Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Madison Alyssa Johnson    18/09/2016    4 recensioni
La misteriosa mortre di Victor Cavendish, visconte di Vidal e figlio del duca di Devonshire, attira l'attenzione della regina Vittoria sulle misteriose morti che stanno devastando Dublino. Un nuovo Jack lo Squartatore, che i dublinesi chiamano Molly Mangiauomini, si aggira per le vie della città seminando morte e terrore. Tocca a Ciel e al suo fido Sebastian recarsi sul posto per risolvere il problema.
« Perché Molly Mangiauomini? » rifletté a voce alta. Doveva togliersi quel vizio, ma a volte non riusciva a farne a meno.
« Voi siete troppo piccolo per saperlo, padroncino, ma è così che sono chiamate le donne molto... esperte. » gli rispose il maggiordomo, senza smettere di sbattere le uova. « E se non sbaglio c'è una leggenda che parla proprio di una donna di quella risma che si chiamava appunto Molly, Molly Malone. Pare le abbiano anche dedicato una canzone, di recente. »
« Jack lo Squartatore era una donna... e mezza. » obiettò Ciel. Era arrossito, ma non avrebbe comunque permesso a quel dannato demone di metterlo in ridicolo.
« Certo. » assentì Sebastian.
« E una donna sola non potrebbe sopraffare un uomo di media corporatura. »
« Non se fosse umana... ma non ne avrebbe bisogno. »
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis, Shinigami, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Un febbrile chiacchiericcio si diffuse tra i nobili, non appena mise piede nella sala.
Ciel se ne accorse subito, abituato alle chiacchiere che il Bel Mondo londinese si scambiava anche in sua presenza. Che fosse per il suo aspetto, o per Sebastian che lo seguiva come un’ombra, non gli importava. Non avrebbe messo neanche un’unghia in un mondo sconosciuto, senza il suo maggiordomo.
« Il conte Ciel Phantomhive di Londra. » lo presentò il banditore, ritto accanto ai troni in fondo alla sala. « Viene a porgere i suoi rispetti alle Loro Fatate Maestà accompagnato dal demone Sebastian Michaelis, suo servitore. »
Si inchinò con tutto il busto e rivolse ai sovrani un’occhiata di sottecchi.
Titania era molto più bella di come la disegnasse la letteratura, con i lunghi capelli rossi che le incorniciavano il viso bronzeo e scendevano oltre le spalle sottili. Gli occhi azzurri – senza sclera, né pupilla – riuscivano ad apparire gentili persino nel posarsi sul maggiordomo, che restava in posizione eretta senza la minima intenzione di mostrare deferenza.
Lo stesso Oberon, con i suoi tratti spigolosi e le lunghe dita affusolate, poteva vantare una grazia pacata, ma non effimera, che ben sposava il candore della chioma e la sfumatura argentea dell’incarnato. I suoi occhi neri avevano un che di vacuo, eppure davano a Ciel la sensazione che potessero scavare a fondo nella sua anima. « Nostro giovane ospite » disse, in perfetto inglese « ti siamo grati per aver spazzato via una piaga che nei secoli si è fatta sempre più virulenta. Da oggi in poi, i nostri discendenti potranno vivere in pace nel tuo mondo e questo solo grazie a te. Per questo, il nostro popolo è in debito con te e abbiamo deciso di ripagarti con un dono di pari valore. »
Il conte si irrigidì e dovette farsi violenza per non guardare Sebastian.
Il re chiamò un paggio, che portò al ragazzo un’ampollina colma di polvere dorata, posata su un cuscino di seta rossa. « Questa polvere contiene il potere della nostra famiglia. Se la verserai su tua moglie, tutti i tuoi figli e discendenti avranno la benedizione della natura e saranno protetti da ogni forma i oscurità. » Rivolse una rapida occhiata al demone, quindi tornò a guardare Ciel. « Non è un dono che concediamo a cuor leggero, perciò ti preghiamo di usarlo con saggezza. »
« Lo farò, Maestà. » rispose il conte, con un nuovo inchino. Fece un passo indietro, pronto a ritirarsi, ma regina lo trattenne.
« La via che percorri è tortuosa, insanguinata ed è destinata a una brusca conclusione. » mormorò, con un tono dolce che riusciva a rendere meno amare quelle parole. « Ma con quella stessa polvere potreste liberarvi dal giogo che portate e vivere una vita piena e felice. Dovete solo desiderarlo. »
Ciel sorrise e si rigirò l’ampollina tra le dita. « Lo terrò a mente, Maestà. » rispose. « Prometto che ne farò buon uso. » Si inchinò ancora e prese congedo per mescolarsi con gli altri invitati. Non c’era nessuno, tra questi, con cui potesse parlare, per cui si relegò in un angolo, come al solito. Non osava rivolgere la parola nemmeno a Sebastian, mentre il suo sguardo vagava tra un volto e l’altro della nobiltà fatata – che, contro ogni sua aspettativa, vantava anche qualche umano.
Attratta dalla sua ispezione, una fata gli venne incontro. Aveva la pelle lattea, incorniciata da una cascata di riccioli azzurri, e ad ogni movimento delle ali d’ape faceva ondeggiare l’ampia gonna turchese. « E così voi sareste il nostro liberatore. » lo salutò, in un inglese incerto, arrugginito.
« Così pare. » confermò il ragazzo, sempre più consapevole di ogni sguardo che si posava su di lui e sul suo servitore. « In realtà, ho fatto solo ciò che era necessario. »
« Via, signorino, non fate il modesto. » si inserì il demone. « Non è certo un male che lo abbiate fatto per la signorina Beresford. »
La fata assottigliò le labbra, ma fu costretta ad accettare l’esistenza di quell’essere ripugnante. « Siete amico della changeling dublinese? »
« Per così dire. »
« E solo per lei siete arrivato a scontrarvi con l’Ombra? » lo incalzò la fata, che, dal diadema di foglie di fragola, supponeva fosse una duchessa.
« Era l’unico modo per farla tornar a casa dai genitori, perciò... sì. »
« Ed è stato un duro scontro? »
« Non tanto. » le assicurò il ragazzo, che forse era paranoico, ma non riusciva a credere al candore di quelle domande. « Avevamo già lottato con lui e sapevamo che i metodi normali non avrebbero funzionato, perciò Sebastian lo ha prosciugato dell’energia vitale. » raccontò. « È stato tutto molto veloce, in realtà. Più di quanto mi aspettassi, almeno. »
Gli occhi dell’aristocratica si riempirono di lacrime. Si gettò sul ragazzo con un ululato di dolore e lo prese in braccio per poi prendere quota, verso la cupola.
Non voleva fuggire, capì Ciel. Qualunque fosse il suo piano, era pronta a morire per realizzarlo – e lui l’avrebbe seguita nella tomba. « Neutralizzala, Sebastian! » ordinò al maggiordomo, attento a non dimenarsi troppo per non rischiare di cadere. Sebastian lo avrebbe salvato, come sempre, ma non sarebbe riuscito a fermare la fata.
« Sì, signorino! »
« State indietro! » ordinò la donna, stringendogli le dita attorno alla gola.
Ciel si irrigidì e strinse i denti. « Cosa credi di fare, maledetta pazza? » ringhiò, esasperato dalla frequenza con cui i pazzi che l’universo metteva sulla sua strada tendessero a rapirlo.
« Solo regolare i conti. » rispose lei, che volteggiò sulle teste dei presenti per schivare i coltelli di ferro del maggiordomo. « Voi avete ucciso il mio Labhras e adesso io ucciderò voi. »
Il conte non obiettò. Era animato dallo sentimento, perciò lo capiva, ma non riusciva a spiegarsi perché una fata dovesse tenere all’Ombra.
La duchessa compì un nuovo volteggio prima che potesse chiederglielo e iniziò a salmodiare un incantesimo tra i denti.
L’aria crepitò e si squarciò. Una frattura verticale si aprì al centro della sala, sottile come un capello. Vomitava un’aura rossastra che emanava un intenso tanfo di rancido. Crebbe in fretta, allargandosi fino a permettere ad un braccio di farsi largo per cercare un appiglio.
Sebastian la riconobbe subito. Altre volte l’aveva vista stando dall’altra parte della barricata, ma mai prima di allora una fata aveva tentato una cosa del genere, che lui sapesse. Si sfilò i guanti, stese i palmi verso il portale e recitò l’incantesimo opposto.
La magia della fata si oppose alla sua e tese alla mano di tenebra che si affacciava una gemella di luce a cui ancorarsi. Era potente e sarebbe riuscita a tirare fuori chiunque stesse richiamando, se solo fosse riuscita a stabilire un contatto.
Doveva disperderla. Rilasciò le proprie tenebre, che si allargarono alle sue spalle come dita e si tuffarono sul bersaglio. Lo fecero esplodere in migliaia di frammenti, mentre il demone recitava l’incantesimo sempre più in fretta.
Il portale si chiuse con uno sfrigolio e il braccio, che non aveva fatto in tempo a ritrarsi, evaporò sotto gli occhi dei presenti, paralizzati dalla paura.
La duchessa urlò e avvolse Ciel in un bozzolo di luce nera, che tuttavia non nascondeva agli sconvolti spettatori la vista della sua espressione sofferente, né il suo istintivo toccarsi la gola e spalancare le bocca in cerca d’aria.
Sebastian balzò verso di lei, ma la fata lo respinse con uno scudo di luce che la avvolse come una bolla.
« Fermati, Blodwen! » gridò una voce maschile sotto di loro. « Figlia mia, cosa stai facendo? »
« Quello che è giusto, padre. » rispose lei, impassibile. « Vendicare mio nipote. »
« Tuo nipote era un mostro e ci avrebbe uccisi tutti, se il ragazzo non lo avesse tolto di mezzo! » la rimbeccò con astio una fata più giovane.
« Ed era ciò che avreste meritato! » sbottò la duchessa, allentando la presa su Ciel. « Sapete tutti che è stata mia madre a ordinare l’omicidio della mia amata sorella e ancora vi raccontate la favoletta che sono stati i demoni! È colpa vostra se Labhras è diventato l’Ombra! » strillò e, in un impeto di rabbia, scagliò su di loro il diadema, lasciando andare Ciel.
L’impatto tra il bozzolo e la bolla fece esplodere entrambi gli incantesimi, scatenando un’onda d’urto che sbalzò di lato sia il ragazzo, sia la fata.
Sebastian si lanciò verso di lui e lo prese al volo. « State bene, signorino? » domandò, mentre lo posava a terra.
Il conte non rispose, troppo impegnato a tossire, ma gli rivolse un’occhiata truce.
Il maggiordomo gli massaggiò la schiena per applicargli una lieve magia curativa, senza perdere di vista Blodwen, che era stata circondata e imprigionata dagli altri nobili. « Cosa volete che faccia, padroncino? »
Ciel arricciò le labbra. « Andiamo via. » decise. « Non voglio più vedere una fata in vita mia. »
« Sì, mio lord. » Il demone lo prese in braccio e con la sinistra aprì un passaggio per la Terra.  

 

Ciel si lasciò cadere sul letto e stirò le braccia il più possibile. Quella specie di festa in suo onore era stata la più breve a cui avesse mai preso parte, eppure si sentiva esausto, non nel tanto nel fisico, quanto nella mente. Si massaggiò le tempie. « I pazzi devono smetterla di rapirmi, una buona volta. » borbottò, irritato da quel pulsare sordo delle tempie.
« Davvero disdicevole, signorino. » concordò Sebastian, che aveva già tirato fuori la camicia da notte. « Ma del resto... sembrate fatto apposta per questo. » aggiunse, con un ghigno.
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata assassina e si tirò a sedere.
L’altro ridacchiò e si inginocchiò davanti a lui per cominciare a sbottonargli la redingote.
« E comunque, le fate non sono minuscole, di norma? » chiese il conte, che temeva quello strano silenzio per un motivo che nemmeno lui riusciva a decifrare.
« In questa dimensione sì, signorino. » rispose il maggiordomo, sfilando la giacca. « Sono creature connesse all’energia dell’universo in cui si trovano e il loro aspetto fisico riflette la sintonia che hanno con essa. Pur essendo nate in questa dimensione, il loro legame con questo mondo si è sfilacciato sempre di più e loro si sono... rimpicciolite. Per questo hanno creato Lyressa, un universo artificiale in cui possono prosperare, con le conseguenze che avete visto. »
Il giovane lord sospirò. « Beh, spero di non vederne mai più. »
« E del loro dono cosa avete intenzione di fare? »
« Per ora niente. » ammise il ragazzo, con un lieve sbadiglio. Si alzò per farsi sfilare i pantaloncini e alzò le braccia per farsi infilare la camicia da notte. « Ma forse la darò a Lizzie, prima o poi. O, se dovessi morire prima di farlo, provvederai tu. »
« Sì, signorino. » promise il demone e gli lisciò addosso la stoffa candida. « Ora mettetevi a letto... prima che decida di tenervi sveglio. »
Il giovane lord gli rivolse un sorrisetto furbo e lo prese per i rever della giacca. « E se fossi io a non voler dormire? » chiese, con una malizia inequivocabile.
« Signorino... »
Ciel si sporse verso le sue labbra e mordicchiò piano quello inferiore.
« Siete sicuro di quello che state per fare? » insistette il maggiordomo.
« Dannatamente. » gli assicurò il conte, che non aveva nessuna intenzione di cambiare idea. « Rischio di morire tutti i giorni e prima o poi tu divorerai la mia anima, quindi perché no? Sono adulto, ormai. »
« Non per la legge, signorino. » obiettò Sebastian. « Dopo il putiferio di quattro anni fa[1], l’età del consenso è stata alzata a sedici anni. »
« Pensi che ci scoprirebbero? » lo stuzzicò Ciel, sornione. « E comunque ti preoccupi di quisquilie: l’omosessualità è reato a tutte le età. »
Il demone ghignò e lo prese per i fianchi. « Come desiderate, signorino. » disse e lo baciò con la lingua. Lo prese in braccio e lo distese al centro del letto.
« Come se tu potessi disobbedirmi. »

 

Che ora era? Doveva essere tardi, si disse Ciel, ma non aveva importanza. Svegliarsi l’indomani sarebbe stato una tragedia, ma nemmeno questo aveva importanza. Si sentiva bene – indolenzito, forse, ma attraversato da una sensazione soffusa di languore.
« Non addormentatevi, signorino. » gli disse Sebastian. « Devo togliervi il sudore di dosso. » Si rivestì in un attimo e uscì dalla stanza per prendere una bacinella d’acqua calda e due panni morbidi.
Il conte si mise seduto e rivolse alla porta un’occhiata assente. Aveva sonno, ma non poteva rischiare un’influenza. Sbadigliò e si stiracchiò, lasciando dondolare una gamba oltre il bordo del letto, mentre l’altra era piegata sotto la prima.
« Vi ho detto cento volte di sedere composto, signorino. » lo rimproverò il maggiordomo, appena tornato. Posò la bacinella ai piedi del letto, vi immerse un panno e con delicatezza iniziò a passarglielo sul corpo.
« Sì, sì. »
« Dico sul serio. » insistete il demone. « O non vi bacerò più. »
Il ragazzo arrossì. « N-Non puoi ricattarmi. È sleale. » protestò, deciso a non guardarlo in segno di protesta.
Il maggiordomo ghignò e gli sollevò il mento. « Sono un demone. Non ho bisogno di essere leale. » gli ricordò e lo baciò a stampo, solo per farlo imbarazzare un altro po’, quindi riprese a pulirlo, attento a non far raffreddare il panno. Una volta finito, aiutò il ragazzo a indossare la camicia da notte e lo mise a letto.
« Resta. » ordinò il conte, trattenendolo per una manica.
« Non avevo intenzione di andarmene. » gli assicurò Sebastian, mentre si spogliava di nuovo. Si mise a letto e abbracciò il ragazzo come aveva fatto nei mesi precedenti, accarezzandogli piano i capelli, le spalle e la schiena.
Ciel si lasciò sfuggire un versetto soddisfatto e chiuse gli occhi. « Bene. E sappi che se ci scopriranno sarà solo colpa tua. » borbottò, prima di abbandonarsi al sonno.

 

Sebastian aprì la porta dello studio con la sinistra. La destra reggeva il vassoio con la merenda del signorino, che in quel momento appariva tetro.
« Sebastian, dobbiamo andare in Germania. » gli comunicò il conte, con un tono da funerale.
« In Germania, signorino? » gli fece eco il maggiordomo, sorpreso, mentre gli metteva davanti la torta al caffè e noci e la tazza di tè fumante.
« A-ha. » confermò il ragazzo, corrucciato. « Sua Maestà mi ha ordinato di investigare su una serie di morti inspiegabili avvenute là. »
« È necessaria la presenza del Cane da Guardia della Regina? »
« Già! Eppure il casato Phantomhive ha il compito di tenere sotto controllo la malavita britannica. » sbottò il ragazzo, che con il tedesco non aveva affatto un buon rapporto. Non riusciva a immaginare lingua più spregevole e impossibile da pronunciare – ma, come gli ripeteva sempre il maggiordomo, quella era la sua opinione da scolaro pigro su tutto ciò che non gli riusciva al primo tentativo. « Perché dobbiamo andare fino in Germania? » Lanciò la lettera della regina sulla scrivania, irritato, ma consapevole di non poter disobbedire a un ordine diretto.
Sebastian prese i fogli e li spiegò. 

 

Rispetto alle lettere che la sovrana era solita inviare al conte, quella era più un biglietto, un ordine sbrigativo scribacchiato in tutta fretta tra un’incombenza e l’altra.
Qualunque cosa si nascondesse in Germania, ne dedusse il demone, doveva interessarle ben al di là di qualunque premura verso i parenti tedeschi. « Dato che non ha ricevuto risposta, non può mandare inviati ufficiali. Presumo sia per questo che ha incaricato voi, signorino. »
Ciel masticò il boccone di torta e lo ingoiò. « Mi è successo soltanto in un’occasione di andare all’estero inseguendo una pista, » ammise « ma questa volta non riesco proprio a capire la necessità di mandare me. » Mise in bocca un altro pezzo di torta e lo masticò piano, per assaporare l’impasto morbido che quasi gli si scioglieva in bocca.
« Perché non provate a chiedere delucidazioni? »
« Anche se lo facessi, mi risponderebbe vagamente. » rifiutò Ciel. « Il lavoro è rincorrere con gioia l’osso che gli viene lanciato, no? »
Sebastian annuì. Così era per lui verso il suo padrone e lo stesso era per il conte e la regina. Nessuno dei due poteva sfuggire al proprio guinzaglio, ma almeno lui non intendeva farlo.
« La rete occulta degli informatori del casato Phantomhive si estende dall’Europa all’Asia. Posso immaginare che abbia intenzione di fare affidamento su di essa. » riprese il ragazzo. « Soprattutto, in Germania c’è quel contatto che ho ereditato dal mio predecessore. » Sorseggiò il tè. « Manderò Klaus da lui. » decise. « Chiamalo. »
« Ai vostri ordini. » 


 
 
[1] Nel 1885, William Thomas Stead, giornalista investigativo della Pall Mall Gazette ha scoperchiato il mondo sotterraneo della prostituzione minorile a Londra. Con l’aiuto di Rebecca Jarrett, una ex-prostituta, e dell’Esercito della Salvezza, ha “creato” il caso di Eliza Armstrong. La tredicenne, figlia di uno spazzacamino, è stata venduta dalla madre alcolizzata al prezzo di cinque sterline (circa seicento sterline moderne) e sottoposta a una visita medica per certificarne la verginità, dopo di che è stata portata in un bordello e drogata. Qui il giornalista l’ha “comprata”. In seguito, con l’aiuto del Secondo Generale dell’Esercito della Salvezza Bramwell Booth, che l’ha mandata in Francia, da una famiglia che se n’è presa cura. Stead ha usato la vicenda per scrivere The Maiden Tribute of Modern Babylon, una serie di articoli che ha messo in subbuglio l’opinione pubblica vittoriana. Preoccupato che potessero causare problemi su scala nazionale, il Segretario di Stato per gli affari interni William Harcourt tentò di convincere Stead a cessare la pubblicazione, ma un gruppo di manifestanti marciò fino ad Hyde Park per chiedere che venisse alzata l’età del consenso e il governo fu costretto a emanare il Criminal Law Amendment Act 1885.

 
   
 
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