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Autore: Celty23    23/09/2016    11 recensioni
Fanfiction scritta per il contest "Quel semaforo rosso…" indetto dal gruppo di Facebook "Takahashi Fanfiction Italia".
Ino strano incontro ad un semaforo rosso, Rin si getta sotto un auto per salvare una strana creatura. Ma come andrà a finire?
Questa è la mia prima storia in assoluto di Inuyasha e spero vi piaccia ^^
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era in ritardo. In tremendo ritardo. Ed era tutta colpa dei suoi familiari.
Suo fratello aveva deciso di rompergli la sveglia quella mattina, non si sa come, ne il perché, e quando Sesshoumaru si era svegliato l’aveva trovata fuori dalla sua porta in tanti piccoli pezzi. Poi suo padre, all’improvviso si era interessato al lavoro del figlio chiedendogli come stessero andando gli affari, per poi passare, in maniera non molto velata, a parlare delle donne. Esseri inutili che pensano solo allo shopping e ai suoi soldi. Gli chiese se c’era una donzella nella sua vita, e quando gli rispose di no iniziò subito a dirgli che non poteva andare avanti così, che un giorno gli sarebbe piaciuto essere nonno, eccetera eccetera.
Ora era in macchina che correva superando tutti i limiti di velocità, perché? Perché era in ritardo e quella mattina aveva un’importante riunione che avrebbe concluso un’importante affare che lo avrebbe fatto guadagnare ancora di più.
Girò l’angolo e vide che il semaforo era verde e accelerò, i kami erano dalla sua parte, quel semaforo era noto per essere sempre e perennemente rosso, e anche se andava di fretta non avrebbe mai infranto il codice stradale. Pochi metri prima di attraversare l’incrocio vide di sfuggita una ragazzina buttarsi sotto la sua auto e fu solo grazie ai suoi riflessi pronti che non la investì in pieno macchiando di rosso la sua Lamborghini nera.
«Ma è impazzita?!» Uscì dall’auto ignorando i clacson che suonavano dietro di lui, e iniziando ad urlare verso la giovane.
«Non ha visto che il semaforo dei pedoni era rosso? Se voleva ammazzarsi la prossima volta scelga un’altra auto!»
«Mi scusi tanto, non era mi intenzione!...» La ragazza alzò la testa rivelando il volto che prima era nascosto dai lunghi capelli corvini.
La ignorò e tornò in auto, ma prima notò che tra le braccia stringeva qualcosa con forza e tremando leggermente. Accese il motore e ripartì imprecando quando vide che aveva perso troppo tempo, e tutto solo per un misero gatto, ci avrebbe scommesso l’anima che quella stupida si era gettata in mezzo all’incrocio per salvare una di quelle stupide bestie. Rischiando di farsi ammazzare per di più.
Guardò nuovamente l’orologio e imprecò a denti stretti, mentre col piede premeva il più possibile il pedale dell’acceleratore.

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«Uff… Siamo salvi è?...»
Si era tolta dalla strada appena l’uomo dai lunghi capelli argentei era rientrato in auto, ora si stava dirigendo a casa sua con ancora fra le braccia la creatura che aveva salvato, che iniziò a dimenarsi alla ricerca d’aria.
«Scusa! Non volevo stringerti così forte, avevo paura che saresti scappata…» Sistemò meglio la presa e due piccole teste sbucarono, guardandola con gli occhi gialli curiosi.
«Che strana creatura sei… Però sei bellissima! Allora, eccoci qui, non fare casino perché gli animali non sono ammessi… Quindi Sshhhh!» Rin si portò l’indice sulla bocca per fargli capire meglio, e gli fece poi un occhiolino complice.
Salirono le scale e per sua fortuna non incontrarono nessuno dei suoi vicini, lei abitava al secondo piano se no avrebbe rischiaro di fare più di una decina di piani, in quanto l’ascensore era rotto da settimane. Con la mano destra cercò le chiavi nelle tasche, mentre con il braccio sinistro reggeva ancora quella strana creatura. Non aveva mai visto, nemmeno nei documentari, un animale con due teste, forse forse solo nei film, ma aveva sempre creduto che fosse computer grafica.
«Eccoci qui!»
Aprì la porta e se la richiuse subito alle spalle, come se fosse un ladro invece che la proprietaria controllò che in casa non ci fosse nessuno e poi appoggiò l’animale sul piccolo isolotto che aveva per cucinare, a lato della stanza.
«Che cosa sei?...» L’animale scese felice e camminò sulle quattro zampe esplorando il luogo in cui si trovava, il corpo era ricoperto per intero da piccole squame verde scuro, le due teste erano collegate a due colli lunghi, che gli permettevano una notevole mobilità. Rin sorrise, sembrava in tutto e per tutto in piccolo drago a due teste.
«Ah… Ma hai due targhette… Vediamo un po’…» Prese il rettile sollevandolo per la pancia come e fosse un micio, anche se lui non protestò, e se lo portò davanti per controllare cosa ci fosse scritto.

 
A-Un   1234XXXXXX

«Quindi ti chiami A-Un… Che ne dici, chiamiamo il padrone?»
Prese il cellulare e compose il numero, mentre il rettile abilmente scese dal bancone e iniziò a perlustrare l’appartamento, gli occhi della corvina si spalancarono e iniziò a seguire A-Un controllando che non gli succedesse nulla di grave. Chiuse le porte del bagno e della camera da letto, in modo tale che rimanesse visibile.
Il telefono squillava a vuoto e dopo pochi istanti qualcuno riattaccò la chiamata interrompendo il suono sordo del TuuTuu. Rin sbuffò e si sedette sul divano decidendo se ritentare a chiamare più tardi, oppure mandargli un messaggio, A-Un le si avvicinò in quel momento, iniziando a produrre uno strano verso roco cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
«Cosa c’è?... Vuoi salire sul divano? E va bene!» Lo sollevò e se lo portò accanto accarezzandolo leggermente sul dorso squamato.
Nel mentre si rigirava il cellulare nell’altra mano ragionando sul da farsi, lo sguardo le cadde sull’applicazione di Whatsapp, e lì’ le venne l’idea. Se il numero del padrone aveva un account Whatsapp avrebbe potuto inviare una foto di A-Un e organizzare un incontro. Senza ragionarci troppo controllò e vide che i Kami erano dalla sua parte, aprì la conversazione ancora vuota e si girò per fotografare l’animale, e lo trovò profondamente addormentato e acciambellato come un gatto. Facendo attenzione a non svegliarlo si alzò e lo fotografò un paio di volte, in modo tale che si vedessero bene le due teste e il corpo squamato.

 
Scusi se la disturbo di primo lunedì mattina, ma ho trovato il suo animale oggi, A-Un.
Volevo chiederle quando era possibile organizzare un incontro in modo tale da restituirglielo.
Attendo sue notizie.
Rin

Inviò il messaggio e sorrise come una bambina, contenta di aver compiuto una buona azione. La pancia le brontolò leggermente, e in quel momento si ricordò di non aver fatto ancora colazione, era uscita di casa di buon ora per farsi dare il suo prossimo lavoro, si diresse verso i fornelli per farsi un buon thè e prese dal frigo un pasticcino che le era avanzato dalla sera precedente.
Ora doveva mettersi a lavoro!

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Pausa pranzo, finalmente. All’alba delle due del pomeriggio però! Il cliente era stato più ostico del previsto e in più la figlia, una certa Kagura, continuava a stargli attaccato non lasciandogli lo spazio per respirare.
Prese l’ascensore per raggiungere la sala pranzo al piano terra, e in quel minuscolo spazio si concesse di prendere un sospiro di sollievo, prese il cellulare che aveva in tasca e scorse velocemente le notifiche.
Suo padre che gli chiedeva se avrebbe pranzato con loro. Eliminato.
Suo fratello che si scusava per la sveglia e spiegava il motivo. Eliminato.
Numero sconosciuto su whatsapp, con in allegato una foto. Stava per eliminare anche quello ma decise prima di controllare cosa volesse questo sconosciuto, aprì e vide una foto di A-Un che dormiva beato su un divano sconosciuto. Gli occhi si spalancarono e lesse velocemente il messaggio e rispose altrettanto velocemente ringraziando e chiedendo l’indirizzo, dicendo che sarebbe passato appena finito di lavorare, intorno alle 19.
La risposta arrivò meno di un minuto dopo, con le informazioni che aveva chiesto, il rumore dell’ascensore che arrivava al piano richiesto lo riportò alla realtà, facendogli mettere via l’apparecchio elettronico e facendolo andare a prendere qualcosa da mettere nello stomaco. Quella giornata stava andando sempre peggio, prima la ragazzina che si butta sotto la sua auto, poi l’altra ragazzina che non lo molla un momento e in più, per chiudere il contratto aveva dovuto concederle un pranzo insieme. E ora, l’unico essere che sopportava era finito non si sa come a casa di un estraneo, che l’avessero rapito per chiedere una ricompensa?
No ora stava esagerando, non poteva esserci un complotto organizzato contro di lui, doveva essere solo una serie di coincidenze, una serie di sfortunate coincidenze. Sperava almeno che il pomeriggio fosse più tranquillo e privo di sorprese.

Per sua fortuna fu così, non ci furono contrattempi di alcun tipo, i suoi dipendenti non lo importunarono più del dovuto e ricevette un sola chiamata da suo padre, che con voce preoccupata lo informava che A-Un era sparito. Lo rassicurò con poche e semplici parole e finalmente terminò la chiamata, concludendo così anche la sua giornata lavorativa.
Con passo spedito si diresse verso il seminterrato, dove aveva lasciato la sua auto quella mattina, il ricordo della ragazzina quasi sotto le sue ruote tornò prepotente, ma Sesshoumaru lo scacciò via come se fosse stata una mosca fastidiosa. Accese il motore e partì, inserendo le coordinate nel navigatore e si accorse in quell’istante che era a soli cinque minuti da casa sua, o meglio, dalla villa dove abitava con suo padre e suo fratello, gli esseri più insopportabili del mondo.
Dopo una ventina di minuti era arrivato a destinazione, parcheggiò l’auto davanti al condominio e recuperò il cellulare per controllare il piano e il numero, secondo piano, appartamento numero 5, appena arrivati dalle scale sulla destra. Entrò nell’edificio e una donna con il bambino e un vecchietto di girarono a guardarlo scioccati, e avevano ragione, lui, il grande Sesshoumaru No Taisho che entrava in un buco così sporco e puzzolente. Riusciva quasi a sentire la loro puzza di povertà, dovette trattenersi dal non coprirsi il naso con la manica del completo. Fece per dirigersi verso l’ascensore ma vide un enorme cartello giallo con caratteri neri che diceva che era guasto, così sbuffando infastidito salì i gradini.
Trovò come scritto nel messaggio l’appartamento subito a destra e bussò il più forte possibile, cercando di trasmettere il suo nervosismo alla femmina che aveva ritrovato il suo animale, sperando vivamente che non gli chiedesse una qualche ricompensa.
«Eccomi eccomi! Mi scusi…» La porta si aprì e una ragazza di circa venticinque anni gli sorrise, ma poi si bloccò sul posto.
Lei era la ragazza che gli se era gettata sotto le ruote quella mattina, quella che aveva salvato un qualcosa, e la sensazione che quel qualcosa fosse proprio A-Un si insinuò nella sua testa. Stava per investirlo, l’avrebbe ucciso se quella ragazzina non si fosse fiondata a salvarlo.
«Ehm, vuole entrare?» Rin si spostò leggermente per permettergli di passare, risvegliandolo dai suoi pensieri autodistruttivi.
«No… Recupero A-Un e tolgo il disturbo…»
Lei annuì e sparì all’interno dell’abitazione, lasciando però la porta aperta in caso Sesshoumaru cambiasse idea, ma lui era ancora sconvolto dalla scoperta per potersi muovere, anche se dall’esterno non lo dava a vedere.
«Eccolo qui…» Lo teneva in braccio come se fosse un animale qualsiasi, un gatto o un cane, e glielo passò alla stessa maniera, senza gabbiette o altro.
Sesshoumaru si stupì di questo fatto, A-Un non era un animale docile, anzi mordeva e graffiava chiunque non facesse parte della sua famiglia. Mentre ora era si faceva portare in braccio da una ragazzina, povera oltretutto.
«Ecco… Purtroppo a un certo punto mi sono addormentata, e A-Un mi ha mangiato una ciocca di capelli, non gli farà male vero?»
Lo osservò con i grandi occhi neri preoccupata, lui le aveva appena rovinato l’acconciatura e lei si preoccupava che qualche capello gli facesse male. La guardò per un istante studiandola, i capelli erano lunghi e neri, tranne per una ciocca sulla testa che era tenuta ferma da un elastico a formare un codino nettamente più corto, e indossava una tuta da ginnastica comprata nei grandi magazzini. Era strana, ma comunque un essere inferiore.
«Non si preoccupi… Arrivederci…»
Senza aggiungere altro si girò lasciandola sull’uscio della porta con la bocca aperta, Sesshoumaru percorreva le scale in fretta, voleva uscire da quel posto puzzolente, voleva tornare a casa e dimenticarsi di tutto quello che era appena successo. Lui non aveva rischiato di uccidere l’unico essere a cui tenesse, e a salvarlo non era stata la ragazzina che aveva maledetto per tutto il giorno. Ma la figura della ragazza gli tornò in mente insieme al suo nome, Rin, anche quello strano come lei.

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Rin richiuse la porta sbuffando, non si aspettava certo una ricompensa per aver salvato quel povero rettile, ma almeno un grazie, o delle scuse dato che era lui che lo stava per investire. Certe persone erano davvero maleducate, e in più aveva notato il suo atteggiamento superiore, solo perché indossava un vestito firmato e molto probabilmente era straricco non voleva dire che poteva trattarla come una nullità!
Decise di andare a farsi una camomilla per rilassarsi, arrabbiarsi ora non aveva senso, non l’avrebbe rivisto mai più e non avrebbe mai più dovuto parlarci, anche se era un vero peccato che un uomo così affascinante avesse un così brutto carattere.
L’acqua ormai bolliva e con gesti ormai abitudinari prese tutto il necessario, tazza, zucchero e la bustina di camomilla, e una volta che ebbe la tazza fumante in mano si osservò attorno. Il piccolo appartamento era completamente vuoto, e quel povero animale era il primo evento fuori dall’abitudinario da molto tempo. 
Rin si strinse nella felpa cercando un po’ di calore, e in quel momento si accorse di quanto fosse sola.
«Meglio tornare al lavoro!»

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«Sesshoumaru finalmente sei tornato! E vedo che A-Un sta bene!»
Inu No Taisho si diresse verso il figlio maggiore con le braccia aperte per abbracciarlo, ma Sesshoumaru schivò abilmente il genitore. Sin da bambino odiava le effusioni d’affetto, anche se Inu non si era mai arreso e cercava tutt’ora di sentirsi dire “Ti voglio bene papà”!
«Ti hanno chiesto dei soldi?» Suo figlio minore comparve da una delle tante porte presenti nella villa.
Inuyasha era il suo secondo genito, nonché fratellastro di Sesshoumaru, i due si odiavano da sempre, ma entrambi volevano bene a quel rettile, e forse era l’unica cosa che li accumunava, oltre a lui ovviamente.
Padre e figlio seguirono Sesshoumaru fino alla sua camera, chiuso in se stesso in un mutismo fuori dal comune, qualcosa non andava, Inu questo ormai l’aveva capito. Solitamente l’albino rispondeva male, li insultava e poi si chiudeva in se stesso maledicendoli mentalmente, mentre questa volta sembrava essere su un altro pianeta.
«Ohi Sesshoumaru! Vuoi rispondermi!?» Anche questa volta non rispose e con gesti meccanici aprì la porta della sua camera, ma Inuyasha lo bloccò per un braccio, ottenendo finalmente una reazione.
«Tu razza di imbecille cosa vuoi?! Perché non vai a rompere altre sveglie dato che è il tuo nuovo passatempo?!»
«Dannato bastardo! Mi sono già scusato e sei tu che ti comporti come un deficiente!»
Sesshoumaru lasciò andare A-Un, che fino ad allora era stretto fra le sue braccia, e prese il fratellastro per il colletto della camicia.
Inu sbuffò infastidito, sarebbero andati avanti ancora per molto e la questione si sarebbe conclusa con una rissa in palestra, ma in quel modo non avrebbe mai scoperto cosa stava succedendo al figlio, e ormai era diventato abbastanza curioso. Doveva centrare per forza la ragazza che aveva trovato il loro animale, spalancò gli occhi per un’improvvisa idea folle, sperando che si rivelasse corretta.
«Andiamo ragazzi… Smettetela! A-Un sta bene, è questo che conta!» Appoggiò una mano sulla spalla di entrambi cercando di farli calmare, anche se il suo vero intento era quello di rubare il cellulare di Sesshoumaru.
Purtroppo però non fece in tempo, perché il figlio gli tolse la mano bruscamente e si chiuse, a chiave, nella propria camera senza aggiungere altro.
«Che cazzo gli è preso?...»
«Non lo so… Mi sarebbe piaciuto tanto scoprirlo però… Sesshoumaru è troppo freddo, oltre a considerarsi superiore a chiunque…»
E Inu No Taisho si chiese cosa e dove avesse sbagliato nel crescerlo, ma era sicuro che una ragazza un giorno l’avrebbe cambiato, e magari perché non quella che ha salvato A-Un! Se solo avesse avuto il suo numero…
«Beh? Scopriamolo no?...» Si girò verso Inuyasha con un sopracciglio alzato, ma poi vide che fra le mani teneva il cellulare nero di Sesshoumaru e lo abbracciò di getto.
«Figliolo sei tale e quale a me! Almeno uno dei due!» Lo baciò sulla fronte e lo sentì sbuffare disgustato, ma non gli importava.
Scesero le scale e andarono nel suo studio, dove Sesshoumaru non li avrebbe potuti sentire, avevano poco tempo, perché presto si sarebbe accorto che il cellulare era sparito e sarebbe andato a cercarli adirato.
Controllò i messaggi ricevuti ma niente, la cartella era completamente vuota, stessa cosa valeva per le chiamate effettuate e ricevute, suo figlio era troppo un precisino!
«Prova a controllare Whatsapp…»
Fece come suggeritogli da Inuyasha e vide che aveva indovinato, tra le conversazioni compariva una con un numero non salvato, che gli aveva inviato una foto di A-Un e che gli dava istruzioni per recuperarlo. Prese una penna e scrisse sul primo foglio che trovò il numero, controllò che fosse corretto e poi si mise a pensare a come far sembrare il furto del cellulare solo un incidente.
«Dà qua Pa, ci penso io!»
Sorrise al figlio minore e gli consegnò l’oggetto in questione, lo osservò uscire dall’ufficio e chiudersi la porta alle spalle. Inuyasha era un ragazzo un po’ stupido, doveva ammetterlo, non brillava come lui e suo fratello, ma era di buon cuore, non si sentiva superiore a nessuno e aveva tanta dolcezza da dare. Se solo Sesshoumaru gli assomigliasse un pochino, se solo avesse capito che le persone erano tutte uguali e non si distinguevano da ricche e povere.
Scosse la testa e compose il numero che si era scritto, il telefono squillò una, due e tre volte, aspettò qualche istante non volendo mollare l’osso, e finalmente una voce femminile, e leggermente assonnata, gli rispose.
«Pronto?...»
«Salve, sono il padre di Sesshoumaru, la contattavo per…»
«Scusi se la interrompo, ma io non conosco nessun Sesshoumaru… Forse ha sbagliato numero…»
«Ma… Mi scusi, lei non è la ragazza che ha salvato A-Un?...»
Non era possibile che quel cafone non si fosse nemmeno presentato, poi cos’altro avrebbe scoperto?
«Sì, sono io. Lei è il padre del ragazzo che è venuto a recuperarlo?...»
E invece sì, aveva due figli idioti, e uno cafone.
«Esattamente, volevamo invitarla a cena una di queste sere per ringraziarla in maniera più appropriata di aver ritrovato A-Un!»
Inu sentì i passi di suo figlio per le scale, poi Inuyasha che si inventava una scusa, doveva essersi accorto del cellulare.
«Io non saprei… Non serve nessun ringraziamento speciale, un semplice grazie mi basta…»
Lei non lo disse esplicitamente, ma lui capì che Sesshoumaru non l’aveva nemmeno ringraziata. Dopo loro due avrebbero fatto una bella chiacchierata.
«Signorina…»
«Mi chiami pure Rin»
«Rin insisto, nella mia famiglia tutti tengono a quella simpatica bestiola, e se gli fosse successo qualcosa non ce lo saremmo mai perdonati…»
Un tonfo poco fuori dal suo studio attirò la sua attenzione mentre Rin pensava all’offerta.
«D’accordo accetto…»
La porta si spalancò e Sesshoumaru entrò come una furia, ma non parlò pensando che si trattasse di una chiamata di lavoro, illuso.
«Perfetto! Che ne dice di domani sera?...»
«Purtroppo ho un lavoro urgente da finire… Ma per dopo domani dovrei averlo concluso…»
«Allora a dopo domani sera, ora purtroppo la devo salutare signorina Rin, la terrò in aggiornamento via messaggio.»
«D’accordo, a presto»
Chiuse la chiamata e con un sorrisetto sul volto osservò il figlio più irato di prima, ovviamente aveva capito con chi era realmente al telefono, e aveva anche sentito che si sarebbero incontrati a cena. Purtroppo per lui però, non era l’unico infuriato.
«Come avete osato!? Mi avete rubato il cellulare per chiamare quella poveraccia, per poi cosa? Invitarla a cena! Padre siete forse impazzito del tutto?»
«Sì, ho fatto tutto questo, e mi dovresti ringraziare… O forse ti sei dimenticato come si fa?!»
«Tzè… Si è messa a piangere appena ha scoperto chi eri?... I poveracci non meritano il nostro ringraziamento!»
«E’ questo che non capisci Sesshoumaru! Loro non sono differenti da noi solo perché hanno meno soldi!... Se potessi ti toglierei tutto quanto per farti capire quanto tu e un barbone possiate essere simili… Ma ormai sarebbe inutile…»
«Padre non la capirò mai… E forse è meglio così… Solo non provate mai più a ingannarmi…»
L’albino fece per andarsene ma Inu si alzò in piedi facendo cadere a terra la sedia in mogano scuro con un tonfo sordo.
«Tu Sesshoumaru ci sarai a quella cena, ed è un ordine…»
Grugnì una risposta e finalmente uscì sbattendo la porta, l’uomo sospirò rialzando la sedia e risedendocisi sopra ormai spossato, suo figlio era davvero cocciuto. Prese il cellulare e salvò il numero di Rin, e andò ad osservare la sua immagine profilo curioso, era davvero carina.

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Rin sentì in quei due giorni ancora il padre di Sesshoumaru, l’aveva salvato così sul cellulare perché nemmeno lui si era presentato, probabilmente era un carattere di famiglia. Le aveva chiesto conferma per la cena e le aveva detto di recarsi a casa loro, dicendo che sarebbero partiti tutti insieme verso il ristorante. 
Non aveva vestiti eleganti così optò per dei semplici jeans attillati chiari e una maglietta nera, dalle maniche semi lunghe ma con le spalle scoperte e con il collo alto. Semplice ma elegante, decise di non indossare nessun gioiello se non gli orecchini di diamanti di sua madre, da cui da qualche anno ormai non si separava mai. Prese la borsa e uscì di casa, pronta a scoprire cosa le sarebbe successo quella sera, sperando che Sesshoumaru non fosse ancora così maleducato.
Dopo circa una decina di minuti a piedi, arrivò davanti a una villa enorme con un giardino immenso, Rin rimase abbagliata da tanta bellezza, non si era mai resa conto che così vicino a casa sua ci fosse una reggia, doveva uscire più spesso da quel buco. Controllò l’indirizzo e vide che corrispondeva a quello della villa, alzò lo sguardo verso la casa e poi lo riabbassò sullo schermo illuminato.
Ripeté questa azione un paio di volte rimanendo sempre più a bocca aperta, cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene sembrava sgarbato ma molto invitante, soprattutto suonava meglio che entrare e fare la figura della stupida.
Aveva deciso, se ne sarebbe tornata a casa inventando una scusa plausibile e troncando di netto ogni messaggio, tutto quello non era per lei, non faceva parte del suo mondo. Fece per girarsi e andarsene quando un vecchietto la chiamò.
«Signorina posso aiutarla?...»
I pochi capelli argentati erano raccolti in un codino simile a quello degli antichi samurai, gli occhi completamente bianchi erano leggermente sporgenti in fuori, la guardava sorridendo incurvando leggermente le labbra e i baffi folti, mentre si pettinava il pizzetto.
«Non credo, devo avere sbagliato indirizzo, mi scusi per il disturbo!» Rin fece per andarsene ma lo strano vecchio la fermò prendendola per un braccio e iniziando a fissarla intensamente.
«Lei deve essere l’ospite di cui mi avevano parlato! Prego, entri pure nella residenza… Avviso subito i signori!»
Ormai era fregata, il vecchietto aveva aperto il cancello e tramite un interfono stava avvisando i padroni della sua presenza, doveva essere più veloce a filarsela!
«Grazie mille signor?...»
«Mi chiami pure Totosai! A presto!»
Rin si lasciò alle spalle il cancello e il suo custode, incamminandosi per quel meraviglioso giardino, ci impiegò circa cinque minuti per attraversarlo completamente e arrivare all’entrata della villa, scoprendola ancora più grande. Sesshoumaru e altri due uomini che gli somigliavano molto erano sull’uscio ad aspettarla, il primo con una smorfia quasi di disgusto sul volto, mentre gli altri due le sorridevano contenti.
«Che piacere vederla Rin!»
L’uomo con i lunghi capelli argentei legati in una coda alta le si era avvicinato abbracciandola come se fosse un’amica d’infanzia, dalla voce lo riconobbe come il padre di Sesshoumaru.
«Anche per me è un piacere signor…»
«Oddio che sciocco che sono stato! Non mi sono nemmeno presentato, l’ho praticamente costretta a venire con noi a cena e non sa nemmeno il mio nome!... Sono Inu No Taisho, e lui è invece mio figlio Inuyasha!»
Le indicò l’altro ragazzo e lei gli sorrise gentile, e solo dopo qualche istante sembrò capire il cognome di quelle persone, rendendosi conto chi avesse davanti. I No Taisho erano tra le famiglie più ricche, se non forse la più ricca in assoluto, e le più potenti di tutto il Giappone, e lei, Rin, aveva salvato il loro animaletto. Certo, tutto chiaro ora, tutto filava liscio come l’olio.
«Muoviamoci… Prima inizia questa cena e meglio è…»
Ora capiva perché Sesshoumaru la trattasse così, ma non era comunque corretto nei suoi confronti, erano entrambi degli esseri umani anche se di ceti differenti, e non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa.

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Il viaggio in macchina fu breve per sua fortuna, ma purtroppo non fu altrettanto silenzioso, suo padre e suo fratello continuarono a porre domande alla ragazzina senza lasciarle poi il tempo di rispondere, quasi gli dispiaceva per lei. Quasi.
Sesshoumaru si gettò fuori dalla vettura quando si fermò, non l’avrebbero mai più obbligato a fare una cosa del genere, era una promessa quella. Suo padre aveva prenotato nel ristorante più famoso della città, oltre che il più costoso, ci andavano solo per i compleanni e per le occasioni speciali, e a quanto pare per quegli idioti portare una poveraccia in un posto così era un evento speciale.
Il cameriere arrivò dopo pochi istanti e li accompagnò al loro tavolo, l’umore di Sesshoumaru peggiorava passo dopo passo, non voleva essere lì, non voleva stare con la ragazzina che aveva salvato A-Un da lui, perché aveva quasi rischiato di uccidere entrambi. Si sedettero e iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, ma la lista dei vini attirò la sua attenzione, affogare i dispiaceri nell’alcol non sembrava un’idea malvagia.
«Allora Rin, come ha salvato il nostro prezioso A-Un? E cosa fa nella vita?»
Inu No Taisho tornò all’attacco con le domande appena finirono di ordinare.
«Stavo passeggiando per strada, quando a un certo punto ho notato un animale in mezzo alla strada… E l’ho semplicemente raccolto e portato a casa mia! Mentre per vivere traduco libri da altre lingue nella nostra, non è un lavoro molto redditizio ma mi piace!»
Non aveva detto dell’incidente, perché non aveva detto che lui aveva rischiato di ammazzarli entrambi? Voleva ricattarlo, non c’era altra possibilità, perché lei era solo una povera ragazzina, mentre lui era ricco sfondato.
«Affascinante… Quindi il lavoro che dovevi finire?...»
«Esatto, dovevo finire un romanzo entro domani, per questo non ho potuto ieri sera… ma per fortuna sono arrivata a buon punto.»
Finalmente arrivarono le bevande e il vino rosso che Sesshoumaru aveva ordinato, non sarebbe sopravvissuto senza, in più voleva dimenticare, dimenticare che stava per ucciderli.
«Quindi devi sapere molte lingue!» Il suo stupido fratello come sempre fece un’osservazione ovvia, anche se conoscendo il tipo probabilmente sapeva solo l’inglese…
«Beh sì…»
«E dimmi cara, quali se posso permettermi?»
«Inglese, francese, tedesco, italiano, russo, spagnolo e qualcosina di cinese…»
Tutti, compreso Sesshoumaru la fissarono ad occhi sbarrati, suo fratello era una capra e sapeva si e no dire due parole in inglese, suo padre un paio di lingue in più ma spesso doveva chiedere un traduttore per i suoi viaggi. Quella ragazzina conosceva tante lingue quante lui, strabiliante.
L’arrivo degli antipasti interruppe quel mutismo e fece riscuotere Sesshoumaru dai suoi pensieri, non doveva elogiarla, doveva disprezzarla perché inferiore a lui, ma una vocina nella sua testa gli ricordò che aveva rischiato di morire per salvare un rettile. La zittì finendo il primo boccale di vino.
«Vive da sola?»
La cena era proseguita tranquilla, con Sesshoumaru che beveva più che poteva, con Inuyasha che divorava tutto ciò che passava per il suo piatto, e con suo padre che continuava a porre domande a Rin, che gli sorrideva ogni volta. A quella domanda però la vide esitare, tentennare per un istante, si portò una ciocca scura dietro l’orecchio e giocherellò per un attimo con gli orecchini di diamanti. Forse era solo un’allucinazione dovuta all’alcol.
«Sì, ho deciso di essere il più indipendente possibile.»
«I suoi genitori devono essere fieri di lei! Io vivo ancora con questi due… e non vedo l’ora che mi lascino in pace!»
Un sorriso tirato, forzato, che nascondeva una tristezza profonda, questo Sesshoumaru fu sicuro di non esserselo sognato.
«Spero proprio di sì… Scusate, approfitterei dell’attesa del dolce per andare un momento al bagno…»
«Certo cara, vai pure…»
Appena sparì dietro alla porta della toilette suo padre iniziò a fissarlo con gli occhi che brillavano, e ciò non voleva dire nulla di buono, ma Sesshoumaru decise di ignorarli.
«Carina vero?...» Suo padre però lo ignorò a sua volta, iniziando a parlare e venendo seguito a ruota da Inuyasha
«Molto… Tu non trovi Sesshoumaru?»
Non rispose, qualsiasi risposta era come dargli corda, e ormai aveva capito cosa avevano in mente quegli stupidi, volevano sistemarlo con quella ragazzina.
«E’ anche molto intelligente, e le piace leggere proprio come a te Sesshoumaru!»
«E tra poco scopriamo che ama andare a cavallo come a te padre, oppure che va pazza per le moto come quell’idiota che ho come fratellastro…» Non era riuscito più a trattenersi, cosa erano scemi?
«Cosa siete cechi? Avrà visto questa come un’occasione per salire di grado, accalappiarsi uno di noi tre e diventare ricca! Con gli orecchini di diamante per fa colpo per di più…»
«Sesshoumaru...» Inu No Taisho lo guardava severo, ma lui avrebbe finito anche se ormai era l’alcol a parlare.
«Probabilmente i suoi genitori l’hanno cacciata di casa… Altro che indipendenza…»
«Interessante…»
Una voce femminile alle sue spalle lo fece quasi gelare sul posto, rendendosi conto che aveva parlato troppo e che Rin era dietro di se, con la sua solita freddezza però si girò pronto a sfidarla, ma non si era preparato a vederla in lacrime.
«Lo sa? Lei è una delle persone più fortunate che io abbia mai incontrato probabilmente, è bello, ha i soldi, una famiglia che le vuole bene, probabilmente una modella che lo aspetta a casa nuda nel suo letto, o almeno era quello che pensavo fino a poco fa… Ora capisco che è più solo di un’orfana, perché con quel suo carattere si creerà solo vuoto attorno… Rimanendo solo, con i suoi soldi e quel povero rettile…»
Quelle parole lo colpirono peggio di una pugnalata al cuore, come aveva potuto essere così roso dal senso di colpa, per un’azione che non aveva nemmeno commesso, da insultare una ragazza? Lui era tante cose, freddo, egoista, superiore, ma non era mai stato così crudele con una persona, che per di più non conosceva…
«Ora scusatemi… Ma vado a casa… Grazie per la magnifica serata signor No Taisho! Ma preferirei non essere contattata mai più…»
Detto questo se ne andò piangendo, ma con la schiena dritta e il volto alto, suo padre non la seguì e nemmeno fece Inuyasha, e Sesshoumaru non sapeva che fare, non voleva seguirla perché lui aveva ragione, lei era solo una poveraccia. Ma in qualche modo quella donna l’aveva intrigato fin da subito, senza che lui se ne rendesse conto.
Qualcosa a terra attirò la sua attenzione, e vide un orecchino di diamanti, era il suo, e un leggero sorriso gli increspò il volto, il destino aveva scelto per lui.

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Rin camminava veloce per le strade buie, diretta in un luogo in particolare, mentre con i pensieri passava il tempo a maledire Sesshoumaru. Lo insultava, immaginava di picchiarlo e si dava della stupida, per essersela presa così tanto e per aver accettato quell’invito, solo perché non voleva passare da sola l’ennesima serata si era detta che poteva essere divertente. Che magari lui si sarebbe scusato e bo, non sapeva nemmeno lei cosa, sarebbe nata una storia d’amore come nei libri che leggeva?
“Certo Rin come no, e adesso lui ti sta seguendo con la scarpetta di cristallo in mano.”
Scosse la testa violentemente attirando l’attenzione dei passanti che iniziarono a guardarla male, si era fermata in mezzo alla strada senza rendersene conto, borbottando insulti e scompigliandosi i capelli  per il nervosismo assomigliando a una strega. Forse poteva sembrare un tantino pazza.
Riprese a camminare e si abbracciò cercando di scaldarsi, un leggero vento soffiava facendole venire i brividi e si diede della stupida per non essersi portata dietro una giacca o almeno una felpa, ma quella sera non aveva immaginato di scappare via prima del dolce.
Finalmente arrivò a quel maledetto incrocio, il semaforo per i pedoni era rosso e le macchine sfrecciavano lungo la strada incuranti dei passanti, lei le osservava senza però vederle veramente, perché con la mente era ormai lontana.
«Ti ho trovata…» Una voce bassa e profonda la chiamò facendola girare.
Sesshoumaru era davanti a lei e la fissava curioso, mentre lei credendo di stare sognando tornò a fissare l’asfalto in completo silenzio.
«Come mai sei qui?...»
Sussultò e lo guardò nuovamente rendendosi conto che era reale, che l’uomo era davvero davanti a lei e la fissava preoccupato, perché poi non riusciva a capacitarsene.
«Tu invece?...»
«Hai perso questo…»
Infilò la mano in tasca e quando la tirò fuori fra le dita teneva uno dei suoi orecchini, Rin spalancò gli occhi e andò a controllarsi le orecchie scoprendo effettivamente che uno mancava.
«Grazie…»
Allungò la mano titubante verso quella di Sesshoumaru e prese il più in fretta possibile il gioiello, ma sentì comunque la sua pelle calda in netto contrasto con la sua gelida.
«Inoltre volevo scusarmi con te per il mio comportamento… Sono freddo, mi reputo superiore agli altri, ma non ero mai stato così maleducato arrivando a essere cattivo…»
Rin ascoltava in silenzio, voleva sentire come sarebbero state effettivamente quelle scuse, se sincere oppure se era stato obbligato dal padre e l’avrebbe insultata nuovamente dandole della povera che cerca solo di arricchirsi.
«Quando ho scoperto che ho rischiato di uccidere A-Un sono andato, si potrebbe dire, in crisi… Continuavo a pensarci e a ripensarci chiedendomi cosa sarebbe successo se tu non avessi rischiato la vita per salvarlo… Ti stimavo, ma ciò andava contro i miei principi, perché tu sei povera…»
Un insulto velato in un complimento, proprio quello che voleva sentirsi dire.
«E ciò mi ha destabilizzato, l’unica soluzione che avevo trovato era disprezzarti, ogni volta che scoprivo che eri una ragazza fuori dal comune mi ripetevo che io ero superiore… E prima era l’alcol che mi ha fatto parlare… Per tutto questo io ti chiedo scusa Rin…»
Erano delle vere scuse alla fine, che venivano dal profondo e che tutto sommato filavano, gli sorrise incapace di odiare qualcuno per natura. Sesshoumaru non era cattivo in fondo, era solo egoista, spocchioso e freddo come un ghiacciolo.
«Probabilmente anche ora è l’alcol a farti parlare…»
«Possibile…» Le sorrise leggermente e lei arrossì, girandosi di scatto per nasconderlo.
La strada era davanti a lei, le macchine continuavano a sfrecciare e Rin non seppe perché, ma decise di rispondere alla domanda che le aveva posto. Forse era ubriaca anche lei senza aver bevuto.
«E’ qui che sono morti i miei genitori… Io avrò avuto sette, otto anni. Avevo una febbre alta e non potevo andare a scuola, così loro erano andati a prendere delle medicine per farmi stare meglio…»
Le lacrime iniziarono a scendere copiose a quei ricordi, non li aveva raccontati a nessuno, perché non aveva nessuno, da quell’incidente si era chiusa in se stessa, e riaprire una vecchia ferita mai guarita faceva male. Molto male.
«Il semaforo dei pedoni era verde, quello delle macchine rosso… Hanno guardato prima di attraversare… Ma una macchina non li aveva visti, non si fermò al semaforo e li investì… Da allora ogni tanto vengo qui, a osservare la strada, a schiarirmi le idee e a fare chiarezza su me stessa, come se potessi parlare con loro… E questi orecchini erano di mia madre, glieli aveva regalati mio padre per la mia nascita, quindi ti ringrazio per avermelo riportato… Ci tengo molto…»
Si guardavano in silenzio, lei con gli occhi neri pieni di lacrime che cercava di asciugarle, mentre lui con quelle pozze d’ambra si rendeva conto cosa le aveva risvegliato prima con le sue parole.
«Come ti sembra l’idea di una cioccolata calda per ricominciare?...»
Lei scoppiò a ridere, se lui la trovava strana anche Rin non lo reputava del tutto normale, ma accettò con un sorriso sempre più contenta di essere passata col semaforo rosso quel giorno.
«Conosco un bar qui vicino dove è divina!»
Lo prese sotto braccio e iniziò a trascinarlo come una bambina, ma entrambi anche se nessuno dei due poteva vederlo sorridevano di quella follia.



Angolo Autrice
Come detto nell'introduzione, questa è la mia prima storia nel mondo di Inuyasha, anche se ho tante altre idee in testa che un giorno dovrò realizzare u.u
Questa storia non ha molto senso lo so, ma mi sono divertita a scriverla e spero che abbia fatto sorridere anche voi! Spero di aver reso abbastanza bene Sesshoumaru e i suoi complessi, oltre che il suo odio per il padre e il fratello u.u, probabilmente non sarà molto IC e vi prego di dirmi cosa ho sbagliato ^^
E ho finito! Grazie a chi leggerà e a chi recensirà :3
Un bacio a tutti Celty23 <3

   
 
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