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Autore: Blue Poison    19/09/2016    4 recensioni
[Jikook]
La matita si mosse sul foglio nudo. Un sibilo basso e continuo si levò nell’aria. Jungkook esalò un respiro mentre piegava le dita per accartocciare la carta, deformandola in una pallina non compatta insieme alla sua neonata ispirazione.
Sembrava ne fosse perennemente prosciugato, oggi.
A tavole e tavole aveva donato un’identità, quella mattina, ma tutte quante erano state da subito destinate al buco nero che era il cestino; a ogni disegno aveva perso sempre più fiducia, fino a cadere vittima di un blocco al solo posare la punta della matita su quella scoraggiante superficie bianca.
Artist!Jungkook e Model!Jimin
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Aesthetic: Of Art and Beauty
 

La matita si mosse sul foglio nudo. Un sibilo basso e continuo si levò nell’aria. Jungkook esalò un respiro mentre piegava le dita per accartocciare la carta, deformandola in una pallina non compatta insieme alla sua neonata ispirazione.
Sembrava ne fosse perennemente prosciugato, oggi.
A tavole e tavole aveva donato un’identità, quella mattina, ma tutte quante erano state da subito destinate al buco nero che era il cestino; a ogni disegno aveva perso sempre più fiducia, fino a cadere vittima di un blocco al solo posare la punta della matita su quella scoraggiante superficie bianca.
Jungkook sollevò gli occhi dal suo block notes, oramai alla metà critica della sua vita da oggetto da artista, e guardò la sua soffice brioche con svogliatezza e repressa irritazione verso un lavoro che sembrava destinato a restare astratto; ma a richiedere approvvigionamento non era il suo stomaco, bensì la sua mente, caduta in uno stato letargico.
Stimolare la fantasia non era difficile. Jungkook aveva molte idee in testa per quanto riguardava i soggetti da riprodurre nei suoi disegni: dee su piedistalli rappresentativi di tutto un mondo interiore, emozioni fatte armature di guerrieri celesti, ritratti di volti in equilibrio fra il sogno e il ricordo e paesaggi mai visitati intrisi di brama di viaggiare, di gettare l’occhio su ogni minimo particolare in quel puzzle di dettagli. No, Jungkook aveva molte idee, troppe.
Così tante che, se la loro quantità si fosse tradotta in stato liquido, tutti gli oceani insieme non sarebbero bastati a rappresentarle.
Il problema, talvolta, si presentava con il riprodurre su carta questi paradisi artificiali e misteriose figure. Ogni singola linea era una briglia che, mano a mano che veniva tracciata, trascinava nel mondo reale uno specifico elemento, che doveva combaciare con il precedente e il successivo, per un’armonia e un equilibrio omogenei; un errore sarebbe equivalso a un’enorme macchia di inchiostro sbavato su un documento di pergamena ancora fresco.
La sua mente doveva trovare il giusto modo di condurre le dita, la giusta forza di spingere con la punta sul foglio, proprio come se dovesse scegliere la direzione che gli serviva in un groviglio di strade, nonché la giusta velocità per raggiungere la sua destinazione.
Jungkook appoggiò il mento sul palmo aperto della mano, rivolgendo il suo sguardo oltre la finestra del bar; dietro la lastra di vetro tappezzata di scritte a pennarello bianco, le macchine scalavano pigramente al via del semaforo e sui due marciapiedi che bordavano la strada, donnine pacate camminavano mollemente insieme ai bambini o ad anziani con i loro cuccioli da compagnia. Il contrasto con la frenesia nella mente di Jungkook era evidente: la sua testa era una centrifuga di idee che si schiantavano una contro l’altra per generarne di nuove e il fuoco della loro brama di espressione era dolorosamente soffocato e tradotto in gesto in un nervoso stringere di dita attorno alla matita mangiucchiata.
D’un tratto, una vettura nera spezzò le righe e accostò sul lato del bar, la portiera posteriore perfettamente allineata con il corridoio che i grossi vasi di rose e le colonnine di marmo dell’edificio creavano all’ingresso del bar. Jungkook avrebbe guardato altrove, se il suo istinto non gli avesse insegnato che dove c’è stranezza e discontinuità si può nascondere un inaspettato potenziale artistico.
Ed ebbe ragione.
Quello che comparve sul marciapiede era un ragazzo, un giovane di un aspetto così inusuale e di proporzioni così tecnicamente perfette che Jungkook si sentì mancare, al pari di un turista dinnanzi a un’opera d’arte: Policleto avrebbe riconosciuto con orgoglio l’attinenza al suo canone.
Aveva i capelli del colore del cielo al tramonto, tanto da far pensare che fosse stato incoronato dal vermiglio sole stesso; i ciuffi ondulati parevano essere stati tracciati dalla precisione di un pennello, poiché dove le sfumature erano più accentuate, sembrava fosse una maggiore concentrazione di tempera il responsabile.
Il profilo metteva in evidenza il naso dritto e un po’ all’insù, le labbra socchiuse simili a petali screziati di un tenue rosa che intrappolavano una parola trattenuta e il mento, smussato dal tempo al pari di un artigiano che opera su un blocco di argilla e così fino alla linea del collo, deformato in lievi pieghe a causa del capo voltato verso destra per parlare con l’autista; Jungkook pensò ci fossero delle dita invisibili ad affondare in quella pelle, vicino all’eco del battito del cuore in gola, le stesse del vento che aveva preso a tirare e che sembrava desiderare che il ragazzo si voltasse, forse al fine di strappargli un bacio. I suoi occhi, inoltre -buon Dio, gli occhi-, erano piccole perle in una conchiglia resa palpebra con un taglio curvo e netto e di un colore puro, talmente saturo da non lasciare spazio ad allucinazioni cromatiche; sfondare quella compattezza con uno sguardo e perdercisi dentro doveva essere appagante.
Ma ciò che gli permise di raggiungere “quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati”* furono le scapole, sporgenti dalla stoffa corvina della maglietta come le ossa tronche di un angelo; la fantasia lavorò frenetica e, all’istante, due eteree ali bianche maturarono sulla schiena del ragazzo, si piegarono a gomito e lo racchiusero in un materno abbraccio.
Jungkook era senza fiato: non si era nemmeno accorto di essersi piegato in avanti con il busto, per vedere meglio attraverso le eleganti lettere del menù del bar scritto sulla finestra; le accecanti ali luminose si smaterializzarono in un turbine di piume, velocemente come erano apparse, e, al contempo, un flusso di emozioni indescrivibili spillò dal suo cuore e si riversò all’esterno, premendo contro le pareti delle vene con prepotenza e provocandogli un sordo formicolio sottopelle e un senso di disorientamento non appena le tempie gli presero a pulsare.
Innumerevoli volte aveva tentato di dare una definizione all’Arte, ma nessuna era stata abbastanza soddisfacente. Eppure, quando vedeva un’opera d’arte, sapeva riconoscerla all’istante.
Per Jungkook, l’Arte era l’anima che parlava al mondo: valori, virtù, qualità, sogni, insieme a difetti, passioni, incubi, razionalità e irrazionalità che nella loro trascendentalità si facevano strada nella realtà sensibile come un raggio di luce attraverso un blocco di nuvole e che venivano immortalate in una tela, una fotografia, un oggetto o una statua; venivano plasmate in forme concrete e fermavano il tempo per l’eternità.
Stavolta, però, una persona, quel ragazzo era l’Arte stessa.
Il benessere dei sensi, un irradiare di completezza e armonia, la perfezione che investiva l’osservatore con la potenza di un treno in corsa e il fattore estetico di superficie che dava sfoggio di sé e si nutriva di lodi e occhiate d’ammirazione.
Jungkook deglutì a vuoto, gli occhi brucianti che pregavano riposo ancora incollati allo sconosciuto.
Frattanto il giovane, lasciatosi la macchina alle spalle, entrò nel locale a passi lenti; si guardò brevemente attorno e andò verso un tavolo lontano dalla finestra, mantenendo il capo abbassato.
Ogni suo gesto sarebbe stato degno di venire catturato in un fotogramma e di essere messo in ripetizione all’infinito.
Senza nemmeno registrare i propri movimenti nella sua testa, Jungkook si alzò, con l’intenzione di avvicinarsi di più: non ricordava di essersi mai sentito così in vita sua. Radunò in fretta i suoi averi -la matita trovò posto in equilibrio dietro il suo orecchio, mentre la gomma, i fogli stracciati e il block notes scivolarono nella sua borsa-, bevve in un sorso solo il cappuccino ormai freddo abbandonato nella tazzina e si dimenticò volontariamente del piattino con la brioche, conscio che non l’avrebbe comunque mangiata. Le gambe gli tremavano, le mani erano imperlate di sudore e il cervello era in grado di elaborare esclusivamente frasi spezzate e confuse.
Finché non si ritrovò esattamente dinnanzi a lui e non fu colto di sorpresa dal ragazzo che alzò lo sguardo, Jungkook temette di star sognando: contrariamente a quanto si era aspettato, tuttavia, furono quelle iridi opache a sfondare qualcosa dentro di lui, probabilmente il suo cuore.
«Sei…sei davvero…» parlò con particolare velocità, quasi volesse liberarsi delle parole al più presto. Ma Jungkook non riuscì a terminare il pensiero e lo sconosciuto gli venne in aiuto.
«Sono Park Jimin, sì.» il suo tono di voce rispecchiava il suo stato d’animo: Jimin sorrideva e suonava allegro «Salve a te.»
Jimin.
Persino il suo nome risultava artistico: adorava il modo in cui la “J” si univa alla vocale successiva in una sillaba morbida, in cui la “m” impiantava le radici nelle labbra , come la “i” sfoggiava l’accento e come la “n” finale tratteneva sulla lingua il gusto delle lettere.
«Posso sedermi?» Jungkook procedeva a tentoni ormai, su piccole frasi logiche che galleggiavano nel caos che era la sua mente.
A Jimin, però, qualcosa parve non quadrare: un lampo di esitazione balenò nei suoi occhi, ma gli rivolse poi un cenno di assenso con la testa. Subito dopo, Jungkook prese posto dinnanzi a lui; da così vicino, pensò che il ragazzo fosse proprio bello.
Di una bellezza che attira gli occhi come un magnete, li incatena a sé e li fa scivolare come una carezza sulle sue linee; una che prosciuga la mente e la getta in un’incessante e avida ricerca della sua ombra, del suo fantasma o del suo ricordo; una così vivida da vivere per sempre nella memoria come uno scoglio sul fondo del mare; una che stuzzica con la stessa abilità di un incantatore di serpenti il tatto; una che mozza il fiato al cuore e sussurra all’anima.
Ripercorse mille volte il contorno del suo profilo, dei suoi occhi, delle sue labbra, dei ciuffi di capelli e della mascella; non si rese nemmeno conto di star mettendo il ragazzo in soggezione.
«Ci conosciamo?» la domanda di Jimin venne assorbita dal silenzio in pochi secondi; dunque, Jungkook si riscosse.
«Oh, no.» fece e non poté evitare di sorridere; l’emozione crescente gli stava facendo dimenticare le buone maniere «Posso dirti una cosa senza che tu possa pensare male?»
Anche stavolta, Jimin sembrò preso in contropiede.
«Credo.» disse, accompagnando la sua risposta con un sorriso -più lieve- e il nervoso gesto di immergersi la mano nei capelli.
«Sembra che una volta delle ali d’angelo siano sbocciate dalla tue scapole.» pronunciò ogni lettera con pacatezza, troppo concentrato su altro per badare al suono della sua voce.
L’espressione di Jimin mutò all’istante: spalancò gli occhi fino a rivelare completamente quegli anelli opachi, che scossero Jungkook da capo a piedi, e dischiuse le labbra, una frase morta in gola.
Si fissarono, muti.
Prima che Jimin potesse accorgersene, l’altro aveva già estratto dalla borsa il suo block notes e aveva allungato l’altra mano per inforcare la matita; non poteva perdersi un’occasione tanto preziosa quanto irripetibile.
«Perdonami.» si scusò, il battito cardiaco che accelerava «Pensieri da artista.»
Stavolta, fu il turno di Jimin di farfugliare.
«Ah, tu…cioè sì, ora ha più…senso.»
«Mi sentirei onorato, se avessi il permesso di incastonare la tua figura in un veloce ritratto.»
«Una trama simile ha rovinato qualcuno, precedentemente.»
«Ne so qualcosa, ma la mia è un’innocente richiesta.»
«Non ti prendi la mia anima, quindi?»
«Solo la tua bellezza.»
Jimin si morse il labbro inferiore per trattenere un sorriso che gli stava solleticando i nervi e si portò una mano sul viso; Jungkook restò immobile, rigido e impaziente.
«Affare fatto.»
Allora non perse tempo e aprì il block notes con movimenti pratici e cominciò a disegnare senza sforzo; guardava Jimin per alcuni secondi e abbassava la testa per tracciare linee veloci e leggere, con una certa fretta, come se i suoi occhi, al pari di un pennello, fossero stati immersi in una boccetta e ora dovessero depositare il colore sul foglio prima che questo potesse seccarsi o colare. Prima che l’essenza dell’attimo svanisse.
D’altro canto, Jimin era affascinato dal suo lavoro e seguiva i suoi gesti con curiosità; tacque fino alla fine, un po’ per timidezza, un po’ per timore di distrarre Jungkook.
Soltanto dopo lunghi minuti, il giovane artista si lasciò andare a un sorrisetto di soddisfazione e mostrò il disegno a Jimin, che restò attonito.
«Com’è possibile che tu possa disegnare così?» prese con cautela quel capolavoro fra le mani, terrorizzato dal poterlo rovinare anche solo respirandoci sopra «Forse sei tu ad aver venduto l’anima.»
Jungkook rise, sempre concentrato sul soggetto dell’opera.
Si sentiva molto meglio ora, essendo riuscito a liberarsi di tutto ciò che provava dentro.
«No, ho solo trovato un’ottima ispirazione.» detto questo si alzò e Jimin lo guardò come per esprimergli gratitudine «Ti ringrazio immensamente della tua disponibilità; casomai avessi dell’altro tempo, non vedo l’ora di dipingerti decentemente. Sul retro ho scritto il mio numero.»
Jimin voltò il foglio e notò un numero di dieci cifre accanto a una firma inclinata ed elegante; a un sussurrato “E’ stato un piacere”, stavolta, il giovane non riuscì a sollevare gli occhi per notare l’inchino o per fare altrettanto, poiché essi erano puntati invece sul titolo del disegno fra virgolette, che lo incastravano sulla carta quasi fossero chiodi.
Art itself.


 
 
*citazione di Stendhal riguardo alla sindrome che prende il suo nome
 
 
 
Angolo Autrice:
Buongiorno! Eccomi stavolta con una Jikook: questa one-shot è nata senza pensare al romanticismo, tant’è che Jungkook è colpito dalla Sindrome di Stendhal in presenza di Jimin (che è un modello, sebbene lui non lo conosca), ma se volete vederci un’attrazione sentimentale, potete benissimo farlo. Qui ho una domanda per voi! Avrei alcune idee per un possibile seguito, in modo da trasformarla in una piccola long: sareste curiosi di leggere altro? O dovrei lasciarla come one-shot? Lasciate una recensione con il vostro parere e mi farete felice.
A presto e buona settimana n_n
 
Blue Poison
  
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