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Autore: elfin emrys    17/09/2016    2 recensioni
{GerIta, capitolo 3/3}
-Ho sentito dire in paese che lei, signor Vargas, c’era quando l’Italia è caduta!
-Ah, dovrei essere molto più vecchio di così, non crede?
-Certamente, ma queste leggende hanno un ché di affascinante, non trova?
L’anziano sorrise.
-Tutte le leggende hanno un fondo di verità.
-Ma, così lei le alimenta, signor Vargas!
-Non ci trovo nulla di male nel farlo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi di un Cantastorie

 

Feliciano stava davanti alla tomba. Fissava il nome sopra la lapide, respirando in maniera irregolare e veloce. Lasciò scivolare lo sguardo sulle bandiere ai lati, sui fiori, su un unico fiordaliso poggiato davanti al sepolcro.

Si sdraiò lì vicino.

Non riusciva neppure più a piangere, ormai.

-…perché, non lo so. Ci sono tante cose che ancora non abbiamo ripreso da dopo la guerra. Ho attrezzature trovate che non ho idea a cosa servano. Per quel che sappiamo, potrebbe anche essere entrato in contatto con qualcosa di inquinato: lo sa, siamo uno degli ultimi villaggi prima della ex zona di guerra. Ma non le voglio mentire, questo improvviso invecchiamento, che è per lo meno curioso, mi preoccupa mol… Ah, si è svegliato!

Feliciano si guardò intorno. Una luce delicata entrava dalla finestra: era l’alba. Sentì un debole dolore al braccio e vide una puntura. Gli avevano fatto un’iniezione? Un bambino stava seduto su una sedia poco lontano a mangiare un biscotto e lo guardò con aria incuriosita. Non l’aveva mai visto.

-Feliciano?

L’anziano girò lo sguardo e vide Nonno Roma guardarlo con aria speranzosa.

-Vi lascio soli: immagino che sia da tanto che non vi vedete.

Sergio sorrise ai due uomini e uscì dalla stanza. Feliciano vide Angela addormentata all’angolo della stanza, su una poltrona. Sorrise.

-È voluta per forza rimanere qua. Ha mandato uno degli infermieri ad avvertire la famiglia. Ti deve volere molto, molto bene.

L’anziano annuì e cominciò a fissare l’uomo. Ora che lo guardava bene… probabilmente non era il nonno. Aveva le stesse linee del viso, lo stesso colore di capelli, aveva perfino quasi lo stesso sguardo, ma, no, non era lui. E poi la voce, aveva una voce diversa, meno profonda, con una strana inflessione che un tempo conosceva molto bene.

L’uomo rise, avvicinandosi al letto.

-Cazzo, davvero sembro così tanto il nonno?

Feliciano piegò la testa, iniziando a sorridere.

-Lovino?

-Già, ti sei invecchiato così tanto che non riconosci neppure tuo fratello? Anche se, a dirla tutta, anch’io sono diventato cresciutello.

L’anziano rise, tendendo le braccia a Romano per abbracciarlo. Non lo vedeva da molto prima della fine della guerra. L’altro gli si avvicinò, dandogli un bacio sulla guancia e stringendolo a sé. Feliciano sentì le lacrime scendergli sul viso: suo fratello era diventato così forte, così forte! Gli sembrava si fosse addirittura alzato di qualche centimetro (o forse era lui che si era abbassato).

-Sono così contento di vederti.

-Anche io, Feli.

Lovino gli sorrise, asciugandogli le lacrime con un fazzoletto e ignorando le proprie.

-Come…

Feliciano si soffiò il naso.

-Cosa hai fatto da quando ci siamo lasciati? Come sta il resto d’Italia? Come hai fatto a trovarmi?

Lui rise.

-Sono tante domande e la storia è davvero molto lunga.

Lovino si sedette al bordo del letto.

-Da quando ci siamo lasciati ho continuato a fare quello che avevo fatto fino a quel momento. Fra un combattimento e l’altro parlavo dell’Italia alle persone, credendo che questo potesse mantenerci in vita a entrambi. È stato difficile. I tempi erano davvero duri e io… ammetto che non avrei mai creduto di riuscire a sopravvivere. A un certo punto ho perso contatto con tutti gli altri. L’ultima notizia che ho avuto è stata quella della scomparsa di Francia, poi più niente.

Rise amaramente.

-Ci siamo così tanto distrutti a vicenda da aver distrutto l’intero mondo che avevamo costruito. La gente era così presa dalle fughe e dalla fame che smise di studiare, smise di raccontare, smise di cercare di tenersi stretto quello che era il mondo prima della guerra. La sopravvivenza era l’unica cosa che contava, capisci bene: le persone si rintanavano fra le macerie come topi prima che facesse buio. Molte città sono andate distrutte totalmente e la gente cominciò a spostarsi nelle compagne e sulle montagne, sperando di non essere trovata. A un certo punto tutto era andato così tanto alla malora da non riuscire più a capire chi stesse attaccando chi o cosa e perché: fra nazioni non comunicavamo più e alcune… molte erano andate perse. Era il caos più totale. Feli, io non so dove tu fossi in quel periodo, ma io non ho mai visto nulla del genere e prego ogni giorno che nessuno debba più sopportare una guerra come quella. Ormai non era più una guerra fra nazioni. Cioè, lo era in principio, ma poi si è trasformata ed è diventata guerra civile e dopo ancora semplicemente anarchia, una guerra gli uni contro di altri, a prescindere da chi fossero.

-Papà?

Il bambino tirò la manica di Lovino.

-Posso avere un foglio per disegnare?

L’uomo lo accarezzò.

-Certo, vallo a chiedere all’infermiere all’inizio del corridoio.

-Gazie!

Romano attese che il bimbo uscisse dalla stanza. Feliciano lo guardò con aria interrogativa e l’altro fece cenno, facendogli capire che ci sarebbe arrivato a breve.

-Poi un giorno, improvvisamente, la guerra è finita. La gente era troppo stanca di combattere e ormai era talmente poca che un gruppo di esseri umani raramente ne incontrava un altro. E poi, non c’era più nulla per cui lottare. L’onore? La gloria? A che ti servono queste cose in un contesto come quello… Vuoi difendere la tua nazione? La tua nazione morta? No… La gente ormai combatteva solo perché non aveva conosciuto altro e così decise di smetterla. Da allora ho cominciato a viaggiare per cercare i superstiti. Ogni tanto trovavo qualcuno che non riusciva a credere che fosse finito tutto.

Lovino sospirò, cercando di riprendere il controllo della voce, che si stava piegando al pensiero di quegli uomini e quelle donne.

-Per un po’ mi sono chiesto come cazzo era stato possibile che tutto fosse crollato, ma le chiese fossero rimaste più o meno in piedi ancora. Dopo, sai, col tempo, uno ci pensa e ammette quello che non vuole ammettere e ciò che la religione, come sempre, esce dalla porta e rientra dalla finestra: ho capito che quando erano tanti gli uomini si sentivano potenti, poi appena hanno cominciato a sentirsi un pochino soli hanno avuto paura. Che specie di codardi leccaculo.

Feliciano sorrise, riconoscendo la parlata elegante di suo fratello.

-Sono invecchiato un po’ in quel periodo, sai, e sono diventato così.  Non sono sicuro del motivo per cui sia successo né perché tu sia invecchiato così tanto… Forse è perché il nostro popolo ci vede come qualcosa di antico, qualcosa che non gli appartiene più. Credevo davvero che avrei continuato a invecchiare fino alla mia morte, che il mio tempo da nazione fosse finito. Poi è successo.

Lovino arricciò il naso, tentando di trattenere un’espressione di dolore. Si alzò e gli diede le spalle.

-Non so se fosse un sogno. Una notte qualcuno mi ha svegliato e quando ho aperto gli occhi lui era lì. Mi parlava, con quel suo solito sorriso del cazzo. Ah, mi ha detto che sarei dovuto stare qui per ancora molto tempo, che avevo ancora cose da fare. Tonio… Tonio mi ha detto che aveva aperto un passaggio per parlare con me in maniera che anche altre nazioni potessero farlo. Mi ha detto che dovevo andare verso la Spagna, che qualcuno mi stava aspettando. Devo dire che stavo un po’ strippando perché non avevo idea di chi dovessi andare a trovare. Avevo passato da poco i Pirenei quando ho visto un bambino giocare in mezzo a un prato. Capii subito che era lui quello che dovevo recuperare. Allora gli ho chiesto chi fosse e lui sai che mi ha risposto?

Lovino rise, vedendo il bambino rientrare con un bellissimo foglio grande e dei pastelli.

-Vieni qua, di’ allo zio qual è il tuo nome.

Il bimbo si avvicinò e sorrise all’anziano.

-Io sono l’Europa.

Romano rise ancora più forte, scompigliandogli i capelli.

-Ti rendi conto? L’Europa! Credo di aver riso per settimane. Anzi, ancora rido.

Si asciugò le lacrime dagli occhi.

-Proprio quando siamo tutti morti e a veramente nessuno frega più un fico secco, ecco che nasce l’Europa. Alla faccia di chi dice che Dio non ha senso dell’umorismo!

Feliciano rise un po’ con lui, poi Lovino riprese il discorso.

-Quella notte ho sognato il nonno. Sai…

L’uomo fece accomodare il bimbo al tavolino, poi si mise a guardare fuori dalla finestra.

-Mi sono sempre chiesto cosa avessi io del nonno. Tu… Tu eri il favorito di tutti, avevi il suo sorriso. Grecia aveva i suoi ciuffi ribelli. Addirittura quel cretino di Francia (pace all’anima sua!) aveva la sua barba. Antonio… Perfino Antonio aveva qualcosa di suo… ma io… A me non sembrava di avere qualcosa. Perfino nella morte andava a trovare molto più te che me! Credevo davvero di non contare un cazzo per lui, tanto che, durante la Guerra Totale, mi aveva abbandonato. Non ho mai ricevuto nulla che per me fosse importante da lui. Non un aiuto, non un buon consiglio, non una parola di incoraggiamento, nulla, o almeno fino a quel momento. Quella notte il nonno mi ha detto che gli era stato impedito di venire a trovarci per lo stesso motivo per cui erano morti in così tanti di noi: perché la gente non pensava più a lui. Però qualcosa stava cambiando, qualcosa si stava scuotendo all’interno dei villaggi di superstiti sparsi per il mondo. Mi ha detto che era fiero di me, che avrei guidato un popolo di coraggiosi e che aveva sempre saputo che “avevo la stoffa”, che era per questo che mi aveva lasciato Roma in eredità. Ah, per me erano tutte cazzate, ma l’aveva detto con uno sguardo così serio, così… così sincero, capisci? Mi venne in mente in quel momento, non so se ti ricordi, quello scritto di… Seneca, mi pare, che dice che si lascia andare il figlio del servo, ma che il proprio figlio lo si tratta severamente. Non che tu sia il figlio del servo, intendiamoci. Ma quella mattina mi sono svegliato e mi sono guardato specchiato in un corso d’acqua e ho visto quello che avevi visto tu: ho visto nostro nonno. Dio, non hai idea di quanto mi sia sentito forte in quel momento.

Feliciano gli sorrise.

-Lovino, tu sei sempre stato quello che più assomigliava a nostro nonno. A volte sembravi proprio lui. Il tempo ha solo fatto notare anche a te quello che a tutti noi era già ovvio.

Il fratello annuì.

-Forse è come dici tu, ma non era importante quello che vedevate voi. Era importante quello che pensavo io di me stesso. Dopo quell’ultima, insperata, visita ci fu il silenzio. Non mi apparve più nessuno per molti anni e io tornai in Italia con questo fagottino; mi rifugiai in Sicilia e scoprii che la città di Agrigento stava da incanto, scoprii che si ricominciava ad andare per mare. Andai su una barca e in mezzo al Mediterraneo incontrai una nave straniera e vi salii sopra. Puoi immaginare la gioia di vedere altri esseri umani in questo mondo ormai desolato. Non indovinerai mai chi ho incontrato lì e non hai idea della felicità che mi ha dato vederlo. Stava lì, vecchio quanto te, circondato dai suoi gatti. Anche Grecia mi guardò e si stupì nel vedere nostro nonno: gli ho dovuto far notare che non ero lui e che non potevo esserlo. Lui ha riso come un matto e mi ha iniziato a piangere addosso perché credeva di essere l’ultimo rimasto. Mi ha detto che l’ultima persona che aveva visto era stata Russia, ma molto tempo prima, quando c’era ancora la guerra, e che non era sicuro fosse ancora vivo. Credo che Europa abbia coccolato tutti i suoi gatti, comunque.

Il bimbo rise e ripeté “Gatti!”. I due fratelli scossero la testa.

-Poi sono salito un po’ e sono andato in quella che un tempo era la Campania perché stavo cercando quello che rimaneva di Napoli quando trovai una strada fatta da poco su quella che un tempo era una ferrovia. Scoprii che Napoli e Roma si erano di nuovo collegate, che ora gli abitanti di quelle microcittà che un tempo erano dei luoghi così vasti e popolosi si stavano aiutando a vicenda, anche se distanti. Ammetto che mi sono sentito orgoglioso di loro.

Lovino sospirò.

-E mentre stavo soggiornando a Roma, qualcun altro mi venne a fare visita.

Guardò il fratello e la sua espressione divenne improvvisamente triste.

-Sognai Germania. Mi disse di raggiungere questo posto e che sarebbe venuto a prenderti. Mi disse di cercare tale Alfonso e di farmi accompagnare da lui. Si raccomandò di fare in fretta, perché si sarebbe mosso solo in determinate ore del giorno e che avrebbe tentato di fare piano per farmi arrivare e per fare in modo che anche Europa ti conoscesse e salutasse. Ti pareva che quel crucco doveva portarmi solo una cattiva notizia!

-Ludwig ti ha parlato?

Gli occhi di Feliciano si illuminarono.

-Sì. Mi ha detto che non poteva parlare con te perché ormai sei una nazione troppo debole per riuscire a stabilire un qualunque tipo di contatto. Mi ha detto di dirti…

Lovino deglutì, come per mandare giù un boccone di una pietanza disgustosa.

-Mi ha detto di dirti che ti ama.

Le guance dell’anziano si colorirono e i suoi occhi si inumidirono.

-Ve, anche io, non ho mai smesso.

-Ugh, potevi aspettare di dirlo direttamente a lui, no? No, proprio a me dovevi dire questa schifezza sdolcinata.

Feliciano rise, nonostante le lacrime gli scendessero sul volto.

-Mi ha chiesto anche un’altra cosa.

Lovino gli prese una mano.

-Mi ha detto di chiederti se puoi raccontare qualcosa a Europa. Le ricorderà come favole della buonanotte, ma… Ma le favole sono insegnamenti che rimangono per sempre.

L’anziano gli sorrise e annuì, guardando la piccola nazione continuare a colorare.

Angela richiuse gli occhi, continuando a fingere di dormire. Non aveva capito nulla di tutto quello che era stato detto.

 

Feliciano sorrise, guardandosi indietro. Avevano dovuto lottare un po’ per convincere medico e infermieri a lasciarlo andare, ma alla fine avevano ceduto: dallo sguardo dell’anziano avevano capito che era una specie di ultimo desiderio, che non importava tutto quello che loro avrebbero fatto, perché lui si sarebbe semplicemente lasciato andare. Angela e Romano, che dovevano parlare riguardo allo spirito, lo guardavano da in cima alla collina di Villa Geranio, mentre si allontanava lentamente con Europa.

Alle orecchie del bambino, tutto pareva nuovo e incredibile e risuonava nella sua testa come echi, ai suoi occhi quelle storie erano solo profili di un mondo che era. La sua fantasia impreziosì i racconti, li trasformò e mutò.

Avrebbe pensato alla storia del Grande Imperatore, che aveva ingoiato il cosmo così che dai suoi occhi si poteva vedere l’intero universo, e i suoi due nipoti, cui regalò la terra prima di andarsene (per dove, nessuno lo sapeva).

La storia del Re degli Elfi che viveva sopra un albero d’oro che segnava il punto dove le due metà della terra si univano, gli era piaciuta. Il giovane re aveva forgiato la sua armatura splendente fondendo cinquanta stelle e grazie al potere da loro derivato era diventato un cavaliere tanto forte da poter spostare le montagne a mani nude.

E che dire del Principe Fenice, del leggero Spirito delle Nuvole dai lunghi capelli scuri e di suo nipote, lo Spirito delle Acque? Lo Spirito della Terra, che faceva nascere i suoi frutti cantando e suonando, insieme a uno dei due nipoti del Grande Imperatore. Come dimenticare il Principe Ranocchio, che aveva imparato l’arte della trasformazione per fuggire ai propri nemici ma che, in forma umana, era uno dei principi più belli che la terra avesse mai visto? Senza parlare del Re dell’Isola e dei suoi fratelli, potenti principi delle fate.

Avrebbe narrato, il bambino, del bel Principe amato da uno dei nipoti del Grande Imperatore: il suo più grande desiderio era trovare la Fonte della Felicità e partì. Ma ecco che, durante il viaggio, venne mangiato da un drago a quattro braccia e i cavalieri e i principi lo sconfissero solo grazie all’aiuto del Solitario Gigante della Neve, che ghiacciava col suo sospiro ogni fiamma sputata dal drago. Il Principe uscì dalla pancia tagliata del mostro e si lavò del sangue della creatura come segno di purificazione.

E, infine, avrebbe ricordato come un giorno una strega aveva lanciato una maledizione per far cadere buio su tutta la terra e di come i cavalieri, impazziti, si fossero uccisi a vicenda o si fossero lasciati morire, annientati dal dolore, invecchiando fino a scomparire.

Aveva imparato quelle storie e forse, un giorno, le avrebbe comprese, avrebbe alzato il velo di leggenda di cui le aveva ricoperte e avrebbe capito qual era la verità. Ma fino ad allora lo zio Feliciano sarebbe sempre rimasto il nipote cantastorie del Grande Imperatore e suo padre lo sposo dello Spirito della Terra.

 

Angela si affrettò, tornando indietro sulla strada che costeggiava il villaggio. Era il calar del sole. Era andata a casa, quella mattina, per prendere due vestiti e chiedere ai genitori se poteva rimanere qualche giorno ospite alla villa, per vegliare sul signor Feliciano. Sapeva che non le avrebbero mai detto di no, perché sapevano quanto gli voleva bene. Aveva saltato l’orario di visita comune a tutti i volontari perché aveva anche dovuto avvertire Alfonso che il suo nuovo amico sarebbe rimasto alla villa col figlio. Gli aveva detto che lui e il signor Vargas erano parenti e sapeva di non aver mentito. Tuttavia… Era ovvio intendesse fossero nonno e nipote, eppure dal discorso che aveva origliato i due avevano parlato come se fossero stati fratelli. Non era ovviamente possibile, ma del resto l’intero dialogo aveva un ché di straordinario e di singolare. Avevano parlato di nazioni come se fossero state persone, persone che non invecchiavano col passare degli anni, ma secondo altri parametri; avevano parlato di visioni, di un nonno e della Guerra Totale come se l’avessero vissuta direttamente per intero. Era stato un racconto curioso, da pazzi, eppure era stato così coerente da sembrare reale.

Del resto, avrebbe potuto spiegare come mai il signor Feliciano aveva vissuto così tanti anni per poi essere invecchiato tutto di un colpo.

Angela sentì un brivido attraversarle la schiena. Guardò avanti, vedendo Villa Geranio in lontananza. Cercò di dare una cadenza regolare al proprio passo, per essere sicura di non rallentare mentre era in sovrappensiero.

C’erano così tante cose che voleva sapere, così tante cose che non aveva capi…

-Ma quello…

Si bloccò, guardando a pochi metri di distanza lo spirito camminare con passo lento verso la villa.

“Mi disse che sarebbe venuto a prenderti.”

Angela continuò a fissarlo, mentre, con le mani in tasca, continuava sul suo percorso.

“Mi ha detto di dirti che ti ama.”

La ragazza arrossì al pensiero di aver sentito quella frase. Non avrebbe dovuto ascoltare qualcosa di così intimo del signor Feliciano, ma non poteva sapere che ne avrebbero parlato.

“Anche io, non ho mai smesso.”

Angela provò a gridare per chiamare lo spirito, ma non le uscì la voce. Anche se sapeva che era un fantasma buono, che non le avrebbe fatto del male, una forte paura le prendeva lo stomaco e le stringeva la gola. Ritentò, ma nuovamente non ce la fece. Si rese conto di essere terrorizzata, anche se avrebbe dovuto capire che non doveva temerlo. Ma invece lo faceva. Terribilmente.

Perché quell’uomo rappresentava la morte, per lei.

Poi, lentamente, lo vide svanire.

 

Feliciano provò a piangere. Provò a dirsi che non era sangue, che era solo il tramonto che tingeva il suo viso di rosso. Provò a gridare, ma uscì solo un suono strozzato. Gli prese il volto fra le mani, fissando i suoi occhi chiusi, le labbra che già si stavano facendo troppo livide.

-L… Lu…

Lo sentì, fra le proprie mani. La sua carne farsi improvvisamente rigida, fredda, come un pezzo di roccia.

Si piegò sopra il corpo. Faceva troppo male per riuscire a pensare.

Feliciano aprì gli occhi. Tentò di riprendere fiato, sentendo un grande peso sul cuore. Si toccò le guance bagnate. Cercò con la mano un fazzoletto per asciugare le lacrime. Aveva risognato spesso la morte di Ludwig durante tutti quegli anni.

Si mise le mani intorno la testa, sentendola scoppiare. Gli sembrava che il cuore pulsasse dentro le sue tempie. Si guardò intorno, alla ricerca di un bicchiere d’acqua, che fortunatamente trovò sopra il comodino.

Lovino stava seduto addormentato sulla poltrona, con Europa fra le braccia. Angela l’avevano portata in una stanzetta adiacente a quella di Feliciano.

L’anziano sorrise dolcemente, mentre il dolore alla testa si faceva un po’ più leggero. Sapeva che l’avrebbe accompagnato per tutto il resto della notte, ma non era sgradevole come quando si era appena svegliato.

Poggiò il capo sul cuscino, cercando di modulare il respiro.

Non vedeva l’ora di rincontrarlo.

 

-Ma io l’ho visto!

-Calmati, Ofelia, calmati!

-Come diamine avete fatto a non vederlo?!

L’infermiere cercò di tenere la ragazza.

-È tutto a posto, ti sarai sbagliata e avrai visto male.

-Non dirmi che mi sono sbagliata: io so cosa ho visto e ti dico che è scomparso davanti ai miei occhi.

Angela guardò i due, cercando di capire cosa era successo.

-Di cosa state parlando?

-Angela, Santo Cielo, di’ anche tu a questo cretino che io ci vedo benissimo! L’ho visto, per quanto è vero Iddio. Stava lì, con la sua bella divisa ed è sparito! Stava sulla strada che porta qua alla villa e la guardava, diamine, lo so!

-Calma, Ofelia, calma…

-Non ditemi di calmarmi perché ho appena visto qualcosa di impossibile!

Angela separò l’infermiere e l’amica e la guardò negli occhi.

-Calmati e raccontami cosa hai visto.

-Stavo guardando dalla finestra prima di andarmene e l’ho visto, cavolo, era impossibile non vederlo! Questa figura nera, scura, che camminava vicinissimo a qui.

Ofelia prese un profondo respiro, cercando di tranquillizzarsi e quietare i singhiozzi.

-Dio Santo, pareva l’angelo della morte. E poi è scomparso, diamine, proprio come dicevano Valente, Domi e tutti gli altri che dicono di averlo visto. O anche io sto impazzendo o quello era davvero un fantasma!

L’infermiere sospirò.

-Questa cosa ci sta sfuggendo di mano. Tra un po’ uscirà fuori che questo fantasma è sempre stato qui e che semplicemente avevamo paura di raccontarlo in giro! La gente è matta.

-Matto ci sarai te!

Angela bloccò Ofelia che era scattata verso il ragazzo.

-Ofelia, fermati, lascialo perdere. Non parlare a nessuno di questa cosa. Se non ha fatto nulla a nessuno non c’è niente da temere.

-Facile dirlo per te, non l’hai visto! Mi sono venuti i brividi solo a guardarlo da lontano.

Angela fece per parlare, ma si zittì. Non avrebbe avuto senso dirle che lei l’aveva visto due volte e non avrebbe avuto senso neppure spiegarle perché era lì e che presto se ne sarebbe andato. Non avrebbe avuto neppure senso rassicurarla, perché pure lei, sebbene sapesse, non era riuscita neppure a chiamarlo.

-Torna a casa, Ofelia. Michele qui presente ti ci accompagnerà, così sarai al sicuro. Ricorda, non raccontare a nessuno quello che hai visto, sennò la gente entrerà nel panico e sarebbe inutile. Probabilmente fra poco se ne andrà o, se non è mai esistito, la gente lo dimenticherà.

La ragazza guardò l’amica e annuì. La salutò e uscì, guardando male l’infermiere.

Angela guardò fuori dalla finestra, fissando le ultime luci del tramonto. Sentì gli occhi bruciarle e la gola chiudersi. Cercò di trattenere il pianto, ma alla fine cedette e si dovette sedere.

Sarebbe arrivato il giorno dopo.

Lei non avrebbe mai più rivisto il signor Feliciano.

 

Angela chiuse il libro di storia con forza.

-Non dovevamo permettergli di provare ad alzarsi.

Il signor Romano (così aveva deciso di chiamarlo) la guardò e le sorrise.

-Placati, ché l’ho preso al volo.

-Non conta che lei l’abbia preso al volo, conta che lui ha tentato di alzarsi e dopo neppure un passo è svenuto. Mi chiedo come abbia fatto a fare quella passeggiata con il bambino.

-Probabilmente erano le sue ultime forze.

La ragazza guardò il piatto che stava sopra il comodino.

-Non ha neppure mangiato…

Romano scostò la tenda, guardando fuori. Quel giorno si erano svegliati e avevano visto un cielo nuvoloso, grigio e cupo. Non aveva piovuto fino a quel momento, ma non si poteva dire non l’avrebbe fatto entro la fine della giornata. Col passare delle ore si era cominciato a rivedere qualche sporadico raggio di sole, ma era un sole freddo, strano per un’estate che fino a quel momento era stata così calda.

Feliciano si svegliò lentamente e girò lo sguardo per la stanza, cercando il fratello, il bambino e la ragazza. Sorrise, sentendosi in difficoltà nel respirare.

-Cos’è questo rumore?

Angela aprì la porta, sentendo un gran baccano giù dalle scale, al piano terra. Scese in fretta, sentendo qualcuno gridare.

-Oh mio Dio. Oh mio Dio mio Dio mio Dio…

Michele guardava fuori dalla finestra. Dietro tre infermiere si guardavano spaesate fra di loro. Un’anziana era seduta e si teneva il petto con una mano. Un infermiere le stava vicino e cercava di rassicurarla, nonostante fosse ovviamente terrorizzato.

-Angela!

-Che è successo?

Michele le si avvicinò, con aria sconvolta, pallido in viso.

-È lui, è qui. Ofelia aveva ragione. Sta davanti alla porta! Il fantasma!

Si sentirono dei colpi alla porta e tutti sobbalzarono. La ragazza li guardò tutti, pensando a cosa fare. La paura le stringeva lo stomaco, ma non doveva cedere. Doveva farlo entrare, perché era questo che era venuto a fare, perché era questo che il signor Feliciano voleva accadesse.

-Non vi preoccupate… Lasciate stare il fantasma: si è sempre visto solo durante il tramonto. Andate tutti nel salotto con gli altri e rassicurate gli anziani, non fate capire loro che c’è qualcosa che non va.

Le infermiere si guardarono, cercando di farsi forza a vicenda, dicendosi di seguire l’ordine che aveva dato la ragazza, l’unica che pareva aver preso in mano la situazione. Si allontanarono senza parlare, portando con sé l’anziana signora e facendole cenno di fare silenzio. Michele guardò Angela.

-E te?

-Io tornerò di sopra, non ti preoccupare. Ora vai in salotto con gli altri.

-Ma…

-Vai. In. Salotto.

Il ragazzo sobbalzò, sentendo la voce ferma della giovane. Guardò la porta, poi Angela. Sospirò, facendo dei passi indietro.

-Non fare stupidaggini.

Lei annuì, vedendolo andarsene e chiudere la porta del corridoio verde che portava ai salotti. Si mise di fronte alla porta e respirò profondamente. Allungò lentamente la mano verso la maniglia.

-Devi aprire. Devi aprire. Devi aprire.

Sentiva del sudore freddo scenderle dalla fronte. Aveva paura. Aveva avuto paura la prima volta che l’aveva incontrato, aveva avuto paura l’ultima volta che l’aveva visto e aveva paura in quel momento.

-Basta il coraggio di un attimo… di un attimo…

Tremò, chiuse gli occhi, poi afferrò la maniglia e velocemente spalancò la porta. Aprì le palpebre. Non c’era nessuno. La ragazza si guardò intorno, cercando il fantasma con lo sguardo. Sentiva un’aria fredda colpirla in viso, ma lui non c’era. Ci aveva messo troppo? Richiuse la porta, pensando a cosa dire a Michele e gli altri il giorno dopo per farli nuovamente andare via. Improvvisamente, sentii un cigolio. Sobbalzò, girandosi verso le scale. Le scale che facevano rumore quando qualcuno ci passava sopra, che erano così vecchie che nessuno aveva mai riparato. Cigolavano, come se un peso ci stesse passando sopra.

Angela corse davanti alle scale. Guardò in alto e le sembrò di vedere un riflesso che sparì in un attimo. Cominciò a correre su, tentando di non pensare che avrebbe potuto attraversare lo spirito. Corse verso la camera del signor Feliciano e spalancò la porta, bloccandola con una sedia.

-È qui.

L’anziano sorrise, guardando verso la parete a sinistra del letto.

-Lo so.

Angela si sedette lontano, davanti al letto, cercando di vedere quello che vedeva il vecchio. Continuò a guardare la parete, poi pensò, dal viso di Feliciano, che lo spirito fosse più vicino e che semplicemente lui non le apparisse.

Il signor Romano prese il bambino fra le braccia, accostandosi alla ragazza in silenzio. Nessuno di loro tre, spettatori, aveva il coraggio di parlare.

La voce di Feliciano era debole, quasi divertita.

-Ero convinto che quando… quando il tempo sarebbe passato, la natura avrebbe coperto il mio corpo vicino al tuo sepolcro, e la terra l’avrebbe fissato per sempre, quanto Feliciano amò Ludwig, che si sdraiò vicino a lui, lasciò che la morte arrivasse, perché non poteva sopportare di perderlo ancora una volta. Non mi importava più di niente, neanche del mio cadavere, che potevano razziare gli animali, perché l’amore aveva già incatenato da tempo il mio corpo al tuo; così avrei abbandonato questo mondo, la mia anima mi avrebbe lasciato per sempre e la nostra storia sarebbe stata una piega del terreno, sporca della polvere della storia.

Il discorso fu rotto da un breve singhiozzo.

-Ludwig… Mi sarebbe sembrato di morire un po’ di meno se fossi morto con te…

Feliciano tirò un respiro più pesante e roco.

-Ve, mi sono sentito così solo… così tanto solo…

Angela sbarrò gli occhi umidi. Ora le sembrava di vederlo, lì, sorridente, al lato del letto. Lo vide togliersi un guanto, accarezzare dolcemente il capo del signor Feliciano. La luce gialla filtrò dalla finestra, mentre le nuvole si diradavano. Le sembrò di cogliere il luccichio di una lacrima sulla guancia. Lo vide chinarsi, come per dare un bacio sulle labbra del suo amato morente.

Feliciano chiuse gli occhi, come a ricevere quel bacio.

Non li riaprì più.

 

Era stato difficile. Faceva male. Angela aveva pianto tutta la notte e buona parte della giornata successiva. L’intera città era stata in lutto e anche la natura sembrava star piangendo una grave perdita. Fu nuvoloso per due giorni, anche se non aveva piovuto neanche una goccia. Tuttavia, al funerale del signor Feliciano, il sole splendeva come mai prima di quel momento.

Il signor Romano aveva danzato, la notte della morte del parente, con il figlio che cercava di stargli dietro. Angela l’aveva visto, dalla finestra, perché non riusciva a dormire. Sembrava stesse esorcizzando il proprio dolore.

Non aveva mai creduto di vedere il suo fratellino invecchiare e morire, Lovino. Per così tanti anni era stato convinto che se ne sarebbe andato lui per primo, che avrebbe controllato Feliciano con il nonno dall’alto. Invece, le cose erano andate molto diversamente e l’invecchiamento delle nazioni non coincideva con il tempo che passavano sulla terra. Aveva visto suo fratello nascere (se lo ricordava ancora, così piccolo e rosa) e, in poco tempo, l’aveva visto andarsene.

Tutti avevano versato due lacrime. La morte di Feliciano non era solo la perdita di un anziano: era la perdita di una grande ricchezza, di un uomo gentile, cortese, saggio. Era la perdita di qualcuno che sembrava non se ne dovesse andare mai. E nonostante tutti, al sapere della malattia, si fossero preparati a ricevere la triste notizia, nessuno aveva mai seriamente pensato che sarebbe morto. Sembrava impossibile, una cosa incredibile e terribile.

Ofelia raccontò di uno strano sogno che aveva fatto. Aveva dormito in mezzo al campo del padre perché faceva troppo caldo dentro casa e aveva sognato di svegliarsi e vedere lo spirito allontanarsi tenendo per mano un giovane ragazzo, che gli camminava dietro.

Il fantasma non si vide più. Qualcuno diceva che non era mai esistito e qualcun altro, più a ragione, per quel che sapeva Angela, credeva che il signor Feliciano fosse un uomo tanto importante e saggio che la Morte stessa si fosse scomodata a venirlo a prendere di persona.

Fu seppellito dentro la chiesa e il giovane Leonardo finì le nuove decorazioni per la parrocchia in tempo apposta per il funerale. Venne creata una targhetta, con nome e cognome, senza anno di nascita. Si ripromisero tutti che Feliciano non sarebbe mai davvero morto: i suoi racconti sarebbero sempre vissuti e loro l’avrebbero narrati alle generazioni successive, per sempre.

Angela guardò il signor Romano chiudere lo zaino.

-Se ne va davvero, allora.

L’uomo annuì.

-Devo andare più a sud a controllare la ricostruzione delle antiche città, delle strade che le collegano. Poi, chissà, magari mi imbarcherò su una nave mercantile e farò nuovi incontri. Rivedrò i luoghi che vidi molto, molto tempo fa. Ho terminato il mio compito qui. Ho avvertito Feliciano, gli ho detto quello che dovevo dirgli, l’ho visto morire, l’ho seppellito. Ho finito.

La ragazza sorrise. Lo accompagnò fino alla porta, dove il bambino lo attendeva col proprio, piccolo bagaglio, già in spalla. Li salutò, baciandoli sulle guance, con un po’ di amarezza nel cuore.

-Signor Romano.

L’uomo si girò.

-Non verrà dimenticato. Da nessuno, mai.

L’uomo annuì e rispose.

-Credo che sia l’unico cantastorie il cui nome verrà ricordato più di quello dei suoi eroi.

Cominciò a camminare, scortando il bimbo per mano.

-Signore?

-Sì?

-Io…

La ragazza cercò le parole adatte, senza trovarle.

-Grazie per averci insegnato a ballare come fa lei, signore.

Lovino rise, capendo quello che voleva dirgli, poi si allontanò, sparendo all’orizzonte.

 

 

Note di Elfin

Finito! Spero che la storia vi sia piaciuta almeno quanto è piaciuto a me scriverla. Ho avuto delle difficoltà (voi immaginate di scrivere una roba del genere quando il vicino di casa ascolta Barbie Girl ad alto volume senza alcuna ragione); ho dovuto cambiare spesso i tempi verbali di interi pezzi, quindi spero di non essermeli persi in giro :P

Lovino… Lovino ha fatto il suo spiegone. Ho dovuto tagliare dei pezzi più espliciti per non allungare ulteriormente la storia, purtroppo, ma spero di non aver saltato cose. Non ho raccontato qual è stato il casus belli appositamente. Diciamo che lo voglio lasciare a voi ^^”

Mi ha divertito molto creare personaggi favolistici basandomi sui personaggi di Hetalia! Purtroppo non li ho potuti scrivere tutti tutti… Spero che si capisca chi è chi e ditemi qual è stato il vostro preferito :)

Recensite e fatemi sapere quello che ne avete pensato, per favore :3

Ringrazio Betchi_ che ha recensito lo scorso capitolo! Ringrazio anche tutti i lettori silenziosi e tutte le persone che hanno messo la storia fra le preferite, fra le seguite o “da ricordare”, perché siete stati tanti e mi avete reso davvero contenta! :D

Kiss

   
 
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