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Autore: ElFa_89    04/05/2009    10 recensioni
<< sai Bra….noi vampiri assomigliamo molto alle Falene…almeno per l’aspetto… >>
la sentii trattenere il fiato
<< mi stai dicendo che noi da umani eravamo come delle farfalle? >> sussurrò
<< in un certo senso credo di sì >>

***
Legata alla fiction 'IL MIO CUORE NON BATTE'
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Isabella Swan
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'IL MIO CUORE NON BATTE'
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Dopo lunghi tormenti e notti passate in bianco…

Dopo lunghi tormenti e notti passate in bianco…..

Mi sono decisa!!!

Ebbene eccomi qui a  presentarvi la mia nuova one-shot!

Premetto che questa fiction non è altro che un’appendice della fiction che ho ora in corso IL MIO CUORE NON BATTE quindi se l’avete letta capirete al volo di che sto parlando!

Altrimenti potete leggerla lo stesso come un racconto!

Oppure se proprio vi siete pentiti di aver cliccato sul link potete tranquillamente cliccare la X in alto a destra!

La fiction parla del primo incontro tra la nostra Isabella con la piccola Bra e del legame che si crea tra le due!

Non credo che serva dirvi altro!

Tanto chi sa di che cosa parla ha già capito mentre chi ignora il tutto si confonderebbe ancora di più!!!!

Quindi…rullo di tamburi….

Buona lettura!!!!!

 

 

 

 

FALENA

 

 

 

 

 

Era da un po’ che pensavo alla morte.

Erano cinquant’anni che era entrata nella mia routine.

Io stessa ero causa di morte.

Come lei era stata la causa di quello che ero diventata.

Da quando ero morta tutto era cambiato.

Il modo di vedere il mondo, il modo in cui il mondo si mostrava a me.

Più passava il tempo più rimpiangevo di essere ancora lì.

La morte era diventata il mio pensiero fisso.

Nella mia vita nulla aveva veramente un senso.

L’unico senso che si poteva attribuire alla mia esistenza era il dolore.

Morte e dolore andavano a braccetto con il mio essere.

Un essere dannato.

Un essere il cui nome risuonava in quei corridoi ormai da troppo tempo.

Corridoi che erano troppo stretti.

Corridoi che non mi volevano lasciare andare.

Corridoi che ormai erano diventati la mia casa.

Sbuffai e mi passai una mano sul viso nel tentativo di scacciare quei pensieri.

Freddo.

Era strano che riuscissi ancora a avvertire quella sensazione.

Forse era un riflesso incondizionato.

Svoltai a destra.

Chiunque si sarebbe perso tra quelle mura.

Ma io no.

Le conoscevo a memoria.

Ogni singola pietra mi era familiare.

Portai gli occhi al cielo.

Elazar mi aveva incastrato.

Era una settimana che lo assillavo per farmi assegnare qualche missione.

Ma lui non ne voleva sapere.

Forse aveva immaginato…

Ma alla fine ero riuscita a convincerlo.

E adesso me ne pentivo.

Odiavo le prigioni.

Erano noiose.

E passarci del tempo mi deprimeva.

Ma erano due settimane che la mia giornata consisteva nel mangiare e nel contemplare la mia stanza.

Almeno quella era un’eccezione.

Anche se a dire il vero era una pessima eccezione.

Sbuffai rumorosamente.

Poco mi importava se qualcuno mi sentisse.

Poco mi importava e basta.

Ultimamente la mia vita era diventata un susseguirsi di azioni svolte per abitudine e inerzia.

E neppure oggi sarebbe stata un’eccezione.

Inizia a scendere dei gradini in pietra umida.

Poco mi importava se il lembo del vestito rosso si rovinasse.

Quel colore mi ricordava troppo il sangue.

Proprio quel sangue che per i vampiri era segno di immortalità.

La cima della catena alimentare.

Scesi gli scalini con estrema calma.

Le segrete.

In quel luogo regnava il silenzio più assoluto.

Solo io producevo rumore.

Il leggero frusciare del mio vestito si propagava per il corridoio mentre il ticchettio dei tacchi sembrava scandire il ritmo della mia camminata.

Estremamente lento.

Estremamente umano.

Continuai a camminare per quei corridoi umidi.

L’idea di sorvegliare une porta per l’intero pomeriggio non mi allettava minimamente.

Non mi era neppure importato cosa si celasse di tanto importante da prevedere la mia guardia.

E solo ora mi rendevo conto di quanto la cosa fosse strana.

Sicuramente si trattava di qualche romeno accusato di aver programmato un attentato a Volterra.

Classico.

Anche se a dire il vero mai, in questi cinquant’’anni avevo assistito a un fatto del genere.

Da quel che ne sapevo Volterra non aveva mai imprigionato nessuno.

Chiunque si trovasse sotto prigionia però non lo invidiavo.

La sera stessa sarebbe morto.

Chissà se sarebbe toccato proprio a me l’onore.

Poco importava.

Iniziai a aumentare il ritmo della camminata.

Odiavo il silenzio di quel luogo.

I miei pensieri scivolavano svelti e la cosa non mi piaceva.

Iniziai a sentire in lontananza dei rumori.

Passi.

Ridacchiai.

Qualcuno stava facendo avanti e indietro.

Dovevo essere in ritardo.

Ghignai.

Mi piaceva farmi aspettare.

Rallentai ulteriormente e iniziai l’avanzata a passo umano.

I passi si erano fermati.

Avanzai piano.

Come facevo da umana.

Come imponeva il galateo francese.

Percorsi il corridoio nella massima compostezza.

E svoltai l’angolo.

-scusa il ritardo Felix…- soffiai sorridendo.

L’energumeno si fermò a guardarmi.

Dopo avermi fatto il check-up si avvicinò gongolante.

Mi sorrise.

Prese la mia mano e vi depositò un casto bacio.

Un perfetto baciamano.

Poi con un cenno del capo mi salutò e si dileguò.

Lasciando alle sue spalle una smorfia appena comparsa sul mio viso.

Odiavo quel genere di attenzioni.

Istintivamente struscia la mano sul vestito.

Il raso mi solleticò leggermente la mano.

Dovevo sembrare una bambola di porcellana.

Indossavo un vestito da ricevimento in dei sudici sotterranei.

D'altronde la classe non è acqua.

Mi guardai intorno.

La mia attenzione fu subito attratta da una sedia sull’angolo.

La guardai attentamente.

Ebano con i cuscini in seta bianca.

Non si erano mai viste sedie del genere nelle prigioni.

Ma Volterra era diversa da qualsiasi altro luogo.

Sospirai e sprofondai sulla poltrona.

Era soffice.

Accavallai le gambe e posai entrambe le mani sul ginocchio alto.

Iniziai a guardarmi intorno.

Il luogo non era dei migliori.

La pietra fredda era l’unico ornamento alle pareti.

Pareti leggermente illuminate.

Due fiaccole erano appesa ai margini del corridoio

Ambiente umido e  in penombra.

Probabilmente pure freddo.

Non era salutare.

Ma tanto ero già morta.

Poco avrebbe potuto fare il clima sbagliato.

Spostai la mia attenzione alle ragnatele sui muri.

I ragni zampettavano tranquilli sulle loro creazioni.

Le loro piccole prigioni.

Ma a differenza di quelle di Volterra sembravano essere vuote.

Chissà quanti metri sotto terra mi trovavo.

Meglio non pensarci.

Spostai lo sguardo sopra le mia testa.

Un altro ragno.

Un’altra ragnatela.

Sul mio viso si dipinse una smorfia.

Quel posto faceva schifo.

Ma la mia attenzione fu catturata da quel ragno.

Indaffarato.

Contento probabilmente.

Aveva catturato qualcosa.

Assottigliai la vista.

Una falena.

Stupida falena che si agitava tanto.

Ormai il suo destino era compiuto.

Le sua ali erano intrappolate nella tela del ragno che soddisfatto rigirava la su preda per trasformarla in un bel bozzolo.

L’avrebbe lasciata lì a morire.

E poi quando ne avesse avuto voglia se ne sarebbe ricordato.

Avrebbe sfilato la sua preda dal bozzolo.

E l’avrebbe mangiata morta.

Mentre quella falena sarebbe morta lì da sola, tra gli stenti.

Il dolore.

La paura.

Sarebbe morta in prigionia.

Consapevole che la morte si stava avvicinando.

Consapevole che era succube di un destino più grande di lei.

Probabilmente era solo una falena.

E non avrebbe pensato a nulla di quello.

Chissà se le falene soffrono?

Chissà come c’era arrivata quella falena lì?

Magari anche lei si era trovata in quel posto senza rendersene conto.

Magari aveva iniziato a apprezzare quel posto.

Magari aveva iniziato a trovarlo ospitale e a chiamarlo casa.

Magari quella falena non era tanto diversa da me.

Entrambe imprigionate in una tela troppo grande per loro.

Entrambe succubi del loro destino.

Sospirai.

Ero scesa nelle segrete per allontanarmi dai miei pensieri, ma quelli mi avevano seguiti fin lì.

Distolsi lo sguardo lasciando la falena al suo destino e iniziai a contemplare il muro di fronte a me.

Noioso.

Avrei potuto portarmi un libro.

Sarebbe finito troppo presto…

Magari due.

Inutile.

Chi volevo prendere in giro?

Non riuscivo a distrarmi con  nulla.

Neppure il sangue umano era per me una vera distrazione.

La frenesia era finita.

Mangiavo perché dovevo farlo.

Ma non avevo fame.

E se mangiavo non mi saziavo.

Tutta colpa del mio chiodo fisso.

La morte.

Quanto la desideravo.

Quanto la bramavo.

Quando la volevo.

Quanto la sognavo.

Ma sapevo che a Volterra non l’avrei mai trovata.

E sapevo che non avrei mai potuto lasciare Volterra.

Io ero di proprietà di Volterra.

Io servivo a Volterra.

Elazar l’aveva immaginato.

Per quello mi aveva rinchiuso tra quelle mura.

Sapeva che se avessi avuto l’occasione mi sarei fatta fare a pezzettini.

Mi sarei fatta ammazzare.

Trasformare in un mucchietto di cenere.

Che non avrei reagito.

Elazar era intelligente.

Lo era sempre stato.

E io lo avevo sottovalutato.

E oltre a non avere più mezza possibilità che il mio piano andava in porto non uscivo da un mese.

Stavo diventando pazza.

Iniziai a dondolare la gamba come a scandire il tempo.

Mi rilassai sullo schienale della sedia e chiusi gli occhi.

L’unica cosa che sentivo era silenzio.

Mi concentrai al massimo.

Lo zampettio del ragno sopra la mia testa.

Il lieve fruscio della falena ormai i trappola.

Altri rumori.

Altri insetti che si trovavano in quel luogo.

Il gocciolio dell’acqua sulla fredda pietra.

Lo zampettare di qualcosa di più grande.

Forse un topo.

Annusai l’aria.

Si era un topo.

Il leggero scoppiettare del fuoco delle fiaccole.

Il fruscio di un battito d’ali.

Probabilmente un’altra falena pronta a cadere in trappola.

Stupidi animali.

Il sibilo del’aria.

Strano, eppure non c’erano finestre.

Un singhiozzo.

Spalancai gli occhi all’istante.

Un singhiozzo?

Mi alzai in piedi dalla sedia.

Mi guardai intorno.

Non c’era nessuno.

Possibile che quel suono lo avessi solo immaginato?

Tirai le orecchie.

Non sentivo nulla.

Probabilmente era lo stress.

Sprofondai nuovamente sulla sedia.

Ma prima che potessi poggiare la schiena sullo schienale lo sentii ancora.

Un singhiozzo.

Concentrai tutti i miei sensi.

Un altro singhiozzo.

Soffocato.

Appena accennato.

Come a voler essere nascosto.

Mi alzai nuovamente in piedi.

Il mio corpo rigido.

I miei occhi che guizzavano dappertutto.

Un altro singhiozzo.

Mi irrigidii.

Veniva dalle mie spalle.

Un altro singhiozzo.

Voltai leggermente la testa.

Che stupida.

Ero così concentrata sulla sedia che non avevo notato la porta dietro di essa.

Patetica.

Mi ero totalmente dimenticata che ero in quel luogo per controllare qualcuno.

Mi massaggiai le tempie.

Ne andava della mia sanità mentale.

Sospirai.

Afferrai la sedia e la misi dall’altra parte del corridoio.

Scivolai sulla sedai.

E mi trovai a contemplare la porta di legno massiccio di fronte a me.

La studiai attentamente.

Doveva essere spessa almeno come cinque dita.

Vecchia.

Molto vecchia.

E al centro c’era intagliato uno spioncino di metallo.

Chiuso.

Un’altro singhiozzo.

Sbuffai infastidita.

Altri due singhiozzi più forti.

-un po’ di contegno dannazione…- sibilai

di risposta ricevetti solo altri singhiozzi più accentuati.

Alzai gli occhi al cielo.

Odiavo sentire la gente piangere.

I deboli piangevano.

Le persone senza polso.

Le persona senza identità.

Non i vampiri.

I vampiri non potevano piangere.

Non avevano neppure lacrime da versare.

Cercai di ignorare il tutto.

Alzai lo sguardo e incontrai ancora la tela del ragno.

La falena attorcigliata nella tela del ragno, ma del ragno nessuna tracia.

Per un attimo sperai di non averlo addosso.

Ma poi lo vidi zampettare sulla porta.

Odiavo i ragni.

Mi avevano fatto sempre schifo.

No ero mai stata aracnofobica ma non sopportavo di vederli.

Gli trovavo dei mostri.

Ridacchiai.

Ora il mostro ero io.

-perché ridi?-

spalancai gli occhi.

Forse avevo sentito male.

No non era possibile, il sibilo era arrivato chiaro alle mie orecchie.

I singhiozzi erano finiti.

Guardai stupita la porta per alcuni secondi.

Poi mi distesi e sorrisi

-al mondo o si ride o si piange…io ho scelto di ridere…- sussurrai appena

nonostante abbia tanta voglia di piangere…

silenzio.

Rimasi a fissare la porta.

Nessuno avrebbe immaginato che qualcuno si celasse lì dietro.

Nessun rumore.

Nessun cuore che batte.

Pure i singhiozzi si erano interrotti.

-perché ti trovi lì dentro?- domandai incrociando le braccia

silenzio

poi un singhiozzo.

Un sospiro.

-non lo so…- un sussurro appena

una voce dolce ma triste.

-che cosa hai fatto?- domandai alzando un sopraciglio

-nulla…- sussurro

poi un singhiozzo.

Un altro ancora.

Sospirai.

Mi ritrovai a  seguire nuovamente le mosse del ragno che ora zampettava vicino allo spioncino.

Quel ragno faceva tutto per trovarsi nel mio campo visivo.

Mi dava fastidio.

Mi alzai con un fruscio.

E mi piazzai davanti all’esserino.

Ghignai.

Alzai la mano destra e la posizionai a una decina di centimetri dell’animaletto.

Mi concentrai.

E sorrisi mentre il ragno scivolava a terra schiacciato dalla forza del mio scudo.

Alzai lo sguardo dall’esserino ormai informe che giaceva vicino ai miei piedi e mi trovai a fissare la lastra di metallo.

Lo spioncino.

Alzai la mano istintivamente.

Presi la maniglietta e tirai.

Era alto.

Mi misi in punta di piedi e guardai al suo interno.

Mi irrigidii all’istante.

una figura minuta era rannicchiata in fondo alla cella.

Il vestitino di raso bianco ormai sgualcito e tutto sporco.

I capelli ricci spettinati.

Le braccia che stringevano compulsivamente le ginocchia.

Il viso nascosto.

Mi si raggelò il sangue.

-ma..ma tu sei una bambina…- riuscii solo a sussurrare

la creaturina alzò lo sguardo.

La pelle diafana.

Le labbra arrossate.

Gli occhi neri.

Lo sguardo perso.

Disperato.

Uno sguardo che avevo già visto.

Uno sguardo a me troppo familiare.

Mi si strinse il cuore.

Una sensazione di vuoto mi colpì.

Il mondo intorno a me sembrava scomparso.

C’ero solo io e quella bambina.

Occhi negli occhi.

E in un istante tutto mi fu chiaro.

Perché quella creatura si trovasse lì.

Perché le sue risposte erano così semplici e reali allo stesso tempo.

Perché quella era la prima volta che le segrete ospitavano un prigioniero.

Una bambina immortale.

-come ti chiami?- domandai

la bambina sussultò.

Probabilmente non si aspettava una simile domanda.

-Bra…- sussurrò guardandomi negli occhi

il mio cuore prese un battito.

Bra Bra Bra….quel nome riecheggiava nella mia testa come un tamburo

Una strana sensazione di calore mi avvampò.

-e tu..come ti chiami?...- mi domandò esitante

le sorrisi.

Non so perché, ma quella domanda mi aveva fatto molto piacere.

-mi chiamo Isabella…- le risposi

la bambina sussultò e  stinse maggiormente la presa sulle ginocchia.

io la guardai confusa.

-te…sei tu che mi devi uccidere?- soffiò appena per poi iniziare a singhiozzare.

Non più singhiozzi soffocati.

Singhiozzi di terrore, paura,dolore.

Un vero pianto.

Senza lacrime.

Mi sentii mancare….

Io avrei dovuto uccidere Bra…

Il solo pensiero mi faceva male.

Un senso di solitudine, vuoto mi avvolse mentre guardavo quella creaturina contorcersi dal dolore.

Mi sforzai di distogliere lo sguardo.

Mi voltai  e posai la schiena alla porta.

Dolore.

Era la definizione giusta per quello che sentivo?

Inclinai la testa di lato.

E trovai di nuovo il bozzolo della falena.

Rimasi a fissarla immobile.

Si muoveva ancora.

Stava lottando per vivere.

Allungai il braccio destro.

Strinsi il bozzolo nella mano, attenta a non schiacciarlo.

La falena ora si dimenava furiosa.

Come se avesse capito.

Presi il bozzolo con entrambe le mani e inizia a srotolare il filo.

La falena si muoveva sempre di più.

Continuai a trafficare con il bozzolo.

Attenta a non frale male.

Attenta a non stroncarle l’ultima speranza.

Un ultimo tocco e il bozzolo fu sciolto.

Quella tela che la intrappolava scivolò delicatamente verso il pavimento.

Dove già giaceva morto il suo creatore.

Guardai la falena.

La aiutai a girarsi.

Era ancora intorpidita.

Muoveva gli arti a scatti.

Provava a sbattere le ali ma con poco successo.

Le accarezza con un dito il dorso in modo da levarle gli ultimi fili di tela.

Frullò le ali intorpidite.

E iniziò a batterle ancora confusa.

Come se avesse dimenticato come si facesse.

Sorrisi quando finalmente si staccò dalla mia mano e prese il volo.

Un volo prima impacciato.

Poi di nuovo aggraziato degno di una farfalla.

Una bellissima farfalla nera della notte.

La guardai mentre si allontanava.

Un piccolo puntino bianco.

Sorrisi compiaciuta.

Aveva preso la strada giusta.

Chiusi gli occhi e mi rilassai totalmente alla parete.

-hai mai visto una falena Bra?- sussurrai

i singhiozzi si fermarono

-si- un sussurro

-sono animali straordinari…non si arrendono mia, anche quando le speranze sembrano svanite…- sussurrai –mi piacciono le falene..e a te?-

-preferisco le farfalle- un sussurro

sorrisi.

-sai Bra….noi vampiri assomigliamo molto alle Falene…almeno per l’aspetto…-

la sentii trattenere il fiato

-mi stai dicendo che noi da umani eravamo come delle farfalle?- sussurrò

-in un certo senso credo di sì-

aprii gli occhi.

mi piacerebbe vedere una farfalla…sono anni che non  ne vedo una..

mi staccai dalla parete.

Girai su me stessa.

E mi trovai faccia a faccia con la porta di legno massiccio.

Portai entrambe le mani a pochi centimetri dalla porta.

Ghignai.

Schegge di legno rimbalzarono ovunque.

La porta ormai scardinata dal colpo.

Lo spioncino che si accasciava al suolo.

La porta era distrutta.

Due occhi neri mi guardavano confusi.

Incerti.

Curiosi.

Sorrisi.

Bra mi continuava a guardare allibita, rigida come una statua.

Scavalcai i resti della porta tenendomi con la mano il vestito  e mi fermai a un metro dalla bambina.

-cosa fai?- domandò con la voce roca

-la falena- affermai sorridendo

gli porsi la mano.

Lei la guardò confusa.

Poi fece saettare lo sguardo da me alla mano e l’afferrò.

L’aiutai a alzarsi.

-perché l’hai fatto?- domandò titubante

-voglio andare a vedere la farfalle- risposi sorridendo

lei iniziò a singhiozzare.

Mi inginocchia di fronte alla bimba e le posai una mano sulla guancia.

Una dolce carezza.

E per al prima volta il contatto con un altro vampiro mi piacque.

Le sorrisi ancora come per assicurarla.

Il viso deformato dal pianto.

Il dolore nel volto.

La speranza.

Fu più forte di me.

La strinsi forte al petto.

Lei nascose il viso nell’incavo del mio collo.

Abbracciandomi.

Abbracciandoci.

Mi alzai in piedi stringendola in braccio.

E uscii dalla stanza ormai piena di schegge di legno.

Iniziai a camminare per i corridoi.

A  passo umano.

Per godermi il momento.

Sapevo cosa mi attendeva.

Sentii la piccola piano piano smettere di piangere e rilassarsi tra le mie braccia.

Per la prima volta da quando ero diventata un vampiro mi sentivo umana.

Sorrisi all’idea.

Continuai a avanzare per i corridoi.

Non c’era nessuno.

Salii alcuni piani e percorsi un lungo corridoio.

Bra mi stringeva forte nell’abbraccio.

Come se avesse paura che scappassi.

Come se temesse che cambiassi idea.

Come la falena si stringeva alla sua speranza.

Mi fermai davanti a una porta.

Afferrai il pomello d’argento lo girai e entrai.

Chiusi la porta alle mie spalle.

Avanzai verso il centro della stanza e mi lasciai scivolare seduta sul letto a baldacchino.

Accarezzai dolcemente i capelli della creaturina che tenevo stretta tra le braccia e deposi un bacio su quei capelli boccolosi.

Sfilai Bra dal mio abbraccio e la deposi sul letto al mio fianco.

Lei mi guardava confusa.

-questa è la mia stanza…- le spiegai mentre si guardava intorno intenta a assimilare più particolari possibili.

Dopo le segrete la mia stanza doveva apparire come il paradiso.

Sorrisi.

-adesso te mi devi aspettare qui…devo sistemare delle cose..- le sussurrai

lei mi guardò terrorizzata.

Mi inginocchiai sul tappeto di fronte a lei e le posai le mani sulle spalle per attirare la sua attenzione.

-è di essenziale importanza che tu non esca da questa stanza per nulla al mondo…io tornerò presto…- sussurrai l’ultima parte

almeno spero…

lei mi guardò in silenzio.

Poi annuì.

Mi alzai e mi diressi verso la porta.

Sentivo di poter fidarmi.

Afferrai il pomello e qualcos’altro afferrò me sull’orlo dell’abito.

Mi voltai appena.

Bra mi teneva con la manina un lembo del vestito con te testa bassa.

La guardai incuriosita.

Erano anni che non ero abituata a avere relazioni umane.

-promettimi che torni…- sussurrò

sobbalzai.

Poi il mio viso si distese in un sorriso.

Le posai una mano sulla testa e le scompigliai i capelli.

-te lo prometto- sussurrai

la sua presa si sciolse.

Riafferrai il pomello e lo girai.

Aprii la porta e uscii chiudendola alle mie spalle.

Sospirai.

Posai una mano sul legno scuro.

Ti prometto che tornerò piccola…ora ho finalmente un motivo per esistere…

E sorridendo mi allontanai per il corridoio.

 

 

 

 

* * *

 

 

 

Lanciai un’occhiata distratta al mio vestito, o meglio quello che ne rimaneva.

Il vestito di raso rosso era solo un bel ricordo.

Le maniche erano strappate e la gonna era diventata un ammasso di brandelli penzolanti.

Una parte del vestito doveva essere rimasta nel salone.

Anche quella a brandelli.

Nonostante tutto mi era andata bene…

Il braccio destro era rotto e penzolava esanime.

In una notte si sarebbe sistemato.

Nulla di grave.

L’unica cosa che mi sarebbe rimasta addosso era il ricordo e alcune cicatrici a mezzaluna.

Il ricordo che Volterra era l’autorità e che chiunque si opponesse non avrebbe fatto una balla fine.

Neppure se speciale, come me.

Non era bastato usare tutto il mio potere contro una miriade di vampiri assatanati.

Dovevo aumentare il mio potere.

Nonostante fossi alle prime armi non ero soddisfatta.

Mi era andata bene solo perché ero Isabella la cocca di Aro.

Altrimenti ora sarei stata solo un bel ricordo.

Un mucchietto di ceneri nel salone che qualcuno avrebbe spazzato via il giorno dopo.

Per fortuna era andata bene.

Avevo ottenuto quello che volevo.

E il prezzo da pagare non era stato insopportabile.

Sospirai mentre continuavo a avanzare scalza per i corridoi di pietra.

Non ero proprio messa bene.

Se Elazar e Felix non fossero intervenuti probabilmente sarebbe andata peggio.

Annotai mentalmente di ringraziarli.

Un piccolo prezzo da pagare.

Con il braccio ancora intero mi grattai il collo.

Per fortuna ero stata morsa sul retro collo.

Sarebbe bastato tenere i capelli sciolti e il morso non si sarebbe visto.

Per gli altri non avrei potuto far nulla.

Continuai a grattarmi con maggiore foga.

Il veleno era estremamente orticante e fastidioso.

Sbuffai.

E continuai la mia camminata.

Ogni passo che facevo l’ansia aumentava.

Ma la massima velocità che mi era concessa in quelle condizioni era l’andatura umana.

Ogni muscolo era indolenzito.

Mi sentivo uno straccio.

E probabilmente vista dovevo essere peggio.

Allontanai infastidita una ciocca che mi era caduta dall’acconciatura e ora mi solleticava fastidiosamente il viso.

Un bel bagno non me lo avrebbe tolto nessuno.

Girai verso l’ultimo corridoio a destra.

Il mio corridoio.

Avanzai il più velocemente possibile.

Mi fermai davanti alla porta e la spalancai.

Bra era seduta sul letto e appena mi vide balzò giù per venirmi incontro ma si fermò a un metro.

Mi guardava con occhi sbarrati.

Non dovevo essere un bello spettacolo.

Le sorrisi – non ti hanno insegnato l’educazione?mai far notare a una donna se il suo aspetto è un po’ sciupato!-

Lei mi guardò perplessa.

Poi si avvicinò piano.

Mi abbracciò attenta a non farmi male.

-grazie..- sussurrò mentre stringeva quello che rimaneva del lembo della mia gonna.

Io sorrisi.

E con la mano sana le accarezzai la testa.

Rimanemmo così per un po’.

La porta aperta.

Strette in un abbraccio di liberazione.

Ridacchiai.

Lei alzò lo sguardo stupita.

-credo che abbiamo bisogno di un bel bagno…- canzonai

lei mi guardò confusa.

Poi sorrise.

Mi abbracciò maggiormente.

E nascose il viso nella mia gonna.

Singhiozzava.

Le accarezzai dolcemente la testa.

-non piangere…non c’è motivo..- la consolai

lei si lasciò sfuggire un singhiozzo più pronunciato

-piango perché sono felice…- sussurrò tra i brandelli del mio vestito

scivolai per terra.

Troppo stanca per reggermi in piedi.

Troppo emozionata per fingere indifferenza.

Le cinsi le stalle con il braccio sano e la strinsi forte a me.

-anche io sono felice- sussurrai

un abbraccio dolce.

Di due persone che si competano.

Perché una cosa era chiara ora.

Bra aveva bisogno di me.

Io avevo bisogno di Bra.

 

 

 

 

Finito!!!!!

Mi è venuto così..che ci volete fare!!!!

Triste è triste…ma ormai lo sapete..alla vostra PetaloDiCiliegio piacciono i lieti fini!!!

Mi aspetto molte recensioni specialmente da chi mi segue nell’altra fiction!!!!

 

 

 

 

 

…PS…

Voglio dedicare questa piccola storiella a tutti i miei lettori del IL MIO CUORE NON BATTE!

(eh si sto spammando!!!e lo faccio con il sorriso a 36 denti!)

Grazie mille ragazze e continuate a seguirmi!!!!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

KISS KISS

  
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