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Autore: Made of Snow and Dreams    18/09/2016    0 recensioni
Anche i traumi più lievi possono divenire insormontabili da superare, se lasciati a una bambina di appena tre anni. Specie se nessuno si premura di starle accanto, impedendone il lento declino mentale.
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Storia di una mia Oc.
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
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Amaro
 
 
 
 
 


Allungò il collo mentre le braccia ciondolavano mollemente contro i fianchi. Fremette nel sentire le bretelle carezzarle la pelle mentre scivolavano su entrambe le spalle, fino a lasciarle l’intero decolté scoperto.
Impresse le iridi sulla superficie lucida dello specchio: sfavillavano irose come gli occhi di un gatto selvatico, specie quando si accinge a saltare addosso alla preda inerme; quella metafora le piacque, e la smorfia che il suo viso si premurò ad assumere fu un incentivo di incoraggiamento.

 L’incoraggiamento necessario nell’infrangere tutte le regole.

L’incoraggiamento necessario per realizzare i suoi sogni proibiti, che la seducevano da quando sua madre l’aveva abbandonata al suo destino, preferendo crogiolarsi nel dolore della separazione.

L’incoraggiamento necessario per potersi affermare, finalmente, come Donna.

L’abito aderente le calzava alla perfezione, fasciandole il seno e i fianchi in modo che apparissero più voluttuosi e prorompenti. In altre parole, invitanti. Irresistibili.
I capelli fulvi le ricadevano sulle spalle in quelle morbide onde che aveva tanto faticato ad ottenere con il ferretto e la piastra; aveva intrappolato le ciocche laterali dietro il capo con un fermaglio nero, e per la prima volta nella sua esistenza aveva gioito per il tempo a disposizione a lei concesso: ne aveva approfittato per afferrare la sua borsetta di trucchi con slancio entusiasta, e con una matita nera, un mascara e un eyeliner si era dipinta gli occhi. Non le importava se il risultato finale sarebbe risultato esagerato e pesante per il suo essere ragazza.
Infine, aveva scelto di osare passando sulle labbra un rossetto acceso, e aveva coperto accuratamente tutte le imperfezioni della pelle con un fondotinta e un correttore. Tutto per evitare che Lui le notasse e ne ridesse, quando lei aspirava ad ottenere l’effetto contrario.
Quando controllò la sua immagine allo specchio indossava anche un paio di scarpe laccate con dei tacchi vertiginosi, talmente alti che il solo movimento di alzarsi dalla sedia la fece traballare pericolosamente.

‘E io non devo traballare. Devo essere perfetta per Lui. Non devo commettere errori neanche camminando. Devo… come cammina quella sgualdrina? ‘ mormorò Louiselle, fissando il suo riflesso. Indietreggiò di un passo quando questo le mostrò la fronte segnata da una ruga d’espressione, dovuta allo sforzo di ricordare, e la bocca deformata dall’odio. ‘Così. Ancheggia tantissimo, muove il fondoschiena. ‘ concluse, e ruotò il corpo per poter studiare la sua andatura con l’ausilio dello specchio, con occhio critico.
Accennò ad avanzare con la gamba destra, e si sforzò di roteare il bacino per raggiungere l’incedere che avrebbe inflitto il colpo di grazia al Suo autocontrollo. Alterò anche il suo sguardo: lasciò che le palpebre scivolassero languidamente sulle iridi per farle risaltare sul bianco perlaceo della cornea, e che l’ombreggiatura generata dalle ciglia allungate favorisse quell’aura di mistero che lei aspirava a rendere propria. E a quel punto, Lui non avrebbe avuto scampo. Sarebbe divenuto suo e soltanto suo, e la loro casa sarebbe divenuta il loro mondo. E il letto la loro alcova.

‘Ho vinto io. ‘ disse trionfante, e uscì dalla sua camera.
 
 
 
 
 


Piangeva. Singhiozzava. Il petto le doleva, e la schiena formicolava come se qualcuno ci si fosse seduto sopra. La testa girava, le orecchie fischiavano, aveva la vista appannata. Le sue guance erano striate di nero, facendola apparire simile a un clown. Anche il rossetto ero sbavato.
Il suo pugnò sprofondò nel cuscino, che ne attutì il suono. Odiò la morbidezza della stoffa e il frusciare delicato della federa, che nonostante tutto sembrava volerne lenire la furia. Quando il suo ginocchio colpì il materasso rigido, una scarica di dolore si tramutò in tante scintille dorate su un velo nero a coprirle gli occhi, e solo allora arricciò l’angolo delle labbra e trasse un respiro profondo.
Il vestito era troppo stretto e si era mutato in una prigione costrittiva di emozioni, compresse contro il suo involucro di carne. Erano anni che il suo cuore e la sua mente avevano scelto di esserne i contenitori, ed erano anche riusciti nel loro intento: passioni e voglie sfogate nell’ombra, a sussurrare il Suo nome come una litania sacra, a conservare come reliquie tutte le Sue foto e tutti gli indumenti per poterne aspirare l’odore in segreto, mentre il suo corpo urlava che non era abbastanza per poterlo soddisfare. Niente poteva soddisfarlo, neanche immaginare che fosse Lui ad accarezzarlo e a usarlo a suo piacimento nel loro letto. Neanche sostituire la brama con un altro corpo maschile poteva aiutare.
Ma ora era giunta al capolinea. Era un vaso infranto che necessitava di essere riaggiustato, ma il Suo egoismo le aveva negato anche quel semplice servigio. E le sembrava così strano, così bizzarro e così buffo che, dopo anni di cecità, ora vedesse le cose nella loro esatta interezza!
Lui, con i suoi pregi e i suoi difetti. Lei, e tutto il genere femminile, nel loro squallore. Nella loro animalesca funzione primaria.
E lei, che di femminile aveva solo gli organi genitali: un’illusa e una sognatrice, e un’eterna ingenua nel riporre le sue speranze di gloria in una vittoria troppo perfetta da poter essere realizzabile e Reale.
Ma ora aveva finalmente compreso la sua missione. Sapeva cosa andava fatto; la sua funzione da Essere Superiore, sebbene umano.
Sorrise amaramente ad occhi chiusi, e una lacrima le rotolò sullo zigomo. Scese dal letto e si diresse verso il piano inferiore, nella cucina, laddove aveva scoperto l’esistenza di una botola nascosta.
 
 
 
 
 
Mai un’altra vendetta le parve così dolce, sotto lo sguardo incredulo di suo Padre.
 
 
 
 

Scosse la testa, tentando di scacciare quelle memorie con lo scuotere della testa. Non voleva ricordare quei momenti.
  
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