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Autore: Ode To Joy    19/09/2016    7 recensioni
[Kageyama x Hinata]
"Le leggende narrano di una creatura oscura, solitaria. Dicono che le sue ali siano nere come quelle di un Corvo, che la sua bellezza sia pari a quella di un Cigno e che la sua forza possa essere superiore anche a quella di un'Aquila."
A poche settimane dal suo quindicesimo compleanno, Shouyou abbandona il nido di Corvi in cui è nato e cresciuto per rispondere al richiamo di una strana creatura che continua a vedere nei suoi sogni.
“A quindici anni è facile essere innamorati con la primavera che sboccia e l’euforia di essere finalmente adulti. Ciò che accade dopo, però, quando il fuoco dell’inizio viene domato… È lì che comincia il vero amore ma lo si può toccare solo dopo aver conosciuto l’oscurità dell’altro ed averla saputa accettare.
Tobio, però, non si rivela affatto essere quello che si aspettava di trovare sul suo cammino.
[Winged AU]
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note Introduttive:
Ecco la mia personale versione di un AU che non è nuovo nel fandom di Hq!! e che è nato in seguito ad un re-watching forzato di alcuni traumatici classici Disney (primo colpevole: Bambi) da cui è inevitabilmente tratta parte dell’atmosfera favoleggiante della storia. Finisce lì, però, il resto è tutto men che da bambini…
E, sì, queste sono le uniche cose interessanti che scriverò in questa introduzione. Il resto è ordinaria routine, abbiate pazienza. Questa storia è nata come una one-shot autoconclusiva ma, per evitare di superare la soglia del conteggio di parole disumano, sarà divisa in cinque capitoli (capitolo più, capitolo meno) di media lunghezza.
Come già scritto nell’intro, la natura di questa storia è essenzialmente KageHina ma vi saranno altre coppie di supporto che faranno la loro comparsa saltuariamente (Ushioi, Daisuga, TsukkiYama tra queste.)
Piccole indicazioni tecniche. Per toglierci ogni dubbio, un Winged-AU è un universo alternativo in cui i personaggi coinvolti hanno ancora forma umana con l’aggiunta di due ali che, in questo specifico caso, sono ispirate a quelle di volatili realmente esistenti. Niente Mpreg questa volta ma è mio dovere avvertirvi che verranno coinvolte delle uova.
Ultimo ma non ultimo, il rating potrebbe essere sensibile a variazioni ma cercherò di rendere noto un tale cambiamento già dal capitolo precedente al cambio o nella mia pagina autore ( M for Marta
).
Penso di aver detto tutto.
Vi ringrazio per l’attenzione e buona lettura!

 
 
I
Sogno di una notte d’inverno


 
 
Con l’arrivo dell’inverno, l’intera Foresta sembrava essere caduta vittima di un crudele sortilegio.
Il cielo era divenuto grigio a partire dalla metà di settembre ed i primi fiocchi candidi erano cominciati a cadere pochi giorni dopo. Da allora, non aveva più smesso di nevicare.
Quel giorno di fine dicembre, la bufera era violenta ma non abbastanza per spezzare le grandi e forti ali del Re della Foresta.
Atterrò sotto agli alti alberi che ricoprivano la cima della montagna affondando gli stivali nella neve fresca. Prese a camminare in una direzione precisa come se questo non lo affaticasse in alcun modo. Doveva tornare a casa e nessuna intemperia al mondo avrebbe avuto il potere di fermarlo.
Il Nido delle Aquile si trovava dove la Foresta era più fitta e scura, dove nessun Umano avrebbe mai osato avventurarsi nemmeno per la più ambiziosa battuta di caccia. Era un albero secolare, antico quanto lo era la Foresta stessa ed era sempre stato un posto sicuro ma quell’inverno era un nemico che nemmeno il Re sapeva come combattere. La rabbia che provava verso se stesso non era seconda nemmeno a quella per il destino, sebbene sapesse che era completamente inutile.
Ora, inoltre, c’era al mondo un’altra ragione per cui non soccombere e non aveva importanza quanto la situazione fosse più grande di lui. Sarebbe andato tutto bene. Doveva andare tutto bene.
“Wakatoshi…”
Il Re si voltò. “Satori…”
Non c’era solo lui ad aspettarlo tra gli alberi, sotto la neve. Tutte le sue Aquila erano lì fuori, le ali piegate, i cappucci dei mantelli tirati sulla testa e l’espressione scura. Troppo.
A Wakatoshi bastò guardarli per sapere che non era andato affatto tutto bene.
Riportò gli occhi sull’albero secolare davanti ai suoi occhi. Affondò ancora un passo nella neve, poi le dita di Satori si strinsero intorno al suo braccio. “Wakatoshi,” non lo aveva mai visto tanto serio in vita sua. “Aspetta… Solo un istante, dobbiamo parlare.”
Wakatoshi gli rivolse uno sguardo raggelante: non voleva nessuna spiegazione, voleva solo entrare nella sua casa e vedere con i suoi occhi quello che era successo. “Lasciami andare…” Quasi sibilò ma non aspettò che Satori lo ascoltasse per liberarsi dalla sua stretta.
Ancora due passi.
“Wakatoshi,” Satori si parò di fronte a lui e se non fosse stato per i lunghi anni di amicizia che li legavano, il Re non avrebbe esitato a toglierlo di mezzo anche con la forza, “è meglio per tutti se ascolti.”
“È successo qualcosa a Tooru?” Chiese Wakatoshi col suo solito fare diretto. Se non gli permettevano di andare da lui, che almeno mettessero a tacere il pensiero peggiore che era riuscito a formulare in quel momento.
Satori dovette comprenderlo perché annuì immediatamente. “Sì, sì, Tooru sta bene, ma…”
Il Re lo superò con ampia falcate.
“Wakatoshi!”
Se il desiderio di vedere Tooru era stato forte prima, ora era quasi soffocante.
I cancelli del Nido erano aperti ma si era radunata una piccola folla ai piedi delle scale a chiocciola che risalivano l’enorme tronco secolare dall’interno. La maggior parte erano gli uomini di Tooru ma Wakatoshi riconobbe le ali di un Aquila tra di loro e bastarono pochi passi perché incrociasse gli occhi dal giovane a cui appartenevano. “Anche tu…” Mormorò, come se fosse deluso.
Kenjirou sembrò esitare per un istante, poi però si portò in avanti. “Parla con Satori,” quelle parole erano terribilmente simili ad una preghiera. “Non andare subito da lui, non farai il suo bene in questo modo.”
Wakatoshi non gli disse che nessuno poteva permettersi di decidere cosa fosse o no il bene di Tooru, tranne Tooru stesso ed ancora non si era presentato sul suo cammino per respingerlo in alcun modo. “Ritira gli uomini,” ordinò. “Lasciami passare…”
Kenjirou strinse le labbra e scosse la testa. “Aspetta… Se lo ami, aspetta…”
Era molto di più di quello che il Re poteva sopportare. Sollevò lo sguardo verso i grandi rami dell’albero, dove i suoi antenati avevano costruito le stanze reali del Nido delle Aquile.
Kenjirou comprese quello che stava per fare. “Wakatoshi, aspetta!” Allungò una mano ma non riuscì nemmeno a sfiorarlo. Le grandi ali marroni e bianche sulle spalle del Re si aprirono e si librò in volo come se tutto quel vento e quella neve nemmeno ci fossero. Kenjirou abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. “Mi dispiace…” Mormorò a qualcuno che non poteva udirlo.
 
 
 
Wakatoshi atterrò sulla balconata della camera reale, quella che era divenuta sua e di Tooru da alcune stagioni, ormai. Le tende erano tirate e non poteva vedere all’interno. “Tooru?” Lo chiamò ma l’unica risposta che ottenne fu un inquietate silenzio. Si mosse in avanti come se stesse per attaccare ma, dall’interno della stanza, qualcuno lo precedette ed uscì allo scoperto.
Wakatoshi lasciò andare un sospiro. “Hajime…”
Avrebbe dovuto aspettarselo.
Il Cacciatore aveva le dita strette intorno all’elsa della sua spada. Il giorno in cui gliel’aveva puntata contro per l’ultima volta era ormai un ricordo sbiadito ma Wakatoshi sapeva che non avrebbe esitato ad usarla se l’avesse ritenuto necessario. Era un ragazzo intelligente, razionale… Fino a che non si trattava di Tooru.
Wakatoshi non aveva alcuna intenzione di fargli del male. “Lasciami passare,” lo chiese quasi gentilmente.
Nemmeno Hajime era davvero intenzionato ad usare le maniere forti. “Non prima che tu mi abbia ascoltato.”
“Voglio vedere Tooru.”
Hajime annuì con espressione grave. “Lo so…”
Non era una novità che Kenjirou prendesse le cose troppo sul serio. Poteva essere allarmante il fatto che lo facesse Satori ma quello che Wakatoshi vide sul viso di quel Cacciatore fu ciò che gli mise davvero paura. “Sta bene?” Domandò ancora una volta, con più urgenza.
Satori poteva anche aver mentito per farlo stare calmo ma Hajime no, non lo avrebbe mai fatto. Non quando c’era di mezzo Tooru.
Wakatoshi non seppe esprimere quanto fu grato di vederlo annuire. “Sì…” Disse Hajime. “Lui sta bene ma…”
Fu quell’esitazione a rendere tutto improvvisamente chiaro. L’ingenuità di Wakatoshi era stato credere che se Tooru stava bene, allora doveva essere andato bene anche il resto. “Il bambino…”
Hajime aprì la bocca, poi la richiuse ed evitò di guardarlo negli occhi mentre cercava le parole giuste da dire. Wakatoshi seppe di aver indovinato la natura del problema.
Quell’attimo d’immobilità totale venne spezzato dai vagiti di un neonato all’interno della camera reale.
Per un attimo, il Re non seppe cosa pensare, cosa sentire.
Gli occhi del Cacciatore tornarono immediatamente sui suoi.
Wakatoshi avanzò. Hajime si mosse nella sua direzione ma non provò davvero a fermarlo: sapeva che sarebbe stato inutile.
“Tooru!” Il Re superò le tende ma non trovò nessuno dalla parte opposta. La camera reale sembrava vuota ma il pianto del bambino continuava ad essere l’unico suono a spezzare il silenzio.
Wakatoshi si guardò intorno ed il suo sguardo cadde inevitabilmente sul piccolo nido di coperte che lui e Tooru avevano preparato mesi prima accanto al loro letto. L’uovo si era schiuso e di esso non rimanevano che frammenti di guscio ancora umidi di liquido amniotico. Il loro bambino era nato.
“Tooru,” chiamò nuovamente facendo ancora qualche passo. Solo dopo aver superato il letto lo vide, nascosto tra la parete di corteccia ed i tendaggi del baldacchino. Le candide ali di Cigno erano chiuse, come a voler proteggere o nascondere qualcosa… O entrambe le cose.
Il bambino non piangeva più ma Wakatoshi poteva ancora udire dei singhiozzi provenire da quell’ingenuo nascondiglio e, dal modo in cui quelle ali bianche tremavano, non ebbe difficoltà a comprendere a chi appartenessero. Si avvicinò di un passo. “Tooru…”
“Vattene!” Era tremante per essere un imperativo.
Era disperato.
“Tooru…”
“Ti ho detto di andartene!”
Quasi quanto una preghiera.
Wakatoshi poggiò un ginocchio a terra e sollevò una mano per accarezzare le ali del suo Cigno. Sentì Tooru irrigidirsi sotto le sue dita ma non si allontanò per questo. “Tooru…”
“Devi andartene…” La sua voce aveva perso qualsiasi forza, ormai.
“Tooru, qualsiasi cosa sia successa…” Wakatoshi fece un poco di pressione per invitare il compagno ad aprire le ali. “Voglio vederti… Voglio vedere nostro figlio.”
“Gli farai del male…”
“Come ti viene in mente una cosa del genere?”
Il Cigno non gli rispose.
“Tooru?”
“Ha riconosciuto la tua voce…”
Wakatoshi non comprese ma non ci fu bisogno di chiedere altro. Le ali bianche si aprirono lentamente ma non furono i grandi e scuri occhi di Tooru i primi che il Re della Foresta incontrò ma quelli blu di uno splendido bambino dai capelli corvini.
Per un momento, Wakatoshi non riuscì a dire o fare niente. La sua attenzione era tutta per quella creaturina ancora umida, stretta tra le braccia del suo Cigno con un pugnetto premuto contro le piccole labbra. Il Re quasi sorrise e fece per alzare la mano per toccarlo, per provare a se stesso che era vero ed era vivo ma il piccolo si mosse mostrandogli, alla fine, il motivo di tutta quella oscurità. La sua bocca divenne una linea netta e si fece indietro mentre il neonato avvolgeva le ali dalle piume nere come la notte intorno a se stesso per combattere il freddo dell’inverno che era penetrato fin dentro al nido.
“Wakatoshi…”
Il Re sollevò lo sguardo e solo allora i suoi occhi incontrarono quelli che aveva desiderato vedere fin da quando si era alzato in volo per tornare a casa. Tooru piangeva ed il suo viso portava i segni di una stanchezza che doveva aver accumulato in notti e notti insonni. “Non l’ho sentito muoversi per giorni,” mormorò il Cigno con voce tremante. “Avevo così tanta paura, Wakatoshi…”
Era una paura che il Re conosceva bene. Una paura che avevano già vissuto insieme e che si era materializzata nel peggiore dei modi.
Wakatoshi tornò a guardare il bambino dalle ali corvine. Suo figlio. Il bambino suo e di Tooru.
Sollevò ancora una volta la mano per poterlo toccare ma il Cigno lo strinse ancor di più a sé ritraendosi tra i tendaggi del baldacchino come se il sovrano lo avesse minacciato in qualche modo.
Gli occhi taglienti si sollevarono su quelli scuri. Tooru piangeva ancora ma era minacciosa l’espressione che gli stava rivolgendo. “Non lo toccare,” sibilò. “Non devi toccarlo…”
Wakatoshi rimase con la mano sospesa a mezz’aria. “Non ho alcuna intenzione di fargli del male, Tooru.”
Tooru scosse la testa nascondendo il piccolo contro il suo petto come se qualcuno stesse cercando di portarglielo via. “Hai visto il colore delle sue ali…”
“Non gli farò del male,” ripeté Wakatoshi con voce ferma.
Tooru lo guardava nello stesso modo in cui soleva farlo durante le loro prime stagioni insieme, quando il loro rapporto era stato solo una questione di orgoglio e dovere.
La mano del Re arrivò a toccare il bel viso del Cigno. “Non gli farò del male,” non era più la voce del Re a parlare ma quella dell’amante, del compagno e del giovane appena divenuto padre. “È nostro figlio, Tooru. Non m’interessa di che colore sono le sue ali.”
Parte dell’oscurità negli occhi di Tooru sembrò diradarsi. Si alzò in piedi e non respinse le mani del Re quando gli strinsero le braccia per aiutarlo. Si guardarono negli occhi con incertezza, come se i pochi giorni in cui erano stati lontani fossero stati lunghi quanto intere stagioni. In un certo senso, era vero: si erano lasciati da amanti ed ora si ritrovavano da genitori.
Il bambino, al contrario, non provava alcuna vergogna a scrutarli entrambi con quegli occhi blu che erano più surreali delle sue ali corvine.
Fu Tooru a spezzare il silenzio. “Vuoi tenerlo?” Domandò.
Wakatoshi sollevò le braccia prima ancora di rispondere. “Sì…”
Il Cigno posò un bacio sul faccino paffuto del bambino prima di permettere a suo padre di tenerlo tra le braccia per la prima volta. Wakatoshi provò un’improvvisa insicurezza nel rendersi conto che non pesava praticamente nulla. Stretto contro il suo petto, il bambino aprì le ali quel tanto che bastava per distendere le piccole gambe e gustarsi lo spazio di cui disponeva in quell’abbraccio completamente nuovo. Wakatoshi osservò affascinato la perfezione di quel corpicino fatto di minuscoli dettagli.
Il viso del Re si addolcì uno di quei suoi rari sorrisi. “È un maschio…”
Tooru annuì passando le dita sulla testolina ricoperta di capelli corvini.
Il piccolo lasciò andare uno starnuto, seguito subito da un secondo. Al terzo, il faccino si contrasse e riprese a piangere sonoramente. “Aspetta…” Tooru recuperò una coperta dal fondo del letto. “Ha freddo.”
Wakatoshi lo aiutò ad avvolgerla intorno al corpicino tremante e fu sufficiente per far smettere il bambino di piangere.
“Va tutto bene, siamo qui,” mormorò Tooru passando le nocche sulle guance paffute. “Va tutto bene, Tobio.”
Wakatoshi lo guardò. “Tobio?”
Tooru scrollò le spalle. “Non abbiamo voluto dargli un nome prima che nascesse questa volta e…” Si umettò le labbra. “Non lo so… Ero da solo e non lo sentivo muoversi dentro all’uovo da giorni, così… È una cosa stupida.”
“Dimmela,” insistette Wakatoshi.
“Ho pensato che se l’avessi chiamato per nome mi avrebbe sentito e si sarebbe svegliato,” Tooru tirò su col naso. “È stupido ma ha funzionato.”
Wakatoshi guardò il bambino e gli occhi blu risposero immediatamente al suo sguardo. “Tobio…” Mormorò assaggiandone il suono. “È venuto al mondo rispondendo a questo nome. È quello più adatto a lui.”
Per la prima volta dopo giorni, Tooru si concesse un sorriso.
“Benvenuto al mondo, Principe della Foresta.”
 
 
- Alcuni inverni dopo… -
 
 
C’erano delle macchie colorate nella neve, come se dei grandi fiori rossi avessero deciso di non aspettare la primavera per sbocciare. Quel colore era così acceso e caldo accostato a quello gelido dei fiocchi candidi appena caduti. Eppure, non c’era niente di vivo in quel colore…
La creatura nera affondava gli stivali dello stesso colore nella neve camminando tra i cadaveri dei suoi nemici come se quelle vite non fossero state di alcuna importanza, come se ucciderli, in fin dei conti, non fosse stato poi così diverso dal raccogliere dei fiori.
C’era sangue sulle sue mani. C’era sangue sulle sue labbra.
Il sangue era anche arrivato a macchiare le ali corvine che sfoggiava con superbia.
Non era una belva che aveva avuto la meglio sulla sua preda e l’aveva divorata.
No, era un Re vittorioso che aveva sconfitto il suo nemico ed ora si sentiva in diritto di calpestare ciò che ne rimaneva.
Intanto, la neve continuava a sporcarsi di sangue.

 
 
Shouyou si svegliò nel cuore della notte urlando spaventando gli altri giovani Corvi che dormivano nei loro nidi accanto al suo.
Kei si passò una mano tra i capelli frustrato. “Di nuovo…” Borbottò.
Tadashi era già corso al fianco di quello che sarebbe dovuto essere il fratello maggiore del nido ma che, di fatto, non aveva mai smesso di essere un bambino, nemmeno a pochi mesi di distanza dal suo quindicesimo compleanno.
“Era solo un brutto sogno,” ripeteva Tadashi gentilmente. “Non c’è nulla qui di cui aver paura…”
Shouyou, però, non ne voleva sapere di smettere di piangere. “C’era sangue,” mormorò tra le lacrime. “C’era tanto sangue…”
“Mai quanto quello che ci sarà in questa stanza se non torni a dormire,” lo minacciò Kei dal suo nido.
Tadashi gli rivolse un’occhiata di rimprovero e il giovane Corvo dai capelli biondi sbuffò lasciandosi cadere di nuovo disteso. La botola sul pavimento si aprì ed una testa di capelli chiari fece capolino all’interno della mansarda. “Che cosa è successo?” Domandò Koushi allarmato avvicinandosi al nido di Shouyou.
“Ha fatto un brutto sogno ed ora piagnucola,” rispose Kei.
“Non era solo un brutto sogno!” Sbottò Shouyou. “Era reale! Sentivo freddo come se fossi lì! Era reale!”
Tadashi sospirò stancamente: quella storia andava avanti ormai da diverse settimane e, anche se quei risvegli improvvisi non si verificavano ogni notte, cominciava ad essere una situazione stancante per tutti. Koushi se ne accorse e gli passò una mano tra i capelli sorridendo. “Torna a dormire, qui ci penso io.”
Tadashi lanciò un’ultima occhiata a Shouyou, poi annuì e tornò a coricarsi nel suo nido.
“Shouyou,” chiamò Koushi chinandosi per posare un bacio sulla guancia del giovane Corvo. “Non sei un po’ troppo grande per metterti a piangere per un brutto sogno?” Domandò teneramente.
Gli occhi d’ambra erano grandi e pieni di lacrime. “Ma era così reale, Koushi… Così reale…”
“I brutti sogni spesso lo sono, piccolo,” spiegò Il Corvo adulto con pazienza. “Ma basta aprire gli occhi e passa tutto.”
Shouyou tirò su col naso. “Non voglio dormire da solo.”
Koushi sospirò. “Vuoi che stia accanto a te, almeno per questa notte?”
Il piccolo Corvo annuì.
“Sai che non potrà accadere quando Daichi tornerà a casa, vero?”
Un altro cenno di assenso e Koushi, suo malgrado, sorrise, poi si accomodò sotto le coperte accanto al fanciullo.
“Daichi tornerà presto?” Domandò Shouyou.
Koushi sorrise tra i suoi capelli: sì, il suo compagno aveva questo inimitabile talento di far sentire al sicuro tutti e la sua assenza nelle notti d’inverno si faceva sentire. “Presto…”
“Me lo prometti?”
“Sì, Shouyou, te lo prometto.”
 
 

C’erano almeno una decina di cadaveri a macchiare di sangue la neve fresca della vallata.
Daichi si limitò ad osservare la scena dalla cima dell’albero con espressione amara. Il ramo su cui si trovava tremò un poco sotto il peso di un altro Corvo ed Asahi gli si avvicinò. “Non erano mai arrivati così vicini,” disse ed era terribilmente seria l’espressione sul suo viso.
Daichi strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Ci sono frecce conficcati su tutti gli alberi nei dintorni. Hanno cercato di combattere.”
“Devono averli attaccati in branco,” ipotizzò Asahi. “Di notte, con una strategia particolarmente geniale.”
“I Cacciatori dovrebbero saperle gestire delle bestie che camminano,” disse Daichi. “È rimasto qualcosa dei loro fuochi intorno al campo, vedi?” Indicò alcuni ramoscelli bruciati a pochi metri dal massacro. Ve ne erano una lunga serie intorno al perimetro del luogo di quella carneficina.
“Allora, gli hanno attaccati dall’alto,” replicò Asahi e lo guardò. “Le Aquile?”
Daichi scrollò le spalle. “Probabile,” rispose. “È compito del Re proteggere la Foresta dagli Umani, dopotutto e Wakatoshi non si è mai permesso errori in questo senso.”
Asahi arricciò il naso. “Però, non ti convince…”
“No,” Daichi prese un respiro profondo. “Non mi convince affatto,” si voltò verso gli altri Corvi che erano rimasti in attesa ad osservare la scena sui rami alle sue spalle. “Torniamo a casa!” Ordinò a gran voce, poi lanciò un’ultima occhiata alla strage alle sue spalle. “Non c’è nulla per noi qui…”
 
 
***
 
 
Il Villaggio dei Corvi era un mondo semplice, fatto di casette di legno costruite tra i rami degli alberi più antichi. Si trovava nella parte più bassa della montagna, a poca distanza dalla valle. Era sotto quegli alberi secolari dalle chiome tanto folte da far filtrare la luce del sole solo in alcuni punti che la primavera si vestiva dei suoi colori più vivi, più selvatici.
Si respirava aria di rinascita, di libertà, come se la natura stessa fosse piena di aspettativa. Era solo questione di tempo prima che la stagione degli amori avesse inizio.
Tanto bastava a rendere nervosi i Corvi adulti ed euforici quelli più giovani.
Shouyou era una piccola e luminosa eccezione in quel mondo variopinto.
 Fu la carezza dei raggi del sole a svegliarlo. Sorrise ancor prima di aprire gli occhi e distese le braccia sopra la testa per stiracchiarsi.
“Oh, qualcuno ha fatto un bel sogno…” Commentò il Corvo adulto che si aggirava per la sua camera senza far rumore da un po’. Koushi s’inginocchiò accanto al nido del fanciullo aspettando che gli occhi d’ambra si aprissero sul mondo ed incrociassero i suoi. “Il sole è alto,” gli disse passandogli una mano tra i capelli ribelli. “Strano… Di solito, sei sempre il primo ad alzarti.”
Shouyou reclinò la testa per controllare gli altri nidi accanto al suo. “Sono già tutti svegli?” Nascose uno sbadiglio dietro la mano.
Koushi sospirò. “È la stagione degli amori, Shouyou,” gli disse. “Non è la migliore per attardarsi a letto.”
Shouyou si distese su un fianco per poterlo guardare meglio. “Preferisco i sogni a quelle cose,” ammise con una smorfietta. Koushi non fu sorpreso dal poco interesse di Shouyou per quello che stava per succedere ai piccoli Corvi con cui era cresciuto: lo avevano previsto tutti e si erano rassegnati all’idea che, forse, sarebbe servito un anno in più perché il fiore del desiderio sbocciasse nel cuore del fanciullo.
“Devono essere davvero bei sogni, allora,” disse Koushi con un sorriso paziente. “A meno che essi e quella che dovrebbe essere la stagione più bella della tua vita non siano direttamente collegati.”
Shouyou arrossì e si distese di nuovo sulla schiena. “Sono ancora quei sogni, Koushi…” Disse incrociando le braccia dietro la testa e fissando il soffitto come se potesse vedere il cielo terso che vi era al di là.
Koushi si fece improvvisamente serio. “Sogni ancora la bestia dalle piume nere?” Domandò appoggiando le braccia sul bordo del nido.
“Sì,” ammise Shouyou. “Non mi fa più paura, però.”
Il Corvo adulto premette le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Hai volato nella foresta per tutta la notte per cercarlo?”
Shouyou si alzò a sedere con un sospiro e Koushi seppe che i suoi sospetti erano fondati. Afferrò una mano del ragazzino e gli occhi d’ambra si fissarono nei suoi. C’era timore e vergogna in quelle iridi brillanti ma non abbastanza perché si sentisse in dovere di chiedere scusa. Koushi sospirò. “Shouyou…” Si sedette accanto a lui e prese il piccolo viso dai lineamenti ancora infantili tra le mani. Stava sbocciando più lentamente dei suoi coetanei ma ancora poche stagioni e sarebbe divenuto uno splendido Corvo. “Non puoi volare fino alla cima della montagna da solo e non nel cuore della notte,” lo sgridò, sebbene con gentilezza.
Shouyou gli rivolse un sorriso luminoso. “Nessuno degli altri vola come me!” Disse con sicurezza. “Sono piccolo ma le mie ali sono forti! Inoltre, non sono arrivato sulla cima della montagna. Vorrei ma è troppo lontana!”
Suo malgrado, Koushi si concesse un sorriso. “Questo lo so,” disse passando una mano tra i capelli ribelli del fanciullo. “Tuttavia, Shouyou, devo dissuaderti dal seguire ancora quello che i tuoi sogni ti suggeriscono di fare…”
“Ma lui mi sta chiamando!” Esclamò il piccolo Corvo.
Koushi sorrise con pazienza. “Che cosa stai dicendo, sciocchino?”
“È vero!” Gli occhi d’ambra erano grandi e luminosi, colmi della più autentica sincerità. “Ogni volta che mi sveglio da uno di quei sogni, è come se udissi una voce lontana… Un’eco.” Scrollò le spalle. “Non posso fare a meno di rispondere ad un simile richiamo!” Concluse con ingenua euforia.
Il viso di Koushi si era fatto di nuovo serio. Era evidente che Shouyou viveva quell’esperienza come un’altra delle sue avventure e non realizzava il reale significato di quello che stava vivendo. Lui stesso non ci credeva ed impiegò qualche istante per riuscire a parlare di nuovo e dire ciò che era necessario. “Shouyou…” Mormorò gentilmente. “Devo farti una domanda e non devi vergognarti, piccolo, hai capito?”
Shouyou inarcò le sopracciglia confuso ma annuì.
“C’è qualcuno?” Domandò. “Dici che la stagione degli amori non t’interessa perché c’è già qualcun altro? Hai incontrato qualcuno nella foresta di cui non ci hai parlato?”
Il fanciullo sgranò gli occhi d’ambra, poi la piccola bocca si storse in una smorfia disgustata. “No!” Esclamò con le guance accese. “Anzi, non vedo l’ora che finisca questa cosa degli amori! Non si può più giocare con nessuno qui!” Si alzò dal suo nido e si liberò della camicia da notte per potersi, finalmente, vestire. “Kei e Tadashi, per esempio! Vanno sempre nella foresta senza di me e se li seguo diventano subito antipatici!”
Koushi si morse l’interno guancia per non scoppiare a ridere: se Shouyou non fosse stato tanto ingenuo ed innocente, forse avrebbe notato come gli occhi di Kei e Tadashi si accendevano quando si guardavano credendo di non essere osservati. Se ne erano accorti tutti da un po’ e nessuno sarebbe stato sorpreso di vederli già compagni prima dell’inizio dell’estate. Se solo Shouyou avesse saputo quanto era stato di troppo tutte le volte che li aveva seguiti nella Foresta pretendendo la loro compagnia. Quel pensiero, però, oltre a farlo sorridere ebbe anche il potere di rassicurarlo: aveva solo visto troppo nel sogno ricorrente di un ragazzino dalla vivace fantasia.
Nulla di più.
 
 
 ***
 
 
“Ogni volta, c’è tanta neve intorno ed è per questo che sono convinto viva da qualche parte sulla cima delle montagne. Il suo corpo è molto simile al nostro, comprese le ali,” raccontò Shouyou indicando le proprie piegate sulla schiena, “solo che è completamente ricoperto di piume nere ed è altissimo!”
Kei sorrise sarcastico. “Il commento sull’altezza non è molto indicativo detto da te,” disse.
Tadashi rise, mentre il diretto interessato sollevò gli occhi sul giovane Corvo dai capelli biondi con un’espressione che sarebbe dovuta essere minacciosa. Era seduti tra i rami di un grande albero poco lontano dal Villaggio. Sotto di loro vi era un mare di alberi e, di fronte, l’orizzonte sconfinato dietro cui il sole stava calando lentamente.
Era stato impossibile per Shouyou non cominciare a raccontare della creatura misteriosa dei suoi sogni come se non lo avesse già fatto altre decine e decine di volte e di fronte allo stesso pubblico.
“Ma non hai paura?” Domandò Hitoka confusa. “Sembra spaventoso…”
Shouyou sembrò contento della domanda. “La prima volta che lo sognavo l’avevo,” ammise. “Mi svegliavo nel cuore della notte terrorizzato!”
Kei sbuffò. “Ce lo ricordiamo tutti, Shouyou.”
Il piccolo Corvo lo guardò storto. “Nessuno ti ha chiesto di svegliarti per consolarmi!”
“Veramente,” intervenne Tadashi, “piangevi tanto disperatamente che sarebbe stato impossibile ignorarti e continuare a dormire.”
Kouji rise. “Avrei voluto vederlo!”
“Ti cedo il mio nido quando vuoi,” disse Kei, poi i suoi occhi incontrarono quelli di Tadashi e sospirò. “Sarebbe stato più utile se me lo avessi proposto qualche stagione fa.”
Izumi inarcò le sopracciglia. “Non ho capito… Perché poi non ti ha fatto più paura?”
Shouyou scrollò le spalle. “Ho cominciato a sentire cose e mi sono reso conto che lui era spaventato quanto me.”
Hitoka si fece più vicina. “Sentito cose?”
“Shouyou crede di sentire le emozioni della creatura,” disse Tadashi.
Kei alzò gli occhi al cielo. “In altre parole, vive in un mondo tutto nella sua testa.”
Tutti risero ma Shouyou continuò ad essere assolutamente serio. “È vero!” Esclamò con convinzione. “A volte, è come se mi parlasse ma senza usare la voce! Lo guardo negli occhi e, semplicemente, sento!”
Kei inarcò un sopracciglio chiaro. “Questa è una sciocchezza nuova,” notò.
Al suo fianco, anche Tadashi ne fu incuriosito. “Adesso la tua creatura ha degli occhi?”
“Sì!” Esclamò Shouyou euforico. “Sono blu! Sono surreali da quanto sono blu!”
“Sono surreali perché, effettivamente, non sono reali,” gli ricordò Kei.
Gli altri risero. Shouyou sbuffò frustrato incrociando le braccia contro il petto con aria offesa.
“Meglio rientrare,” disse Tadashi alzandosi in piedi per primo. “Il sole è sparito dietro l’orizzonte, tra poco farà buio…”
 
 
***
 
 
La sala dei banchetti era l’edificio più grande del Villaggio dei Corvi ed era stato costruito tra i rami dell’albero più antico del loro territorio, il primo su cui il popolo dalle ali nere aveva cercato di edificare un posto sicuro per loro e per i piccoli che sarebbero venuti. Una casa.
A Shouyou piaceva. Ogni sera, quando tutti si radunavano per la cena, era come se fosse una festa.
Durante l’inverno, un fuoco veniva acceso al centro della stanza, tra i lunghi tavoli e, finito di mangiare, tutti vi si radunavano attorno cantando canzoni o raccontando storie. D’estate, le botole sul tetto venivano aperte e la luce brillante del focolare veniva sostituta da quella tenue della luna e delle stelle.
All’inizio della primavera, al calar del sole, era ancora troppo presto perché questo accadesse ma l’aria era riscaldata da un caos emozionale generale dovuto alla nuova stagione che era alle porte. Shouyou di quell’euforia comprendeva solo la parte in cui sarebbe stato di nuovo concesso ai giovani di volare dove più preferivano, sebbene con prudenza e solo con il consenso dei propri genitori. Non era permesso loro di andare in giro nella Foresta nel cuore dell’inverno. Solo gli adulti lasciavano il Villaggio per pensare a procurare il cibo in quel periodo dell’anno. Se non fosse stato per i giochi sulla neve e per le lunghe serate passata ad ascoltare storie fantastiche, Shouyou avrebbe rischiato di morire di noia ad ogni inverno.
Quell’anno, però, c’era stato il sogno della creatura dalle piume nere a tenerlo occupato, fino a che l’incapacità di rispondere al suo richiamo lo aveva portato ad aspettare la primavera con più urgenza del solito. Sì, da principio, era stato spaventoso e Shouyou aveva seriamente temuto di essere stato toccato da uno di quei Demoni di cui parlavano le storie orribile che gli adulti raccontavano loro per spingerli ad ubbidire e a non allontanarsi troppo da casa.
Nelle notti in cui l’aveva tenuto sveglio con le sue paure, Kei l’aveva aspramente preso in giro per credere ancora a simili sciocchezze da bambini.
“È stato il vecchio Ukai a raccontarlo!” Aveva esclamato Shouyou in risposta, mentre Tadashi cercava di farlo calmare. “I Demoni esistono! Le loro ali sono ricoperte di piume nere, pur non essendo Corvi. Sono bellissimi ma non sono Cigni e possono essere ancor più forti delle Aquile!”
Nessuno dei suoi amici gli aveva dato particolarmente credito e, alla fine, Koushi e Daichi lo avevano preso da una parte e gli avevano fatto un lungo discorso riguardo alla differenza tra fantasia e realtà. Non era servito a molto.
Shouyou aveva continuato a vedere la creatura nei suoi sogni e, alla fine, l’aveva sentita tanto reale al punto da non averne più paura. Sapeva che era lì fuori, nella Foresta e si era detto che, probabilmente, doveva trovarsi sulla cima della montagna più alta dove vivevano gli spiriti più forti, dove si trovava anche il Nido delle Aquile.
Almeno, così raccontavano.
Shouyou non aveva mai visto il Re della Foresta, anche se in molti glielo avevano descritto.
“È molto alto,” gli aveva detto Daichi una volta, “non parla molto e possiede un’aria minacciosa, forse anche per il titolo che porta ma è un Re degno di questo nome per la nostra Foresta ed è la sola cosa che conta.”
Dicevano anche che era tanto forte d’avere un intero esercito di Umani ai suoi ordini ed era impressionante in un mondo in cui i piccoli venivano educati a temere quegli esseri come mostri portatori di morte.
“Ha un bellissimo Cigno per compagno,” Koushi gli aveva raccontato una sera, mentre gli rimboccava le coperte. “Ho avuto l’onore di conoscerlo, sai? Ha delle ali meravigliose, ancor più bianche della neve appena caduta.”
“Hanno dei bambini?” Aveva chiesto, poi, perché la curiosità era una parte di lui che non riusciva mai a mettere a tacere.
Shouyou ricordava di aver visto il viso di Koushi farsi improvvisamente triste e non ne aveva compreso la ragione. “Sì,” era stata la sua risposta. “Hanno un figlio più o meno della tua età.”
“Shouyou!”
Il piccolo Corvo sobbalzò mentre una mano si abbatteva con vigore sulla sua schiena ed un braccio gli circondava le spalle. “Quanti cuori spezzerai domani, piccoletto?” Domandò Yuu con un gran sorriso.
“La prima stagione degli amori non si scorda mai!” Esclamò Ryuu.
“Ma se tu la tua prima l’hai passata completamente da solo!”
“Yuu, non mi mettere in imbarazzo di fronte al piccoletto!”
Si era seduti sulla panca, uno a destra e l’altro a sinistra. Shouyou sorrise nervosamente. “Veramente, domani pensavo di volare a valle, fino al grande fiume. Voglio sentire se l’acqua è abbastanza calda per fare una nuotata.”
I due Corvi si scambiarono un’occhiata e poi alzarono gli occhi al cielo.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa c’è?”
“Shouyou, Shouyou, Shouyou…” Disse Ryuu con fare maturo tirandolo più vicino a sé. “Madre natura ti ha dotato di due splendide ali, non lo nego ma anche di un bel faccino!”
Il fanciullo inarcò le sopracciglia.
Fu il turno di Yuu di tirarlo dalla sua parte. “Quello che Ryuu vuole dire è che la vita non può essere fatta di solo volare.”
Shouyou non comprese. “Che cosa ci può essere di più bello di volare.”
“Una o due cose di certo!” Esclamò Ryuu facendogli l’occhiolino.
“Cose che non riescono troppo bene da soli,” aggiunse Yuu. “Per questo, esiste la stagione degli amori, piccoletto!”
Le labbra di Shouyou si dischiusero, poi annuì. “Ne ho già parlato con Koushi,” disse. “Non cambierà niente per me durante questa stagione.”
I due Corvi si scambiarono un’altra occhiata.
“Intendi, che vuoi fare esperienze, vero?” Domandò Ryuu.
“Non devi per forza scegliere il tuo compagno per la vita nei prossimi sei mesi,” disse Yuu. “Non ti credevo il tipo ma non c’è niente di male a voler provare e poi scegliere.”
“Ormai, la maggior parte dei giovani che si accoppiano alla loro prima stagione sono innamorati già da prima! Tipo Kei e Tadashi…”
Shouyou sgranò gli occhi. “Kei e Tadashi cosa?”
Ryuu e Yuu fece per rispondere all’unisono. Si resero conto un istante troppo tardi che il piccolo Corvo non aveva la minima idea di quello di cui stavano parlando e si chiusero dietro ad un attonito silenzio, indecisi su cosa fosse meglio dire.
“Yuu, Ryuu, lasciatelo in pace,” disse Koushi girando intorno al fuoco ed avvicinandosi. Alcuni degli adulti cominciavano a ridere un po’ troppo a causa del vino e presto sarebbero cominciate le canzoni improvvisate e le danze sui tavoli. “È ora che Shouyou vada a dormire.”
Il piccolo Corvo si alzò immediatamente in piedi e Koushi gli passò una mano tra i capelli con dolcezza. “Non volerà per incantare nessuno domani ma questo non significa che non abbia bisogno di riposo,” aggiunse.
I due Corvi rimasti seduti sulla panca parvero delusi ma uno sguardo da parte degli occhi dorati dell’altro bastarono per ammonirli da dire qualsiasi altra cosa.
“Su, Shouyou, dai la buona notte e torniamo al tuo nido.”
 
 
 
“Che cosa significa fare esperienze?” Domandò Shouyou varcando l’ingresso della loro casa.
Non vide Koushi sospirare stancamente alle sue spalle. “Sono parole di Ryuu?”
Il piccolo Corvo annuì prendendo le scale che portavano alla mansarda. Lui, Tadashi e Kei avevano sempre dormito di sopra, mentre Daichi e Koushi avevano una camera da letto al piano di sotto. Era così che i Corvi adulti costruivano le loro dimore: il piano di sopra era per i piccoli, mentre i genitori restavano più vicini all’ingresso, in caso di pericolo.
A Shouyou avevano insegnato che riempire il nido e proteggerlo erano i due principi fondamentali della vita di un Corvo. I piccoli erano il futuro ma la natura sapeva essere una madre crudele ed era necessario amore ed impegno perché la morte non avesse mai il sopravvento sulla vita in quella Foresta. Dove la natura aveva pietà di loro, però, gli Umani non sembravano nutrirne alcuna.
Quei mostri avevano ucciso molti di loro per via delle ali o rubato le loro uova per poter strappare il tanto ambito bottino da delle creature appena nate, incapaci di difendersi. Koushi stesso era stato vittima di quella caccia infinita. Gli Umani lo avevano avvelenato e, sebbene fossero riusciti a salvargli la vita, il suo corpo non era più guarito del tutto e lui e Daichi non avevano potuto avere dei piccoli.
La sorte, però, aveva voluto essere magnanima con loro durante uno dei periodi più oscuri che quella generazione potesse ricordare. Quindici anni prima, durante una stagione anomala che tutti avrebbero poi ricordato come il Grande Inverno, il loro popolo si era ritrovato con molti giovani genitori a piangere i loro piccoli e molti bambini non ancora nati senza famiglia.
Era stato Koushi a trovare l’uovo ancora non maturato di Shouyou prima che congelasse tra le braccia dell’inverno. Il piccolo Corvo era stato per la giovane coppia quella speranza che avevano creduto di aver perso per sempre.
“Avanti,” disse Koushi inginocchiandosi accanto al nido del suo primo piccolo. “Cambiati e a letto.”
Shouyou s’imbronciò. “Non fuggo mica…”
“Non lo so,” ammise Koushi. “Sei sgattaiolato fuori nel cuore della notte senza che noi ce ne accorgessimo. Chi lo sa cosa potresti combinare la prossima volta che volto lo sguardo?”
Shouyou arrossi un poco e non rispose. Si cambiò nei suoi abiti da notte in fretta e si accucciò sul suo nido aspettando che Koushi gli rimboccasse le coperte. Sollevò gli occhi d’ambra sui due nidi vuoti a poca distanza dal suo. “Tadashi e Kei non ci sono ancora,” fece notare al genitore, come se questo potesse rendere le sue piccole fughe notturne meno gravi.
Koushi sospirò: non era che fosse più permissivo con gli altri che con Shouyou ma sapeva perché tardavano e non sarebbe stato giusto andare a disturbarli ora che la stagione degli amori era ufficialmente cominciata. Questo, però, era meglio che Shouyou non lo sapesse. Non ancora, almeno.
Sarebbe stato già abbastanza difficile per lui accettare che coloro con cui era venuto al mondo e cresciuto, avrebbero presto lasciato il nido dei loro genitori per costruirne uno loro.
“Volevo chiedere loro di venire al fiume con me, domani,” disse Shouyou con espressione delusa.
Koushi non ebbe il cuore di dirgli che i giorni dei giochi erano finiti per loro.
“Buona notte, Shouyou…”
 
 
Kei e Tadashi rientrarono che era ormai notte fonda.
Shouyou non li udì salire sulla mansarda ma furono le loro voci che sussurravano a destarlo. Arricciò il naso e sbadigliò senza far rumore. Fece quasi per sollevarsi a sedere e rimproverarli per essere tornati a casa solo a quell’ora, tanto per annoiare Kei in qualche modo ma fu la sua stessa voce a persuaderlo.
“Piano, non svegliamolo o chi lo vuole sentire?”
Shouyou s’imbronciò ma rimase immobile, gli occhi d’ambra fissi sulla finestra vicino al suo nido e le orecchie tese per ascoltare meglio. Seguirono alcuni rumori che non seppe comprendere, poi fu Tadashi a parlare. “Verrai a cercarmi domani?” Domandò e Shouyou poté percepire il suo sorriso nella sua voce.
Per un attimo, si aspettò che Kei rispondesse con la sua solita voce seccata.
“Dove ti troverò domani?”
Shouyou inarcò di sopracciglia: quella era davvero la voce di Kei?
Tadashi ridacchiò a bassa voce. “Nel nostro posto. È bello lì ed è sicuro.”
“Non è troppo lontano da casa,” mormorò Kei. “Ti piacerebbe costruire il nido lì?”
Per un attimo, Shouyou si sentì mancare il fiato. Gli occhi d’ambra divennero enormi ma non si mosse: si sentiva come congelato.
“Sì,” rispose Tadashi. “Se la prossima… Se la prossima primavera arriveranno i primi piccoli, mi piacerebbe avere Koushi vicino per aiutarmi a capire cosa fare.”
“Impareremo…”
“Sì, ma non vorrei passare l’inverno da solo con delle uova o con dei bambini appena nati mentre tu te ne vai a caccia con gli altri adulti.”
Non stava accadendo sul serio. Non poteva essere vero.
“Già,” mormorò Kei in risposta. “È più sicuro per tutti rimanere vicino al Villaggio.”
“Avremo comunque il nostro nido,” disse Tadashi.
Shouyou udì di nuovo quello strano rumore e, alla fine, comprese che si stavano baciando.
“Domani al tramonto?” Domandò Kei.
Tadashi ridacchiò nervosamente. “Sì, domani al tramonto al nostro posto.”
Si scambiarono ancora qualche bacio, poi Shouyou li udì darsi la buona notte e seppe che si erano coricati nei loro nidi. Fu solo una questione di minuti prima che si addormentassero.
Shouyou, invece, non riuscì a chiudere occhio per il resto della notte.
 
 
***
 
 
Il giorno dopo, Shouyou si sollevò dal suo nido che appena albeggiava. Recuperò i vestiti e gli stivali ma si vestì solo al piano di sotto per non disturbare gli altri due giovani Corvi che dormivano in quella mansarda insieme a lui, che erano venuti al mondo e cresciuti insieme a lui.
Ed ora avrebbero spiegato le ali insieme ed avrebbero lasciato in nido che era stata la loro casa fino a quel giorno.
“Shouyou?”
Koushi lo trovò seduto in fondo alle scale che portavano alla mansarda mentre s’infilava gli stivali.
“Dove vai così presto?” Domandò con un sorriso stanco.
“A valle,” rispose Shouyou senza guardarlo. “Al fiume…”
Koushi inarcò le sopracciglia. “Non aspetti di chiedere a Kei e Tadashi se vogliono venire con te?”
“Non vogliono,” rispose Shouyou alzandosi in piedi. “Gliel’ho chiesto ieri notte, quando sono tornati.” Mentì. Non avrebbe confessato di aver origliato la loro conversazione da amanti: non aveva voglia di parlarne.
“Fa con calma,” disse Koushi appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle. “Il fiume non scappa mica. Ti preparo qualcosa di caldo, prima che tu parta.”
Per un attimo, Shouyou pensò di rifiutare e di andarsene e basta ma Koushi gli passò una mano tra i capelli con dolcezza e si spostò in cucina prima che potesse farlo. “Vieni, parliamo un po’…”
Sarebbe stato troppo sospettoso uscire da quella porta in quel modo e Shouyou sapeva di non essere bravo a mentire, non con Koushi. Annuì e lo seguì.
Nessuno dei due parlò fino a che Koushi non ebbe ravvivato il fuoco nel caminetto per riscaldare un pentolino ricolmo di acqua.
“Posso farti una domanda?” Disse Shouyou.
Inginocchiato accanto al focolare, Koushi si limitò a sorridergli e seppe di avere il permesso di parlare. “Tu e Daichi siete divenuti una coppia sin dalla vostra prima stagione degli amori?”
Era una domanda terribilmente sfacciata ma dopo quello che aveva udito la notte prima la sua soglia d’imbarazzo si era notevolmente alzata.
Gli occhi dorati di Koushi si tinsero di nostalgia. “Sì,” ammise con un sorriso innamorato che Shouyou sapeva non essere per lui. “In realtà, non fu una sorpresa per nessuno. Non sono Yuu ed Asahi, loro sì che ammutolirono diverse persone.”
“E come avete fatto?” Domandò Shouyou. “Voglio dire, come si sceglie il compagno giusto con cui passare tutta la vita?”
Koushi recuperò il pentolino ormai caldo e preparò due tazze di thè prima di sedersi di fronte al piccolo Corvo e rispondere. “Alla tua età, subito dopo la mia prima stagione degli amori, ti avrei detto che è una cosa che si sente e basta. Senza spiegazioni.”
Shouyou pensò alla creatura dei suoi sogni, al modo in cui aveva finito per sentire la sua solitudine ma non disse nulla in proposito. Non era la conversazione adatta. “Hai cambiato idea, ora?”
“No,” ammise Koushi. “Ma io sono stato fortunato. Altri non sono felici quanto lo siamo io e Daichi dopo tre pulcini e molti inverni insieme.”
“Anche Yuu e Asahi sembrano felici.”
“Certo ma non starò qui a dirti di scegliere per compagno o compagna il primo Corvo che credi rispetti i tuoi gusti, ecco tutto,” disse Koushi. “Non scegliere la prima persona per cui senti un’attrazione solo perché, in quel momento almeno, credi che sia l’unica al mondo. Sceglila a partire dal suo lato oscuro.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “In che senso?”
“A quindici anni è facile essere innamorati con la primavera che sboccia e l’euforia di essere adulti e costruire un nido proprio, lontano dai genitori,” Koushi appoggiò il viso ad una mano. “Ciò che accade dopo, però, quando il fuoco dell’inizio viene domato… È lì che comincia il vero amore, Shouyou ma lo si può toccare solo dopo aver conosciuto l’oscurità dell’altro ed averla saputa accettare. Questa è una consapevolezza che la stagione degli amori non può dare, capisci?”
No, Shouyou non capiva ma annuì lo stesso.
Koushi ridacchiò. “Come mai tanta curiosità?” Domandò prendendo un sorso del suo thè.
Shouyou scrollò. “È che non riesco a capire che cosa gli adulti si aspettano da me in questa stagione,” confessò. “Quello che si presume che debba provare, quello di cui parlano tutti… Io non riesco a sentirlo, ecco.” Abbassò lo sguardo. “Comincio a pensare che ci sia qualcosa che non va in me.”
Persino quell’antipatico di Kei e quel gran timido di Tadashi avevano provato quel desiderio di cui tutti parlavano e lo avevano fatto guardandosi negli occhi. Al tramonto di quello stesso giorno sarebbero divenuti adulti, avrebbero aperto le ali e sarebbero volati verso un orizzonte nuovo, misterioso.
Shouyou, invece, sarebbe rimasto dov’era. Lo avrebbero lasciato indietro.
Koushi allungò una mano e gli sfiorò il viso. “Non sono cose che si possono forzare, Shouyou,” spiegò. “L’amore… Anche il desiderio sono emozioni spontanee. Non puoi sforzarti di provarlo perché la natura vuole che sia la stagione giusta. Semplicemente, non è il tuo momento. Datti tempo.”
“Quanto tempo?”
Koushi reclinò la testa da un lato. “Pensavo che non t’interessassero queste cose,” gli ricordò. “Adesso, invece, percepisco fretta nelle tue parole.”
Le guance di Shouyou si colorarono appena. “No, solo che… Non riesco a capire.”
Koushi sorrise con tenerezza. “Lo capirai quando lo sentirai,” concluse. “Cerca di tornare a casa prima del tramonto, d’accordo?”
“Sì…” Rispose Shouyou fissando la tazza calda tra le sue mani.
Se lo avesse guardato negli occhi, si sarebbe accorto che gli stava tenendo nascosto qualcosa.
 
 
***
 
 
Shouyou non era mai arrivato fino alla cima delle montagne, dove la neve non si scioglieva mai del tutto nemmeno durante l’estate. Daichi gli aveva sempre detto che era difficile volare lassù per i piccoli per via dell’aria gelida. Era stato uno dei pochi avvertimenti che Shouyou aveva ascoltato da bambino ma questo non gli aveva impedito di chiedersi come fosse il mondo lassù ogni volta che dava le spalle alla valle ed alzava gli occhi. Qualcuno gli aveva raccontato che c’era una grande città dalle alte mura di pietra dall’altra parte ma nessuno sembrava essere d’accordo su chi fossero i suoi signori.
Dicevano che l’esercito di Umani del Re della Foresta venisse da lì, che il sovrano di quella città fosse stato sconfitto dal signore delle Aquile e che il Cigno che regnava al suo fianco fosse divenuto suo compagno in seguito ad un’offerta di pace.
Shouyou aveva chiesto più volte come fosse possibile che in una città con un esercito di Umani vivesse anche un Cigno ma nessuno aveva mai saputo rispondergli. Per quel che ne sapeva, una creatura con ali tanto belle non sarebbe mai potuta sopravvivere in un mondo di essere umani.
Le Aquile erano forti ed ucciderne una aveva un valore inestimabile sotto molti punti di vista ma un Cigno era una creatura rara e lo era proprio a causa degli Umani e della loro caccia. Shouyou stesso non ne aveva mai visto uno ma dicevano che fossero tra le creature più belle che avessero mai camminato in quella Foresta.
Si chiese se per caso avessero gli occhi blu ma la creatura del suo sogno era completamente ricoperta di piume corvine ed i Cigni erano famosi per le loro ali bianche più della neve fresca.
Neve…
Quello era l’unico indizio di cui Shouyou disponeva per trovare la creatura del suo sogno e c’era un solo luogo dove la neve era una certezza. Aveva pensato a tutto durante l’ultima notte insonne: mettersi in viaggio presto per percorrere la maggior parte della strada prima del tramonto ed avere il tempo di trovare un riparo sicuro in quella terra sconosciuta. Se i suoi sogni gli avessero dato una mano durante la notte, forse la sua ricerca non sarebbe stata così lunga. Inoltre, c’era sempre la possibilità che la creatura lo sentisse almeno quanto lui sentiva lei, no?
Non poteva escludere che lo stesse cercando a sua volta e, magari, si sarebbero trovati a metà strada.
Sì, forse… Se non si fosse perso nel bel mezzo del nulla non appena il sole aveva raggiunto il punto più alto.
Shouyou si sedette sul ramo di un alto albero e si guardò intorno con aria sconsolata ed un poco spaventata. “Dove mi trovo?” Domandò a se stesso osservando quei tronchi tutti uguali. La Foresta era ancora più fitta e spaventosa in quel punto e volare sotto le chiome degli alberi non era così facile come più in basso, verso la valle.
Senza contare che più andava avanti e più la temperatura sembrava abbassarsi, quasi che in quelle terre l’inverno non se ne fosse mai andato. Schiaffò le mani contro le guance per riprendere il controllo di sé. “Non demordiamo!” Esclamò alzandosi in piedi e scrutando i dintorni. “Il sole è alto, deve essere l’ora di pranzo. Di solito, tramonta verso la valle e sorge dietro le montagne… Quindi, devo andare nella direzione opposta in cui cala.”
Sollevò gli occhi d’amabra e sospirò. “Aspettiamo…” Concluse tornando a sedersi.
Quello era l’unico metodo che conosceva per evitare di girare intorno e peggiorare ulteriormente la sua situazione. Sarebbe stato più veloce volare sopra le chiome degli alberi ed osservare tutto dall’alto ma Koushi e Daichi gli avevano sempre proibito di farlo: i Corvi erano predatori, sì ma non erano gli unici della Foresta né i più grossi e pericolosi.
Tuttavia…
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra verso le chiome verdi degli alberi.
Il sole era alto e la maggior parte dei rapaci cacciavano di notte, quindi… Forse…
Si alzò in piedi, prese un respiro profondo ed aprì le ali. Non doveva volare fino alla cima delle montagne allo scoperto, comunque. Doveva solo controllare i dintorni e trovare la direzione giusta in cui procedere.
Ci sarebbero voluti pochi istanti.
Che cosa poteva mai succedergli in pochi istanti?
“Il pulcino si è bevuto il cervello!”
“Shhh… Non farti sentire!”
Shouyou sobbalzò e per poco non cadde dal ramo. Si guardò intorno, non vide nessuno, eppure era certo che…
“Bravo! Ci siamo fatti beccare!”
“Non ci ha visto, non è un gran danno!”
“Ci ha sentiti, però!”
“Tacete…”
Shouyou non era ancora riuscito ad identificare la direzione da cui provenivano quelle voci che qualcosa lo attaccò alle spalle spingendolo giù dal ramo dell’albero. Fu una brutta caduta fino a terra ed il suo aggressore si assicurò di bloccarlo contro l’erba umida con tutto il peso del corpo. “Merda, è veramente un pulcino…”
Shouyou provò a muoversi, spingere il suo aggressore via da sé con solo la forza delle braccia ma qualcosa di affilato gli graffiò la guancia ed il sangue gli si gelò nelle vene. “Sei coraggioso, pulcino,” disse una voce sarcastica alle sue spalle. “Oppure, molto stupido…”
“Testuro,” intervenne una seconda voce decisamente più pacata, tanto da essere atona. “Non fare sciocchezze. Guarda le sue ali.”
Shouyou sentì la pressione sulla sua nuca diminuire un poco.
“Merda…” Sibilò il suo aggressore. “È un Corvo…”
“Un corvo?” Domandò una terza voce. “È così piccolo che non lo sembra proprio!”
Shouyou si sentì sollevare da terra e prese ad ingoiare aria come se qualcuno avesse tentato di soffocarlo. Non appena quella mano lo lasciò andare si spostò all’indietro, inciampò nei suoi stessi piedi e retrocedette fino a che le sue ali non aderirono al tronco di un albero.
Il suo aggressore sgranò gli occhi felini. “Ehi, pulcino, hai le ali, non ti serve correre per scappare.”
“Tetsuro, falla finita,” intervenne lo sconosciuto con la voce apatica facendosi avanti.
Shouyou lo guardò con attenzione: aveva i capelli biondi ma non fu quello ad attirare la sua attenzione, bensì le due orecchie nere a punta che aveva in cima alla testa. “Ti sei fatto molto male?” Domandò inginocchiandosi di fronte a lui. Gli occhi erano dorati ma non gentili come quelli di Koushi, la pupilla era sottile, allungata.
Shouyou non disse nulla e lo sconosciuto allungò una mano per sfiorargli la guancia nel punto in cui lo avevano graffiato. Sospirò con espressione esasperata. “Tetsuro…” Disse voltandosi.
Solo allora il piccolo Corvo pose attenzione a tutti loro. Erano creature che non aveva mai visto prima: non avevano ali ma una lunga coda che partiva dal fondo della schiena e che sembravano poter muovere in totale libertà. Quello che Shouyou, però, non riusciva proprio a fare a meno di guardare erano le buffe orecchie che tutti avevano in cima alla testa.
Il suo aggressore doveva essere quello più alto, dai capelli corvini e dal viso poco raccomandabile.
“Sta guardando te, Tetsuro,” gli fece notare un piccoletto un po’ più distante.
“No, sta guardando queste,” disse l’uomo che doveva chiamarsi Tetsuro toccandosi una delle orecchie nere. “Non hai mai visto un Gatto selvatico, pulcino?”
Shouyou non rispose, non riusciva ancora a smettere di tremare.
Il Gatto di fronte a lui si alzò in piedi e gli porse la mano. “Ti aiuto,” disse.
Il piccolo Corvo esitò, poi allungò la sua per farsi tirare in piedi.
“Cavolo ma è nanerottolo per essere un Corvo!” Esclamò un tipo che gli ricordò un poco Ryuu, solo con una striscia di capelli chiari in mezzo alla testa.
“È solo un pulcino, un po’ di pietà,” disse Tetsuro avvicinandosi di un paio di passi. “Che cosa ci fai così lontano da casa, piccolo? Il tuo nido è vicino alla valle, lo sai?”
Shouyou si dimenticò completamente della paura e s’imbronciò come se fosse stato offeso nell’orgoglio. “Non sono un pulcino!” Esclamò.
“Oh!” Tetsuro sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere. “Un piccoletto dal bel caratterino!”
Il Gatto dai capelli biondi che aveva aiutato Shouyou a rialzarsi sospirò di nuovo. “Tetsuro, lascialo in pace,” gli disse.
“Sto solo giocando un po’, Kenma.”
“Ti sei perso?” Domandò il felino di nome Kenma. “Vuoi che ti aiutiamo a ritrovare la strada di casa?”
Il tipo che assomigliava a Ryuu sbuffò. “Non faccio da balia ai pulcini, io!”
“Ma stai un po’ zitto!” Lo rimproverò il piccoletto di prima.
Shouyou scosse la testa. “No, io non mi sono perso…”
“Pareva di sì, pulcino,” disse Tetsuro con un sorriso sarcastico. “A meno che tu non stia aspettando che il tuo amante ti venga a prendere. È cominciata la stagione degli amori anche per voi, no?”
Shouyou sgranò gli occhi e scosse immediatamente la testa. “No, io sto andando sulle montagne.”
Kenma e Tetsuro si guardarono confusi. “Che va a fare un pulcino come te sulle montagne?” Domandò quest’ultimo.
“È pericoloso andare da soli,” disse il primo. “Dove sono i tuoi genitori?”
“A casa…”
“E sanno che sei qui?”
“Certo!” Mentì Shouyou forzando un sorriso. “Sono un adulto, ormai e ho lasciato il nido, quindi…”
“Ehi, Tetsuro non ce lo possiamo mangiare lo stesso?”
“Taci, Yamamoto!” Esclamò Tetsuro, poi sospirò. “Stai a sentire, pulcino, non arriverai mai sulla cima della montagna vagando tra gli alberi.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Voi potete indicarmi la strada, signore?”
“Non chiamarlo signore,” disse Kenma. “Non è così rispettabile… E noi non indichiamo le vie più facili per la cima della montagna agli sconosciuti.”
“Kenma…” Tetsuro posò una mano sulla sua spalla. “È un pulcino, non un Cacciatore!”
“Non sono un pulcino!” Insistette Shouyou.
“È un piccolo e coraggioso Corvo alla ricerca di avventure!” Si corresse il felino. “Che altro dovremmo fare?”
“Riportarlo a casa, ad esempio,” propose Kenma.
“No!” Esclamò Shouyou. “È il mio primo viaggio da Corvo adulto e non posso tornare a casa!”
Il Gatto dai capelli biondi inarcò un sopracciglio. “Non credo che per i Corvi esista un passaggio all’età adulta simile…”
Tetsuro alzò gli occhi al cielo. “Pulcino, guarda il sole.”
Shouyou fece come gli era stato detto.
“Aspetta che cominci a calare,” aggiunse il felino, “a quel punto, mettiti in modo d’averlo alle spalle e, dopo, dirigiti verso destra.”
Il piccolo Corvo ripeté sommessamente le informazioni poi annuì con un gran sorriso. “Tutto qui?” Domandò. “Arriverò alla cima della montagna così?
“No…”
“Oh…”
“Non avere fretta. Con queste indicazioni arrivarai ad un fiume… Dovresti conoscerlo. È lo stesso che arriva alla valle.”
Shouyou annuì.
“Molto bene,” continuò Tetsuro. “Una volta che sarai arrivato al fiume, devi risalirlo e quando vedrai la fonte saprai che il tuo viaggio si è concluso!”
Gli occhi d’ambra del piccolo Corvo si fecero grandi e brillanti.
Kenma fece per dire qualcosa ma Tetsuro lo precedette. “Inoltre, percorrendo quella stessa via al contrario, potrai sempre tornare nei territori della tua gente senza rischiare di perderti.”
Shouyou annuì due volte. “Grazie!” Esclamò con sincera gratitudine. “Grazie mille!”
 
 
Diversi minuti dopo aver lasciato il piccolo Corvo, sulla strada verso casa, Kenma non sembrava ancora convinto di quanto avevano appena fatto.
Tetsuro sospirò e gli circondò le spalle con un braccio. “Che cosa affolla quella tua testolina?” Domandò.
“Non sono sicuro che abbiamo fatto la cosa giusta,” disse Kenma. “Avremmo dovuto convincerlo a tornare a casa… Sembrava ancora così giovane, troppo per essere un adulto.”
Tetsuro scrollò le spalle. “Avremmo dovuto trascinarlo a valle per convincerlo e non era una responsabilità che volevo prendermi.”
“Sì, ma…”
L’altro lo zittì con un bacio a tradimento. “Rilassati, Kenma. Gli ho spiegato nei dettagli la strada per tornare a casa e, comunque, è più sicura la strada verso la cima delle montagne che quella per la valle. Almeno, da quella parte non rischia d’incontrare i Cacciatori…”
Kenma lasciò andare un sospiro. “Sì, hai ragione…”
 
 
***
 
 
Non appena si ritrovò sulla riva del fiume, Shouyou lasciò andare un’esclamazione trionfante.
Il suo viaggio stava proseguendo nel migliore dei modi e si sentiva inarrestabile.
“Dunque, il Gatto ha detto di percorrerlo in senso opposto alla corrente,” ricordò osservando l’acqua cristallina che scendeva verso valle. “Da questa parte, allora!” Esclamò mettendosi in marcia.
Ebbe appena il tempo di fare un paio di passi che si accorse di non essere da solo sulla riva del fiume.
“Oh… Ehm… Ciao,” disse accennando un timido sorriso, poi arrossì di colpo. “Mi hai sentito urlare, non è vero?”
Che pessima figura! Davvero… Davvero una pessima figura!
Il ragazzo aveva i capelli biondi ed aveva il viso privo d’imperfezioni di chi non ha ancora vissuto abbastanza stagioni per portare addosso i segni degli anni. Se ne stava con un ginocchio appoggiato sul terreno ghiaioso, gli occhi chiari fissi sul viso del giovane Corvo. Lo guardava come se non credesse a quello che stava vedendo.
Sorrise ma era strana la curva di quella bocca. “Ciao…” Rispose alzandosi in piedi.
Shouyou si torse le dita nervosamente. “Mi dispiace se ti ho disturbato con… Le mie urla,” disse imbarazzatissimo. “È che ho cercato questo fiume per tutto il giorno e…”
“Nessun disturbo,” disse il ragazzo avvicinandosi.
Il piccolo Corvo fece un passo indietro. “Vivi da queste parti domando?” Osservandolo bene per capire a quale popolo appartenesse. “O sei della valle? Della cima della montagna, magari?”
“No, sono in viaggio,” confessò lo sconosciuto. “Sto cercando qualcosa.”
“Oh!” Shouyou annuì. “Sì, sto cercando qualcosa anche io.”
“Che cosa?”
“Oh, è una storia complessa,” ammise Shouyou. “Tu, invece, che cosa stai cercando?”
Il giovane reclinò il capo da un lato. “È buffo, sai?”
“Che cosa?”
Lo sconosciuto sollevò una mano e tentò di toccargli il viso ma Shouyou si ritrasse. Non sorrideva più.
“È buffo perché stavo cercando proprio te.”
Shouyou sentì il respiro morirgli in gola. I suoi occhi divennero enormi. “Io devo… Devo andare…”
Aprì le ali. Non aveva importanza che fosse poco sicuro volare nel cielo aperto. Sapeva che doveva andarsene e doveva farlo in fretta. Non ne ebbe il tempo.
Lo attaccarono alle spalle anche quella volta e lo costrinsero su di un fianco, premendogli la testa contro il terreno ghiaioso. Shouyou agitò le ali con violenza e riuscì a colpire uno dei suoi assalitori.
“Non così, idiota! Schiacciagli le ali! Schiacciagliele!”
Shouyou si dimenò con tutte le forze che aveva ma presto si ritrovò incapacitato a muovere sia le ali che gli arti. “Lasciatemi!” Urlò. “Lasciatemi! Lasciatemi!” Sapeva che non lo avrebbero ascoltato ma non aveva nessun’altra arma a sua disposizione. Non era un Corvo adulto, non era forte come Daichi ed Asahi e tutto quello che poteva fare era piangere e sperare che qualcuno lo sentisse.
“Lasciatemi!”
Cacciatori. Era quella la parola che continuava a riecheggiare nella sua mente accompagnata dall’immagine dei visi terrorizzati di Koushi e Daichi. Cacciatori, i mostri da cui lo aveva sempre messo in guardia più di qualsiasi altro predatore della foresta.
Cacciatori. Una condanna a morte certa.
“No… No…” Singhiozzò mentre le forze venivano meno.
“Che cosa aspetti?” Urlò qualcuno. “Sgozzalo e facciamo quello che dobbiamo fare!”
“Ma è un bambino!”
“Ha solo l’aspetto di un bambino ma non lo è!”
“Non combatte nemmeno,” intervenne un terzo. “Strappiamogli le ali e basta. Non mi va di sporcarmi di sangue più del necessario.”
Nell’udire quelle parole, il cuore di Shouyou saltò un battito. “No!” Urlò disperato. “No, le ali no!”
“Stai zitto!” Gli urlarono contro premendogli con più violenza la testa contro il terreno umido e ghiaioso. “Avanti le catene!”
Shouyou piangeva, tremava e continuava a muoversi per quel poco che poteva, anche se era del tutto inutile. Non avrebbe mai raggiunto la cima delle montagne, non sarebbe mai tornato a casa. Non avrebbe più rivisto la sua famiglia, i suoi amici. Non sarebbe più stato stretto tra le braccia di Koushi. Daichi non lo avrebbe mai più portato rimproverato per aver combinato qualche sciocchezza. Non avrebbe più udito le storie e canzoni intorno al focolare. Non avrebbe visto i piccoli di Kei e Tadashi…
Pianse. Pianse disperatamente.
E pensare che era stato così arrabbiato con loro solo quella mattina ed ora le ragioni non gli sembravano niente altro che una lunga lista di sciocchezze nate dalla sua infantile gelosia.
“Mi dispiace…” Mormorò tra le lacrime. “Mi dispiace…”
Shouyou, però, non avvertì mani il freddo metallo delle catene intorno alle sue ali.
Le mani che lo tenevano fermo sparirono come se non fossero state altro che la manifestazione di un brutto sogno. Gli occhi d’ambra si sollevarono un poco ma Shouyou nascose immediatamente il viso come tutti i rumori del mondo vennero messi a tacere delle grida disperate ed agonizzanti dei Cacciatori.
“Ti prego,” singhiozzò la voce che Shouyou riconobbe come quella del ragazzo biondo che aveva visto inginocchiato sulla riva del fiume. “Ti prego, non farlo… Ti scongiuro!”
Un terribile rumore che Shouyou non seppe identificare segnò la fine di quello strazio. Tremava ancora ma sollevò comunque la testa. La vista era annebbiata ma vide chiaramente che l’acqua cristallina del fiume si era tinta di rosso.
Uno stivale nero affondò nell’acqua più bassa, vicino alla sua testa. “Ehi, stai bene?”
L’ultima cosa che Shouyou riuscì a vedere fu un paio di occhi blu che lo scrutavano dall’alto.
Pensò che si trattasse solo dell’ennesimo sogno.
 


 
   
 
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