissavano con stupore e curiosità, rimanendo sempre fino all’ultimo per poterlo fissare, e a lui gli andava bene. Era felice che un bimbo di quell’età si incuriosisse su ciò che stava facendo. Gli ricordava lui in quei lontani pomeriggi col nonno.
Come i luoghi, anche gli orari non erano sempre gli stessi ma in qualche modo era riuscito a far coincidere  i suoi impegni lavorativi con questo pur di essere in quel parco all’ora esatta.
Aveva  sentito la tristezza e la rabbia nella voce di quel bimbo che gli chiedeva dove fosse stato nel fine settimana e il suo cuore si strinse nel percepire la delusione nella adorata voce del bambino.
Adesso, eccolo lì al solito orario che lo fissava, nei suoi occhi poteva leggere ancora della confusione dettata dai vestiti diversi che quel giorno usava. Niente più tuta nera e faccia bianca ma un semplice vestito nero con gilet, dei finti baffetti sotto il naso e una bombetta nera.
Aveva deciso quel giorno di fare un omaggio al suo idolo proponendo uno sketch interpretando  il grande Charlie Chaplin.
“Ciao Kangdae” disse quando tutto finì e si sedette sulla panchina.
Il piccolo issò lo sguardo quando sentì il suo nome, non credeva che quell’uomo si sarebbe ricordato. Quei grandi occhioni neri guardarono il mimo mentre si mordicchiava il labbro inferiore, si sentiva così imbarazzato nell’essere stato maleducato il giorno prima. Si domandava se quell’uomo lo avrebbe rimproverato per esser stato insolente, ma davvero lui non voleva esserlo era solo un bambino curioso che non conosceva cosa fosse un mimo.
“C’è qualcosa che non va?” domandò l’uomo vedendo il piccolo mordicchiarsi il labbro.
Il piccolo Kangdae scosse la testa con fervore in negazione lasciando andare subito dopo un sospiro.
“I-io…”
“Si?”
“S-signore io…Tu…alieno…no”
Il mimo si ritrovò  a sorridere alla fatica che il piccolo Kangdae stava provando a dire qualcosa.
“Kangdae  vieni qui.” Disse dolcemente, il piccolo si avvicinò e Kyungsoo lo prese in braccio facendolo sedere sulle sue ginocchia.
“Prendi un lungo respiro e dì quello che volevi dirmi. Non mangio mica”
Il piccolo all’inizio fu intimorito di essersi seduto sulle ginocchia di una persona al difuori di suo padre, poi pian piano si calmò prendendo un lungo respiro. Si voltò per incontrare gli occhi dell’uomo e lo fissò.
Issando una mano portò il suo piccolo indice sul prolabio* del mimo e toccò quei finti baffi che portava. Al contatto sentì che non fossero veri e subito dopo si guardo il dito notando una macchia nera.
“Credevi che fossero veri?” domandò l’uomo ricevendo un accenno di capo dal piccolo “Capisco. Ma ieri non gli avevo no? Non possono crescere in una sola notte.” Continuò regalando dei piccoli sorrisi al piccolo che aveva sulle ginocchia “E’ semplicemente trucco, guarda qui…”
Il mimo si voltò verso la sua valigia prendendo un fazzoletto imbevuto passandoselo sul viso facendo scomparire quei finti baffi, lasciando il piccolo Kangdae guardandolo a bocca aperta.
Il piccolo osservò il viso dell’uomo, per la prima volta lo vide senza quella sostanza bianca che era solito portare, o con i baffi che portava prima.
Kangdae era estasiato da quel viso senza tracce di trucco, lo trovava davvero bello, tanto quanto a quello di suo padre.
“Io…Io volevo chiederti scusa.” Disse alla fine il piccolo bassando lo sguardo sulle sue gambe
“Mmh? Per cosa?”
“Tu non sei un alieno. Papà mi ha detto che i mimi sono uomini, non alieni.”
“Oh si devo dire che mi ero offeso.” Il mimo disse con tono giocoso ma il piccolo era troppo assorto nel senso di colpa che non capii che l’uomo stesse scherzando.
Il piccolo issò il capo di scatto con occhi sgranati guardando il mimo.
“D-davvero?” domandò con voce smorzata da un imminente pianto.
“Cos-? Oh no Kangdae stavo scherzando, puoi chiamarmi come vuoi.”
Accarezzò la piccola schiena cercando di confortarlo.
“C-come ti chiami?” domandò mentre tirò sul col naso quelle lacrime che per fortuna non erano ancora scese.
“Do Kyungsoo, puoi chiamarmi Kyungsoo.”
“Do Kyungsoo…Kyung-soo…Do…Soo..Kyung…” il piccolo mormorò il nome del mimo cercando di capire come quel nome suonava finché il suo viso si illuminò da un sorriso e si voltò verso l’uomo.
“Dodo.”
“Eh?”
“Ti chiamerò Dodo” disse il piccolo regalandogli un sorriso sdentato.
“Va bene, mi piace” disse l’uomo mentre portò una mano sulla testa del piccolo scompigliandogli i capelli.
Kangdae era felice che il mimo non si fosse arrabbiato con lui, quei minuti passati insieme gli piacquero. Kyungsoo era un uomo buono e dolce, la sua voce era profonda ma aveva quella dolcezza che solo un uomo che amava i bambini poteva avere. Non suonava finto o forzato, era semplicemente lo stesso suono che suo padre usava con lui.
Tutto era così confortevole.
Quando quel pomeriggio Jongin rientrò in casa trovò il piccolo seduto sul divano a guardare la tv. Quando il piccolo udì la serratura della porta aprirsi e chiudersi si voltò guardando suo padre con un grande sorriso sulle labbra. Alzandosi corse verso Jongin gridando un “papà” e buttarsi tra le braccia di suo padre.
Jongin lo accolse stringendolo forte a sé e stritolarlo senza fargli del male e poggiando un dolce bacio sulla testolina.
“Amore di papà” cominciò Jongin annusando suo figlio “Dobbiamo andare a fare una bagno.”
“No, no…” si lamentò cercando di vincolarsi dalla presa del padre “non voglio. Ti devo dire tante cose” disse aprendo le braccia.
“Ti prego Kangdae, papà è stanco. Sii bravo e andiamo a fare il bagno.”
Il piccolo mise il broncio ma accettò la richiesta di suo padre. Durante il bagno, Kangdae era davvero entusiasta di raccontare a suo padre di aver fatto una nuova conoscenza, di aver trovato un nuovo amico e che si chiamava Dodo.
Jongin era felice che suo figlio avesse fatto una nuova amicizia con un bambino della sua età, almeno credeva che circondandosi di piccoli amici avrebbe provato meno solitudine.
 
 
 
Era passata un'altra settimana e Kangdae aveva passato tutti i momenti liberi prima di tornare a casa con Kyungsoo che ogni giorno lo accoglieva con grande sorriso e piccoli scherzetti che facevano ridere il piccolo portandolo alle lacrime.
Kangdae si affezionò a quell’uomo in modo morboso, avrebbe voluto sempre averlo con se, aveva persino invitato il mimo a casa ma Kyungsoo aveva sempre rifiutato nel modo più carino che poteva.
Kyungsoo aveva conosciuto che Kangdae abitasse dall’altra parte del parco e che era costretto a tornare a casa da solo. Spesso Kyungsoo finiva prima i suoi spettacoli pur di accompagnare il piccolo davanti casa, aspettando che entrasse in modo sicuro.
Non era certo delle difficoltà che quella famiglia stessa attraversando ma provava della rabbia contro il padre di Kangdae, come poteva lasciare suo figlio attraversare il parco da solo senza un adulto che lo accompagnasse in modo sicuro a casa. Fratelli, nonni o lo stesso padre per quanto fosse impegnato dovevano essere lì per la sicurezza del piccolo.
Kangdae non si era mai lamentato di quella situazione, capiva le difficoltà che suo padre attraversava e non voleva essere uno stupido bambino capriccioso. Voleva bene il suo papà in un modo sproporzionato.
Era il suo tutto.
Quella mattina il piccolo Kangdae non stava molto bene, per tutta la notte aveva vomitato la cena e la pancia faceva male. Jongin decise di non andare a lavoro, aveva avuto lo sta bene dal capo sala che lo aveva assolto dal lavoro per quel giorno.
Jongin osservava il suo bambino dormire sotto le soffici e calde coperte, sembrava che aveva ritrovato la serenità dopo una nottataccia.
Jongin odiava quando il suo bambino si sentiva male, non sapeva cosa fare si sentiva impotente avrebbe voluto schiacciare qualsiasi fastidio che stesse facendo contorcere nel dolore il suo piccolo ometto.
Jongin si avvicinò stancamente al letto del piccolo e ci si posò sopra. Lo osservo spazzando via ciuffi di frangia dalla fronte del figlio, per fortuna non c’era traccia di febbre.
Continuò ad accarezzarlo amorevolmente pensando a quanto fosse felice e fortunato ad averlo, lo amava da morire, quello ometto era la sua vita.
Una vita sicuramente piena di ostacoli e per niente facili da saltare, ma spera con tutto il cuore che stia facendo un buon lavoro. Calde lacrime scesero sul viso di Jongin che asciugò prontamente, non poteva piangere. Lui era un genitore doveva essere forte per il suo bambino come il suo ometto era forte per lui.
Era mezzogiorno, Jongin preparò qualcosa di sano da far mangiare a Kangdae, un odore di pollo in brodo invase la casa arrivando alle narici del piccolo Kangdae che fino a quel momento stava ancora dormento.
Issandosi, stropicciò gli occhi con il dorso della mano annusando l’aria con gli occhi chiusi. Di certo c’era dell’ottimo odore ma il piccolo ancora si sentiva nauseato.
“Kangdae…” Jongin entrò nella stanza trovando il figlio seduto sul letto con le gambe incrociate ad occhi chiusi e le braccia sospese in aria appena sentii la voce di suo padre.
Jongin si avvicinò e prese in braccio il suo bambino che si era avvinghiato come un koala. Si ritrovo a sorridere a quella azione.
“Come si sente il mio ometto oggi?”
“Mi fa male il pancino” piagnucolò  ancora stretto al padre.
Jongin si sedette su una sedia dove davanti a sé c’era una ciotola di pollo in brodo fumante. Prese il cucchiaio di brodo e gli soffiò.
“Kangdae cerca di mangiare qualcosa”
Il piccolo non ne voleva sapere di ingurgitare nessuna sostanza, rifiutandosi di imboccare quel cucchiaio nascose la testa sul petto di suo padre.
“Tesoro devi mangiare qualcosa, solo un po’ o ti sentirai peggio.”
Con difficoltà Jongin riuscì a far mangiare un po’ del preparato di pollo. Subito dopo si posizionarono in salone a guardare un po’ di TV, Kangdae sembrava non avere molti fasti allo stomaco e Jongin tirò un sospiro di sollievo. Continuarono a guardare la Tv e a giocare con le mani che si intrecciavano facendo ridere il piccolo. Jongin si  ritrovò a pensare che gli piaceva tutto questo. Tempo di qualità trascorso con il suo bambino, gli era mancato dannatamente tanto in questi due mesi.
La pace venne interrotta bruscamente dal trillo del cellulare. Jongin guardò lo schermo e, scompigliando i capelli del piccolo, si alzò dirigendosi in cucina.
Kangdae attese paziente che il padre ritornasse, a fargli compagnia e guardare un film d’animazione per le famiglie. Sentì un po’ di sete ma da bravo bambino rimase seduto ad aspettare.
Dopo poco non riuscì più ad aspettare e decise di andare a prendere dell’acqua dirigendosi in cucina. Si fermò sulla soglia quando sentì il tono arrabbiato del padre al telefono.
“Non ho nessuno ad aiutarmi. Non posso lasciare mio figlio da solo, e lei mi toglie persino la giornata con lo stipendio da fame che mi dà?”
Qualcuno all’altro capo del telefono parlava con tono alterato ma Kangdae non comprese cosa dicesse.
“Certo che è un peso. Ma non posso farne a meno.”
Jongin aprì il frigo ascoltando la risposta che gli veniva inferta con ira. Prese qualcosa ma il piccolo non vide cosa. Si ritirò nella sua stanza mettendosi sotto le coperte come per dormire.
Poco dopo arrivò Jongin preoccupato.
“Eccoti! Ti stavo cercando. Va un po’ meglio?”
“Ho sonno”
“Ok, mettiamoci stretti stretti a dormire”
Si distese vicino al piccolo e poco dopo si addormentò pacifico. Kangdae rimase sveglio ad osservare il viso del padre che dormiva accigliato.
Pensava alle parole che aveva udito poco prima “Certo che è un peso. Ma non posso farne a meno.” In cuor suo pensava che era lui il peso di cui parlava suo padre. Se lui non ci fosse il suo adorato papà avrebbe più tempo per lavorare, per divertirsi e non dovrebbe più preoccuparsi di lui.
Una lacrima scese sulla sua guancia.
Il campanile suonò tre rintocchi.
Lentamente, piano piano, senza far rumore Kangdae si alzò. Mise le scarpe e uscì. Percorse la strada verso il suo asilo e si fermò al parco, proprio lì dove il suo Dodo lo faceva sorridere.
C’era freddo o forse lo sentiva solo lui così pungente. Si era quasi addormentato accovacciato sulla panchina.
“Kangdae? Piccolo che ci fai qui? Sei gelato!”
Kyungsoo si tolse di fretta il cappotto e lo posò sulle spalle del bambino cercando di riscaldarlo.
“Dodo” lo chiamò quasi piangendo
“Cos’è successo?”
“Sono pesante”
“Ma che dici?!? Sei un bambino in forma, non sei pesante”
“Sono pesante per papà”
“Spiegami bene”
“Papà ha detto al telefono che sono un peso. Quindi sono andato via così non ha più un peso”
“Papà ha detto il tuo nome?”
“No, però…”
“Allora stai certo che non parlava di te. Dai. Andiamo ti riporto a casa, il tuo papà sarà preoccupato”
“Non ci torno!”
“Kangdae” gli disse affettuosamente “ il tuo papà ti starà cercando disperato. Lo hai lasciato a parlare al telefono da solo e..”
“Sta dormendo”
Kyungsoo lo guardò stranito. Il piccolo aveva addosso il pigiama, era infreddolito e rabbuiato, piangeva e singhiozzava convulsamente.
“Quando il tuo papà si sveglierà e non ti troverà cosa pensi che farà?”
“Si arrabbia”
“Si preoccupa, non si arrabbia. Quindi non credi sia meglio tornare a casa? Così gli puoi chiedere di cosa stava parlando al telefono. Ci sono molte cose pensanti. Ma ti assicuro che non sei tu”
“Lo dici davvero Dodo?”
“Sì”
Rincuorato ma spaventato Kangdae allungò la mano verso Kyungsoo. Fecero pochi passi quando udirono una voce disperata urlare a gran voce.
“KANGDAEEEEE, KANGDAEEEE”
“Mi sta cercando”  asserì con un sorriso indicando l’uomo che correva dinnanzi a loro.
Kyungsoo rimase fermo a guardare e poi alzò una mano richiamando l’attenzione di Jongin.
Anche da lontano poté notare come i suoi occhi cambiarono. La disperazione lasciò postò alla felicità.
Correndo Jongin si lanciò verso il figlio abbracciandolo.
“Kangdae, piccola canaglia. Non farlo mai più” si slacciò dall’abbraccio guardandolo negli occhi “Perché sei andato via in questo modo? Non si fanno queste cose. Ti ho cercato dappertutto. Uscire da casa da solo non si fa. Sai quanta paura ho provato?”
Le parole di rimprovero uscivano a raffica non permettendo nessuna risposta da parte del piccolo.
“La ringrazio infinitamente” disse Jongin all’uomo in tuta nera che teneva il piccolo per mano. In un solo colpo Jongin prese Kangdae in braccio e gli toccò la fronte. “Scotti! Anche la febbre e questo perché sei uscito in questo modo. Non so come ringraziarla e sdebitarmi per il disturbo che gli abbiamo arrecato”
“Nessun disturbo, tranquillo”
“Oh, ma dove ho lasciato le buone maniere, mi scusi, Kim Jongin” gli disse porgendogli la mano.
“Do Kyungsoo. Kangdae non mi avevi detto di avere un fratello”
“Non sono il fratello. Sono il padre”.
 
 
 
Kyungsoo quella sera per la prima volta entrò in casa Kim, il piccolo Kangdae aveva insistito tanto che anche lui tornasse a casa con loro. Quel piccolo era davvero insistente e quando voleva qualcosa faceva di tutto per averla. Jongin dal suo canto voleva sdebitarsi con quell’uomo che si era preso cura di suo figlio.
Fu grato che Jongin gli fece usare il bagno per poter togliere il trucco sul viso e cambiarsi in abiti più comodi che portava sempre con sé nella sua valigetta.
La cena passò tranquilla tra una spiegazione e l’altra. Il mistero della chiamata fu svelato.
“Ero con il mio datore di lavoro e parlavamo dell’orario di lavoro. Finisco sempre tardi e posso stare poco con Kangdae. L’orario di lavoro è un peso, ma non posso non lavorare”
“Capisco. Quindi hai frainteso quello che diceva tuo padre al telefono. Sei più tranquillo adesso Kangdae?”
“Sì. Ho fraimmenso quello che ha detto papà”
“Frainteso Kangdae, non fraimmenso” lo corresse teneramente Jongin
“Fraimmenso papà, fraimmenso”
I due adulti scoppiarono a ridere all’unisono lasciando basito il piccolo non capendo il motivo di quella ilarità. Fu allora che gli occhi si incontrarono notando, l’uno nell’altro, quanto fosse spettacolare il sorriso dell’altro.
“Misuriamo la temperatura adesso e dopo a nanna. Si è fatto tardi per te”
“Uffa!”
“Niente uffa”
Jongin prese tra le braccia Kangdae e gli mise il termometro intimandogli di stare zitto e fermo.
“Quindi lavori in un ristorante, se non ho capito male”
“Già. Faccio il turno del pranzo. Inizio alle undici e finisco sempre dopo le quattro del pomeriggio”
“Un lavoro pesante”
“Sì, abbastanza. Servire ai tavoli sembra facile dall’esterno, ma quando ci sei dentro stai tutto il giorno combattendo con i clienti. È caldo, è freddo, troppo cotto, troppo crudo, manca questo, ma quello non lo volevo, ma perché così tardi. Si lamentano per la qualsiasi cosa.”
“Ma il cliente ha sempre ragione”
“Anche questo è vero, anche quando non lo è.”
“Si è addormentato” gli disse Kyungsoo guardando il piccolo Kangdae che dormiva beato.
“Era stremato. Quando siamo rientrati mi ha spiegato cosa fosse successo e per farsi perdonare ha iniziato a fare mille cose, più gli dicevo che andava tutto bene più si agitava.  Alla fine ha scelto persino cosa cucinarti. C’è Dodo a cena papà, deve essere tutto bello. Cosa mangia un mimo?”
“Ti ha davvero chiesto cosa mangia un mimo?”
“Sì. La sua ingenuità è disarmante.”
“Vero. Il termometro!”
“Come?”
“Ha ancora il termometro da circa mezz’ora”
Jongin facendo attenzione a non svegliare Kangdae prese il termometro e lesse la temperatura. Era scesa un bel po’ e questo conciliava il sonno.
“Vado a metterlo a letto”
Tornò poco dopo e iniziò a ringraziare nuovamente Kyungsoo sia per l’aver ritrovato Kangdae sia per essersi unito a loro a cena.
“Grazie per la cena Jongin. Adesso è meglio che vada”
Kyungsoo era pronto ad andare via non voleva di certo approfittare dell’ospitalità del ragazzo, anche se deve ammettere che fu davvero bello il tempo che aveva passato con Jongin e il piccolo Kangdae. Notò per quanto Jongin fosse abbastanza giovane faceva un ottimo lavoro con Kangdae, certo era un po’ inesperto ma Kyungsoo percepì la responsabilità in quel ragazzo.
“T-ti andrebbe una tazza di caffè?” Jongin non era pronto che Kyungsoo varcasse quella porta.
Kyungsoo fu sorpreso, non si aspettava che il più giovane volesse prolungare quel tempo, ne era anche incerto se accettare o meno.
Il giovane padre lo guardò con un sorriso speranzoso e Kyungsoo aveva deciso quella sera che amava il sorriso di Jongin.
“Va bene…”
Jongin ne fu entusiasta, preparò del caffè e si accomodarono nel salone. Fino a quel momento non erano mai rimasti da soli in modo che Jongin non aveva nessuna possibilità di parlare davvero con Kyungsoo. Kangdae era molto affezionato a quell’uomo, aveva notato mentre preparava la cena come il piccolo era tra le braccia di quell’uomo e di come non lo avesse lasciato in pace per tutta la sera.
“Quando Kangdae mi ha detto che aveva un nuovo amico, Dodo, credevo che parlasse di qualche compagno d’asilo e invece…” disse il più giovane mentre appoggiò la tazza sul tavolino.
“Invece sono un adulto.” Concluse Kyungsoo.
“Già” un meraviglioso adulto avrebbe voluto continuare a dire ma si maledisse solo per aver pensato una cosa del genere.
Non aveva mai pensato in quel modo per una persona dello stesso sesso, in realtà da quando ebbe Kangdae non aveva avuto nessuna relazione e tanto meno avesse apprezzato qualcuno.
“Allora… Un mimo eh?”
“Già, un mimo. Lo so può sembrare strano.”
“Oh no, no. Beh si, cioè non ho mai conosciuto un mimo di persona.”
“Jongin calmati” disse Kyungsoo ridendo dell’atteggiamento del più piccolo, gli ricordava Kangdae quando era venuto a scusarsi. Tale padre tale figlio pensò.
“È solo un arte da strada che amo fare quando sono libero dal mio vero lavoro e voglio rilassarmi.”
“Come hai iniziato? Cioè come ti sei appassionato a quest’arte?”
“Ero piccolo. Guardavo film muti con mio nonno e ne rimasi così affascinato che iniziai ad agire in quel modo da piccolo.” sorrise “ Volevo esprimermi, raccontare una storia con i gesti invece che con le parole. Così pensai che potevo farlo vedere ad altre persone, iniziai a scuola giocando con i miei compagni o esibirmi nelle recite di fine anno.”
Jongin ascoltava affascinato e attento al racconto di Kyungsoo, notò come gli occhi del più grande brillavano ad ogni parola che pronunciava. Kyungsoo amava quell’arte.
“E tu? Come sei finito ad avere un bimbo di 5 anni?” domandò Kyungsoo curioso.
L’espressione sul volto di Jongin cambiò, da prima stupito, poi pensieroso adesso cupo.
“Scusami non volevo essere indiscreto, non devi parl-“
“No, no, non scusarti. Va bene Kyungsoo, è normale chiedere quando si vede un giovane padre crescere un bimbo tutto da solo.”
“Jongin davvero. Non devi farlo, non è neanche mio dovere chiederlo e tantomeno saperlo.”
“Kyungsoo adesso sei tu che devi calmarti.” disse ridendo lievemente “Voglio raccontarti.”
E lo voleva davvero, non aveva mai raccontato a nessuno la sua storia, ma farlo con Kyungsoo sembrava una cosa giusta. Sentiva che il più grande lo avrebbe ascoltato  e non avrebbe giudicato le sue scelte o quelle che gli altri aveva fatto nella sua vita.
“Quando Kangdae nacque avevo 17 anni, come i ragazzi di quella età ho fatto una cazzata. Frequentavo una ragazza al liceo, da qualche mese, nulla di serio, e come in tutte le frequentazioni ci sono baci e tocchi che si fanno frequenti e quando si è ubriachi diventano qualcosa di più. Eravamo ad un festa, una di quelle che si organizzano a liceo dove l’alcool è a fiumi e dove l’unica cosa che importa è divertirsi e sballarsi. Kyungsoo sono sempre stato un figlio obbediente credimi, ottimi voti a scuola, mai una rissa, ottimi amici con cui passare del tempo. Un figlio diligente di cui ogni genitore andrebbe orgoglioso, soprattutto i miei.”
Jongin a quella affermazione si ritrovò a sorridere amaramente.
“Ma come ogni essere umano e diciassettenne, ho fatto un errore. Ho fatto sesso con la ragazza che frequentavo quella sera, nessun preservativo, e così lei rimase incinta. Quando lo seppi non potevo crederci, sentivo il mondo crollarmi addosso. Ero troppo giovane per essere padre, mantenni questo segreto dai i miei.
Ero troppo sconvolto, anche lei lo era così prese la decisione di non tenerlo. Tutto sembrava essere risolto, non ci sarebbe stato nessun bambino a rovinarci la vita e nessuno lo avrebbe saputo. Lei si allontanò da me, finchè diventammo due estranei, come se non ci fossimo mai conosciuti e non stavamo rischiando di diventare genitori. Chiesi delle spiegazioni ma lei non mi dette delle risposte se non che non voleva avere più niente a che fare con me.
In novi mesi sentivo voci girare nei corridoi della scuola, voci che dicevano che lei non sembrava essere in forma e che aveva cambiato il suo modo di vestire. Non gli diedi importanza, non so il perché ma non volevo. Allo scadere del tempo ricevetti una telefonata da una sua amica che mi informava che si trovava in ospedale e che stava dando alla luce un bel maschietto. Ero stordito, mi sentivo ferito e preso in giro. Non potevo credere che lei aveva tenuto il bambino quando mi aveva detto che non lo avrebbe fatto, ma quello che sentii dopo mi congelò il sangue nelle vene.
Chiusi la chiamata e scesi al piano di sotto dove mio padre era seduto sulla sua poltrona che leggeva il giornale come di consuetudine. Gli dissi di accompagnarmi in ospedale il più presto possibile, non capiva ma gli promisi che gli avrei spiegato tutto.
Quando arrivai in ospedale l’aria era davvero pesante, tutti mi guardarono come se fossi il diavolo. Il parto ebbe le sue complicazioni che portarono alla morte della madre di mio figlio, nessuno avrebbe voluto prendersi cura di quel fagottino, i nonni materni di Kangdae non ne volevano sapere nulla, infondo per loro il mio bambino aveva ucciso la loro figlia.”
Lo sguardo di Jongin diventò sempre più cupo quando raccontava quella tragica storia finchè quegli occhi neri pece si riempirono di lacrime.
“Nell’esatto minuto sentii il primo vagito di Kangdae, qualcosa scattò dentro di me. Quello era mio figlio, era una mia creazione, e non l’avrei lasciato in ospedale senza che qualcuno si prendesse cura di lui, con la speranza che qualcuno lo adottasse. Era mio e come tale decisi che sarei stato un padre, un giovane padre single senza l’aiuto di nessuno. I miei non ne volevano sapere, gli avevo delusi, avevo fatto un errore e loro non avevano nessuna intenzione prendersi cura di questo errore. Per me Kangdae non è un errore. Si, non l’ho cercato non era una cosa che volevo ma lo hai visto Kyungsoo, come faccio a considerarlo un errore.
Quindi quando mi dissero di scegliere loro tra mio figlio puoi benissimo immaginare quale fu la mia scelta.”
Jongin concluse la sua storia facendo involontariamente scivolare una lacrime sul viso, Kyungsoo aveva ascoltato in silenzio quel racconto e si maledisse quando un giorno al parco pensò che il padre di quel bambino era un irresponsabile.
Certamente aveva fatto delle scelte sbagliate la sera che aveva concepito Kangdae ma no quando decise di crescere e di essere un uomo responsabile.
Un genitore responsabile.
Un uomo meraviglioso che amava suo figlio e che stava facendo di tutto per provvedere al benessere di suo figlio.
 
 
Kyungsoo aveva passato molto tempo con il piccolo Kangdae, la routine di assistere ai piccoli spettacoli al parco non era cambiata, il piccolo rimaneva con il mimo finchè questo non avesse finito e subito dopo lo portasse a casa.
Jongin poteva o non poteva essere a casa in orario, ma in ogni caso quando la figura di Jongin si parava davanti a loro, la scena che si svolgeva riempiva sempre di gioia il più grande.
Kangdae si svincolava da Kyungsoo e correva tra le braccia di suo padre che si accovacciava all’altezza del piccolo stringendolo in un forte abbraccio pieno d’amore, teneri baci e sorrisi.
Sorrisi che venivano rivolti anche a lui e che lasciavano dei tonfi al suo petto.
Kyungsoo piaceva Jongin, lo aveva capito dal loro primo incontro. Se prima avesse pensato che era solo il sorriso di Jongin che amava a fine serata penso che si era innamorato della persona che era Jongin.
Ma non era stupido, sapeva che Jongin era etero, sapeva che quei sorrisi rivolti a lui erano soltanto senso di gratitudine  per prendersi cura di Kangdae.
Niente di più, niente di meno.
Avrebbe amato Jongin in silenzio, non poteva chiedere altrimenti, non voleva rovinare  il suo rapporto con il piccolo Kangdae e con Jongin, solo perché provava dei sentimenti per quest’ultimo. Non voleva che finissero quelle chiamate del sabato e della domenica dove il piccolo Kangdae chiedeva a suo padre di chiamarlo dato che in quei giorni non si sarebbero visti al parco.
Adorava quando in quei giorni sentiva suonare il telefono, sapeva che la prima telefonata al mattino era sempre e solo di Jongin dove gli augurava una buona giornata e soprattutto di mantenere la calma, e la seconda veniva sempre verso l’ora di pausa ed era Kangdae che lo riempiva di discorsi senza senso che facevano sorridere il più grande, e alla fine di ogni chiamata con il piccolo ometto, Jongin avrebbe preso il telefono e gli avrebbe detto “Ci sentiamo stasera”.
Il cuore di Kyungsoo non la smetteva mai di battere così veloce al solo sentire la voce del più piccolo e soprattutto a quella promessa che non avevano mai infranto da quando si erano conosciuti. Si sarebbero sentiti anche la sera, quelle sere che Kyungsoo non era a cena a casa Kim, seduti ognuno sui divani di casa propria e parlare finchè il sonno non li avrebbe catturati.
Ma quella domenica Kyungsoo era irritabile, dettava ordini ai dipendenti del suo reparto con astio. Dopo due mesi questa era la prima volta che Kyungsoo non riceveva nessuna chiamata da parte di Jongin e Kangdae, mille pensieri avevano attraversato la sua mente. Si chiese se il piccolo stesse bene se non avesse ripreso il raffreddore, se Jongin stesse bene o se avesse avuto qualche problema a lavoro.
O ancora peggio se Jongin fosse arrabbiato con lui.
La sera prima Kyungsoo disdisse l’invito a cena dato che sua sorella venne a fargli visita all’improvviso. Non poteva rinunciare a passare del tempo con lei dopo mesi che non si vedevano. Era davvero raro vederla, abitava oltremare, dopo aver seguito la carriera di stilista, quindi quando ritornava a Seoul, prettamente per le vacanze, era sempre un rito cenare insieme a tutta la famiglia.
Di certo quella sera, attorno a quella tavola ricca di cibo e di buon umore, mentre rivolgeva sorrisi ai suoi cari, un velo di malinconia si faceva spazio in sé. Vari pensieri inondarono la sa mente, pensando alle difficoltà che Jongin aveva affrontato in quei cinque anni, di come il vero calore di una vera famiglia mancava nella vita del più piccolo. E di come soprattutto stava lottando per creare e mantenere quel calore per il suo piccolo Kangdae.
Kyungsoo avrebbe voluto i due proprio lì attorno a quella tavola e sentirli parte integrande della famiglia.
Forse voleva e pensava troppo.
Continuava a lavorare infastidito, non vedeva l’ora che arrivasse la pausa per liberarsi da tutti quei vocii della clientela e di quei incompetenti di lavoratori che gli erano stati affidati. Proprio in quel momento Kyungsoo stava richiamando un addetto del reparto UOMO, ammettendo a se stesso che stesse lasciando la sua frustrazione su quel povero dipendente.
“Sei un incompetente!”
“S-signore…”
“Dovrei fare un richiamo a chi di dovere, in questo luogo abbiamo bisogno di gente che sappia fare il suo lavoro.”
“M-mi dispiace. Proverò a fare meglio, signore.”
“Proverò?” disse stizzito “DEVI!! O sarai lic-“
“Dodooooo!”
Una piccola e infantile voce si propagò dentro il negozio, piccole gambe correvano il più veloce possibile sviando l’ammasso di gente intenda a fare compre. Kyungsoo continuò a sentire chiamare quel nome, credendo di avere delle allucinazioni.
“Dodo” continuò a chiamare finché l’adulto catturò la piccola figura che gli era mancata così tanto corrergli incontro fino a quando non catturò con le sue piccole braccia le gambe dell’adulto.
“K-Kangdae che ci fai qui?” chiese in quel momento stordito mentre appoggiò delicatamente una mano sul capo.
Non si sarebbe mai aspettato di vedere il piccolo qui. Aveva deciso che appena avesse finito di lavorare si sarebbe diretto a casa di Jongin per assicurarsi che nulla fosse successo.
Il pensiero di Jongin gli venne subito in mente, issò lo sguardo dal bambino incontrando lo sguardo profondo di Jongin che con un accenno di affanno gli rivolse un sorriso.
“Kangdae quante volte ti ho detto di non correre?”
“Ma io volevo vedere Dodo” il piccolo mise il broncio stringendosi ancora di più alle gambe di Kyungsoo.
“Non mi importa. Devi ascoltare quello che ti dico.”
“Jongin.” Chiamò Kyungsoo notando che il piccolo ometto si stringeva più forte a lui e quei meravigliosi occhioni si stavano riempiendo di lacrime.
Il più piccolo tirò un sospiro rendendosi conto che stava turbando il figlio.
Kyungsoo fece cenno di licenzio al lavoratore con cui stava parlando poc’anzi che si affrettò ad allontanarsi dopo un breve inchino.
“Kangdae tesoro ascolta” disse prendendo il piccolo tra le braccia “Tuo padre ha ragione non devi correre quando sei un posto affollato.”
“Ma io volevo vederti. I-ieri non sei venuto…”
“Lo so tesoro e mi dispiace” voltando lo sguardo verso Jongin quando pronunciò quelle parole.
I due adulti si fissarono per qualche secondo, il silenzio si fece padrone di quell’attimo e il piccolo Kangdae guardava tra suo padre e Kyungsoo. Non capiva perché si stessero fissando senza spifferare una parola, la confusione si dipinse sul viso.
“Papà, ha detto che gli dispiace” interruppe quella tensione che si era creata “Smettila di essere triste”
Jongin in quell’istante rivolse uno sguardo di severo ammonimento verso il piccolo che si strinse al collo di Kyungsoo seppellendo il  volto nelle spalle con un piccolo sorriso che nessuno notò.
“Ehm…” Jongin sembrò nervoso in quel momento, non sapeva cosa dire. Non credeva che suo figlio avesse capito il suo stato d’animo di ieri sera. Aveva provato a nascondere quel piccolo fastidio che sentiva quando Kyungsoo aveva disdetto la loro cena di routine, aveva cercato di confortare suo figlio nei miglior modo possibile dicendogli parole che andava bene, e che avrebbero rivisto Kyungsoo un altro giorno, che era occupato e che ovviamente non era obbligato a passare tutto il suo tempo con loro.
Quelle parole erano rivolte al piccolo ometto che quella sera aveva versato qualche capriccio qua e la ma nel profondo quelle parole servivano più a lui.
Non sa cosa gli stesse succedendo, dal momento che aveva incontrato Kyungsoo si ritrovò a pensare l’uomo più spesso del dovuto. Sentiva l’esigenza di avere Kyungsoo accanto a loro- a sé - in modo da dargli quella strana sensazione di benessere e stranamente di stabilità.
Sapeva che Kyungsoo lo vedeva semplicemente come un amico, ma per lui era qualcosa di diverso.
Quel diverso che ti fa star bene, che ti fa sorridere al sol pensiero di quella persona, che ti fa tremare le mani quando afferri quel telefono e vedi che la persona che sta chiamando e colei che hai pensato tutto il giorno.
E quel diverso che non solo ti fa tremare le mani ma anche la voce quando gli auguri la buonanotte con la paura che il domani te lo porterà via.
Jongin si era innamorato di Do Kyungsoo e non sapeva come dirlo.
“La mia pausa è appena iniziata” disse l’uomo dopo aver scrutato il suo orologio da polso “ Che dite se pranziamo insieme? Così mi faccio perdonare”
Il piccolo Kangdae appena udì quelle parole cominciò ad agitarsi di felicità tra le braccia di Kyungsoo che lo mise subito dopo giù in modo che il piccolo potesse saltare di gioia.
“Kangdae calmati” disse Jongin con un lieve sorriso che si dipinse sulle sue labbra. Un sorriso che poteva o non poteva essere scaturito dall’allegria di suo figlio.
“Non devi farti perdonare  di nulla Kyung-“
“Voglio.”
Kyungsoo prese qualche minuto prima di riorganizzare dei fogli nel suo ufficio, afferrò la giacca e raggiunse Jongin e Kangdae. I tre si avviarono fuori dal centro commerciale, il piccolo Kim era felice di poter avere il pranzo con Kyungsoo e il suo papà. Camminavano lungo la strada per andare in uno di quei ristoranti che si trovano a qualche isolato da lì, il piccolo cominciò, però, a lamentarsi che era stanco di camminare e che voleva essere preso in braccio alzando le mani in aria.
“Dodo!?”
“Kangdae stiamo quasi per arrivare”
“Sono stanco papà. Dodo?”
“Non puoi sempre farti prendere in braccio da Kyungsoo. Almeno vieni qui ti porterò io”
“No, voglio Dodo”
“Kang-“
“Non ti preoccupare Jongin” Kyungsoo con un sorriso sulle labbra si accovacciò afferrando il piccolo tra le sue braccia.
“Non devi.”
“Voglio Jongin, voglio.”
Si incamminarono verso il ristorante, dove presero subito posto vicino a una delle grandi finestre. Ordinarono il loro pranzo e aspettarono.
Kangdae era con le ginocchia sulla sedia che osservava ciò che accadeva fuori con quei grandi occhi curiosi.
I due guardarono sorridendo il piccolo Kangdae immerso nel suo mondo, Jongin si voltò e incontrò il profilo perfetto dell’uomo di cui si era innamorato.
“Voleva vederti” volevo vederti.  
Kyungsoo ad udire quelle parole rivolse lo sguardo verso di lui.
“Anch’io.”
“Era triste ieri quando gli ho detto che non saresti venuto” non solo lui, anch’io ero triste.
“Mi dispiace.”
“Questa mattina ha insistito finchè non lo avessi portato a lavoro da te. Spero che non ti dispiaccia.” Dì di no, ci faresti del male.
“Ne sono più che felice”.
 

 
Quella sera del  31 Ottobre faceva davvero freddo e il centro commerciale aveva organizzato una grande festa che obbligò  Kyungsoo di rimanere sul luogo di lavoro fino a tardi, impedendogli di partecipare alla festa di Halloween che Jongin aveva organizzato per Kangdae.
Avrebbe preferito essere a casa Kim, anche pieno di bambini che si divertivano, aiutandolo ad organizzare quella piccola festa e tenere sotto controllo Kangdae e i suoi amici. Invece no, era in quel luogo che tanto odiava mentre Jongin veniva aiutato da una delle mamme dell’asilo.
Si ritrovò a sospirare pensando ad ogni momento che avevano trascorso o alle lacrime versate quando era solo in casa.
Quel sentimento si faceva sempre più grande ogni giorno.
Ogni parola, detta e non detta, ogni tocco casuale, ogni piccolo gesto, ogni sensazione che provava quando erano troppo vicini per sentire il profumo dell’uno e dell’altro stava mandando in tilt Kyungsoo.
Avrebbe voluto che quei tocchi non fossero casuali ma voluti, avrebbe voluto il suo profumo sulla sua pelle, avrebbe voluto dirgli quanto l’amava senza il timore di essere  rifiutato. Avrebbe voluto far parte di quella famiglia.
Avrebbe voluto che Kangdae fosse stato anche suo figlio e crescerlo con il doppio dell’amore che già Jongin gli dava.
 E piangeva Kyungsoo, perché per la prima volta nella sua vita desiderava qualcosa di cui non aveva il diritto di avere , Jongin non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti ed era sicuro che prima o poi avrebbe trovato una donna che lo avrebbe amato- mai quanto lui- e sarebbe stata un ottima madre per Kangdae.
Anche se avesse paura non è possibile chiamarlo codardo, ci ha provato più di una volta, soprattutto quando quel sentimento lo stava soffocando. Ma non era stato in grado di andare avanti dopo il “Jongin” o “Possiamo parlare?” , era sempre stato interrotto da qualcosa o da Kangdae.
Kyungsoo si ritrovò a sospirare ogni singola volta dicendosi che molto probabilmente il destino non vuole o che gli sta risparmiando il dolore del rifiuto.
Erano ormai le 23:00 e finalmente Kyungsoo era libero di andare, di uscire da quell’inferno che era stato pieno di gente in maschera che girovagava tra i vari negozi e le attrazioni che avevano abbellito il centro commerciale.
Aveva promesso che appena si sarebbe liberato avrebbe raggiunto casa di Jongin e prendere parte alla festa, ma ormai era davvero tardi e una festa dedicata ai bambini non poteva di certo durare fino a quell’ora.
Quando bussò alla porta venne aperta da un Jongin travestito che lasciò Kyungsoo esterrefatto ma non disse nulla.
“Mi dispiace per non aver fatto in tempo” disse quando varcò la porta e si guardò in torno.
“Non preoccuparti in fondo era lavoro”
“Già” rispose con un espressione di insofferenza “Ma ancora avrei voluto esserci.”
“Ti sta aspettando sul divano”
“E’ ancora sveglio?”
“Non sarebbe andato a letto finchè non saresti venuto”
Kyungsoo era davvero dispiaciuto, era già tardi e ancora Kangdae era sveglio ad aspettarlo. Varcò il salone dove un piccolo ometto davanti alla TV lottava contro alle sue palpebre che chiedevano indulgenza pur di chiudersi e cadere in un sonno profondo.
“Kangdae”
Il piccolo si animò quando sentì quella voce, spostò lo sguardo dalle luci ipnotiche della Tv e li piantò sulla figura di Kyungsoo mentre li sfregava con i suoi piccoli pugni.
Parlarono per un po’ , l’ometto di casa Kim gli raccontò di come era andata la festa, di come gli era mancato e di come sentiva un po’ triste nel non averlo li.
“Dodo mi vuoi bene?” quella domanda venne così per caso quando pensò che il piccolo si fosse addormentato tra le sue braccia.
“Più di quanto posso esprimere”
“Mmh…” lamentò soddisfatto mentre sfregava il viso nelle petto dell’uomo “Vuoi bene a papà?”
“C-certo” lo amo.
“Non lasciarci mai” borbottò stancamente mentre i suoi occhi si chiusero e si addormentò.
 “Non vorrei” sussurrò.
Le labbra di Kyungsoo si tirarono in un sorriso malinconico mentre accarezzava il capo del piccolo mentre adagiava un piccolo bacio.
“Ti ho portat-“ Jongin fermò la sua dichiarazione quando vide suo figlio addormentato tra le braccia di Kyungsoo mentre quest’ultimo lo cullava tra le sue braccia.
Il suo cuore perse un battito a quella visione.
Era la visione più bella che avesse mai visto e voleva che durasse per sempre.
I loro sguardi si sono incontrati rivolgendosi un timido sorriso, Jongin si fece avanti posando il piatto con della torta sul tavolino e prese suo figlio portandolo nella sua stanza.
Kyungsoo tirò un sospiro quando Jongin si allontanò, si issò e si diresse verso la cucina notando che era l’unica stanza che ancora doveva essere assestata, così iniziò a mettere ordine.
Jongin adagiò suo figlio sul lettino e lo riboccò con le calde coperte, accarezzò la fronte scostando qualche filo di capelli e posò un tenero bacio.
“Lo farò per noi.” Sussurrò con determinazione.
Uscendo dalla stanza del piccolo Kangdae si chiuse la porta alle spalle tirando un lungo respiro di coraggio che gli riempì i polmoni.
Si rassicurò dicendosi che poteva farlo, doveva. Lo doveva a suo figlio e a se stesso.
Avrebbe rischiato il tutto per tutto quella sera, non voleva più perdere tempo e sperava solo che tutto sarebbe andato bene.
Kyungsoo era impegnato a togliere le buste e bicchieri che erano sul tavolo senza notare che Jongin era appena entrato; solo quando si voltò notò il più giovane che lo stava fissando.
“Oh dio!” sibilò portando una mano all’altezza del cuore “Che diamine, mi hai fatto prendere un colpo, idiota”
Jongin non disse nulla, lo guardava soltanto.
“Ok Jongin adesso basta, capisco che è Halloween e a dire il vero mi hai messo paura. Ma ora smettila di non dire nulla e vieni ad aiutarmi”
Jongin si avvicinò senza dire ancora nulla rubando sguardi verso Kyungsoo che adesso si sentiva davvero imbarazzato dal silenzio che era calato in quella stanza. Non capiva perché  Jongin si stesse comportando in quel modo.
“Dimmi faccio paura quando mi travesto da mimo?” domandò Kyungsoo cercando di smorzare l’aria e cercando di capire come al più piccolo gli sia venuto in mente di vestirsi in quel modo.
Jongin anche in quel caso non pronunciò parola ma scosse semplicemente la testa.
“Allora perché ti sei travestito in quel modo?”
Jongin tirò un breve respiro ancora una volta e si disse che poteva farlo, cominciò a recitare come se fosse un mimo, Kyungsoo era davvero confuso dal comportamento improvviso di Jongin.
Pensò che Jongin fosse impazzito o magari i dolcetti che c’erano alla festa fossero corretti con qualche liquore.
Ma per Jongin questo voleva dire tanto, stava per fare quello che non era capace di dire a parole.
Afferrò un fiore dal vaso che si trovava sul top della cucina e si incamminò verso il più basso in un modo quasi buffo, un po’ alla Charlie Chaplin.
Kyungsoo si ritrovò a trattenere il fiato, in un primo momento voleva ridere per quanto fosse idiota Jongin ma poi realizzò che qualcosa lì stesse per succedere.
Il mimo improvvisato si avvicinò, lasciando solo un po’ di spazio tra di loro e speranzoso porse il fiore all’uomo davanti a sé. Kyungsoo morse il labbro inferiore afferrando con mano tremante il fiore.
Lo guardò per qualche secondo senza avere il coraggio di alzare lo sguardo ma quando lo fece delle morbide e piene labbra si scontrarono con le sue.
In un primo momento ne fu sconvolto, gli occhi si dilatarono dallo stupore ma non si scostò. Era quello che aveva sempre voluto da quando si erano incontrati.
Jongin mosse leggermente le labbra facendo più pressione finchè non chiese l’accesso per un vero e proprio bacio.
Il calore che emanavano le loro bocche mandarono brividi lungo la colonna, Jongin afferrò il volto di Kyungsoo accarezzandolo dolcemente mentre assaggiava gentilmente il sapore del più grande. Era voluto, sognato e bramato.
Entrambi avevano pensato come sarebbe stato baciare le labbra dell’altro e questo era di certo molto di più di quello che si aspettavano.
Quando si staccarono erano senza fiato, entrambi appoggiati uno sulla fronte dell’altro che cercavano di  riprendere fiato.
“Jongin…” mormorò sperando che quello che era successo non era altro che frutto della sua immaginazione.
“Kyungsoo m-mi piaci. In realtà ti amo, lo so che è improvviso ma non posso farne a meno. Sei perfetto. Sei perfetto per me e soprattutto lo sei per Kangdae. Lui ti adora.” Disse lasciando un piccola risata sorda ma piena d’amore.
Kyungsoo era stordito da tutti quegli eventi, avrebbe voluto gridare al mondo l’amore che provava per quell’uomo ma non ci riusciva.
Calde lacrime correvano lungo le sue guancie senza rendersene conto finchè non fu Jongin ad asciugarle.
“Non piangere.” disse il più piccolo mettendo un po’ di distanza tra di loro “Mi dispiace se ti ho spaventato ma dovevo farlo Kyungsoo o sarei impazzito. Dovevo provare…Capisco se non provi lo stesso per me, capisco se dopo stasera non vorrai più vedermi. Però davvero Kyungsoo questo è quello che provo. Ti amo.”
Jongin stava allontanando del tutto Kyungsoo, aveva lasciato andare la sua presa sul suo volto. Si ritrovò a tremare quando non sentì più quel calore sulla sua guancia, quando non sentì più vicino al suo corpo Jongin.
Ed ebbe paura che se non avesse fatto qualcosa lo avrebbe perso, avrebbe perso entrambi gli uomini che aveva imparato ad amare in quel tempo.
“N-no…” pronunciò afferrando la mano di Jongin “I-io...tu…Dio, Jongin ti ho amato dal primo sorriso che mi hai rivolto intorno a questo tavolo” pianse “Ma avevo paura, paura che se ti avessi detto come mi sentivo ti avrei perso, avrei perso anche Kangdae. Quel ragazzino mi ha portato a te e lo amo come se fosse mio, non volevo rischiare di non avervi nella mia vita.”
Jongin asciugò quelle calde lacrime che rigavano il volto della persona più bella che avesse incontrato nella sua vita. La prima persona che avesse mai amato.
“Ti amo!” sussurrò Jongin mentre si riappropriò delle labbra del più grande.
“Ti amo anch’io Jongin” sorrise timidamente.
Jongin afferrò la mano di Kyungsoo e lo portò con sé nella sua stanza, il cuore del più grande batteva così forte che aveva paura che da li a poco avesse avuto un infarto. Dopo aver chiuso la porta Jongin cominciò a baciare il più grande con un po’ più di foga e passione, la sua mano scivolò dal suo visto al collo finchè non afferrò il colletto della giacca e la sfilò facendola cadere a terra. Cominciò a sbottonare la camicia continuando a baciare le labbra carnose del più grande che ricambiava con fervore, Jongin si ritrovò a sorridere nel bacio.
Kyungsoo ricambiò il sorriso e allacciò le braccia attorno al collo di Jongin quando quest’ultimo lo spogliò dalla camicia.
Jongin afferrò Kyungsoo dalle gambe sollevandolo facendo si che gli contornassero la vita. Caldi baci silenziosi riempivano la già poca distanza che c’era tra i due.
Lentamente Jongin si sedette sul letto senza mai lasciare la presa dal gluteo e dai capelli di Kyungsoo. Si sdraiarono e le mani del più basso percorsero muscolo dopo muscolo il torace del più alto arrivando fino ai pantaloni.
Giocò con la cintola accarezzando la pelle del bassoventre con le dita, poi slacciò il bottone. Jongin avrebbe voluto liberarsi dei suoi indumenti subito ma era più forte la voglia e il desiderio di godersi quel momento. Avrebbe lasciato a Kyungsoo tutto il tempo che voleva.
L’emozione era tanta, anche troppa. Entrambi avevano sognato questo momento da molto tempo.
Jongin accarezzò la schiena lattea del più basso fino ad afferrare entrambi i glutei con fervore. Fu allora che Kyungsoo abbassò la cerniera sentendo sotto le dita l’eccitazione dell’altro. I pantaloni volarono via ed entrambi rimasero in intimo.
 I loro membri eretti sfregavano con vigore l’uno sull’altro attraverso il tessuto. Questa volta la timidezza vinse Kyungsoo, aveva afferrato l’elastico dei boxe del suo uomo ma si bloccò.
Jongin comprese ciò che stava succedendo. Lo guardò negli occhi trasmettendogli tutto l’amore che in quel momento gli riempiva il cuore. Lo baciò teneramente infondendogli un po’ più di sicurezza.
Kyungsoo abbassò l’intimo del suo uomo e lo stesso fece Jongin. Le loro mai si donavano piacere reciprocamente. Dopo un tempo interminabile Jongin, con gentilezza e dolcezza preparò Kyungsoo. Sul viso di quest’ultimo si dipinse una smorfia di fastidio che scomparve poco dopo. Quando lo penetrò la smorfia che vide era di dolore mista a piacere. Rimase fermo, facendo si che il più basso si abituasse all’intrusione.
Fu lo stesso Kyungsoo a iniziarsi a muovere.
Nel silenzio di quella camera, nel buio della notte, con la complicità della luna consumarono la loro prima notte insieme.
Le sensazioni che si susseguivano i loro erano forti, luminose e sembravano esplosioni di fuochi artificiali.
Si abbandonarono ad un sonno rilassante l’uno nelle braccia dell’altro. Ognuno nel posto che gli spettava da sempre. Le braccia della felicità.
 
 
 
 
“Bene bambini” la dolce voce della maestra si propagò all’interno della classe dove innumerevoli bambini era estasiati quel giorno.
Il natale si stava avvicinando, esattamente mancava solo due giorni, l’asilo era ben addobbato e anche lì si respirava tanto quell’aria che il piccolo Kangdae amava.
In quell’ultimo giorno di scuola i bambini avrebbero disegnato un biglietto di auguri ai propri cari.
Kangdae voleva che il suo biglietto di Auguri fosse particolarmente perfetto quest’anno così, con la lingua leggermente di fuori, era concentrato mentre diligentemente curava i particolari.
La signorina Kwon girava tra i vari tavoli per dare un occhiata a ciò che i suoi bambini stavano facendo, molti disegni erano classici, con qualche albero natalizio, qualche presepe, o scatole di regali.
Quando si avvicinò a Kangdae vide qualcosa di diverso, sì anche lì era presente un albero di natale ma era situato all’interno di una stanza con un camino, che la signorina Kwon ipotizzò fosse acceso, e in fine erano presenti due uomini e un bambino.
L’insegnate sapeva che il bambino e che uno dei due uomini fossero lui e suo padre, ma l’altra figura che teneva la mano del bambino la incuriosì.
“Kangdae, tesoro” la donna chiamò l’attenzione del piccolo che issò gli occhi  guardando l’insegnate con quello sguardo di chi fosse stato catturato a fare qualcosa di nascosto.
La donna gli regalò un piccolo sorriso e si accovacciò alla sua altezza.
“E’ bello il tuo disegno” si complimentò guardando ancora il pezzo di carta “Siete tu e il tuo papà vero?” domandò cercando di non arrivare dritto alla domanda che la incuriosiva.
Il piccolo Kangdae guardò giù nel foglio e poi le diede un accenno con capo.
“E questo?” indicò con il dito “Questo chi è?”
Kangdae riportò lo sguardo sul foglio e guardò dove la donna stava indicando, guardò l’altro omino che aveva disegnato poc’anzi e un piccolo sorriso gli si dipinse sul volto.
“E’ Dodo” disse guardando di nuovo la sua maestra.
“Oh. E’ un tuo amico?” domandò ricevendo solo un no col capo.
“Un amico di papà?” riprovò un po’ incerta questa volta.
Kangdae riguardò giù di nuovo e rifletté per qualche secondo. Dodo non era un amico, Dodo era qualcosa di più sia per lui che per il suo papà.
Dalla festa di Halloween, Kyungsoo era diventato parte integrante nella loro vita. Spesso era in casa loro quando era libero dal suo lavoro. Faceva tutto ciò che suo padre aveva fatto negli anni, preparava la cena, riassettava casa da tutti i giochi che il piccolo Kim metteva in giro.
Gli faceva il bagnetto, anche con Kyungsoo era più una lotta che un bagno, e lo metteva a letto.
Quando suo padre ritornava dal lavoro il sorriso del mimo si illuminava e Jongin lo abbracciava stretto a sé e gli sussurrava nell’orecchio parole che il piccolo Kangdae non avrebbe mai saputo.
Ma anche avendo cinque anni era un bambino abbastanza intelligente per capire che qualcosa nel rapporto tra suo padre e Dodo fosse cambiato e nel profondo del suo piccolo cuore si sentiva felice.
Felice di avere qualcuno che si prenda cura di lui e del suo papà, qualcuno che è sempre presente ad asciugare le loro lacrime quando si sentivano tristi o quel qualcuno con cui condividere le gioie.
Una sera si alzò dal suo letto, un infrenato senso di sete lo fece svegliare, si diresse verso il salone dove udì il volume della Tv intuendo che fosse accesa e credendo che suo padre e Kyungsoo fossero ancora in quella stanza.
Quando fu vicino vide che Kyungsoo e suo padre in realtà erano alla porta di ingresso e Kyungsoo era pronto ad andare, ad un tratto si sentì triste. Non voleva che il suo Dodo se ne andasse, voleva vederlo il mattino seguente, come era capitato alcuni giorni fa, e consumare la colazione con loro.
Aveva la sensazione che appena fosse uscito da quella porta non l’avrebbe mai più rivisto, che gli avrebbe lasciati. Così calde lacrime cominciarono a riempire i suoi grandi occhi.
Era sul punto di piangere, di mettere su un enorme capriccio ed attaccarsi alla gamba dell’uomo pur di non lasciarlo andare. Ma quella sensazione venne subito spazzata via, lasciando ,invece, spazio allo stupore e alla felicità quando udì e vide suo padre lasciare un tenero bacio sulle labbra di Kyungsoo e un “ci vediamo domani”.
Kyungsoo aveva ricambiato i gesti di suo padre e lasciò dopo aver detto un “ti amo”.
In quella sera la sensazione di sete non era mai stata così ben voluta da Kangdae per averlo svegliato e testimoniare tutto ciò.
Kangdae era certo che adesso aveva una famiglia a completo, sicuramente diversa da quella dei suoi amici d’asilo ma pur sempre una famiglia piena d’amore.
“Lui è papà” disse quando issò la testa verso la maestra che udendo quelle parole un accenno di confusione si presentò sul volto.
“Sì, uno è il tuo papà…invece l’altro è…”
“E’ il mio papà” ripeté con ostinazione “Dodo è il mio papà. Lui e il mio papà sono i miei papà”
“Vuoi dire che questo Dodo…” la signorina Kwon si trovava davvero in difficoltà ad esprimere ciò che aveva appena capito “lui e il tuo papà stanno insieme?”
“Si amano” disse dopo averle dato con un entusiasmo un accenno col capo.
“Oh!”
La donna non chiese altro e dopo avergli dato un sorriso si allontanò, Kangdae completò il suo regalo scrivendo in un cattivo coreano qualche pensiero.
Quel natale sarebbe stato diverso e speciale, non lo avrebbero trascorso solo lui e il suo papà ma Kyungsoo gli aveva invitati a casa di sua madre dove i parenti del mimo si sarebbero riuniti per festeggiare tutti insieme.
Non era la prima volta che sarebbero andati in casa dei signori Do, Kangdae ricorda ancora la paura che ebbe quando vide il signor Do con quella faccia seria, si ricorda come si era nascosto dietro le gambe di suo padre che a sua insaputa era anche teso.
Ma si rilassarono quando la signora Do si presentò schiaffeggiando scherzosamente il marito e intimidendogli  di smetterla di spaventare gli ospiti.
Il 24 Dicembre era arrivato e Kangdae zampettava sull’asfalto pieno di neve mentre si dirigeva verso casa dei suoi nuovi nonni.
Il piccolo Kim aveva pensato che se Kyungsoo era il suo nuovo papà loro dovevano essere anche i suoi nonni, era davvero intelligente.
“Kangdae smettila si saltare e correre sulla neve rischi di scivolare” Jongin gridò dietro al figlio che si faceva strada da solo verso il viale di casa Do.
“Lascialo fare Jongin, non essere così apprensivo” disse sorridendo quando vide un cipiglio sul suo volto.
“Non sono apprensivo. E’ solo…” non finì che si sentì un piccolo tonfo sulla neve.
I loro occhi catturarono la piccola figura che era scivolata  colpendo con il suo culetto la soffice neve.
Gli occhi di Kyungsoo si fecero più ampi e corse subito verso Kangdae si accovacciò facendo alzare il bambino che aveva una smorfia suo viso  mentre si massaggiava con la sua piccola manina dove aveva preso la botta.
“Oddio Kangdae, ti sei fatto male?” il piccolo scosse la testa toccandosi ancora dove Kyungsoo credette che facesse male.
“Non mentirmi, sennò cos’è quella faccia? Dove ti fa male?  Dio mio Kangdae devi ascoltare tuo padre, cosa succede se ti fai davvero male?” continuò in preda al panico.
Jongin si era avvicinato a loro ma la sua preoccupazione andò via quando vide il viso di suo figlio che guardava Kyungsoo con occhi esterrefatti sbattendo le ciglia.
“Adesso chi è l’apprensivo?” domandò sarcasticamente.
“Jongin non è ora di scherzare, tuo figlio è appena caduto”
“Già, ma non si è fatto nulla. Guardalo”
Kyungsoo guardò il piccolo Kim che continuava a guardarlo con la stessa espressione di prima.
“Sto…sto bene.”
“Sicuro? Allora cos’era quella faccia poco fa?”
“Mi si sono bagnati i pantaloni” disse accigliandosi. Quell’umidità gli stava portando davvero fastidio soprattutto data l’aria pungente di Dicembre.
I due adulti sorrisero a quella affermazione facendo accigliare ancora di più il piccolo che si voltò e salì gli scalini che li dividevano dalla porta di casa Do.
“A volte sembra come se lo avessi partorito tu”
“AhAh molto divertente Jongin, davvero.”
Jongin avvolse un braccio sulle spalle del più grande ridacchiando e raggiunsero Kangdae che saltò in braccio alla signora Do gridando un “Nonna” quando venne aperta la porta.
Tutto era addobbato alla perfezione, un grande albero dalle decorazioni oro e bianco circondato da vari pacchi regalo era presente all’interno del salone.
L’aria era davvero calda e accogliente, la tavola era già imbandita per quella serata speciale. Vari tipi di pietanza erano presenti, la famiglia di Kyungsoo parlava e rideva durante tutta la cena senza mai lasciar fuori Jongin da ogni argomento.
Si sentiva, dopo anni, davvero a casa. Sentiva di aver riacquisito una famiglia su cui contare e tutto gli era stato donato dall’uomo seduto accanto a sé che con delicatezza gli stringeva la coscia come per trasmettergli sicurezza.
Si voltò e i loro occhi si incontrarono, si bearono per qualche secondo uno dello sguardo dell’altro lasciando andare un piccolo sorriso pieno d’amore e di appartenenza.
Kangdae per la prima volta nella sua vita stava trascorrendo il natale con tutte quelle persone, tutti erano accoglienti e gli mostravano attenzione. Non era l’unico bambino presente quella sera così non si sentiva annoiato, girovagava per tutta la casa e giocava con i figli della sorella di Kyungsoo.
Quando fu ora dei regali i piccoli erano ancora più eccitati di prima, Kangdae aveva ricevuto tanti regali quell’anno e la felicità che sentiva era davvero inspiegabile. Aveva ringraziato tutti con un caloroso abbraccio e bacio.
“E’ così felice” mormorò Jongin dopo aver preso un sorso di cioccolata calda.
“Lo è davvero.” Disse Kyungsoo appoggiando il capo sulla spalla del più piccolo “E tu lo sei?” domandò.
“Non dovresti neanche chiederlo. Sono l’uomo più felice sul pianeta Kyungsoo”
Kyungsoo abbracciò Jongin con un sorriso sul suo volto che nascose prontamente nell’incavo del collo del più alto.
Si bearono del loro calore per un po’ finchè il più grande non si scosto e guardò negli occhi il suo uomo.
“Questo è per te” disse estraendo un scatolina rettangolare dai pantaloni.
“Kyungsoo avevamo detto niente regali per noi. Adesso non ho nulla da darti” disse sentendosi inutile e scoraggiato.
 “Ehi! Ehy!” afferrò il volto di Jongin facendo in modo che i loro occhi si incontrassero di nuovo “Non hai bisogno di regalarmi nulla. Ho già ricevuto il più grande regalo di Natale che potessi ricevere quest’anno. Ho desiderato averti qui, stare insieme alla mia famiglia. Ho desiderato averti tra le mie braccia, ho desiderato ogni piccolo frammento di te e questo comprende anche Kangdae. Jongin mi hai regalato tutto questo, quindi smettila di fare il broncio perché non ho bisogno di nulla se non voi.” Disse lasciando un piccolo bacio sulle labbra carnose del più piccolo.
“Adesso aprilo. Ti giuro che non è nulla di costoso.”
Jongin tirò un lungo respiro e con delicatezza sciolse il piccolo ficco rosso. Quando aprì la scatola trovò qualcosa di metallo che non si aspettava di vedere.
“Una…Una chiave?”
“Già. E’ la chiave di casa mia Jongin. Con questo ti sto chiedendo di venire a vivere con me, lascia la tua casa e vieni a vivere da me. Così non dovrai più pagare l’affitto, e potremmo stare insieme ogni volta che vogliamo.”
“Vivere a casa tua?!”
“Casa nostra, Jongin. Quella sarà casa nostra”
“Cosa ho fatto per meritarmi questo?”
“Sei nato Kim Jongin”
Jongin rimase in silenzio per qualche secondo mordicchiandosi il labbro inferiore. Kyungsoo sentì crescere la tensione, la paura di un rifiuto si fece presente attanagliandosi allo stomaco.
Jongin afferrò il nastro che avvolgeva il pacchetto, prese la mano sinistra di Kyungsoo e avvolse il nastro rosso nell’anulare del più grande che arricciò il viso in uno stato confusionale. I loro sguardi si incontrarono e Jongin poté leggere le domande silenziose che il più grande stesse ponendo.
“ Accetto se accetti questo. So che questo non è quello che ti meriti, ovviamente questo dito deve essere avvolto da qualcosa di più bello e di metallo. Ti prometto che lo farò.”
“J-Jongin…” la voce di Kyungsoo cominciò a tremare ma si disse di non piangere.
“Kyungsoo hai dato molto a me e a Kangdae. Hai dato la speranza, l’amore e forse so che è presto ma hai dato una famiglia. Tu in realtà hai dato a me il regalo più bello che potessi ricevere, non per questo natale, in tutta la mia vita. Ti amo da morire mio piccolo mimo.”
Kyungsoo sorrise e si buttò tra le braccia di Jongin che lo accolse stringendolo a se e lasciando piccoli baci sul capo. Si bearono del calore dei loro corpi dimenticando tutto ciò che li circondava, erano nel loro mondo dove tutte le risa e le canzoni natalizie erano ovattate e non li scalfivano.
Ma una piccola mano che tirava i pantaloni dei due uomini li destarono e guardarono giù dove un piccolo Kangdae li guardava con un sorriso imbarazzato mentre dietro la schiena nascondeva qualcosa.
“Io…io ho fatto qualcosa per voi due” disse timido abbassando leggermente lo sguardo.
“Oh davvero?” domandò suo padre
“Si si” con fervore estrasse il biglietto che nascondeva e lo porse ai due uomini.
Appena Kyungsoo lo afferrò il piccolo Kim corse via riunendosi agli altri continuando a giocare ma lanciando piccole occhiate ai due uomini.
“Da quando è diventato timido?” domandò Kyungsoo mentre vide il piccolo scappare via.
“Non è ho la più pallida idea” rispose il padre del piccolo mentre sbatteva le ciglia dallo stupore.
Il più grande dei due riportò l’attenzione al biglietto che teneva in mano, dove sopra era disegnato un piccolo Kangdae, un alto Jongin e un medio Kyungsoo.
I due adulti sorrisero a quel disegno che pur fatto da un bambino di cinque anni non era per niente male.
Il sorriso di Kyungsoo traballò dando spazio a calorose lacrime, pur sempre di felicità, quando  aprì il biglietto e lesse quello che c’era scritto.
 
A papà Jongin e a papà Dodo
Buon Natale!
Vi amo
 
“Credo proprio che siamo una famiglia” sussurrò Jongin mentre stringeva da dietro Kyungsoo
“Si, una meravigliosa famiglia. Vi amo”
  
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