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Autore: inochan    04/05/2009    0 recensioni
A lui piacevano i puzzle, ma di certo non li adorava.
Ne era affascinato dalle forme sempre diverse l’una dall’altro e dalle migliaia di combinazioni che ne potevi ricavare nel tentativo di farli coincidere.[...]
Ma ora, quello che si domandava Shikamaru Nara nel buio del suo appartamento, era da quanto il suo amico lo stesse chiamando

[ShikaIno, NaruSaku, lievi accenni KibaHina]
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Ino Yamanaka, Kiba Inuzuka, Naruto Uzumaki, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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An unhearing caller of help

An unhearing caller of help

 

A lui piacevano i puzzle, ma di certo non li adorava.

Ne era affascinato dalle forme sempre diverse l’una dall’altro e dalle migliaia di combinazioni che ne potevi ricavare nel tentativo di farli coincidere.

Ma niente lo affascinava come gli scacchi.

Prevedere ogni mossa, studiare l’avversario e ribaltare la situazione anche con poco tempo a disposizione, quelle sensazioni lo inebriavano. Lo facevano sentire onnipotente, simile a un Dio.

Quel fare calcolatore e strategico lo aveva fatto suo, era presente nella vita di tutti i giorni.

Gli bastava uno sguardo per carpire il segreto che si nascondeva dietro la maschera di bugie e di menzogne che noi esseri umani siamo soli portare.

Non sempre per ingannare, alle volte era la paura a mostrarci un viso fittizio nel quale nasconderci.

 

Eppure, per quanto lo si nascondesse, lui sapeva che il grido di dolore che ci portiamo dentro sarebbe sicuramente balzato fuori prima o poi.

Bastava solo capirne gli indizi, come un puzzle, e poi prevedere una strategia per farlo uscire allo scoperto, come gli scacchi.

Non a caso era diventato un poliziotto, un vero asso nel suo lavoro,  così lo definivano i colleghi.

Spesso, gli capitava  di avere a che fare con dei veri e propri enigmi viventi, persone che non si scomponevano nemmeno di fronte alla morte di un proprio famigliare.

E poi c’erano dei veri e propri libri aperti, con loro non era difficile individuarne le ansie e le paure, era sempre sicuro di vincere.

 

Ma ora, quello che si domandava Shikamaru Nara nel buio del suo appartamento, era da quanto il suo amico  lo stesse chiamando.

Una risposta che aveva paura di trovare, conscio del fatto che, se erano arrivati a quella situazione, probabilmente le sue orecchie erano rimaste sorde per troppo tempo.

Il lieve bussare alla sua porta lo fece alzare dalla sedia della cucina dove v’era seduto, a rimirare vecchie foto d’infanzia.

Stancamente si alzò e andò ad aprire, trovandosi di fronte una folta chioma bionda e dei profondi occhi azzurri che lo fissavano.

La donna fece un piccolo cenno con la mano, probabilmente avrebbe anche salutato se la voce non le fosse morta in gola alla vista del volto scuro del giovane, volto che lei stessa aveva giurato di far tornare a splendere anche dopo quella tempesta.

 

-“Cosa vuoi?”- Domandò l’uomo, probabilmente spazientito da quell’interruzione.

 

Lei raccolse il coraggio che le era rimasto e fissò nuovamente il volto di lui, questa volta senza alcuna esitazione o paura.

 

-“Volevo sapere…se per domani aveva già in mente qualcosa da dire…”-

 

Lui la guardò nuovamente spazientito, aveva cercato di non pensare troppo a domani, un giorno troppo doloroso e privo di una vera motivazione per andarci. Il suo puzzle era incompleto e la sua partita ancora tutta da decidere, non poteva perdere tempo e doveva venirne a capo, non per se stesso, si ripeteva, ma per lui.

 

-“Il caso non è ancora chiuso, una volta risolto lo andrò a trovare…”- Proclamò lui facendo cedere la donna che aveva cercato di sembrare forte almeno per lui.

 

Ma era esausta, la notte, che avrebbe dovuta cullarla fino a farla cadere in un sonno profondo, non aveva fatto altro che riempirle la mente di ricordi. Ricordi che le fecero versare lacrime amare che sembravano non volersi fermare, per lei la faccenda era chiusa e, nonostante non si  sapesse la verità, non si sarebbe tormentata ulteriormente.

Non lo voleva, né per lei, né per lui.

 

-“Sai bene che è stato chiuso,  non intestardirti è suic-…”-

 

-“Invece si tratta di omicidio! E troverò quel bastardo che l’ha ucciso!”- Sbottò improvvisamente il giovane, facendo sussultare la bionda che decise comunque di non demordere.

 

-“Ti sbagli è omicidio e lo sai! A parte le sue non ci sono altre impronte digitali sulla pistola e inoltre si è sparato un colpo dritto alla tempia, la polizia ne ha ritrovato i resti…”-

 

-“IO SONO LA POLIZIA!”- Urlò nuovamente lui, questa volta facendo fermare il cuore della giovane per qualche secondo per lo spavento.

 

-“Sono stanco di sentire le tue chiacchere Ino, e ora se permetti devo lavorare…”- Aggiunse infine, una volta ripresa la calma e, senza alcun riguardo, sbattè la porta in faccia alla donna.

 

Lei avrebbe voluto urlare e dirgli di smetterla di nascondersi dietro a una illusione solo per evitare di soffrire.

Voleva prenderlo a schiaffi per le parole appena dette e fargli finalmente comprendere che non era stato l’unico a non sentire la sua chiamata d’aiuto, ma che anche loro erano colpevoli quanto lui.

Per non aver ascoltato, per aver dato per scontato che tutto andava bene solo perché era solito sorridere come se niente fosse.

Per non aver compreso e guarito la ferita che da quando era piccolo si portava dentro.

Erano molte le cose che voleva dirgli, ma la stanchezza e il dolore che l’avevano affaticata per tre notti, le permisero solo d’inginocchiarsi sullo zerbino dell’appartamento del Nara e lasciarsi andare a un pianto sommesso e sofferto.

 

 

Il giorno dopo, un cielo lievemente coperto, accompagnava un corteo funebre fino al cimitero dove amici e parenti lo avrebbero salutato per l’ultima volta. Ino camminava a testa bassa lanciando delle occhiate veloci alla folla, nella speranza di vederlo, ma i suoi occhi andarono a posarsi sulla testolina mora della sua amica Hinata.

Il volto tra le mani e gli occhi tutt’ora lucidi, camminava di fianco alla bara assieme a un ragazzo dai capelli castani di nome Kiba.

Le stava vicino,come un cavaliere che proteggeva la sua fragile dama di cristallo, cercando di cancellare dalla mente il ricordo di quel giorno.

 

Furono Hinata e Kiba a trovarlo, non si era presentato al lavoro e così decisero nella pausa pranzo di andare a vedere come stava. Entrarono nell’appartamento pieno di foto e vecchi modellini da collezione, all’inizio sembrava che non fosse in casa e così il castano suggerì di andare a cercarlo altrove, ma l’urlo agghiacciante di lei e la scia di sangue ai piedi del letto lo fecero desistere e correre ad aiutarlo.

Inutili i tentativi di rianimarlo, inutile la chiamata all’ospedale, oramai lui non c’era più.

 

L’Inuzuka, al ricordo, si morse il labbro inferiore nel tentativo di reprimere le lacrime che, senza alcun riguardo o dignità, avevano iniziato a rigargli il volto.

Fu la debole prese della Hyuuga a impedirgli di cedere e di continuare per quel verde prato dove il loro amico avrebbe riposato per sempre.

Una volta arrivati alla fossa, il prete si soffermò nuovamente sulla salma per dire ancora qualche parola di conforto ai famigliari.

La bionda fissava la bara chiusa con intensità, quasi come se fosse rapita dal riflesso di quelle scure nuvole su di essa.

Ma una mano, inspiegabilmente calda in quella fredda giornata d’Aprile, avvolse la sua.

Ino alzò lo sguardo e vide il volto serio e impassibile di Shikamaru fissare la bara che aveva di fronte a sé.

Lei non disse niente, ma non poté fare a meno di far sgorgare nuovamente le lacrime dai suoi occhi ceruli, capendo che, seppur il suo volto sembrava imperturbabile, l’animo del Nara era a pezzi perché aveva finalmente accettato ciò che era successo.

Niente più scappatoie né sotterfugi, il dolore andava affrontato e questa volta non lo avrebbe fatto da solo.

 

Intanto, trai bianchi corridoi dell’ospedale, su una delle piccole e scomode poltroncine della sala d’attesa, una ragazza dai capelli rosa se ne stava china su se stessa, scossa dai singhiozzi e stringendo tra le mani una foto oramai bagnata dalle lacrime.

In essa, v’erano lei e un giovane dai capelli biondi e dai profondi occhi azzurri, abbracciati e sorridenti con alle spalle il sole che si rifletteva sulla calma superficie del mare al tramonto.

Dietro di essa v’era solo una dedica, scritta a penna, con una calligrafia un po’ goffa e impacciata, ma con delle parole che lei, Sakura Haruno, avrebbe tanto voluto risentire un’ultima.

Parole che, ora più che mai, le sembravano false e lontane.

 

 

“Per sempre tuo, Naruto.”

 

 

END.

 

 

 

Attenzione spoiler riguardante la 5° Stagione di Dr. House.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho visto l’episodio 20 e credo di esserci rimasta male quasi quanto la morte di Amber…Cioè ma perché?!

Kutner era il mio idolo! Era simpaticissimo non capisco perché l’abbia fatto, ad ogni modo per scaricare un po’ la depressione ho deciso di riprendere alcune scene nell’episodio, tra cui ovviamente quella del funerale, e il senso di colpa che aleggiava tra House e il suo team per non aver percepito la richiesta d’aiuto del loro amico. Lasciate un commentino per farmi sapere cose ne pensate e a presto!

 

Inochan.

  
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