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Autore: Relie Diadamat    15/09/2016    1 recensioni
[One-shot collegata alla long "Pendragon's Coffee"]
Sua madre le aveva sempre ripetuto che era molto più sveglia rispetto ai bambini della sua età, ed era vero: Morgana era intelligente. Fu per questo che capì di dover ascoltare senza dire una parola, guardandola bene negli occhi come se da quel momento in poi non potessero farlo più.
«Non permettere mai a nessun uomo di eclissarti», le disse. «Continua a risplendere per te stessa».
Morgana aveva sei anni ed era molto intelligente, ma le servirono molti anni per comprendere le parole di sua madre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Morgana
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Nda: Buon salve!
Questa volta non ho molto da dire: questa shot è nata grazie alla mia adorata Celtica che in un giochino sul gruppo fb "Il Giardino di Efp" - dopo che la sottoscritta ha scelto "obbligo" - le ha rifilato l'ordine di scrivere una flash sul personaggio di Morgana, ma legata all'universo di Pendragon's Coffee. Ovviamente ho sforato ed è diventata una shot.
Non ho molto da aggiungere: se conoscete la mia long, godetevela. Capirete molte cose sul personaggio di Morgana; se non conoscete la long... leggetela senza troppe aspettative - tanto per sperimentare qualcosa di alternativo xD - oppure chiudete la storia e basta.
Detto questo, mi eclisso.
Grazie a chi leggerà, grazie a chi mi lascerà il proprio parere.
Buona, spero, lettura!
 

D’oro e di pece
 

 
Alla mia amica Selene,
che mi sopporta e supporta nonostante tutto.
Siamo una bella squadra!


L’ultima volta che sua madre le prese il mento tra le dita, Morgana aveva sei anni.
La donna l’aveva costretta a guardarla negli occhi, con una dolcezza che a stento la preoccupava. Igraine era fatta così: era una persona amabile e adorabilmente vera. I suoi occhi azzurri erano il cielo preferito della piccola Pendragon, lo specchio nel quale preferiva rivedersi.
«Morgana», cominciò a dirle con gli occhi lucidi. Il papà doveva averla fatta piangere di nuovo.  «Voglio che tu mi prometta una cosa, piccola mia».
Morgana non capiva perché sua madre non si fosse abbassata alla sua altezza per poi carezzarle una guancia; era quello che faceva sempre, era il modo in cui la salutava prima di varcare la soglia di casa. La bambina sapeva bene che non si sarebbero salutate lì: dovevano uscire insieme, le aveva persino infilato il cappottino viola che tanto le piaceva; eppure c’era qualcosa nell’aria… un odore che non profumava di niente.
Sua madre le aveva sempre ripetuto che era molto più sveglia rispetto ai bambini della sua età, ed era vero: Morgana era intelligente. Fu per questo che capì di dover ascoltare senza dire una parola, guardandola bene negli occhi come se da quel momento in poi non potessero farlo più.
«Non permettere mai a nessun uomo di eclissarti», le disse. «Continua a risplendere per te stessa».
Morgana aveva sei anni ed era molto intelligente, ma le servirono molti anni per comprendere le parole di sua madre.
 

 

 
Suo padre avrebbe voluto vederla morta.
Morgana lo capì nel momento in cui Uther arrivò in ospedale. Non la degnò neanche di uno sguardo, all’inizio. Eppure lei vide tutto: la sua folle corsa verso un infermiere, i suoi passi pesanti nel corridoio e poi il vuoto nel suo sguardo – qualche minuto dopo – quando l’era andato incontro. Uther rimase seduto al suo fianco, poi le spostò un boccolo dietro l’orecchio. «Andiamo via», aveva detto.
Non si scomodò neppure a incontrare i suoi occhi, non si premurò neanche di stringerle la mano.
Da quel momento in poi, la piccola Pendragon tentò di tutto pur di rinfacciarglielo. Tentò in ogni modo di fargli capire che lei era ancora viva.


 
 

Morgana aveva quattordici anni e aveva paura del buio.
Quella sera, come molte altre, era sgattaiolata nella camera di suo fratello. Sapeva che era sveglio, Arthur la stava aspettando: aveva lasciato la porta semiaperta a posta.
Si stese al suo fianco, schiena contro schiena, calmandosi col suo odore. Amava sentirlo respirare nel nero della stanza.
«Il suo sangue puzzava», sussurrò nel silenzio della notte. «Ne avevo un po’ sulla guancia».
 
 



Morgana odiava i matrimoni. Lo aveva deciso anni addietro, mentre con i Queen a tutto volume nelle orecchie osservava di sottecchi Aveline fare ordine nel suo armadio.
Sua madre non gliel’avrebbe mai permesso. Litigava spesso con Uther per questo motivo: doveva essere lei a crescere i suoi figli, e sempre lei si sarebbe assicurata che non crescessero viziati e incapaci.
Era sempre lei ad agirarsi nella sua stanza. Era lei che le pettinava i capelli, acconciandoglieli in deliziose trecce olandesi.
«Ma lo sai che sei la mia piccola principessa?» le aveva chiesto con le mani tra le sue ciocche corvine. Nere come la pece, così diverse dall’oro che rendeva sua madre una donna straordinariamente incantevole. «Vedrai che il giorno del tuo matrimonio sarai così bella da sembrare una regina. Sarò la tua parrucchiera di fiducia… credo che in molti vorranno assumermi».
Morgana alzò il volume, spostandosi in un’altra stanza.
Da quel giorno decise che non si sarebbe mai sposata.
 
 
 
 
 
La prima volta che si tinse di biondo, Morgana era a Parigi.
Merlin aveva smesso di telefonare, suo padre non aveva alzato la cornetta neppure una volta.
Non le somigliava. Per niente.
Si guardò allo specchio senza riconoscersi.
I capelli di sua madre erano lisci come la seta e biondi come l’oro, Morgana lo ricordò mentre si pettinava stizzita, mordendosi il labbro a ogni nodo. Li piastrò pensando al familiare profumo di lavanda che emanavano.
Non sarebbe mai stata come lei, mentre Arthur era la sua fotocopia.
Dopotutto, la pece non potrà mai essere oro, pensò.
 
 
   
 
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