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Autore: Lumos and Nox    20/09/2016    3 recensioni
La "Signor Walt" ha da poco aperto in città, decisa a emergere come miglior ricettacolo di single dei dintorni. Ma purtroppo, la realtà è nota a tutti: non è altro che una sala di speed date in cui si riuniscono personaggi accumunati da una sola caratteristica. Capitano tutti lì per caso.
[Raccolta di ship assolutamente improbabili | modern!AU]
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La "Signor Walt" ha da poco aperto in città, decisa a emergere come miglior ricettacolo di single dei dintorni. Ma purtroppo, la realtà è nota a tutti: non è altro che una sala di speed date in cui si riuniscono personaggi accumunati da una sola caratteristica. Capitano tutti lì per caso.


1.

Hercules si mosse sulla sedia, a disagio, mentre il suo sguardo vagava sulla sala. Sarebbe potuta tranquillamente passare per il ritrovo di un club degli scacchi (simile a quello della scuola in cui pochi anni prima si era imbucato per sfuggire ai bulli e alle occhiatacce), con tutti quei tavolini, l'odore di nuovo e le pareti completamente spoglie, ma a far crollare quell'illusione era l'entrata, dove campeggiava una grande insegna a led- lui non era un esperto, ma sembrava veramente pacchiana, con le luci viola che si alternavano a quelle azzurre. Non era fatto per quelle cose, e lo aveva detto, a Phil, ma lui aveva ribattuto che per essere veramente un eroe, un uomo sicuro al cento per cento, doveva rimorchiare almeno un po'- anche perché le pazze isteriche che si potevano trovare agli appuntamenti al buio, aveva aggiunto il suo allenatore, erano davvero degli ottimi allenamenti per renderlo indistruttibile.
E così, eccolo là, con Phil che si era dileguato in una stanza attigua portandosi via perfino Pegaso, l'inseparabile golden retraiver di Hercules... comunque sarebbe stata di certo una perdita di tempo. Voltò la testa verso le vetrate sulla parete sinistra, e per un attimo, a sovrastare la città in movimento, ci fu il suo riflesso, quello di un ragazzo in una imbarazzante e poco riuscita trasformazione da smilzo a "megafusto", con i muscoli che cominciavano a sbucare ma che non erano abbastanza, e con i capelli arancioni che lo facevano assomigliare a... bè, era un disastro. Sorrise come per rincuorarsi e si passò una mano sulla testa e quando la tolse, all'improvviso, una ragazza si stava sedendo davanti a lui.
Quasi sobbalzò- cosa? Stava succedendo davvero?
«Ehm... ciao?» tentò, salutando con la mano in un modo che si rese conto essere parecchio patetico. Come a conferma di ciò, la ragazza si sedette senza guardarlo fino a che non si fu accomodata al meglio, avvicinando a fatica la sedia e sistemando la borsa per terra accanto a sé. Poi alzò finalmente lo sguardo.
Aveva dei begli occhi, di un azzurro profondo, e i capelli, che prima gli avevano oscurato la vista del suo viso, erano una continua onda rossa. Sorrise con evidente imbarazzo e anche lei fece il suo identico gesto con la mano. «C-ciao. Mi chiamo Ariel».
Hercules rinforzò il suo sorriso mentre le tendeva la mano. «Hercules, piacere. Ma... ma puoi chiamarmi anche Herc».
Ariel emise un piccolo sbuffo discreto che sapeva di risatina. «Io non ho soprannomi, sai, il mio nome è decisamente troppo corto».
«"Ari" sarebbe strano in effetti» concordò Hercules, felice di aver trovato qualcosa da dire. Ariel sorrise ancora, ma si voltò a guardare la porta della sala. Oh, cavolo... «Stavi... ehm, stavi aspettando qualcuno?»
Ariel si tirò su con uno scatto, trascinando con sé anche la propria borsa. «Oh no, no, assolutamente. È che sono qui con il mio amico Flounder e siamo... bè, siamo venuti qui un po' di nascosto» parlava in fretta mentre frugava freneticamente nella borsa. Hercules vi distinse oggetti che non era del tutto certo una borsa dovesse contenere, come una statuetta di una coppia danzante e una specie di vecchia pipa. Quella che pareva una specie di forchetta scivolò sul tavolino con un tintinnio e lui la prese in mano, cercando di capire di nascosto cosa fosse esattamente prima di restituirla ad Ariel.
«Insomma, eravamo venuti da queste parti senza dire niente a Sebastian, il precettore di casa mia, e sono un po' preoccupata perché ho perso Flounder di vista e dovrei chiamarlo...». Ah, quindi stava cercando il cellulare, intuì Hercules, osservando i vari denti della pseudo-forchetta. «... ma capisci, volevo davvero provare questo genere di cose! E poi, ehm, avevo davvero bisogno di uscire di casa, con sei sorelle diventa tutto un... disastro!»
Ariel sembrò rendersi conto solo in quel momento di aver ingombrato gran parte del tavolino con una sfilza di oggetti apparentemente per niente collegati tra loro- un orologio a cipollone che ticchettava sommessamente, un paio di occhiali rotti, un cavatappi, un libro e perfino quello che pareva un mezzo boccale di birra. «Che disastro! Scusami!» cominciò a riempire di nuovo la borsa alla rinfusa.
«Nessun problema» la rassicurò Hercules passandole i vari "reperti"- cavolo, quel coso era davvero un vecchio boccale da birra!
Ariel lo ringraziò con un sorriso colpevole ma allo stesso tempo radioso. «È che io colleziono cose, anticaglie per la maggior parte... mi sembrano oggetti di un altro mondo, capisci, e mi piace poter pensare, non so, al loro antico uso e immaginare...»
«Ehm... capisco» disse Hercules, un po' perplesso. «Ognuno ha le sue manie, immagino».
Ariel rise. Aveva una bellissima voce, si rese conto Hercules. «E le tue quali sono?»
«Mmmh... lo sport?»
«Dovresti dirmelo tu, in teoria».
Anche Hercules rise quella volta. «Ok, si, lo sport. È... un mezzo di sfogo, in un qualche modo. Sai, io... sono sempre stato un po' lo strano di turno, nel mio paesino: ho una forza piuttosto, ehm, grande, ma non so controllarla e perciò, ecco, venivo preso di mira. Poi ho scoperto di essere stato adottato e ora... bè, ora per cercare di ricongiungermi un po' alla mia famiglia originaria, devo e voglio strabiliarli! Vorrei...»
«Si?»
«Vorrei diventare un campione olimpico!»
«Wow!» Ariel spalancò la bocca, stupefatta. «Cioè, mi sembra un po' strano tutto il discorso della famiglia, ma, wow!» ripeté, strabuzzando gli occhi con un entusiasmo che Hercules trovò fantastico. «Campione olimpico!»
Era fantastico, ma anche imbarazzante, soprattutto perché era ancora lontano anni luce da quel risultato. Così Hercules cercò di sviare il discorso, mentre giocherellava distratto con la forchetta. «Si, ehm, è solo un sogno... ma mi dicevi che hai qualcosa come sei sorelle?»
Per un attimo temette che Ariel volesse rimarcare quella cosa imbarazzante del campione olimpico- Herc era ancora stupito di averglielo davvero rivelato- ma invece la ragazza fu distratta abbastanza dall'argomento famiglia. «Sei sorelle, si» sospirò. «Attina, Alana, Adella, Aquata, Arista e Andrina. Poi c'è mio papà e con noi vive anche Sebastian e in pratica anche Flounder. Se escludi lui, sono la più piccola, in casa».
«Io sono cresciuto come figlio unico- cioè, i miei veri genitori in realtà hanno altri figli, ma non li ho conosciuti... però mi sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui giocare, da piccolo».
«Ma loro sono stressanti. E mio padre è il peggiore di tutti: non mi capisce assolutamente! È convinto che io non possa cercare altre esperienze ma che debba rimanere chiusa a fare quello che hanno fatto e che stanno facendo le mie sorelle, e il canto e il nuoto e l'attività di famiglia...» si interruppe, mordendosi le labbra. «Scusa, ti sto sommergendo con le mie chiacchiere. Sono una frana e non so come funzionano questi mini appuntamenti, sono praticamente capitata qui per caso!»
Hercules rise. «Anche tu? Io sono stato trascinato qui dal mio allenatore, che ovviamente è sparito».
«Io mi sono rifugiata qui perché... ehm...» si sporse verso di lui con aria confidenziale e Hercules fece lo stesso, l'imbarazzo che provava nei confronti del genere femminile momentaneamente sparito. «Spesso» bisbigliò Ariel «mi tuffo alla ricerca di altri come-si-chiamano» e qui accennò alla sua borsa, facendo ridacchiare Hercules, «e le mie ricerche... ehm, ok, per dirla in modo più limpido le discariche sono i posti migliori per trovare questo genere di cose. Quella a tre isolati da qui è zeppa di roba del genere».
Ariel era entusiasta, come se mai prima di allora avesse mai rivelato a nessuno quel suo segreto, e da parte sua, Herc non sapeva bene come comportarsi- non lo sapeva quasi mai, che diamine!
«Ci vado con Flounder, di solito, e lui mi fa da palo perché non ha il coraggio di entrare- è proprio un pesce rosso, a volte- ma stavolta un tizio enorme con dei denti aguzzi ci ha beccati e ci ha inseguiti urlando e brandendo un bastone».
«Da come lo descrivi sembra una sorta di mostro, tipo un centauro».
«Uno squalo più che altro! Comunque ci ha inseguiti e, nella fuga, mi sono rifugiata qua e ho perso di vista Flounder... per questo volevo chiamarlo».
«Spero di sviluppare anche io questo sprezzo del pericolo».
«È l'unico modo. Io ho bisogno di questi miei tesori e con l'attività di mio padre è decisamente impossibile poterne trovare... e tu, invece?»
Hercules si strinse nelle spalle, arraggiando un sorriso. «Io... è un po' opposta, la cosa. Io voglio far parte della mia famiglia biologica- non fraintendermi, i miei genitori adottivi sono fantastici ma... mi sono sempre sentito fuori posto, con gli altri, e sento che se riuscissi a ottenere di nuovo il mio posto, sarebbe diverso». Sospirò e poi continuò, sotto lo sguardo azzurro e attento di Ariel.
«Purtroppo, ci sono tutte delle questioni spinose per cui devo per forza dimostrare di essere degno- e io lo voglio, davvero, in fin dei conti! Si tratta quasi di diventare un eroe, no? Un eroe per entrare nella famiglia Olimpics! Mi pare giusto, ecco».
L'espressione di Ariel si era fatta strana al nome Olimpics. Aveva alzato tanto le sopracciglia da farle quasi scomparire sotto la sua chioma rossa e la bocca si era schiusa come se fosse stata un'ostrica. Hercules cambiò posizione sulla sedia, in imbarazzo, ma prima che potesse dire alcunché, la ragazza lo precedette.
«Hai... hai detto "Olimpics"?»
«S-si?» Resosi conto di aver posto una domanda, si affrettò a rimediare, la forchetta stretta tra le dita. «Oh, ehm, si, ho detto "Olimpics"».
«I tuoi genitori biologici si chiamano, per caso, Zeus ed Hera?»
Hercule sbatté le palpebre e sentì la sua mascella rischiare di crollare a terra- alla faccia dell'eroe. «Come... cosa?»
Ariel sembrò saltare sulla sedia per arrivare a stritolarlo in un abbraccio, occupando parte del tavolo. «Non ci credo! Sei davvero un Olimpics?»
Al minimo cenno d'assenso di uno scombussolato Herc, si scostò, traficcò con la borsa e sfoderò una specie di portafoglio con quelle che sembravano un'infinità di foto. «Siamo parenti alla lontana! Io sono del ramo Olimpics-Seaworth, mio padre è un cugino di secondo o di primo grado del tuo!»
Hercules osservò in particolare una foto che Ariel gli sventolava sotto il naso. Un omone biondo e bonario, dal mento marcato- che riconobbe subito, con una punta d'orgoglio, come suo padre- affiancato da un uomo atletico come lui, con una barba più folta che andava ad unirsi a i capelli bianchi. Sarebbe sembrato un babbo natale in giacca e cravatta, se non fosse stato per la sua aria tanto autoritaria. Comunque, non c'erano dubbi, Zeus e il padre di Ariel si assomigliavano- stessa corporatura e quasi identico stile di capelli- e anche se non fossero stati uguali, il fatto che stessero a un pranzo di famiglia assieme era una prova più che sufficiente.
Alzò lo sguardo su un'entusiasta Ariel, che sorrideva incredula. «È.. è incredibile!»
«Siamo cugini!»
Forse per sottolineare l'assurdità di quella situazione, a quel punto accadettero fin troppe cose nello stesso momento. La forchetta che Hercules teneva in mano cominciò a trillare forte e per la sorpresa lui la fece cadere sul tavolo; nello stesso istante, dalla stanza attigua delle urla furibonde precedettero l'arrivo di Pegaso e di Phil, traballante sulle sue gambette corte.
«Ecco dov'era!» Ariel afferrò la forchetta, girandola in modo tale da far vedere uno schermo. Poi si portò quel coso all'orecchio, dando prova definitiva che si, era un telefono e che no, Hercules non avrebbe mai fatto una sola figura decente nella sua vita. «Dimmi, Flounder» disse la ragazza, attorcigliandosi una ciocca rossa all'indice. «Non ti ho più visto...»
«Ragazzo!» Phil ansimò verso di lui, mentre Pegaso gli afferrava con urgenza un lembo del giubbotto, quasi cercasse di trascinarlo via dalla sedia e dalla sala. «Dobbiamo alzare i tacchi!»
Hercules si accigliò. «Perché? Che succede?»
«Diciamo solo che non siamo più graditi». Alle spalle di Phil, dall'altra sala, grida furibonde si intraposero come a conferma delle sue parole. Qualcuno scagliò addirittura un piatto di porcellana e una collana in fiori finti- mistero per Hercules sul perché qualcuno dovesse portarsi oggetti del genere in giro (anche se dopo Ariel, nulla di cui la gente si forniva poteva più stupirlo). «Quanteee storieee...» belò Phil, come sempre faceva quando era arrabbiato. «Solo perché mentre guardavano Peeegaso, io guardavo qualcos'altro...» mimò un pugno verso la porta da cui era giunto, ricevendo in cambio una banana spiaccicata in testa. Il rosso lava di cui si colorò subito Phil probabilmente avrebbe raggiunto un grado di ebollizione con cui cuocerla, quella banana, e ciò convinse Hercules a non fare ulteriori domande e ad alzarsi. Spinse Phil verso l'uscita, ma si fermò per salutare Ariel, mentre Pegaso lo strattonava in avanti per seguire l'allenatore.
Ariel aveva appena chiuso la telefonata e, in contrasto con Phil, era divenuta pallida come un cadavere.
«Tutto... tutto bene?» tentò.
La ragazza lo guardò senza vederlo, gli occhi ricolmi di ansia. «Il... il concerto era oggi!» strillò, attirando l'attenzione delle poche coppie che già non se ne erano andate alla vista dei regali ricevuti in testa da Phil.
«Cos-?»
«Devo scappare!» Ariel ragrumò in velocità la sua borsa, scattando qua e là per controllare di non aver dimenticato nulla. «Me ne ero dimenticata! Mio padre mi ucciderà!»
Uscì di corsa dalla sala insieme ad Hercules, che finalmente accontentò il povero Pegaso.
«Ci rivediamo in seguito, Hercules, te lo prometto!» disse la ragazza, mentre veniva assorbita dalla folla della sera che prendeva d'assalto ogni centimetro disponibile del marciapiede. Il tempo che Hercules impiegò a muovere la mano in un saluto, ed era già sparita, alla volta di un ragazzino biondo con un cappellino celeste. Forse avrebbe potuto seguire Ariel e proporle di accompagnarla, ma la già esigua e traballante pazienza di Phil terminò proprio in quel momento. «Ti vuoi dare una mossa?» scattò, saltando sul posto, attirando l'attenzione di quello che sembrava un buffo zingaro con un teatrino delle marionette in costruzione. Un altro piatto in porcellana schizzò fuori dall'edificio che avevano lasciato, andando a schiantarsi dritto in mezzo a loro. «È una zona pericolosa, questa!» Phil, con un balzo incredibile per la sua statura, lo afferrò per il bavero, costringendolo a piegarsi mentre si allontanavano a passo spedito, con Pegaso che annuiva solenne accanto a loro.
«Ho conosciuto una mia cugina!» riuscì a dire in qualche modo Hercules, un sorriso naturale ben stampato sul viso al ricordo di Ariel e al pensiero di come sarebbe stato comportarsi e vivere da cugini con lei.
«Ecco, appunto, lo sapevo». Phil scosse la testa, con un sospiro quasi affranto. «Chissà di che erbe ti hanno imbottito».
Ma tutto il malumore e il borbottare irritato di Phil non bastarono a rovinargli la serata, non dopo aver avuto la conferma di non essere solo.


2.

Filippo aveva sempre saputo di essere il sogno di qualsiasi ragazza.
Andiamo, come poteva non esserlo? Era e aveva tutto. Era alto, con un bel viso, capelli castani e curati che terminavano in un leggero ciuffo finale, a cui nemmeno Elvis in persona sarebbe stato in grado di avvicinarsi in quanto a naturalezza e compattezza; e poi aveva un bel fisico, temprato dagli allenamenti di scherma, e due occhi dolci e scuri che perfino le sue insegnanti avevano definito meravigliosi. La sua famiglia, inoltre, era antica, ricca e riconosciuta all'interno della metropoli. Qualsiasi suo desiderio, bastava un suo accenno, e suo padre lo esaudiva, magari brontolando o elogiandolo a seconda del suo umore, ma lo esaudiva.
Ma l'unica cosa, l'unica libertà che mai gli era stata concessa era una ragazza. Mai, neanche una, nemmeno all'asilo o alle elementari. Suo padre e perfino sua madre, prima della sua morte, erano stati rigidi e inflessibili. Filippo e la sua perfezione erano stati promessi alla figlioletta degli Sleeping. Un matrimonio combinato per unire la società Sleeping e quella della sua famiglia, la Beauty. Ed erano nel ventunesimo secolo! Com'era possibile una cosa del genere?
Era possibile. Filippo aveva fatto ogni cosa in suo potere, tutto pur di non finire sposato ad una ragazzina di quattro anni in meno di lui. Nemmeno la conosceva, che diamine, dato che gli stolti Sleeping, tanto amici di suo padre, l'avevano spedita dalle sue madrine quando ancora non aveva un anno. E così lui, a ventuno anni, si ritrovava senza la minima esperienza con qualsiasi persona, incastrato in delle nozze che si facevano sempre più pressanti e più vicine.
Mancava soltanto un anno...
Lui, che tanto amava il romanticismo. Non poteva sopportare una cosa del genere. Aveva deciso di ribellarsi e, quella sera, fingendo di uscire con Sansone, il suo autista (e unico amico, grazie agli istruttori privati a casa), si era infilato dentro quell'edificio, che aveva intuito essere un luogo d'incontri. Forse avrebbe potuto confrontarsi con qualche ragazza e magari trovare consiglio e conforto per il suo destino, anche grazie al torto tanto grave che stava subendo.
E questo aveva pensato. Fino a circa due minuti prima.
La ragazza davanti a lui non sembrava davvero per niente incline a rincuorarlo, ma di fatto non sembrava nemmeno una vera ragazza. I capelli erano tagliati cortissimi, quasi alla militare, non aveva un velo di trucco sugli occhi a mandorla e indossava un paio di jeans e una felpa sformata. Il suo stilista avrebbe preso un colpo a guardarla- e anche lui, a dire il vero, solo che non lo doveva dare a vedere. Si portò una mano alla bocca, schiarendosi per l'ennesima volta la voce e sperando che questo contribuisse a diminuire il suo imbarazzo.
La ragazza non afferrò e non disse assolutamente nulla, limitandosi a piegare di lato la testa e a osservarlo con una vaga curiosità dipinta nel viso che non era nemmeno così bello. Che fiasco totale. Filippo arrangiò un sorriso. «Allora, ehm, come ha detto di chiamarsi, signorina?»
Il mezzo sorriso della ragazza forse avrebbe potuto essere spensierato o cortese, ma a Filippo sembrò fin troppo canzonatorio. Diamine, non sapeva con chi aveva a che fare? «Non l'ho detto il mio nome». Gli porse una mano, mantenendo saldo il suo sorriso. «Mulan Fa, piacere».
Filippo quasi non emise un sospiro di sollievo: finalmente una situazione in cui era sicuro. «Molto obbligato, signorina Fa» recitò, per poi ponderare ogni proprio movimento con attenzione. Chinò piano la testa e si portò il braccio sinistro al petto, mentre, con il destro, avvicinava la mano della ragazza. Ostacolato dal tavolino, si sporse un po' sulla sedia finché non riuscì a depositare un lieve bacio sulla mano della ragazza- non profumava nemmeno di un qualsiasi odore. Si ritirò sù, soddisfatto della propria impeccabile performance, solo per ritrovare la ragazza che lo fissava chiaramente confusa.
Quando i loro occhi si incrociarono, tuttavia, lei quasi sobbalzò, per poi prendere un frenetico appunto su un vecchio block notes che si era portata dietro. Filippo si concesse un lieve sorriso. Doveva averla di certo colpita- il suo era stato un saluto assolutamente normale, ma la maniera in cui lo aveva svolto... ah, Filippo si era già detto quanto le sue maniere fossero impeccabili?
Mulan rialzò la testa, passandosi una mano sull'orecchio come a sistemarsi i pochi capelli. «Quindi tu saresti...?»
Oh, diamine! Il baciamano lo aveva talmente preso da dimenticarsi di presentarsi. «Filippo Beauty» aggiunse, quasi di fretta, come a peggiorare quella che già era stata una caduta di stile.
«Ok, Filippo. E dimmi, studi o lav-...» si interruppe, deturpando di colpo il suo viso in una smorfia, come se un insetto fastidioso l'avesse punta o come se- e Filippo lo sperava- si fosse resa conto di averlo chiamato per nome. Era evidente che fosse poco educata, ma che diamine, almeno avere la grazia di rispettarlo e di dargli del lei.
«Come...» La ragazza si portò di nuovo la mano all'orecchio, massaggiandolo, poi tornò a guardare lui. «Come non detto, scusa. Inizia tu».
Filippo si raddrizzò sulla sedia. «Come ho già detto, sono Filippo Beauty. Prima che lei lo dica, sì, sto parlando di quei Beauty, la mia famiglia gestisce da quattro generazioni la famosa industria. Però non gradisco parlarne troppo... spostandoci sui miei interessi, mi piace girare in macchina o in moto, come anche viaggiare e cacciare». Filippo evitò accuratamente di menzionare più dettagli, che includevano il gioco di ruolo medioevale da cui era diventato ossessionato, la sua passione per il canto, eventuali promesse di matrimonio e una sola amicizia- e non molto figa-, quella del suo autista Sansone. «Riguardo lei, invece?»
Mulan si strinse nelle spalle. «Sono entrata da poco nell'esercito».
Filippo rischiò di cadere dalla sedia. Cercò di ricomporsi il più possibile, prima di esprimersi. «Nel... ehm, nell'esercito?»
Mulan annuì, seria come non mai. Filippo sentì del sudore colargli giù per il colletto della sua costosissima camicia. Una donna nell'esercito? Come... come era possibile? Il governo affidava davvero compiti del genere al sesso debole?
Azzardò un'occhiata verso la ragazza, come se la stesse guardando per la prima volta, e un parallelismo tra lei e un ragazzo si fece decisamente accentuato. Probabilmente era una specie di incrocio strano o qualcosa del genere? Diamine, e ora lui come avrebbe dovuto comportarsi? La sua indecisione durò solo per un attimo. Si riscosse di nuovo, raddrizzò meglio la sua postura, fissò la ragazza (se così si poteva chiamare) in volto e fece per parlare. Aprì la bocca, sotto lo sguardo indagatore della ragazza, ma non ne uscì nessuna parola.
A salvarlo prima di cadere nel panico, fu uno sbuffo alla sua sinistra. Si voltò di scatto. Sansone, smilzo ma non per questo meno torreggiante dai suoi due metri, la divisa bianca brillante come il manto ludico di un cavallo, era comparso nel nulla davanti al loro tavolino e fissava Filippo con aria torva. Scosse la testa, con uno sbuffo e lo invitò a seguirlo, per poi precederlo fuori, la coda nera che gli ciondolava sulla schiena. La sua apparizione mise le ali ai piedi a Filippo, che si alzò, salutò frettolosamente la ragazza con un secondo baciamano decisamente mal riuscito e se ne andò. La Ferrari bianca del suo autista non gli era mai parsa così accogliente, né si era mai sentito così rilassato al pensiero dei rimproveri di suo padre.

Mulan osservò perplessa il posto vuoto lasciato dal ragazzo. Non si era aspettata una reazione così... fulminea, anche considerando che non gli aveva nemmeno detto la verità. Chissà cosa avrebbe fatto, se avesse saputo che insieme a Mulan Fa stava anche chiacchierando con Ping, il ragazzo che era riuscito a entrare nell'unità esclusivamente maschile della polizia. Cavolo, ok, forse aveva un po' esagerato a tirare fuori l'esercito al posto della vera polizia, ma insomma, se avesse sbandierato subito in quel modo tutto, magari qualcosa sarebbe arrivato alle orecchie del sergente Shang o magari della sua famiglia...
«MULAAAAAN!» Un grido improvviso la fece sobbalzare.
Si massaggiò l'orecchio, mordendosi le labbra per non gridare, mentre estraeva dalla borsa il cellulare per collegarlo all'auricolare senza fili che già portava. Tutta l'operazione permise a Mushu di spararle nelle orecchie altre due o tre versioni del suo nome, una in particolare caratterizzata dalla continua ripetizione della prima sillaba, a mo' di rapper. «Muuu-mu-uulaaan, Muu-muuu...»
«Ma sei matto, Mushu?» lo stroncò lei, irritata. «Vuoi spaccarmi i timpani, per caso?»
«Uhu, quanto la fa lunga adesso, la piccina. Volevo solo sapere come stava andando, non sentivo più niente! Gli auricolari di Crì-crì devono essere più taroccati del cervello di Shang!»
«Non senti nulla perché non c'è niente da sentire. Il tipo, Filippo qualcosa, se n'è andato».
«E piantala, Crì-crì, lo sappiamo tutti che sono le mie cose quelle che funzionano semp-... se ne è andato?! SUL SERIO?»
Mulan fu vagamente tentata di scaraventare via l'auricolare mentre ignorava le altre esclamazioni di Mushu. «Si, ma stai tranquillo. Ho preso appunti e ho capito come un ragazzo a caso si rapporta con le ragazze, ma ti giuro che mi sembra inutil-...».
«Oh, ma andiamo, Muuulan! Devi pure farti un'idea di come Ping deve atteggiarsi, sennò come farai se, combattendo la gang di Shan Yu, incontri una ragazza?»
Mulan sorrise, alzando gli occhi al cielo, mentre si alzava. A volte le argomentazioni di Mushu erano davvero insensate e si esprimevano in prove stupide come quella di starsene a osservare i ragazzi in uno speed date.
Però, in effetti, se non fosse stato per i consigli di Mushu - e anche per il supporto di Crì-Crì - sarebbe stato impossibile riuscire a entrare in quel determinato settore della polizia. Uscì dalla sala, con ancora nelle orecchie le raccomandazioni di Mushu, e la città e le sue luci le sembrarono stranamente più accoglienti, anche quando intravide in lontananza quella specie di principe Filippo a bordo della sua auto. Presto il suo onore sarebbe stato ristabilito e forse, in una minima parte, lo doveva anche a quel ragazzo tanto chiuso e all'antica.



N.d.A.
Buenos tarde.
Giungo qui dopo una lontananza dal fandom che nemmeno io so spiegarmi, in concomitanza con il non aggiornamento della mia long Promessi Rivali. Potrei dire a mia giustificazione che sto attraversando un periodo lontano dalla scrittura, mirato verso altri hobby e verso un profondo cambiamento personale e stilistico. Prima o poi aggiornerò, non ho di sicuro intenzione di lasciare tutto perdere.
Queste due shots appena lette vogliono essere un esperimento di una storia in tre capitoli su varie coppie crack (e sui buoni! Cavolo, non credo di aver mai scritto su di loro o.o) ambientate in un AU moderno. Diciamo che sono anche una prova per tentare un nuovo stile e un nuovo boom nel fandom, come nel mondo delle fanfiction- proviamoci, dai. Ho preso sei coppie canon, ho dato a ciascun personaggio un numero e tadaaan, con un sito di estrazione-numeri-a-caso, ho ricevuto sei nuove coppie su cui cimentarmi. Quindi si, proviamoci.
Ho cercato di rimanere il più fedele possibile alla storia personale dei personaggi rispetto ai propri cartoni. I momenti che vivono nel "signor Walt" sono infatti tranquillamente inseribili in queste loro storie: Hercules si ritrova qui durante gli anni di allenamento passati con Fil, Ariel poco dopo essere scappata dallo squalo del relitto (fate finta che Scuttle sia inserito da qualche parte tra gli eventi, non può essere tagliato con il suo soffia bla-bla @.@), Filippo durante la sua vita pre-incontro con Rosaspina/Aurora e Mulan nel corso del suo addestramento.
E nulla, sinceramente ho trovato il tutto molto divertente e stimolante. Spero che vi sia piaciuto e di non essere andata troppo OOC- i Buoni sono più difficili da inquadrare dei Cattivi, cavoletti. Le recensioni, come sempre, sono seeempre gradite. Se recensite, mi stimolate a scrivere anche se fa schifo detta così, e se mi stimolate, magari riesco a finire il secondo capitolo e a continuare Promessi Rivali e le mie altre long. Sarebbe fantastico**
E qui chiudo, sperando di non essere sembrata troppo disperata, lol
Baci e (si spera) a presto,
Nox
  
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