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Autore: Victoria93    23/09/2016    7 recensioni
Tratto dalla storia:
-"Sai cosa sei? Una stronza. Una MALEDETTA stronza. Ti piace giocare a fare Dio, ti piace fingere d'essere perfetta, ti piace fingere di odiarmi, ti piace ripetere che ti faccio schifo, ma sono tutte STRONZATE. La verità è che tu non riesci a staccarti da me, non riesci a disprezzarmi come vorresti, non riesci a smettere! Proprio come me, Eliza. IO NON RIESCO A SMETTERE. Chiamala come vuoi; chiamala mania, ossessione, disturbo, non me ne frega niente! Ma smettila di raccontarmi balle, smettila di rendermi le cose ancora più difficili!".
"Che cazzo di problema hai, Mello?!".
"Maledizione, ragazzina, TU sei il mio problema!!".
"Perché?!".
"Perché ti amo!!".
SEGUITO DI 'SUGAR AND PAIN': non leggetela se non avete letto la prima storia.
Vent'anni dopo il caso Kira, Eliza, convocata da Near, si reca in Inghilterra per risolvere un caso di omicidi seriali. Qui fa la conoscenza di un uomo cupo, tormentato, taciturno e irascibile, che le sconvolgerà per sempre la vita.
Riusciranno Eliza e Mello a superare le loro diversità, a combattere per il loro amore e a vincere contro un nuovo, temibile avversario?
Combattere contro un mostro è difficile: combattere contro se stessi è molto peggio.
SOSPESA.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mello, Near, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SUGAR AND PAIN'
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Capitolo 5- Not yours, but mine
 
Eliza spalancò la porta di scatto, l’espressione del volto furiosa e gli occhi che sprigionavano lampi; di fronte al suo sguardo attonito e adirato, Mello se ne stava in piedi sulla soglia, le braccia incrociate e un’espressione sprezzante dipinta sulla faccia, come di consueto; osservandolo per un paio d’istanti, finì per posare l’attenzione sul crocifisso adagiato sul suo petto, ancora intento a dondolare con leggerezza, dopo che il suo proprietario, con ogni probabilità, aveva fatto le scale a tre a tre. Scuotendo la testa, tornò a guardarlo dritto negli occhi, fulminandolo nuovamente.
“Si può sapere cosa cazzo vuoi?! Non avevamo stabilito di non appestarci l’aria a vicenda?!” sbottò la ragazza, bloccandogli l’entrata.
“Avevamo stabilito di lavorare separatamente al caso, mocciosa. Ma se ti appropri di tutta la documentazione, immagino che il proposito sarà un po’ difficile da attuare”.
Lanciando un’occhiata alle sue spalle, Eliza si rese a un tratto conto che, con suo sommo disappunto, non poteva dargli tutti i torti: il plico del materiale del caso Adherent, in tutta la sua voluminosità, aveva già finito per sparpagliarsi dalla scrivania al suo letto.
“E allora? Chiedi a Near un’altra copia!!” sbottò, tornando a voltarsi verso di lui.
“Mettiamo in chiaro una cosa, ragazzina: io non chiedo un cazzo di niente al nano. Non ho intenzione di sorbirmelo per un altro secondo prima di un’altra schifosa riunione operativa: quindi, se c’è uno di noi che deve mollare quei documenti, quella sei tu” precisò Mello, senza battere ciglio.
Eliza fece per aprire bocca per infilzarlo con una delle sue rispostacce, quando un segnale acustico, proveniente dal suo cercapersone, la convinse a desistere.
“Che c’è?!?” sbottò, accettando la chiamata.
*Eliza…sono Gevanni. Ecco…* iniziò l’agente, con tono imbarazzato *Near mi ha appena chiesto di dirti che ha inviato la documentazione del caso in copie separate a entrambi, sui rispettivi portatili di cui vi ha fornito. E mi ha anche chiesto di chiederti di abbassare la voce. Si sta…beh, concentrando*.
Eliza sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Ha di nuovo ricominciato a giocare al Grande Fratello con le telecamere?!” protestò la ragazza.
*Solo nei corridoi* specificò Gevanni.
“Beh, digli che se ci teneva tanto alla sua quiete, non doveva costringermi a lavorare con la primadonna isterica! E ricordagli che se scopro che mi ha piazzato un sistema di sorveglianza anche nella stanza, do fuoco alla sua collezione di trenini. Passo e chiudo, Gevanni”.
Una volta interrotte le comunicazioni con Stephen, Eliza indirizzò un altro sguardo omicida al biondo, che per contro si limitò a fare lo stesso.
“Visto?! Ora puoi anche andarci sul serio, al diavolo!” seguitò la ragazza, facendo per chiudere la porta.
Ma prima che potesse riuscirci, la mano guantata di Mello si mise in pezzo, riprendendo a spalancarla nuovamente e avvicinando i loro profili in modo vertiginoso, così che entrambi riprendessero a fissarsi negli occhi in maniera truce.
“Stabiliamo subito un altro paio di regole, mocciosa. Numero uno: tu non mi parli in questo modo. Chi ci prova normalmente, finisce con la testa conficcata sul fondo di un fiume e il corpo appeso all’ultimo piano di un grattacielo. Numero due: prima che a qualsiasi dei tuoi amici parrucconi e prima che all’omino intinto nella candeggina, tu fai rapporto a me. Numero tre: se ti appropri ancora della roba su cui io devo lavorare, giuro che ti riempio di piombo”.
“Numero uno: io ti parlo come cazzo mi pare. E se pensi di mettermi paura, è meglio che te ne torni a Broadway ad azzuffarti con la vicina di camerino, avresti miglior fortuna. Numero due: tu per me non sei nessuno. Non sei a capo delle indagini e senza dubbio non sei un mio superiore, quindi l’unica cosa che farò sarà esporti le mie considerazioni sul caso, dato che Near mi ha chiesto di farlo. Numero tre: quella è la mia roba, caro il mio primadonna isterico. Quindi adesso fila nella tua stanza e vedi di cavare dal buco qualche risultato, prima che Elle decida di toglierci il caso per non aver fatto passi avanti nelle indagini in tempi decenti! Ah, numero quattro: nella mia stanza tu non ci metterai mai piede. E ora vai all’Inferno!”.
Prima che potesse avere il tempo di aggiungere una parola, la ragazza gli assestò un sonoro colpo negli stinchi, facendogli perdere l’equilibrio e costringendolo a indietreggiare, così che lei potesse definitivamente sbattergli la porta in faccia.
Con il respiro ancora affannoso e il cuore che non smetteva di martellarle nel petto, Eliza si appoggiò contro la parete della sua camera da letto, le unghie che quasi andavano a conficcarsi nella carta da parati e gli occhi serrati, segnati da un’espressione furiosa e colma di un sentimento a cui non era in grado di dare un nome.
Era passato solo un giorno, e già era convinta che i suoi nervi non sarebbero arrivati intatti alla fine di quella vicenda. Doveva calmarsi, lo sapeva. Doveva razionalizzare ciò che stava succedendo e doveva smetterla di farsi pungere sul vivo in quel modo.
Non conosceva quel tipo, non sapeva praticamente niente di lui e non le importava chi fosse, da dove venisse, e perché avesse quell’atteggiamento così…irritante, maleducato, arrogante, odioso.
*Non stai razionalizzando, Eliza* iniziò a ripeterle la voce della sua mente, dannatamente simile a quella di suo padre.
*Razionalizzare una bella sega. Io lo uccido, quel bulletto con la faccia da proiettile* sbottò per contro, iniziando a fare avanti e indietro per la stanza.
*Devi solo collaborare con lui alle indagini. Ignora la sua impulsività, ignora il suo atteggiamento. Puoi essere più brava di lui, come tuo solito. Vedila come una sfida*.
Quell’improvviso pensiero la convinse a fermarsi di colpo, appoggiandosi allo stipite della finestra, che le forniva una bella vista sul lato ovest del giardino.
Mello.
Probabilmente, la sua fastidiosa vocetta interiore aveva ragione, come al solito: doveva cercare di calmarsi e di razionalizzare quella situazione. Dopotutto, come già aveva constatato, doveva pur esserci un motivo se Near aveva chiesto la sua collaborazione alle indagini, giusto? Near non era il tipo da convocare il primo deficiente con cui si fosse trovato a che fare nel corso della sua carriera.
A dire il vero, avrebbe giurato che Near non fosse il tipo pronto a convocare chicchessia per qualsiasi ragione; fatta eccezione per lei, forse.
*Già. Perché io sono la stramaledetta figlia di Elle. Eredità genetica*.
Quella considerazione improvvisa la convinse a conficcarsi le unghie della mano destra nel palmo della mano, l’espressione del viso che passava da furiosa a malinconica e delusa.
Cercando di scrollarsi di dosso quel pensiero, ripensò a un tratto alle parole che sua madre le aveva rivolto il giorno prima, volte a rassicurarla sul conto di quell’individuo assurdo con cui avrebbe dovuto trascorrere i mesi successivi.
Infine, rilassò le spalle e si arrese, appoggiando di nuovo il capo contro il muro. Se i suoi genitori e l’SPK si fidavano di lui, avrebbe fatto altrettanto. Dopotutto, si trattava solo di un anno; al termine delle indagini, non lo avrebbe rivisto mai più.
*Ciò non significa che gli permetterò di mettermi i piedi in testa, nel frattempo. Mi piacerebbe proprio sapere chi diavolo pensa di essere, per parlarmi in quel modo. Se proprio ci tiene ad arrivare vivo al mio prossimo compleanno, sarà meglio che riveda un tantino le sue priorità, o giuro su Dio che quella cioccolata gliela ficco…*.
Un segnale di chiamata, proveniente dal suo computer portatile, la convinse a smetterla di rimuginare e a sedersi alla scrivania; con un sorriso più simile a una smorfia, si rese immediatamente conto dell’identità del mittente.
Dopo aver premuto il pulsante INVIO, l’immagine del video le comparve sullo schermo.
La stanza che le apparve dinanzi agli occhi era tanto lussuosa quanto disordinata; gli occhi attenti di Eliza scorsero un grande letto a baldacchino e un pianoforte a coda, accompagnati da un lussuoso lampadario di cristallo, da un confortevole angolo provvisto di divani e di un ampio caminetto e da numerosi vasi di cristallo pieni di fiori. Probabilmente, si trattava di una suite imperiale. Come al solito.
Per contro, l’ambiente era invaso di appunti, di cartelle dall’aria professionale e da piatti contenenti avanzi di cibo (che si riconducevano per intero alla categoria dei dolci).
Con un ulteriore sorrisetto, riconobbe in primo piano un elegante cesto di fragole.
L’uomo che l’aveva appena chiamata ne afferrò una con noncuranza, iniziando a intingerla in una ciotola di panna con fare annoiato, mentre l’altra mano se ne stava appoggiata contro la sua guancia nivea. Come di consueto, se ne stava appollaiato sulla sedia posta di fronte alla scrivania su cui troneggiava il suo computer, ultimo modello della tecnologia presente sul mercato internazionale, ed era circondato, in linea con le sue abitudini, da un discreto numero di piattini da dessert, ciascuno ospitante una fetta di torta diversa. I suoi capelli, neri come l’inchiostro e tendenti al disordine come quelli di Eliza, non sembravano aver subito affatto il trascorrere degli anni passati.
Ci mise qualche secondo per alzare gli occhi e per rivolgerle uno sguardo a metà fra l’incuriosito e il perplesso, quasi come se la chiamata non fosse provenuta da lui; infine, lo vide immergere definitivamente la fragola nella panna per poi infilarsela del tutto in bocca; ancora con la bocca piena, le rivolse un sorriso sghembo, che si andò a estendere agli occhi con l’abituale lentezza e ponderazione.
Suo padre si prendeva sempre tutto il tempo del mondo, prima di cominciare una frase.
“Immagino che tu non abbia cenato” esordì, stringendosi nelle spalle.
“Ciao anche a te” sospirò Eliza, alzando gli occhi al cielo “E comunque no. Sono appena le 18”.
“In Inghilterra, è l’ora giusta” le fece notare Elle, con espressione pensierosa.
“Mi hai chiamato per informarti sul quantitativo di zuccheri che ho ingerito nelle ultime ventiquattr’ore?” brontolò Eliza, tamburellando nervosamente sulla scrivania.
“Ti ho chiamata per informarti che hai appena ricevuto la documentazione sul caso Kira che desideravi esaminare. E per dirti che ad essa ho accluso il dossier sulla persona su cui hai chiesto informazioni a tua madre, ieri”.
Quella singola frase le fece drizzare le antenne e la convinse ad ascoltare con la consueta attenzione: se c’era una cosa di suo padre che l’aveva sempre lasciata attonita era la sua capacità di arrivare dritto al punto di una questione con la massima naturalezza, mantenendo lo stesso tono di chi parla del tempo con espressione svagata.
“Sul serio? Hai un dossier?” domandò, con tono concitato.
“Certo che ce l’ho. Ruri te l’ha già detto, no? Ho monitorato le sue attività nel corso degli ultimi dodici anni. Non posso dire che abbia un curriculum eccellente, anzi…qui ci sono diversi precedenti penali. Ma non è un criminale come gli altri. Mello è…”.
Pronunciava il suo nome con un tono strano, particolare. Era certa che, fino a quell’istante, l’avesse sentito usarlo solo in riferimento a Near; era come se stesse parlando di un vecchio amico che non aveva mai avuto l’opportunità di conoscere come avrebbe voluto. E verso cui, al tempo stesso, provava uno strano senso di responsabilità.
“È una continua sorpresa” concluse poi, ticchettando la forchetta sul piattino del dolce “Stando ai miei dati e alle mie indagini, sembra che tutto il suo operato degli ultimi anni fosse volto a tenere sotto sorveglianza le azioni dell’SPK…e anche le mie, in un certo senso. Non dico che non si sia trovato invischiato in mezzo a situazioni molto poco raccomandabili, come il commercio di armi e lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma non abbiamo a che fare con un criminale nel vero senso della parola. È più un…” rifletté un secondo sulla cosa, l’indice intento a tormentarsi il labbro “Un professionista della malavita” concluse poi “Sì, direi che è la definizione esatta”.
“In sostanza, mi stai dicendo che non ci ritroveremo con un coltello conficcato nella schiena” sospirò Eliza.
“Mello non avrebbe motivo di fare una cosa del genere, fidati di me. La caratteristica che lo contraddistingue maggiormente, fatta eccezione per l’impulsività, è la competitività: farebbe qualsiasi cosa per dimostrare d’essere migliore di Near” affermò il detective.
“La caratteristica che lo contraddistingue maggiormente è quella di essere un gran figlio di…”.
“E comunque sia, se davvero intralcerà le indagini, piuttosto che appoggiarne l’esito positivo, la cosa sarà evidente in men che non si dica. Ti ricordo che non avete molto tempo” la interruppe Elle, con la massima noncuranza.
Eliza gli lanciò un’occhiata di sbieco, le braccia incrociate, assumendo un’espressione gelida.
“Dimenticavo. Elle ha intenzione di toglierci il caso, se non otteniamo risultati entro la sua scadenza” pronunciò, a denti stretti.
“Non vedo quale sia il problema, Eliza. Nell’arco di un anno, è possibile ricavare materiale e prove sul conto di un serial killer a sufficienza per ottenere un’incriminazione di primo grado. Inoltre, hai lavorato a casi investigativi che hanno avuto la tua attenzione per non più di un mese, prima d’essere archiviati” affermò Elle, ingoiando un’altra fragola.
“Il problema è che in realtà speri di poter mettere le mani sulle indagini senza che io me ne accorga nemmeno” lo contraddisse Eliza, roteando gli occhi.
“Ma no, non è il caso. Come ti ho già detto molte volte, io ho la massima fiducia in te” la contraddisse Elle, con il consueto tono calmo.
“E allora perché non lasci che mi occupi della cosa come hai fatto in passato con gli altri casi di cui mi sono occupata? Mi stai più addosso del solito, Elle. Qual è il problema?”.
L’espressione di Elle si fece improvvisamente più cupa, come se il detective avesse a un tratto rievocato una parte del suo passato dai connotati oscuri e inquietanti.
“Eliza…il caso Kira è stato…beh, sai quello che voglio dire. È diverso da qualsiasi altro. Da qualsiasi altra fattispecie di cui io e tua madre ci siamo mai occupati, da qualsiasi altra cosa di cui tu stessa ti sia mai occupata”.
“Questo lo so. Dovrò stare attenta, ne sono consapevole. Ma non c’è bisogno di fare tutto questo strepito e di intrufolarti nei casi che l’Interpol ha affidato all’SPK” protestò Eliza, ancora tesa.
“Ti ricordo che l’Interpol risponde a me in prima linea. E che, se fosse stato subito evidente il coinvolgimento di un potere paranormale paragonabile a quello di Kira in quelle indagini, il caso sarebbe diventato automaticamente di mia competenza” sottolineò Elle, bevendo un lungo sorso di caffè.
“Beh, al momento non lo è. Quindi, smettila di agitarti in questo modo e lasciami fare, ok? So quello che faccio” lo rimbeccò Eliza.
“Sono sicuro che la documentazione che ti ho mandato ti darà gli elementi mancanti per avere una visione chiara delle tue indagini. Puoi rivolgerti a me per qualsiasi cosa” rispose il detective, sporgendosi per afferrare un nuovo piattino con l’ennesima fetta di dolce.
“Non ne ho bisogno, sul serio. Grazie per la documentazione, ma per il resto me la caverò da sola. Sono pronta” dichiarò la ragazza.
“No”.
Il tono con cui suo padre aveva pronunciato quella parola, accompagnata dal tonfo secco del piatto di ceramica che si posava sull’elegante superficie della sua scrivania, le scatenò un moto di sorpresa; in attesa che parlasse, Eliza continuò a ticchettare con la gamba da sotto la scrivania, ansiosa di sentirlo proseguire.
Alla fine, Elle rialzò lo sguardo su sua figlia, sospirando pesantemente e chiudendo gli occhi per un lungo istante.
“Non lo sei, Eliza, e molto probabilmente non sarai mai pronta per quello che ti aspetta”.
Quelle parole la travolsero come una sorta di valanga, colpendola dritto al cuore: in un singolo istante, si sentì come quando, da piccola, osservava suo padre concentrato su uno degli innumerevoli casi da risolvere, l’espressione annoiata o concentrata a seconda dell’occasione, le lunghe dita affusolate intente a digitare sulla tastiera del computer, gli occhi cerchiati di nero intenti a estraniarsi dal mondo. Scrutarlo in quelle circostanze era sempre stato uno spettacolo che l’affascinava e la spaventava a un tempo: era come se il suo papà entrasse in un’altra dimensione, in cui lei non poteva raggiungerlo, in cui lei non sarebbe stata in grado di reggere il suo passo. Ricordava che spesso, in quei momenti, il nonno percepiva il suo disagio e la prendeva in braccio, coccolandola e raccontandole uno dei tanti aneddoti della sua vita e del lavoro dei suoi genitori. Le aveva sempre ripetuto che lei era come loro, che era la loro perfetta sintesi.
Con il passare degli anni, Eliza ne era stata sempre meno sicura.
In particolar modo, si era quasi definitivamente convinta che non avrebbe mai raggiunto il livello di suo padre e del suo genio, così metodico, attento, provvisto di una fredda e implacabile precisione chirurgica. E come allora, per la prima volta dopo tanto tempo, Eliza avvertì quella sensazione di smarrimento e di inadeguatezza che aveva iniziato a gravare sulle sue spalle fin da quando era poco più che una bambina.
Le aveva detto esplicitamente che non la riteneva all’altezza. Che, con ogni probabilità, non ce l’avrebbe fatta.
Prima che potesse rendersene materialmente conto, un impeto improvviso all’altezza del petto le diede una nuova risoluzione, portandola ad assumere un’espressione gelida che niente aveva a che vedere con quella adottata da Elle.
Il detective numero uno al mondo non la riteneva capace di occuparsi di quelle indagini? Voleva davvero sfidarla e dimostrare di non poter essere superato? Bene. Avrebbe ottenuto ciò che desiderava.
“Ti dimostrerò che ti sbagli. Consegnerò l’adepto di Kira alla giustizia e lo farò senza il tuo aiuto, e senza quello di Ruri. Questo è il mio caso” pronunciò, a denti stretti.
“Eliza…credo che tu mi stia fraintendendo” disse lentamente Elle, posando del tutto la sua fetta di torta.
“No, non ho frainteso. Ho capito cosa intendevi dire: ti sei occupato del caso Kira e hai mandato Light Yagami nel braccio della morte. Ma questo non è il caso Kira, e non stiamo parlando di Light Yagami. A ogni modo, ti proverò che sei in errore e che anch’io so essere all’altezza delle aspettative. Anche se non sono te” concluse la ragazza, freddamente.
All’altro capo della linea, Elle le rivolse uno sguardo confuso e, in qualche modo, dispiaciuto.
“Tua madre dice che sei arrabbiata con me. È questa la ragione?” le chiese, con un sospiro.
“Non sono arrabbiata con te, Elle. Voglio solo che tu mi lasci lavorare in pace. E che, per una volta…per una sola volta, non debba sempre sottolineare come io non sia in grado di fare tutto ciò che fai tu. Lo so che sei il migliore, non c’è bisogno di ricordarmelo sempre” disse infine, evitando il suo sguardo.
“Eliza…”.
“Senti, ti richiamo. Ho da fare, ok? Salutami Ruri” disse frettolosamente.
“Eliza, ascolta…”.
Prima che suo padre potesse aggiungere una parola, Eliza chiuse la comunicazione, prendendosi la testa fra le mani e lasciando andare un sospiro di pura mortificazione e stanchezza.
Dopo qualche istante, iniziò a massaggiarsi la tempia destra, gli occhi socchiusi fissi sul piano della scrivania, dove troneggiava una fotografia di suo nonno Watari.
Inclinando appena la testa di lato, allungò lentamente una delle sue mani, così fastidiosamente simili a quelle di Elle, così da poter sfiorare il legno della cornice in mezzo a cui troneggiava il volto di suo nonno.
Parlare con lui le mancava da morire; fin da quando riusciva a ricordare, Watari era sempre stato la persona che più al mondo fosse in grado d’aiutarla a comprendere suo padre, persino più di sua madre stessa. A voler essere del tutto onesta, a volte aveva difficoltà a capire persino lei: e in questa missione impossibile, senz’altro la più complessa della sua vita, la guida del nonno l’aveva sempre rassicurata, convincendola che i suoi genitori non erano poi così distanti come a volte lei li percepiva, e che avevano semplicemente un modo tutto loro di vivere le emozioni e di dimostrare i sentimenti.

Non aveva mai avuto reali dubbi sull’affetto che i suoi genitori nutrivano per lei, e il senso di gratitudine che le albergava nel cuore nei loro confronti non l’aveva mai lasciata; ma c’era una parte di lei, neppure così piccola e insignificante, che di quando in quando finiva per prendere il sopravvento, intenta a ripeterle che fra loro ci sarebbe sempre stata un’eterna barriera.
Che non sarebbe mai stata come Ruri ed Elle.
Che non sarebbe mai stata la sua degna erede.
Quel pensiero era capace di ossessionarla, nei momenti peggiori: era capace di comparirle di fronte agli occhi quando non riusciva a dormire, era capace di invadere la sua mente quando lavorava, quando si allenava, persino quando avrebbe dovuto avere la mente sgombra da qualsiasi preoccupazione, intenta a lavorare sull’ennesimo caso.
Eppure, non c’era un motivo razionalmente spiegabile per cui si sentiva così. La sua famiglia non l’aveva mai fatta sentire inadeguata: almeno, non in modo diretto.
Ripensò a un tratto alle parole che aveva rivolto a suo padre, finendo per chiedersi se fosse stata davvero giusta nei suoi confronti e se davvero ciò che aveva detto avesse un profondo significato per lei; con un sospiro esausto, dovette riconoscere che ce l’aveva.
Era raro che suo padre e sua madre le muovessero delle critiche significative o che non la incoraggiassero, ciascuno a modo suo, in tutto quello che faceva; eppure, acquisendo maggiore consapevolezza di ciò che osservava, con il passare degli anni aveva preso a sbirciarli di sottecchi come una sorta di spettatrice che si sente di peso, più che come un membro effettivo della scena e dello spettacolo. Man mano che cresceva e smetteva di essere una bambina, dedita allo studio quanto pronta a lasciarsi scivolare fra le braccia dei suoi genitori e del nonno, aveva cominciato ad analizzare il legame di Ruri ed Elle da un’ottica diversa, quasi come se lei stessa fosse diventata un’intrusa, all’interno della loro unione. Diventando una ragazza, non si era più sentita come ‘la piccola coccinella’, ma semplicemente come una persona che si era ritrovata catapultata di fronte a qualcosa che ormai non riconosceva più: o forse, che aveva sempre avuto di fronte agli occhi, ma senza mai poterlo comprendere o accettare davvero.
La verità era che Ruri ed Elle erano un mondo a parte.
Erano capaci di comprendersi con una parola, a volte persino con uno sguardo e con un tocco. Erano in grado di passare ore intere senza nemmeno guardarsi in faccia, per poi improvvisamente balzare in piedi e dire in contemporanea la stessa cosa. Erano la coppia più strana e al tempo stesso più straordinaria su cui avesse mai posato lo sguardo: aveva avuto modo di esaminare altri esempi di persone che si amavano con tutto il cuore, come nel caso di zia Robin e zio Taro, ma i suoi genitori erano sempre stati diversi.
Assurdi, pazzeschi, impulsivi, capaci di litigare sul gusto della torta da scegliere e al tempo stesso di dare ordini all’Interpol in perfetta sintonia, quasi anticipando l’uno le frasi dell’altra. Qualsiasi azione, qualsiasi parola, qualsiasi gesto che uno dei due rivolgeva nei confronti dell’altro era intriso di significato, di intensità, di una voce tutta sua.
Una voce che Eliza, da quando aveva cominciato a dedicarsi anima e corpo al suo lavoro investigativo, non aveva più sentito.
Ogni notte e ogni giorno della sua vita, da quando era diventata operativa al fianco dell’SPK, erano stati dedicati a un singolo obiettivo: vincere. Essere la migliore. Dimostrare al mondo, e in particolare ad Elle, che lei sarebbe riuscita a cavarsela.
Le parole di suo padre tornarono a rimbalzarle nella mente, convincendola a chiudere gli occhi in uno scatto repentino e a conficcarsi nuovamente le unghie nel palmo della mano.
 
Non sei pronta, Eliza. E non lo sarai mai, per quello che ti aspetta.
 
Senza aspettare un secondo di più, la ragazza afferrò la documentazione del caso Adherent, appropriandosi in contemporanea anche del suo portatile e trascinando il tutto sul letto, su cui cominciò a sparpagliare un gran quantitativo di merendine e di dolciumi della varietà più ampia; per un secondo, i suoi occhi azzurrissimi guizzarono in direzione di una delle sue tavolette di cioccolata, dall’aspetto dannatamente invitante.
Stringendosi nelle spalle, l’afferrò, scartandola velocemente e le assestò un morso deciso, cercando di gustare il sapore sulla lingua e di imprimersene a pieno il ricordo nella mente, quasi come quella fosse stata la sua ultima occasione di assaporare qualcosa del genere.
Quel momento rilassato venne immediatamente interrotto dal pensiero fulmineo che le attraversò la mente e che la convinse a mettere subito da parte la cioccolata.
Il ricordo dello schiocco delle labbra del suo maledetto vicino di stanza, intente a fare a pezzi l’ennesima tavoletta di cioccolata, le impedì di distendere ulteriormente i suoi nervi, costringendola a scuotere la testa per liberarsi di quell’assurdo fastidio.
*Prima Mello, poi Ruri ed Elle, poi di nuovo Mello. Eliza, se non cominci a lavorare sul serio a questo caso, finirai per farti ricoverare in psichiatria. O peggio ancora, finirai per farti soffiare il caso sul serio. Concentrati*.
Dopo aver calciato via gli stivaletti, si arrampicò definitivamente sul letto, sistemandosi a gambe incrociate e riprendendo a mangiare la sua cioccolata, come se niente fosse; dopo aver sistemato la documentazione all’altezza delle cosce, allungò la mano sinistra in cerca del suo I-Pod, senza più staccare gli occhi dalle fotografie e dagli appunti che aveva di fronte.
Quando infine trovò quello che stava cercando, si infilò gli auricolari nelle orecchie e accese il dispositivo, impostando il volume al massimo come al solito.
Per qualche strano motivo, decise di non dedicarsi subito al file sul caso Kira che suo padre le aveva inviato poco prima: come prima cosa, si sarebbe occupata del materiale che le era stato fornito come punto di partenza. Qualsiasi collegamento con le indagini di Elle avrebbe potuto attendere.
*Bene, vediamo. Categoria 45690: serial killer provvisto di manie da delirio di onnipotenza. Scaltro, metodico, eccessivamente puntiglioso e meticoloso. Possibile coinvolgimento della sindrome di Asperger. C’è una certa necessità di…far sì che ogni cosa sia al suo posto, sulla scena del crimine. Come se stesse preparando un set cinematografico per la polizia e per l’SPK. È senza dubbio ossessionato da quello che fa, come se fosse una sorta di missione. Ma perché concentrarsi proprio a Londra e a Parigi? Che cos’hanno in comune le vittime? Criminali con reati a sfondo sessuale…l’assassino potrebbe aver subito molestie. Vediamo. Un possibile trauma infantile? Questo spiegherebbe il perché l’assassino tenda a chiudersi nel suo mondo. È possibile che abbia subito abusi come il bullismo o la pedofilia, magari riconducibili alla sfera familiare. Assenza della figura paterna…coinciderebbe con il profilo da serial killer, tutte le vittime sono uomini. Se giochiamo su questo aspetto e sulla pista del bambino molestato, non escluderei un complesso di Edipo dagli esiti catastrofici. D’accordo. Che cos’ha a che vedere un individuo del genere con un omicida come Kira? Condivideva i suoi metodi? Stava seguendo il suo operato e desiderava far parte del suo progetto distruttivo? Sarebbe una soluzione quasi troppo semplice…perché tornare a uccidere dopo vent’anni dalla chiusura del caso? Che Mello abbia ragione…e se la questione non fosse più soltanto uccidere i criminali, se il punto fosse…cosa ne ricaverebbe, dalla loro morte? Una sorta di macabro senso artistico? No, lo escludo. Troppo metodico, troppo studiato, troppo calcolato per rappresentare il senso morboso di un pittore incompreso. Quindi, vediamo…uno scienziato con manie di protagonismo? Beh, potrebbe avere senso. Ma uno scienziato non avrebbe agito in modo così animalesco sulle proprie vittime. Se il profilo psicologico delineato è corretto, allora significa che abbiamo a che vedere con un killer che non agisce senza motivo. E un uomo di scienza non avrebbe un motivo apparente per fare una cosa del genere: se avesse davvero i mezzi per non agire in questo modo, considerando le sue tendenze metodiche, è probabile che lo farebbe. A meno che la brutalità della morte non abbia un significato tutto suo…potrei spingerlo all’angolo e tendergli una sorta di trappola. Sarebbe una sfida a cui potrebbe scegliere di non rinunciare…ma per farlo, ho bisogno di più elementi. Coraggio, via con l’analisi del coroner. La soluzione è qui, da qualche parte. Fosse l’ultima cosa che faccio, io ti troverò*.
Quasi senza rendersene conto, in maniera conforme alle sue abitudini, cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, muovendosi a tempo con la musica, che le scorreva lungo le braccia e le gambe come una sorta di cascata irrefrenabile, accompagnando le mosse della sua mente e del suo genio irrefrenabile, intento a scavare nelle profondità di quel mistero che ancora attendeva d’essere risolto.
 
Nella stanza di fianco, Mihael Keehl si adagiò scompostamente sul proprio letto, addentando un pezzo di cioccolata più grosso del normale, gli occhi azzurri che mandavano lampi e l’espressione del volto contratta in una smorfia irritata e disgustata.
Quella maledetta ragazzina lo avrebbe portato a compiere un omicidio entro il suo successivo compleanno; anzi, di quel passo era probabile che ci sarebbe riuscita entro un paio di settimane.
*La prossima volta che prova a sbattermi una porta in faccia, faccio trovare all’SPK il suo cadavere appeso fuori dall’edificio*.
Non era mai stato un campione di autocontrollo, ma quelle circostanze erano persino più assurde del normale; sapeva di non essere mai stato propenso alla tolleranza del prossimo, ma Eliza Havisham risvegliava in lui qualcosa che non conosceva.
Era capace d’irritarlo e di mandarlo fuori di testa con un semplice sguardo, con una semplice parola, con un semplice movimento; riflettendoci, giunse alla conclusione che solo Near era stato capace di fargli provare una rabbia del genere, prima di allora.
Con la differenza che lui e Near erano praticamente cresciuti insieme, che erano stati rivali fin da quando avevano iniziato a parlare e a camminare e che possedevano due personalità che era l’una agli antipodi dell’altra. Con la differenza che aveva trascorso una vita intera nel tentativo di superarlo, di essere il migliore.
Ma dove Near era un pezzo di ghiaccio privo d’emozione, dove Near si dimostrava alessitimico, concentrato unicamente sul suo dannato puzzle, Eliza si rivelava sempre pronta a esplodere come un vulcano, per poi tornare, l’istante successivo, a impiegare tutte le sue energie in ciò che aveva di fronte. Osservarla riflettere era come assistere a uno spettacolo fuori dal comune.
Ogni espressione che compariva sul suo volto, ogni dettaglio del suo corpo, ogni cellula del suo organismo sembrava impegnata nella produzione di un singolo ragionamento, mentre in realtà, in contemporanea, la sua mente stava già lavorando sul successivo, collegandone le deduzioni e le possibili ipotesi derivabili.
Con somma stizza, si ritrovò a dover constatare che ci stava pensando decisamente troppo.
*Lascia perdere la ragazzina. Se vuoi battere Near, concentrati sul killer* si ripeté mentalmente, ingoiando l’ultimo pezzo di cioccolata e accendendosi una sigaretta.
Con un colpo secco, si tirò su dal letto, dirigendosi verso il suo computer portatile e accendendolo, così da poter accedere alla documentazione che Near gli aveva appena inviato sul caso Adherent.
Prima che potesse farlo, il segnale d’arrivo di una mail lo distrasse improvvisamente; aprendola, con un sospiro e un sorrisetto che gli venne strappato suo malgrado, non ci mise molto a capire l’identità del mittente.
 
Mello, PORCA DI QUELLA PUTTANA.
Dieci milioni di dollari. DIECI! Mi avevi detto che Near aveva parlato di una proposta interessante, ma non pensavo COSÌ interessante! E vogliamo parlare del caso? Rester mi ha appena mandato tutte le scartoffie, è una FIGATA. Senza contare i rimandi al caso K…che cosa diamine aspettavi a chiamarmi? Lo so che preferisci stare al centro del palcoscenico, ma ti avrei preso a calci nel culo fino in Antartide, se non ti fossi deciso a fare il mio nome! Ad ogni modo, sto già buttando le cianfrusaglie in valigia. Sarò da te entro un paio di giorni, il tempo di arrivare.
Ah, la sai una novità? Near mi ha pagato persino il viaggio! Un posto in prima classe su un aereo privato del governo americano! Dovremmo lavorare più spesso con lui…
Ok, adesso probabilmente starai già mettendo mano alla pistola, quindi lascio da parte i miei sogni di gloria e torno sobrio.
Come ti dicevo, mi hanno inviato il materiale sulle indagini, ci darò un’occhiata durante il volo. Superare i sistemi di sorveglianza non sarà un problema, te lo garantisco: una volta dentro, potremo scambiarci i dati di cui necessitiamo attraverso una linea criptata e schermata dai Firewall, come quella che stiamo usando adesso. Fico, no? Sarà come essere sotto il Mantello dell’Invisibilità…come Harry Potter! Già, ma tu non sai cos’è Harry Potter…ok, lascia stare, non importa.
Gli faremo un CULO COSÌ! Vedrai!
E con i soldi che intascheremo, potremmo fare un salto a Las Vegas! Mi devi ancora la rivincita al casinò!
Ci vediamo fra un paio di giorni, amico. Ah, e non sparare all’omino bianco, nel frattempo.
 
A presto, Matt
 
PS: Rester si ostina a non rispondermi sulla questione, ma qualcosa mi dice che nei paraggi ci sia la figlia del capo. Del GRANDE capo. Me lo confermi?
 
Mello si pronunciò in una smorfia disgustata, roteando gli occhi.
Ma bene. Adesso ci si metteva pure Matt a stendere i tappeti rossi per la dannata principessa dell’SPK. Perfetto.
Decise istantaneamente che avrebbe risposto al suo amico in un secondo momento, magari quando non avrebbe avuto voglia di spaccare il portatile contro la parete.
In preda al nervosismo, si accese un’altra sigaretta, passando all’esame definitivo della documentazione di cui disponeva; sforzandosi di rilassare i muscoli, si appoggiò allo schienale della sedia, lasciando penzolare il braccio sinistro all’indietro, mentre le dita della mano destra premevano insistentemente sui tasti del mouse, scorrendo le fotografie scattate dalla Scientifica.
*Bene, figlio di puttana. Vediamo di cominciare il gioco* pensò, lasciandosi sfuggire un ghigno di soddisfazione: quel serial killer non gli sarebbe sfuggito. 
La sua mente alacre cominciò a esaminare le componenti che aveva di fronte, cominciando dalla descrizione dello stato dei cadaveri.
L’unica mutilazione evidente era quella della cassa toracica, che veniva regolarmente sventrata e da cui veniva sottratto il cuore, in ogni omicidio.
*I corpi vengono letteralmente squartati, ma senza che le ferite possano essere riconducibili a un’arma da taglio. Questo si collega immediatamente alla componente paranormale. L’assassino compie gli omicidi a mani nude: pertanto, questo significa che è dotato di una forza brutale, senza dubbio ottenuta in modo simile al potere omicida di cui disponeva Kira. Dispone i cadaveri in maniera composta, come se intendesse lasciare un messaggio ben preciso sulla scena del crimine; e nonostante la brutalità degli omicidi, dal modo in cui posiziona queste carcasse sembra quasi che cerchi una giustificazione per ciò che ha fatto. È metodico e calcolatore, e al tempo stesso non lo definirei come un individuo abituato ad avere a che fare con la violenza. Questo potrebbe voler dire che abbiamo di fronte un essere capace di farsi prendere dal panico e di commettere un errore significativo…ma sarebbe fin troppo facile. I criminali, vittime della sua furia omicida, vengono rinvenuti in quartieri altolocati. Non punta sui pesci piccoli, ma al contempo non ama scegliere fra le vittime responsabili di crimini appurati e certi. E nessuno dei soggetti che ha ucciso aveva precedenti penali che riguardassero l’omicidio. In particolare, ha una predilezione per gli stupratori. Si direbbe che il nostro uomo abbia un trascorso di abusi sessuali alle spalle che potremmo prendere in considerazione. Un frustrato, ossessionato da una sorta di delirio di onnipotenza. Ma perché estrarre il cuore? Ha senza dubbio un piano. A cosa gli possono servire? Un rituale? No, troppo scontato. Senza dubbio, non un rituale religioso, o gli omicidi sarebbero velati da un’impronta di panico e non sarebbero programmati così bene, scientificamente parlando. Ma se davvero fosse affetto da delirio di onnipotenza…beh, ci potrebbero essere delle possibilità. E la scelta di Londra e Parigi…che sia un rimando teatrale a qualcosa? Oppure, l’assassino è particolarmente legato a qualche avvenimento manifestatosi nelle due capitali. Un europeo? Ma se così fosse, i suoi contatti con Kira, o per meglio dire con Light Yagami, non avrebbero avuto modo di essere così frequenti…a meno che non si tratti di un pezzo grosso. Un membro della classe dirigente, magari, capace di contattarlo e di svelare la sua identità. Ma andiamo, Kira era soltanto un ragazzino. Quando è stato arrestato, Light Yagami era appena al primo anno d’università; eppure, era fuori dal comune. La classe politica giapponese si era già arresa alla sua influenza ben prima che Elle riuscisse a smascherarlo. Il punto è…stiamo parlando di un serial killer devoto alla sua causa…o di uno che intende prenderne il posto e il titolo?*.
Le ore iniziarono a trascorrere senza che nemmeno se ne accorgesse: fotografie che continuavano a scorrergli di fronte, dati, deduzioni dell’ex coroner, rapporti di polizia, orari del decesso, toracotomie post mortem, analisi del perimetro satellitare delle scene del delitto. Tutte quelle informazioni continuarono a vorticargli in mente, lasciando pochissimo spazio a qualsiasi altro pensiero. Doveva individuare il definitivo punto di partenza, doveva capire qual era il dannato punto debole del suo avversario.
*Quando negli scacchi mandi avanti i pedoni, devi già aver capito come muovere il tuo alfiere*.
Solo dopo aver trascorso un tempo indefinibile su quel materiale, intorno alle tre del mattino, qualcosa, dentro di lui, scattò. In seguito, ripensandoci, non fu del tutto in grado di capire per quale motivo fosse tornato su quel singolo dettaglio e sull’immagine lo ritraeva, considerandone l’apparente irrilevanza. Ma un ultimo dato proveniente dalla documentazione del caso Kira lo convinse definitivamente che stava proseguendo nella direzione giusta.
Si alzò di nuovo in piedi, un sorriso trionfante dipinto sulle labbra.
Adesso aveva finalmente una pista.
*Questo ti costerà caro, figlio di puttana*.
Non poteva sapere che, nella stanza di fianco, Eliza era giunta alla stessa, identica conclusione.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Questo capitolo non è brutto. È ORRENDO. Non avete idea di quanta fatica mi sia costato scriverlo, nel senso che proprio non mi veniva! Brutto, ripetitivo, scritto male, non si va avanti quasi per niente. Un capitolo di transito, in sostanza. Io ODIO i capitoli di transito. Dovete perdonarmi, sul serio. Sono oberata dagli impegni, e rischio di andare più fuori di melone del solito. In più, dalla prossima settimana l’università comincerà a travolgermi come un’onda anomala, quindi avrò molto meno tempo per scrivere. Sì, lo so. Posto in ritardo, con un capitolo obbrobrioso e più corto del solito, e vi annuncio che dalla prossima settimana le cose si faranno più difficili. Mi amate, confessatelo. Vi prometto che il prossimo sarà più lungo e più decente di questa schifezzina, ma purtroppo non posso dirvi da subito quando sarò in grado di postarlo. Vi avviserò come sempre, promesso. Un immenso ringraziamento a Always_Potter, SelflessGuard e MaryYagami_46 per aver recensito lo scorso capitolo, siete troppo gentili come sempre. Scusatemi ancora, e a prestissimo, la vostra Victoria  
 
   
 
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